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Tutto si può comprare: se una tecnica malvagia stravolge corpi e identità

2 Feb

La tragica illusione della “riassegnazione sessuale”, i bloccanti della pubertà ai bambini, la gravidanza ridotta a profitto, l’orrore degli uteri artificiali…Fulvia Signani, psicologa e sociologa di UniFe, riflette sulle sempre più urgenti sfide della bioetica

di Andrea Musacci

Una certa nefasta narrazione sembra volerci convincere che non esistono più uomini né donne, ma che il genere è una mera scelta individuale. Anzi, che l’umano come l’abbiamo conosciuto (come abbiamo sempre pensato che fosse) è destinato ad essere cancellato. E che – è solo una delle conseguenze di tutto ciò – i bambini non nasceranno più dall’utero materno dopo un rapporto sessuale tra un uomo e una donna. Fantascienza? Assurdità? Nulla di tutto ciò, purtroppo. Queste a dir poco angoscianti prospettive sono già realtà. Di questi temi ha parlato lo scorso 23 gennaio a Ferrara Fulvia Signani, psicologa e sociologa, Docente UniFe incaricata di Sociologia di genere a Studi Umanistici e Medicina, Membro del Centro Strategico Universitario di Studi sulla Medicina di genere ed ex Dirigente psicologa all’AUSL di Ferrara. Invitata dal gruppo “Caschi Blu della Cultura”, ha dialogato con le moderatrici Gianna Andrian e Mara Guerra (ex Assessora alla Sanità del Comune di Ferrara) e con i presenti all’iniziativa svoltasi a Palazzo Bonacossi.

«La scienza si sta discostando sempre più dall’umano, dall’etica», riflette Signani. Una voce critica, la sua, da laica, su temi sui quali forte incombe una volontà di censura e di conseguente delegittimizzazione di ogni voce minimamente dubbiosa. 

LA TEORIA GENDER E LA «RIASSEGNAZIONE SESSUALE»

Signani ha iniziato la propria riflessione dalla critica del postgenderismo. Quest’ultimo – che nasce da “A Cyborg Manifesto” (1985), saggio della filosofa USA Donna Haraway – «ha come obiettivo la creazione di un individuo non sessuato, già ipotizzato da Aldous Huxley. Secondo questa teoria, la tecnologia applicata ai corpi è liberante, per me invece come per tante altre femministe, è oppressiva». Di conseguenza, secondo il postgenderismo, «a nessun individuo si può assegnare un genere: il genere è solo una scelta personale». 

BRUCE, BRENDA, DAVID: IL TRAGICO CASO REIMER

Signani cita dunque il caso del piccolo Bruce Reimer che nel ’66, in Canada, a nemmeno un anno di vita, perse il pene in seguito a un intervento di circoncisione. I genitori, disperati, dopo una serie di consulti medici, si affidarono a John Money, un medico che avevano sentito parlare alla tv dei miracoli della «riassegnazione sessuale» al Johns Hopkins Hospital di Baltimora. Money convinse i genitori del piccolo Bruce a farlo castrare e a provare, nei suoi primi anni di vita, a vestirlo come una femminuccia, a non tagliarli i capelli. Insomma, a farlo sentire una lei e non un lui. Ma la piccola Brenda (questo il nome assegnatogli) era un maschio e da maschio si comportava. Da adolescente, quindi, Bruce/Brenda decise di tornare al suo sesso biologico e di prendere il nome David (pensando al re di Israele). Dopo si sposò anche con una donna, ma il trauma fu sempre troppo forte: nel 2004 si suicidò, due anni dopo lo stesso gesto estremo compiuto dal fratello gemello. «È possibile modificare l’anatomia sessuale – riflette Signani -, ma in questo modo la medicina viene meno alla propria vocazione, che è la cura della persona».

