PRIMA PARTE. “È il momento della speranza”: intervista ad Anna Marra e Marcello Delfino della Farmacia Ospedaliera di Cona

di Andrea Musacci
Alle ore 14 di domenica 27 dicembre anche in Emilia-Romagna sono iniziate le prime vaccinazioni anti-Covid 19. Nella nostra Regione sono state 975 le donne e gli uomini – fra medici, infermieri e OSS -, a ricevere il vaccino Pfizer. La prima fase della campagna – iniziata il 31 dicembre (con 91 vaccinazioni tra Cona e Delta) e che dovrebbe concludersi a fine marzo – in Emilia-Romagna riguarda circa 180mila professionisti, oltre ai degenti nelle Case Residenze per Anziani. Nella provincia di Ferrara le vaccinazioni sono iniziate all’Ospedale di Cona. La prima vaccinata è stata Noemi Melloni, centese di 27 anni, assunta lo scorso luglio dall’AUSL come medico delle Unità Speciali di Continuità Assistenziali (USCA).
Abbiamo colto l’occasione per intervistare la dott.ssa Anna Marra, da poco Direttrice dell’Unità Operativa di Farmacia Ospedaliera dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara.
A un mese esatto dall’inizio del nuovo incarico, un giorno “storico”. Come vive questo periodo di grande responsabilità?
«Il momento è sicuramente storico e avverto una grande responsabilità nell’aver assunto questo incarico proprio in questo periodo. I miei collaboratori ed io ci stiamo impegnando al massimo per far fronte agli impegni di questa nuova sfida. Certamente l’arrivo del vaccino ci dà la speranza di poter uscire dal dramma che stiamo vivendo».
Ci può raccontare quando avete avuto la notizia che Cona sarebbe stata il luogo dei primi vaccini antiCovid-19?
«Il 17 novembre da parte della Struttura Commissariale del dott. Arcuri ci è stato richiesta la disponibilità nell’Ospedale di Cona di congelatori ULT (Ultra Low Temperature), in cui eventualmente poter conservare il vaccino Pfizer che necessitava di particolari temperature di stoccaggio (-80°C). Abbiamo subito risposto e fornito la nostra disponibilità alla conservazione dei vaccini. Da allora siamo stati individuati come centro Hub della Provincia di Ferrara».
Com’è stato organizzato l’arrivo e la distribuzione del vaccino?
«Il vaccino necessario per il 27 dicembre, il cosiddetto v-day, è arrivato dal Belgio, sito di produzione, all’Ospedale Spallanzani di Roma il 26 dicembre. Da qui l’Esercito ha distribuito le dosi già scongelate in tutte le Regioni Italiane. Per l’Emilia Romagna centro di ricevimento e smistamento delle dosi regionali era l’Ospedale Bellaria di Bologna. Il 27 mattina noi dell’Ospedale S. Anna di Cona siamo andati a ritirare con appositi contenitori frigo le dosi destinate alla Provincia di Ferrara. Tali dosi sono state conservate in frigorifero fino all’inizio della seduta vaccinale che era stata stabilita per tutta la regione alle ore 14».
Quali le difficoltà incontrate nella gestione di questo tipo di vaccino?
«Le principali difficoltà sono legate alle particolari temperature a cui deve essere conservato in congelatori ULT. Il vaccino deve essere scongelato per preparazione prima della somministrazione. Lo scongelamento può avvenire sia in frigorifero (2-8°C) sia a temperatura ambiente. Se viene scongelato in frigorifero, è stabile per un periodo di 5 gg; se viene scongelato a temperatura ambiente, deve essere preparato entro due ore. La fase di preparazione prevede un’iniziale diluizione e poi la ripartizione in sirighe. Da ogni flaconcino di vaccino si ricavano sei dosi da somministrare».
Nei prossimi mesi che consigli possiamo dare alle persone per evitare che, prese dall’ottimismo per l’arrivo del vaccino, vengano meno le regole elementari di prudenza?
«La campagna vaccinale appena cominciata è al momento rivolta agli operatori sanitari e alle RSA. L’immunità di gregge che proteggerà tutta la popolazione sarà raggiunta non prima dell’autunno 2021, quando, si spera, sarà stato vaccinato il 70-80% della popolazione generale. Fino a quel momento sarà necessario continuare ad adottare le regole elementari di prudenza e di protezione individuale che abbiamo imparato in questi mesi, per proteggere chi non si è ancora vaccinato».
Un altro protagonista del v-day a Cona e delle prime vaccinazioni è il dott. Marcello Delfino, Farmacista all’Ospedale di Cona.
Che giornata è stata quella del 27 a livello umano e professionale?
«Densa di emozioni. Una giornata storica, carica di speranza in cui la dimensione umana e professionale sono coincise nell’impegno dedicato alla lotta al covid. Le ore precedenti all’arrivo dei vaccini sono state impiegate a chiarire insieme ad alcune colleghe della Farmacia gli ultimi aspetti organizzativi circa le fasi di conservazione e trasporto ai punti di somministrazione del vaccino. Eravamo tutti visibilmente emozionati e consapevoli di rappresentare l’avanguardia di una vera e propria riscossa della vita contro la minaccia di un nemico invisibile e letale. L’esempio dato dai primi vaccinati infonde in tutti noi una carica di fiducia e di coraggio di cui si sentiva il bisogno».
Come ha vissuto questi ultimi dieci mesi a Cona?
«Sono stati mesi lunghi, con una fortissima pressione lavorativa e psicologica, in particolare il periodo marzo-maggio. Ci sono state giornate in cui la stanchezza fisica e la rassegnazione sembravano prendere il sopravvento. Non potrò mai dimenticare la carica emotiva che provavo, e che ancora avverto, quando tutti i giorni lungo la strada per andare in Ospedale leggo i messaggi dei cartelli che ci ringraziano e ci incoraggiano a non mollare. Noi operatori della Farmacia Ospedaliera siamo stati impegnati in numerose attività in ambito strategico.organizzativo, galenico e nella logistica e approvvigionamento di farmaci, disinfettanti e dispositivi per la sicurezza dei pazienti e operatori sanitari. Questi sono giorni in cui convivono sentimenti contrastanti, angosce e speranze. Angoscia per le troppe persone colpite da questo maledetto virus e per la paura di non farcela. Ma è anche il momento della speranza. Speranza di rivedere la luce grazie al vaccino. Adesso si intravede la via d’uscita da questo lungo tunnel e da notti insonni. È il tempo di ricostruire e per farlo ognuno di noi deve fare la sua parte con serietà».
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SECONDA PARTE. Il racconto a “La Voce” di Francesco ed Elisabetta Pasini, volontari per la sperimentazione del vaccino italiano anti-Covid 19: “diamo il nostro contributo nella lotta al virus”

Francesco Pasini, 67enne originario di Portomaggiore, da tanti anni vive con la propria famiglia vicino Verona, per la precisione a Castel d’Azzano. Perito chimico e laureato in Tecniche di laboratorio biomedico, da quattro anni è in pensione, dopo aver lavorato dal 1973 al Policnico di Verona come Tecnico in un laboratorio di biochimica.
Lui ed Elisabetta, una dei suoi 5 figli, sono due delle 90 persone che hanno scelto di proporsi come volontarie per la sperimentazione di quello che aspira a essere il primo vaccino anti-Covid-19 tutto italiano, il GRAd-COV2 COVID-19. Il vaccino è frutto della ricerca dell’azienda biotech ReiThera di Castel Romano in collaborazione con l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “L. Spallanzani” di Roma, e ha ricevuto finanziamenti dal Ministero dell’Università e dalla Regione Lazio. In passato Reithera ha sviluppato con successo vaccini genetici contro le principali malattie infettive, tra cui epatite C, malaria, HIV ed Ebola.
La sperimentazione clinica di Fase 1 in corso sta valutando la sicurezza e l’immunogenicità di GRAd-COV2 su 90 volontari sani, divisi equamente in due gruppi con fasce di età, 18-55 anni l’uno e 65-85 anni l’altro. I partecipanti sono monitorati per un periodo di 24 settimane. Il primo ha ricevuto il vaccino il 24 agosto allo Spallanzani. L’obiettivo primario dello studio è valutare la sicurezza e la tollerabilità di GRAd-COV2 e selezionare una dose di vaccino per le successive fasi 2 e 3 di sperimentazione clinica. Il secondo obiettivo è valutare la capacità del vaccino di indurre nei volontari risposte immunitarie (sia anticorpi sia linfocitiT), contro il nuovo coronavirus. A breve partirà anche la sperimentazione di un altro vaccino anti-Covid 100% italiano, quello prodotto dall’azienda Takis.
«È stata mia figlia Elisabetta a informarmi che c’era allo studio questo vaccino anti-Covid, e che cercavano volontari anche della mia età», racconta a “La Voce” Francesco Pasini. «Il 2 novembre, dopo un giorno di digiuno, ho assunto il vaccino, ma solo dopo aver fatto una visita di controllo. A ogni volontario il giorno dell’inoculo – il cosiddetto “giorno zero” – consegnano un kit con un termometro per misurare quotidianamente la febbre e segnalarla nel report insieme a eventuali sintomi (mal di testa, nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, dolori muscolari, stanchezza, brividi)». Diversi i controlli nell’arco di sei mesi, più frequenti all’inizio e via via sempre più radi. «Io e alcuni dei miei figli – prosegue Pasini – avevamo già partecipato come volontari a studi clinici». Un’esperienza, dunque, la sua, pienamente consapevole, di chi conosce bene il mondo della ricerca scientifica e la scrupolosità necessaria per le sperimentazioni. «Molta gente purtroppo fantastica» riguardo a fantomatici effetti negativi dei vaccini sulle persone. «Nella Fase 3 di sperimentazione verrà usato addirittura il metodo del “doppio cieco”: a metà dei volontari verrà somministrato il vaccino, a un’altra metà un placebo, ma nessuno – né i volontari né i somministratori – sapranno quali sono vaccini e quali placebo». Inoltre, prima di arrivare all’inoculazione, diversi test sono stati eseguiti su animali. «Non ho ricevuto critiche», conclude Pasini. «Il Sindaco del mio paese ha elogiato pubblicamente noi volontari».
Elisabetta Pasini, 39 anni, sposata da 10 anni, vive invece nella vicina Povigliano Veronese col marito e i tre figli. Laureata in Economia e Commercio e impiegata in banca, ha ricevuto il vaccino lo scorso 23 settembre. «Il 10 marzo – ci spiega – avrò l’ultima delle sette visite calendarizzate. In questi mesi sono stata bene, non ho avuto nessun sintomo». E non ha mai avuto nemmeno paura, «talmente sono convinta che sia la cosa più giusta da fare». A differenza del padre, forse anche perché donna, di critiche ne ha ricevute, anche pesanti. «Qualcuno mi ha detto che lo facevo solo per soldi, o altri mi hanno definita “irresponsabile” in quanto madre di famiglia. Ma io, proprio perché madre, non voglio vedere nessuno, compresi i miei figli, con la mascherina per un altro anno, e per questo sto cercando di dare il mio contributo. Se riuscissi a convincere anche una sola persona scettica a farsi vaccinare, vorrebbe dire che ne è valsa la pena».
Andrea Musacci
Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” dell’8 gennaio 2021