TRIPTORELINA PER BAMBINI

Sui casi di minori che vogliono cambiare sesso (minori gender variant), una svolta decisiva in Italia è stata l’approvazione nel 2019 da parte dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) dell’utilizzo off label della triptorelina. Questa molecola può, quindi, essere somministrata, sotto stretto controllo medico, ad adolescenti affetti da disforia di genere (persone che non si sentono nel proprio corpo, per la conformazione sessuale che hanno), allo scopo di procurare loro un blocco temporaneo (fino a un massimo di qualche anno) dello sviluppo puberale, con l’ipotesi che ciò “alleggerisca” in qualche modo il «percorso di definizione della loro identità di genere». 

Ma la disforia di genere per Signani, che porta a sostegno delle sue affermazioni, considerazioni di importanti psichiatri, «spesso è accompagnata da patologie psicologiche o psichiatriche» e l’uso off label (per scopi diversi da quelli per i quali è stato sperimentato) della triptorelina «può portare anche all’infertilità». Insomma, «dietro c’è un discorso di mero profitto».

Sarantis Thanopulos è il Presidente della Società Psicoanalitica Italiana. Un anno fa ha inviato un’allarmata lettera al Ministro della Sanità Orazio Schillaci: «La diagnosi di “disforia di genere” in età prepuberale è basata sulle affermazioni dei soggetti interessati e non può essere oggetto di un’attenta valutazione finché lo sviluppo dell’identità sessuale è ancora in corso», scrive in un passaggio, parlando a nome della Società che presiede. «Sospendere o prevenire lo sviluppo psicosessuale di un soggetto, in attesa della maturazione di una sua definizione identitaria stabile, è in contraddizione con il fatto che questo sviluppo è un fattore centrale del processo della definizione», continua. Lettera, che dice Signani, «ho sostenuto, scrivendo direttamente a Thanopulos». E proprio la settimana scorsa, ispettori del Ministero della Salute sono stati inviati da Roma all’Ospedale Careggi di Firenze per avviare un confronto in merito ai percorsi relativi al trattamento dei bambini con disforia di genere e all’uso del farmaco triptorelina. 

Ma la scelta di cambiare sesso quanto dura nel tempo? Il metodo di ricerca in questi casi è difficile da individuare e Signani cita quanto viene riportato nel 2016 facendo riferimento alle poche ricerche esistenti che forniscono dati complessivi, molto variabili e che dicono che appena il 6-23% dei maschi e il 12-27% delle femmine persiste nella scelta di cambiare sesso. In Italia, però, per Signani, «c’è ancora un silenzio ostinato sui bloccanti della pubertà: non si possono conoscere quanti minori ora sono sotto trattamento, in quali centri e ospedali, con quali risultati…». 

RIPENSAMENTI

Nei Paesi europei pionieri di queste pratiche, qualcosa però sta cambiando. È il caso della Tavistock, clinica pubblica inglese: lo psichiatra David Bell, che ne è stato dirigente, afferma che la disforia di genere viene confusa dal punto di vista diagnostico con l’effettiva omosessualità (maschile o femminile); in un documento ufficiale pubblicato lo scorso giugno, il Servizio Sanitario Nazionale britannico ha dichiarato che i bloccanti della pubertà non dovranno più essere prescritti «al di fuori di un contesto di ricerca» a bambine/i e adolescenti che presentano «incongruenza o disforia di genere». La svolta è confermata dalle linee guida per due nuove “cliniche di genere” private che sostituiranno la Tavistock. Ripensamenti di questo tipo sono sempre più frequenti: la finlandese Riittakerttu Kaltiala è una pioniera delle cure ormonali per i bambini transgender, ma oggi è in prima linea contro i bloccanti della pubertà: in un’intervista dello scorso ottobre a “The Free Press” ha raccontato di come i giovani pazienti della sua clinica soffrivano in effetti di depressione, ansia, disturbi alimentari, autolesionismo, episodi psicotici. Non di disforia di genere. 

MATERNITÀ, UTERO IN AFFITTO, ECTOGENESI

«Non è corretto parlare di cambio di sesso tanto che queste persone per tutta la vita assumono ormoni, proprio perché restano del sesso che hanno alla nascita. Le cellule non cambiano geneticamente se uno prende ormoni». Così Assuntina Morresi, membro del Comitato Nazionale di Bioetica all’Agenzia Dire, sul recente caso di cronaca che ha visto “Marco”, “donna che si percepisce uomo”, rimanere incinta (oggi è al quarto mese di gravidanza) durante il proprio percorso di transizione per “cambiare sesso”.

Da qui, Signani prende le mosse per riflettere sul radicale stravolgimento della maternità, uno dei segni più evidenti della rivoluzione antropologica in atto, e su quelle aberrazioni che arrivano a ribaltare la realtà parlando di “uomini gravidi” (seahorse dad), dissociando la figura materna dal proprio figlio o spezzettandola. Il microchimerismo (scambio di cellule tra feto e madre), spiega Signani, dovrebbe perlomeno far riflettere sulle conseguenze della rottura a tavolino della relazione primaria tra madre e figlio. Ma il business, purtroppo, anche in questo caso sembra essere più forte della realtà e del senso di umanità.

IL DOMINIO DEL MERCATO

Per Signani, alcune considerazioni sono dovute: «le tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita – spiega – sono sostanzialmente eugenetiche, in quanto, attraverso la scelta dei gameti da far incontrare (quelli sani, o con determinate caratteristiche), l’obiettivo non può che essere quello di migliorare la “razza” umana». Per non parlare dell’utero in affitto (v. anche “Voce” del 31 marzo 2023), ipocritamente detta GPA – Gestazione Per Altri, che nulla di gratuito e solidale ha: Marie-Jo Bonnet, femminista di sinistra francese, così ne parlava su “Le Figaro” già nel 2014: l’utero in affitto estende «il dominio del mercato in modo quasi illimitato (…). Tutto si può comprare, tutto si vende, compreso il potere riproduttivo delle donne. Ciò che era un atto libero diventa un atto commerciale. È il ritorno della lotta di classe nel campo della procreazione».

NON CI SARANNO PIÙ MADRI

Questa negazione della madre  è sempre più incentivata anche dallo sviluppo delle tecniche legate all’ectogenesi, vale a dire la crescita del feto al di fuori dell’utero naturale, attraverso l’utilizzo di “uteri artificiali”. La filosofa e bioeticista inglese Anna Smajdor scriveva al riguardo: «Così come un tempo si riteneva assurdo che le donne votassero o andassero a cavallo, allo stesso modo potrebbe un giorno apparirci assurdo che fossero incatenate ai processi degradanti e pericolosi della gravidanza e del parto semplicemente a causa della nostra incapacità di immaginare un’alternativa». Uno scenario apocalittico. 

«Gli uteri delle donne – commenta Signani – non saranno più necessari per far nascere i bambini». Le conseguenze – volute – di tutto ciò, e già in atto, sono «la cancellazione della funzione procreativa della donna, l’espropriare la donna della procreazione e la cancellazione (anche mediatica) della figura della madre».

L’UE, purtroppo, su questo tema non manda buoni segnali: lo scorso settembre iI Parlamento europeo ha approvato in prima istanza una proposta di regolamento che equipara gli embrioni umani a cellule e tessuti, definendoli «sostanze di origine umana», aprendo così le porte all’eugenetica e «al libero mercato di embrioni e feti», dice Signani. 

Cos’altro deve accadere per una rivolta delle coscienze, tanto nel mondo cattolico quanto in quello laico, e al di là delle singole appartenenze politiche?

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«Il nostro corpo carnale ci è proprio, ma non ci appartiene come un bene, ossia come una proprietà alienabile, che possiamo dare o vendere come una bicicletta o una casa. La confusione fatale tra i due termini è deliberatamente coltivata dall’ideologia ultraliberale che vuole persuaderci del fatto che, poiché il nostro corpo “ci appartiene”, noi siamo liberi di alienarlo. Un ammirevole paradosso».

Sylviane Agacinski, in “L’uomo disincarnato. Dal corpo carnale al corpo fabbricato” (Neri Pozza editore, 2019)

Pubblicato sulla “Voce” del 2 febbraio 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio