Archivio | giugno, 2023

Straferrara, negli anni ’50 “emigrò” in Argentina

30 Giu

Nel dopoguerra la storica Compagnia dialettale ferrarese fu portata anche a Buenos Aires grazie alla  passione di alcuni emigrati: Nino Beccati, Icaro Rossi e Gianni Casadio. Il racconto di un’intuizione poco nota

di Andrea Musacci

Un amore così grande per la propria città e la sua lingua, da non poter fare a meno di portarle ovunque con sé. È ciò che hanno vissuto tanti emigranti nel corso dei decenni. Alcuni di loro, però, nel secondo dopoguerra, decisero di portare la propria città e le sue tradizioni non solo nel cuore ma anche di farle rivivere pubblicamente.

È il caso della “Straferrara” che a Buenos Aires in Argentina negli anni ’50 e ’60 ha rappresentato diversi spettacoli della storica Compagnia dialettale ferrarese nata negli 1931 grazie a Ultimo Spadoni insieme a Mario Bellini, Piero Bellini, Renato Benini, Leonina Guidi Lazzari, Arnaldo Legnani, Umberto Makain, Norma Masieri, Erge Viadana.

LA STRAFERRARA “MADRE”

La prima recita avvenne il 3 settembre 1931 al Teatro dei Cacciatori di Pontelagoscuro con la commedia “Padar, fiol e…Stefanin” e la farsa “L’unich rimedi”, scritte entrambe da Alfredo Pitteri. Allora, infatti, si usava concludere la serata, dopo la commedia, con una farsa.

Da allora la Straferrara lavorò quasi per un anno intero al Cinema-Teatro Diana di Ferrara. L’anno successivo iniziò una toumée in tutti i teatri della provincia e poi al teatro Nuovo e al teatro Verdi di Ferrara dove si esibì per molte recite. Grande successo ebbe Rossana “Cici” Spadoni, nata nel ’31, che a 5 anni era considerata una bambina prodigio ed era per questo denominata “la Shirley Temple italiana”.

Durante la seconda guerra mondiale, la Compagnia continuò la propria attività, pur sotto l’incubo delle incursioni aeree, recandosi con mezzi di fortuna anche nei pochi teatri di provincia disponibili, per portare un po’ di svago e conforto agli sfollati. Oggi sono oltre cinquecento i testi rappresentati dalla Straferrara e dalle altre compagnie del teatro dialettale.

UN PO’ DI FERRARA IN ARGENTINA

Nel secondo dopoguerra anche dal Ferrarese in molti scelgono di emigrare per cercare un riscatto dopo gli anni difficili del conflitto mondiale. Tra il 1946 e il 1950 si stima che circa 278mila italiani emigrano in Argentina (sono quasi 3 milioni dal 1871 al 1985, con picchi nel primo trentennio del Novecento). Nel secondo dopoguerra tra i ferraresi che emigrano nel Paese sudamericano c’è Nino Beccati, che a fine anni ’40 vi si trasferisce, sposandosi: dal suo matrimonio nascono Anna e Luciana (ancora residenti a Buenos Aires). Nino lavorerà come lucidatore di mobili, professione che già svolgeva a Ferrara, e che a Buenos Aires gli permetterà di aprire un’azienda di grande successo, la “B.K.T.” (sigla che richiama il suo cognome). Ci sono, poi, Icaro Rossi, che conosce Beccati proprio sulla nave che da Genova li porta a Buenos Aires (viaggio che, ad esempio, circa 20 anni prima aveva compiuto la famiglia Bergoglio); Gianni Casadio, classe ’27, nato in corso Isonzo a Ferrara, arrivato a Buenos Aires nel ’50 (l’anno successivo lo raggiunsero la moglie Lara Droghetti e il loro figlio Andrea di 10 mesi; quattro anni dopo nascerà il secondogenito Carlo Alberto); e Mario Maregatti

Questi decidono di ricreare nella capitale argentina una piccola Ferrara, con la nascita, appunto, della “Straferrara”, con Rossi capocomico, e della SPAL. Di quest’ultima ne abbiamo parlato sulla “Voce” del 5 ottobre 2018. 

Nel 2008, un certo Maurizio originario di Portomaggiore, invia una lettera al Carlino di Ferrara: «Cari amici, abito in Argentina da ben 57 anni. Sono venuto coi miei genitori quando ne avevo 6. A quell’epoca i Ferraresi di Buenos Aires erano parecchi. Tanti che in un certo momento si poteva radunare non meno di 50 concittadini in maggioranza Portuensi (di Portomaggiore). Per iniziativa di uno di loro, Icaro Rossi, si formò una compagnia dilettante di teatro parlato in dialetto Ferrarese. Alcune volte all’anno vi si riuniva per assistere alla commedia e dopo si ballava fino a tarda ora. Oggi nel gruppo originale rimaniamo soltanto una decina». 

Quasi un decennio dopo, il 3 agosto 2017, Maurizio Musacchi nella sua rubrica su estense.com scrive riguardo a Gianni Casadio: «Lo conobbi durante un viaggio a Buenos Aires invitato dalla Comunità Ferrarese locale. Portai loro un po’ di Ferrara: Pampapati, ciupéti, farina castagna da “far i tamplù”, una sciarpa della SPAL e pubblicazioni dialettali. Gianni era dinamicissimo e legato fortemente alla sua Città, con amici emigranti, fondò una locale SPAL e una compagnia dialettale chiamandola Straferrara». 

La Straferrara rappresenta a Buenos Aires alcuni storici spettacoli della Compagnia nata nella città estense. Fra questi, “A.S.M.A. (Agenzia Segreta Matrimoni e Affini)”, commedia in tre atti di Augusto Celati e Arturo Forti, nella quale Nino Beccati recita nel ruolo di Franco De Menti; e “Alla bersagliera”, alla quale è legato un aneddoto della guerra. Il 23 aprile 1945, infatti, la Straferrara fu sorpresa dalla prima granata caduta sulla città al Teatro Diana (in via San Romano/piazza Travaglio) dove stava rappresentando il primo atto dello spettacolo.

Una storia, dunque, quella della Straferrara argentina,  che racconta del legame indissolubile dei tanti ferraresi con le proprie radici, della volontà di non dimenticare la propria città, facendola rivivere anche grazie alla commedia dialettale.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 30 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto Collezione Claudio Gualandi – Anno 1954)

Persona, dono e comunità: l’Avis massese in un libro

28 Giu

“Un viaggio tra i Valori della Vita”: il volume di Alberto Fogli

Si intitola “Un viaggio tra i Valori della Vita. Storie di umanità e solidarietà” (Ed. La Carmelina, 2023) il libro da poco uscito scritto da Alfredo Alberto Fogli. Il volume racconta la storia ultra cinquantennale dell’Avis di Massa Fiscaglia, di cui Fogli è stato presidente dal 1991 al 2021.

Fin dalla sua costituzione nel 1967, l’Avis massese, scrive Fogli, ha organizzato «iniziative mirate a testimoniare concretamente la possibilità di sviluppare una nuova cultura della solidarietà tra la nostra gente nonché di diventare “lievito” di un rinnovato impegno culturale, sociale e umano da proporre alle future generazioni». Perché l’obiettivo di un’associazione come l’Avis è di costruire una società «migliore e più umana e più solidale per le generazioni che verranno».

Per fare questo, fin dalla sua nascita ha svolto «un’incessante opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica locale e della popolazione scolastica sull’importanza sanitaria, morale e civica della donazione di sangue ma più in generale di un’educazione al dono e alla gratuità come valori sociali di una autentica civiltà solidale».

Civiltà solidale che, riflette Fogli nel libro, non può non avere le proprie radici e il proprio orizzonte in un sistema democratico che garantisce le libertà, incluse quelle di associazione e partecipazione alla vita pubblica. Senza dimenticare che «ciò che conta nella nostra quotidianità è un rapporto d’amore».

Ma per l’Avis massese la cultura del dono si accompagna e si è sempre accompagnata ad altre attività collaterali ma non meno importanti per la missione di fondo: iniziative per l’integrazione e l’inclusione sociale e culturale, screening sanitari per la popolazione locale, corsi di primo soccorso e di protezione civile, missioni umanitarie all’estero. E poi ci sono le collaborazioni – oltre che con le Istituzioni, con associazioni come Aido o Fondazioni come Telethon (dal ’94) -, i numeri che dicono della crescita dai primi 37 donatori del 1967 al picco nel ’96 (229 donatori) e il successivo calo fino ai 117 del 2022 – e alcune tappe significative: il 1975, con la prima sede nel Palazzo Comunale e il primo punto fisso di prelievo sangue. E il 2014, con la «rifondazione avisina massese» e il nuovo punto di raccolta sangue per l’intero Comune di Fiscaglia.

Tappe di un cammino che prosegue, e che ha la persona e il suo servizio al centro, il dono come bussola imperitura, la comunità come luogo concreto dove far vivere la carità quotidiana.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 30 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Chiesa S. Paolo, cantiere chiuso entro il 2023. La facciata ora è libera

24 Giu

Il cantiere del grande edificio tra p.zzetta Schiatti e corso Porta Reno si concluderà a fine anno. La facciata è stata già liberata. Le foto inedite dell’interno e tutti i lavori in corso

A cura di Andrea Musacci

A fine 2023 si concluderà l’importante cantiere nella chiesa di San Paolo di Ferrara, avviato a inizio 2022. La notizia, che vi avevamo già anticipato alcuni mesi fa, è stata confermata la settimana scorsa dal Comune di Ferrara (Stazione appaltante) e dalla nostra Arcidiocesi. 

All’interno dell’edificio tra piazzetta Alberto Schiatti e Corso Porta Reno (fino alla Torre dei Leuti) fervono dunque i lavori di consolidamento e restauro dell’apparato decorativo. Attualmente le impalcature stanno occupando parte della navata centrale e delle cappelle della navata di destra. È stato inoltre montato il ponteggio interno per accedere a cupola e lanterna, oggetto dei prossimi lavori di restauro.

Già restaurata la prima cappella della navata sinistra, la parte superiore della controfacciata, l’affresco raffigurante il ratto di Elia – ad opera di Scarsellino – nel catino absidale e la cappella del Carmine, costruita negli anni ‘60 del XVII secolo da Luca Danesi: nella volta, si può ammirare la Gloria della Vergine di Giacomo Parolini, giudicato il primo, sia pure tardivo, esempio di affresco barocco a Ferrara.

In generale, sono stati eseguiti restauri, consolidamenti, puliture, ritocchi, finiture, verifiche strutturali, inserimento di travi di rafforzamento e pilastrini in acciaio. Si è operato anche nel sottotetto, col posizionamento di elementi di rinforzo, sempre in acciaio, e si è proceduto alla sostituzione e integrazione di travi lignee, al consolidamento delle volte e all’inserimento di tiranti.

La settimana scorsa è stata liberata la facciata della chiesa, con la rimozione delle impalcature che hanno coperto, per lavori, il fronte dello storico edificio. Ricordiamo che il terremoto del 2012 aveva portato al crollo di due pinnacoli in pietra oltre a sofferenze localizzate su architravi e timpani in corrispondenza degli ingressi, e all’aggravamento della situazione statica con lesioni diffuse, sia sulle volte che sugli apparecchi murari. 

È inoltre previsto l’ammodernamento e l’adeguamento degli impianti: in particolare sarà realizzato uno speciale impianto di riscaldamento, per irraggiamento dall’alto, con sistema a scomparsa: si accenderà durante le funzioni religiose e sarà celato nel cornicione che sovrasta le colonne. Inoltre, verrà realizzata un’adeguata illuminazione di fondo su tutta la facciata principale dell’edificio dal lato opposto della piazza, e sul lato Porta Reno, verrà realizzato un nuovo impianto di illuminazione anche internamente alla chiesa, e saranno eliminate le barriere architettoniche e la riorganizzazione dello spazio verde adiacente.

I fondi e il complesso. Video dalla Diocesi

La chiesa della conversione di San Paolo è chiusa dal 2006 e la sua stabilità venne aggravata dal sisma del 2012. L’edificio è al centro di un doppio stanziamento (per complessivi 3,8 milioni di euro): una quota – di circa 3milioni di euro – della linea di finanziamento ministeriale del Ducato Estense e 806mila euro circa della Regione Emilia-Romagna (fondi post sisma), soprattutto per la parte strutturale. In base a una specifica convenzione, il Comune di Ferrara è stazione appaltante e gestisce anche la parte economica (i finanziamenti transitano per le casse comunali). Responsabile del procedimento è la dirigente del servizio Beni Monumentali Natascia Frasson. Il progetto dei lavori necessari per la chiesa di San Paolo è stato redatto dalla BCD Progetti, società di professionisti di Roma, capitanati dall’ing. Giuseppe Carluccio. 

I chiostri e degli ambienti dell’ex Monastero di S. Paolo hanno visto a fine 2019 la conclusione dei lavori sul primo chiostro, mentre un anno dopo si sono conclusi quelli sul secondo chiostro (il minore dei due) e sull’ex Refettorio. 

In questi stessi giorni, l’UCS – Ufficio Comunicazioni Sociali diocesano (lo stesso gruppo che ha realizzato il video visibile nell’atrio del Duomo) sta realizzando un documentario che presenterà le fasi di recupero del tempio e la sua importanza storico-artistica. Un importante lavoro per rivalorizzare la chiesa scoprendo la sua storia e le sue bellezze. 

Andrea Musacci

Il servizio completo è pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 23 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Esseri umani verranno creati in laboratorio?

20 Giu

SCIENZA SENZA LIMITI. L’annuncio della ricercatrice Magdalena Ernicka-Goetz:«abbiamo prodotto embrioni umani sintetici a partire da cellule staminali embrionali», senza ricorrere a ovociti e spermatozoi. Cos’altro dobbiamo aspettarci?

La notizia fa tremare i polsi. O dovrebbe farli tremare a chiunque ancora provi ad avere consapevolezza del fatto che una tecnica e una scienza senza limiti etici di alcun tipo possano condurre l’umanità a scenari impensabili, o immaginabili solamente in film o romanzi di fantascienza.

La notizia è questa: la settimana scorsa Magdalena Ernicka-Goetz (Università di Cambridge e del California Institute of Technology) al meeting annuale della Società internazionale per la ricerca sulle cellule staminali a Boston ha annunciato che sarebbero stati realizzati embrioni umani sintetici a partire da cellule staminali embrionali, senza ricorrere a ovociti e spermatozoi, dunque senza alcun concepimento. Dopo anni di ricerche sugli embrioni di topo, la ricercatrice ha voluto realizzare un modello il più possibile simile all’embrione umano nelle prime fasi dello sviluppo per studiare le malattie genetiche e le cause biologiche degli aborti spontanei. I simil-embrioni umani sviluppati non hanno un cuore pulsante né un cervello e non sarebbero destinati a essere fatti evolvere durante una gravidanza per far nascere un “bambino sintetico”. 

Ma la preoccupazione per possibili, incontrollabili, sviluppi rimane: Francesco Ognibene su  “Avvenire” del 15 giugno scrive: «Si tratta dunque di un esperimento che genera un’entità definita dai media come embrione sintetico perché non esiste un nome che le si possa dare. E se è un qualcosa di nuovo che non si può definire umano, allora è brevettabile, come ogni nuova creazione dell’ingegno: stiamo dunque producendo l’homunculus, un essere umano artificiale che integralmente umano non è? E se non è umano, qual è la sua natura?». Prosegue Ognibene: «chi garantisce che a nessuno, oggi e in futuro, venga in mente di “provare a vedere” cosa succede andando oltre la soglia di sviluppo raggiunta (due settimane)»? E infine, «se lo pseudo-embrione non è identico all’embrione umano del quale si vorrebbero capire meccanismi e patologie sinora indecifrabili, come si potranno ritenere attendibili i risultati di eventuali ricerche?».

Su “La Verità” del 16 giugno, invece, Patrizia Floder Reitter ragiona: «se qualche legislatore permetterà che un embrione sintetico venga impiantato nell’utero di una donna, che risultati potremmo avere? Oè un essere umano artificiale, quello che si sta cercando di produrre, e allora lo scenario appare spaventoso. O si vuole mettere insieme un simil umano e la prospettiva è ancora peggiore perché non ne comprendiamo l’utilità scientifica, solo l’orrore».

Come riporta Agensir, David Jones, direttore dell’Anscombe Bioethics Centre (centro di ricerca cattolico sulla bioetica, sponsorizzato dalla Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles) riflette: «Dal momento che non sappiamo se queste nuove strutture siano embrioni oppure no, e dal momento che gli scienziati provano da tempo a produrre embrioni con cellule staminali, queste nuove entità dovrebbero essere trattate come embrioni dal punto di vista morale e legislativo».

Antonio Gioacchino Spagnolo, docente di Medicina legale e coordinatore dell’Unità di Bioetica e Medical Humanities all’Università Cattolica del Sacro Cuore, sempre su Agensir dichiara: il fatto che si tratti di «organismi destinati esclusivamente alla ricerca e quindi programmati per non svilupparsi, privati pertanto delle proteine finalizzate allo sviluppo di un individuo, potrebbe non avere in sé una rilevanza eticamente negativa, ma rimane il problema alla fonte: il prelievo di cellule staminali embrionali per la creazione di questi organismi destinati alla sperimentazione ha provocato la distruzione di altri embrioni, e questo non è mai lecito».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 23 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Dentro la natura, oltre la realtà: Lucia Boni a Porto Viro con “Custode di dune”

12 Giu

La visionarietà come «capacità di vedere dentro le cose tangibili», mettendosi in ascolto della realtà, della natura. 

È, questa, una delle riflessioni che Lucia Boni, scrittrice e poetessa ferrarese, fa emergere dal suo libro “Custode di dune” (Campanotto editore, 2018), un dialogo in prosa a due voci.

Libro presentato la sera del 9 giugno scorso nel suggestivo Parco “Le Dune” di Porto Viro (RO). Un posto scelto non a caso: le dune fossili di Porto Viro, infatti, costituiscono qualcosa di unico nello studio dell’evoluzione della linea di costa, in quanto vi si trovano quattro cordoni litoranei fossili che testimoniano altrettante posizioni della spiaggia, spostatasi verso est in circa 2mila anni. Un luogo fatto, quindi, di memoria sedimentata, di cura necessaria, di mistero. «La realtà allude sempre ad altro», ha riflettuto Boni, e in questo essenziale è «l’uso della parola, andando oltre il senso razionale» e lasciando spazio «all’aspetto meditativo che permette di guardare meglio dentro sé stessi». Così, la voce femminile nel libro, desiderosa di silenzio e oblio, incontra Esblanco, che rappresenta quella «natura nella quale potersi perdere», la sua memoria e il suo custode. Un invito a ognuno di noi, dunque, alla cura della natura, ma un invito lontano da ogni tentazione di ecologismo.Anche nella natura, quindi, per Boni, «c’è un sentimento, una sorta di “intelligenza”, e dunque un dialogo» fra i suoi elementi.

Durante la serata, l’autrice ha dialogato con Gianpaolo Gasparetto, il quale ha letto alcuni brani del libro assieme a Lara Mantovani. Gli interventi musicali sono stati di Marco Baruffaldi (nome d’arte, Asia) e hanno portato i saluti Alessia Tessarin (Assessora alla Cultura) e Dismo Milani (Presidente Parco “Le Dune”).

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 16 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

A Comacchio 500 persone per la Festa del Corpo e Sangue di Cristo

12 Giu

La Diocesi unita in processione: Il racconto di una serata indimenticabile. Una marea di persone, i momenti salienti, le preghiere delle comunità, i volti  della Chiesa

di Andrea Musacci

Pane di vita, pane frutto della terra, pane che illumina il mondo e lo redime. Corpo e Sangue che passa per le vie della città, fra i canali, portando speranza fra le angustie della gente, nelle sofferenze e nei rimpianti nascosti dietro gli usci delle case. 

Quelle case della città di Comacchio che la sera dell’8 giugno scorso ha accolto, dopo tanti anni, la Festa diocesana del Corpus Domini. Una luce nelle tenebre del mondo, nelle vie – segnate dai ceri degli oltre 500 presenti – di una città che fa della bellezza e dell’orgoglio della sua storia la sua cifra, nonostante le contraddizioni. Ma che ancora una volta ha dimostrato un profondo senso di comunità e una forte devozione.

SANTA MESSA NELLA CONCATTEDRALE

La serata è iniziata con il corteo dei sacerdoti (una 70ina, oltre a una 20ina fra diaconi e accoliti) dal teatrino parrocchiale fino alla Concattedrale dove mons. Gian Carlo Perego ha presieduto la Solenne Concelebrazione prima dell’inizio della processione. Un’organizzazione complessa per un evento preparato nei minimi dettagli sotto la supervisione di don Giuliano Scotton aiutato in particolare da due giovani parrocchiani, Giulia Stella e Fabio Bellotti, che hanno anche fatto le due letture della Messa.

Messa che vedeva nelle prime file, oltre alle autorità militari (e due carabinieri in alta uniforme in rappresentanza davanti all’altare), il Comandante della Capitaneria di porto di Porto Garibaldi, l’Assessora di Comacchio Rosanna Cinti, la Sindaca di Goro Maria Brugnoli, rappresentanti di varie associazioni, come la Consulta Popolare San Camillo, “Insieme per l’infanzia” (che gestisce la Materna del Duomo), Conferenza femminile S. Vincenzo de Paoli, Unitalsi Comacchio, Unitalsi Ferrara, Azione Cattolica, Orsoline del Duomo e le sorelle dell’Opus Mariae Reginae della Parrocchia del Rosario. Il servizio liturgico è stato curato da un gruppo di ministranti del Duomo e da Carlo Leone e Aronne Feletti, accoliti della parrocchia. La Celebrazione ha visto i canti del Coro San Cassiano della Concattedrale e di alcuni coristi di altre parrocchie.

I tanti sacerdoti presenti sono stati distribuiti soprattutto nelle due cappelle laterali all’altare (davanti agli altari della Madonna del Buon Consiglio e di San Giuseppe).

LA PROCESSIONE E LE PREGHIERE

Dopo la Messa, al via il lungo corteo col Santissimo portato dall’Arcivescovo sotto il baldacchino sostenuto dagli Scout Europa – gruppo Comacchio 1 di Aula Regia. La processione, scandita dalle musiche della Banda di Cona, ha visto le letture dei testi ripresi dal Congresso Eucaristico di Matera dello scorso settembre, letti dai delegati diocesani che hanno partecipato al Congresso stesso.

Durante il corteo, che ha visto la presenza di numerosi drappi rossi alle finestre, ci sono state tre “fermate”, nelle quali mons. Perego ha impartito la benedizione: al mare e alle valli di Comacchio (dal ponte di San Pietro venendo da via Spina), alla città di Comacchio (dai Trepponti), e davanti al Municipio, luogo simbolo della comunità.

Ricordiamo che il corteo ha attraversato le vie Zappata, Spina, Trepponti, p.tta Barboncini, via Agatopisto, della Pescheria, Muratori, piazza V. Folegatti, p.tta U. Bassi, piazza XX Settembre.

Per l’occasione, è stato chiesto a ogni gruppo, associazione e movimenti presente nella nostra Arcidiocesi di scrivere un’intenzione di preghiera da leggere durante la processione.

Le intenzioni di preghiera sono state redatte per l’occasione da alcune associazioni e movimenti della nostra Arcidiocesi: Associazione “Suor M. Veronica del SS. Sacramento”, MASCI, AGESCI, Comunione e Liberazione, CVX SS. Pietro e Paolo. Fra le preghiere, quella per i giovani («perché con coraggio prendano in mano la loro vita, mirino alle cose più belle e più profonde e conservino sempre un cuore libero»), per i movimenti («possano crescere nell’amore a Cristo, nella fedeltà alla Chiesa, nella testimonianza di fede»), i governanti, per la Chiesa «popolo in cammino».

LE PAROLE DEL VESCOVO

La festa dell’8 giugno ha rappresentato anche la conclusione del cammino del Biennio Eucaristico nella nostra Diocesi, iniziato il 28 marzo 2021 con l’apertura dell’anno giubilare a S. Maria in Vado in occasione del 850° anniversario del miracolo eucaristico del Sangue prodigioso. Lo ha ricordato lo stesso mons. Perego nella sua omelia, nella quale così ha riflettuto: «La nostra vita vede troppe relazioni già segnate dalla fretta, dall’improvvisazione, dall’occasionalità. L’adorazione eucaristica ci ricorda che a tavola, in Chiesa con il Signore e con i fratelli e le sorelle siamo a casa, in famiglia. Regaliamoci questi incontri di adorazione. È stato un dono che questo biennio sia stato attraversato dalla pandemia – ha proseguito -, in cui anche la lontananza dall’Eucaristia in alcune occasioni ci ha ridato il gusto del pane di vita, aiutandoci a sentire ancora più presente il Signore e a soffrire la sua assenza. Ora continuiamo il nostro cammino sulle strade del mondo, nelle nostre città e nei nostri paesi in compagnia del Signore, facendo nostro l’invito dei primi cristiani: “senza la Domenica non possiamo vivere”, “senza l’Eucaristia non possiamo vivere”, in attesa della Domenica senza tramonto, della vita eterna».

«L’Eucaristia è un dono, un dono da non sprecare», ha detto in un altro passaggio. «Troppe volte l’abitudine di accostarci all’Eucaristia non ci aiuta a coglierne l’importanza “per la vita del mondo”. Il mondo ha fame. Non manca solo il pane sulla tavola a tante persone, ma manca anche la consapevolezza del dono del pane di Vita.  L’Eucaristia è pane di vita».

«L’Eucaristia – sono state ancora sue parole – non è un dono esclusivo, ma per tutti, per tutti coloro che desiderano incontrarlo, ma anche per tutti coloro che restano lontani. Nella processione eucaristica ricordiamo questo desiderio del Signore di incontrare tutti. L’Eucaristia educa la Chiesa e noi cristiani ad essere veramente “cattolici”, cioè capaci di essere aperti a tutti. L’Eucaristia è una porta aperta sul mondo».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 16 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Diario di un prete di Comacchio nella tempesta di inizio ‘900

10 Giu

Le memorie di don Antonio Fogli sono state trascritte e pubblicate da Maurizio Marcialis in un libro: il sacerdote racconta la politica, la fame, la guerra e la fede di un popolo

di Andrea Musacci

Quel grande guazzabuglio che è stata l’Italia di inizio Novecento, con le sue passioni divoranti, la guerra che falciava vite, le epidemie, la sorda miseria, gli embrioni dei grandi partiti politici. E la fede in Cristo che non muore, pur iniziando a vivere come sotto assedio, odorando l’arrivo dell’ateismo diffuso.

A volte è più utile un diario personale che un pur più preciso e obiettivo manuale di storia, a descrivere tutto ciò. Per questo, i diari ritrovati del canonico comacchiese Antonio Fogli sono un documento alquanto prezioso, perché testimonianza non solo dei fatti storici, locali, nazionali e mondiali, ma anche un documento importante per capire la visione del mondo di un anziano prete a contatto con le miserie del suo tempo.

È grazie all’architetto Maurizio Marcialis, che questi diari sono stati editi nel volume “Diario di un curato di valle. Dal 1900 al 1921 del Canonico Antonio Fogli” (Gruppo Editoriale Lumi, 2020). L’autore ha presentato il libro lo scorso 29 maggio nella Biblioteca Ariostea di Ferrara assieme a Diego Cavallina e Alberto Lazzarini, quest’ultimo prefatore assieme ad Aniello Zamboni.

Marcialis ha ritrovato casualmente il manoscritto oltre 20 anni fa in un mercatino invernale a Cesena, trascrivendolo con minuzia durante il lockdown di tre anni fa. Nato nel 1842 a Comacchio, dove muore nel 1938, don Fogli – secondo di otto figli – viene ordinato sacerdote a Ravenna nel ’65. Nella sua città sarà canonico dopo esser stato arciprete a Mesola, Goro e Gorino, e poi a Codigoro.

Nel 1900 il sacerdote inizia il proprio diario già prevedendo i tumulti che investiranno anche la sua terra: «Dal 1899 al 1900 nella mezzanotte in tutte le cattedrali e chiese parrocchiali del mondo cattolico si cantò la messa e il Tedeum. Nei primi dell’anno fu innalberato su i principali monti il vessillo della Croce e in molti luoghi elevati la statua del Redentore. Ah! Si prevedeva che nella corrottissima società si sarebbero svolti fatti eccezionali: epperciò fin da allora si scongiurava la divina Misericordia a salvare religione e società dal massimo pericolo».

L’ODIO POLITICO: DALLE VIOLENZE SOCIALISTE ALL’ARRIVO DEL FASCISMO

Un umile, pur dotto, prete di provincia, non poteva non avere una visione del movimento socialista esclusivamente come ateista e dedito alla violenza contro l’ordine costituito. Sua fonte, dalla quale a volte ritagliava anche articoli che inseriva nel proprio diario, era il giornale cattolico locale “La Domenica dell’operaio”. Nel 1912 a Comacchio viene linciato Demetrio Faccani, guardia valliva proveniente da Alfonsine. Don Fogli ne parla così: «Lo sciopero indetto dalla brutta peste dei Socialisti, che raccogliendo il fango delle piazze si nutriva di passioni e di odi feroci, si convertì in atto sanguinesco di crudeltà». Nel 1919 scrive: «I socialisti fanno dovunque atti di violenza contro le persone dabbene, contro il Clero, contro le Chiese e seminano contro le più sacre funzioni lo scompiglio e perfino le morti. Quasi la nazione viveva meglio nel tempo della guerra, se la perdita di tanti carissimi giovani non l’avesse addolorata». 

Nel 1919 si affaccia la speranza grazie al neonato Partito Popolare Italiano: «Un partito però dell’ordine che richiamava i principi cristiani sorse per incanto e, sebben bambino, e contrastato con tutte le arti maligne prese un posto dignitoso sorpassando per numero gli altri partiti e mettendosi di fronte ai Socialisti». 

Ma nel febbraio del ’21, vede nel nascente squadrismo fascista una reazione giustificata alle violenze socialiste: «I grandi soprusi, le soverchierie, le barbarie commesse dai socialisti, che hanno innalzato il regno del terrore» nel nostro Paese, e che il governo «è impotente ormai a frenare: ha fatto sì che nei popoli è nata una reazione contro di loro e per bisogno di difendere la libertà sono sorti i fascisti». Ma poco dopo avrà modo, almeno in parte, di ricredersi: «Introdottisi nei fascisti degli elementi sovversivi, e può dirsi anche criminabili, non si fermò più il fascismo alla giusta difesa del popolo e de’ suoi diritti, ma a sfogare con violenza gli odi personali». Nell’agosto dello stesso anno scrive: gli uomini «non ascoltano sacerdoti, anzi li guardano come nemici: non vanno più in chiesa, epperciò il Signore li abbandona ai loro partiti diabolici».

LA CARNEFICINA DELLA GUERRA

Don Fogli vive la guerra innanzitutto come peste che distrugge le vite della povera gente, costretta a partecipare al massacro, o di cui ne subisce le conseguenze. Non manca però il sentimento nazionalista; l’Austria, scrive, «teneva la nostra penisola come una serva da strapazzo». 

Ma il 6 luglio 1915 accenna a un episodio che ben spiega il clima bellico: «Alle 15 vengono arrestati tutti i frati del Convento dei Cappuccini e scortati a Ferrara sotto l’iniqua imputazione di fare segnalazioni al nemico». Don Fogli incolpa di ciò «la camorra brutale della massoneria». I frati verranno liberati senza processo 24 giorni dopo.

Nelle sue memorie accenna anche ai bombardamenti nemici, come quello nel 1916 a Codogoro: «altra barbarie» commesse dagli austriaci «con l’intenzione malefica» di bombardare l’idrovora e il vicino zuccherificio. Morirono 5 persone fra cui una bambina, 2 i feriti. Nel giugno ’17 riporta di altre incursioni aeree sopra Codigoro e poi sopra Comacchio: gli aerei nemici «li abbiamo veduto girarci sopra: ma anche in tal occasione la Madonna ci ha salvato: e a quegli uccellacci, portatori di rovine e morte, ha intimato: vade retro satana». Il 4 novembre 1918, con l’armistizio di Villa Giusti che sancì la resa dell’Impero austro-ungarico all’Italia, finisce la guerra: «vittoria grande incredibile» dell’Italia sull’Austria, scrive il sacerdote. L’Austria «ha abbassato la sua testa grifagna» davanti al nostro Paese. 

LA MISERIA: «TUTTO È SECCO, TUTTO MUORE»

La tragedia del conflitto mondiale, unita all’inclemenza della terra, gettano il suo popolo nella povertà più assoluta. Nel luglio 1916 scrive della siccità: «Sono tre mesi dacché non piove (…). Tutto è secco, tutto muore. Frumentone è andato, faggioli sono perduti: muoiono disseccati perfin gli alberi, e alle viti crolla l’uva». Mentre a novembre dello stesso anno, è l’esatto contrario: «Rovesci di pioggia continua han fatto temere rotte ed ancora non siamo fuori di pericolo. Burrasche di mare prodotte da fortissimi scirocchi hanno portato le onde sopra le dune di Magnavacca». A gennaio ’17, una nuova inondazione: «Quasi tutti i piani terreni delle case hanno l’acqua dentro».

A ciò si aggiungerà l’epidemia di spagnola tra il ‘17 e il ’18, che «sempre più infierisce e miete giovani vittime (…). Si indicano preparativi, disinfettanti. (…) Conseguenza della guerra! (…)». Le precauzioni ricordano, pur con le dovute differenze, ciò che abbiamo vissuto col Covid: le limitazioni di movimento e di assembramento, il divieto di stringersi la mano, i consigli ad arieggiare frequentemente le abitazioni, a proteggere gli ammalati, a rimanere in casa per ogni minima indisposizione, a fare lunghi periodi di convalescenza.

La guerra farà il resto; a fine 1916 scrive: «Decreti sopra decreti limitano i generi più necessari. La carne, i salumi non si possono vendere che tre volte la settimana: le ova si vendono in Comune; il latte è requisito. Il pane non si può mangiare che vecchio. Vino non ce n’è più e solo un poco a £2 il boccale. L’acqua scende e minaccia innondazione (…). La caccia è proibita (…). La pesca di mare è proibita. Poi notizie sempre dolorose e mai un barlume che accenni la pace. O gran Dio salvaci da tante torture!». 

MARIA, MADRE NOSTRA, AIUTACI!

Quella «divina Misericordia» implorata a inizio secolo, sarà sempre presente nel suo cuore, come in quello della sua gente. Nel maggio del ’17, di fronte a così tanti orrori e tragedie, racconta di come «nel popolo comacchiese sorse il desiderio ardente di muovere la vetustissima e sempre venerata immagine di Maria SS.ma in Aula Regia». Ma il Vescovo non poteva permetterlo dato il divieto, in tempo di guerra, di processioni pubbliche. Si decise, quindi, di portarla in Duomo a mezzanotte del 30, di nascosto, scortata dai carabinieri. «Nonostante però tali precauzioni molta parte della popolazione ne aspettò il trasporto che arrivato alle porte della cattedrale, eruppe da ogni petto il grido di “Evviva Maria”».

Un episodio che dice, a distanza di un secolo, di come la devozione popolare, la fede mai sradicata dall’anima del nostro popolo, in tempi bui possa essere, ancora, l’estremo rifugio, l’unica vera àncora di salvezza.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 9 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto: bambini sul Ponte Pizzetti, posto di lato alla facciata della chiesa del Carmine, nel 1920. Grazie a Maurizio Marcialis)

Daniele Lugli, testimone del bene e costruttore di pace

6 Giu

Addio a uno dei padri della nonviolenza italiana. Ritratto di un uomo mite, di una presenza positiva 

di Andrea Musacci

«Mi piace andare al mare in primavera: fine aprile, maggio. C’è poca gente. A fare il bagno nessuno. Ho tutto il mare a disposizione. Così ci vado anche quest’anno. Gli anni e la stagione mi inducono però a rinviare il mio lento nuoto. Le notizie dell’alluvione vicina rattristano e preoccupano». Scriveva così, Daniele Lugli, sul sito di “Azione nonviolenta”, appena due giorni prima di morire per un malore proprio mentre faceva il bagno nel suo mare di Lido di Spina.

Il 31 maggio, a 82 anni, ci ha lasciati, all’improvviso, una personalità molto amata per il suo impegno per la pace e la democrazia. Originario di Suzzara (MN), a 21 anni è tra i fondatori, insieme ad Aldo Capitini (detto il “Gandhi italiano”), del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne in seguito presidente.

Daniele aveva lo sguardo e la posa del saggio. La sua presenza, anche silenziosa, era sempre carica di esperienza. Un’esperienza forgiata nelle lotte, nella ricerca, nello studio, nella costruzione lenta di relazioni, di progetti, di parole. Il suo era un corpo antico, quasi scolpito nella pietra, come certe maestose statue antiche. Ma nulla aveva, Lugli, del distacco solenne, della freddezza marmorea, della sapienza che intimorisce e allontana. In lui la nonviolenza era carne. Lo si poteva notare nel suo viso rassicurante mentre si scioglieva nel calore di un sorriso accogliente.

La sua era una presenza priva di algidità, mite e mai austera. Era difficile immaginare piedistalli sotto i suoi piedi. Rifiutava la violenza dell’arroganza, della verbosità usata come clava, volontà di supremazia, mezzo per non incontrare l’altro.

Nel 2018 andai a casa sua per intervistarlo in vista di uno speciale nel 50esimo del ’68: anche in quell’occasione notai la sua capacità di sapersi, all’occorrenza, decentrare, di evitare inutili narcisismi. Forse non sempre in maniera consapevole, ogni suo brano di vita era alimento per la narrazione, per la memoria, per ogni sua nuova testimonianza.

Qualche anno fa mi fece dono di una copia del suo volume dedicato a Silvano Balboni. Un giorno mi disse: «Sei una persona curiosa, ti consiglio di leggere questo libro». Si trattava di “Religione aperta” di Capitini (che dopo, in effetti, comprai), suo amico e maestro. Capii che Daniele sapeva cogliere la bellezza dentro le cose, dentro le vite. Anche questo significa essere “costruttori di pace”: saper riconoscere il bene, dargli spazio, forza. Non solo denunciare il male, non rimanere alla polemica sterile e che avvelena. Costruire la pace in ogni gesto, in ogni parola. Col corpo e nello spirito. 

Per Capitini la nonviolenza era «un’apertura affettuosa all’esistenza, alla libertà, allo sviluppo di ogni essere», ciò che pone «in primo piano assoluto la presenza e la compresenza degli esseri viventi». La nonviolenza è «positiva», cioè sempre attiva; è «lottatrice», ha cioè «bisogno di coraggio»; ed è «creativa» e «inesauribile», «inattuabile tutta perfettamente».

Così era Daniele Lugli, vero «amico della nonviolenza»: la sua presenza (ancora forte tra chi gli ha voluto bene) era apertura affettuosa all’altro, coraggio e continua ricerca creativa. La sua vita è stata testimonianza di bene, dell’intima positività del reale. Testimonianza che il male non ha l’ultima parola.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 9 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto di Francesca Brancaleoni)

Notte dei Santuari, la città unita in processione sotto il Cuore di Maria

6 Giu

Il 1° giugno 200 persone in corteo nella zona di via Bologna a Ferrara per l’annuale appuntamento. Quest’anno al centro il neonato Santuario mariano nella chiesa della Sacra Famiglia

Un semplice telo bianco ricamato di rose rosse, una candela unica sentinella mariana a illuminare un palazzo, una statuetta della Madonna. Sono immagini della devozione, sempre viva, del popolo ferrarese, a Maria. Sono immagini che ci siamo portati a casa dalla processione svoltasi la sera del 1° giugno scorso in zona via Bologna, in occasione dell’annuale “Notte dei Santuari” promossa a livello nazionale dalla CEI, e che quest’anno nella nostra Chiesa locale si è scelta di celebrare nel neonato Santuario diocesano del Cuore Immacolato di Maria (parrocchia della Sacra Famiglia).

Circa 200 i presenti che si sono radunati col nostro Arcivescovo sul piazzale della chiesa lungo via Bologna per una preghiera iniziale affidando alla Madonna in particolare la nostra Arcidiocesi, le popolazioni alluvionate, il cammino sinodale, i popoli vittime delle guerre. L’accensione, quindi, nel braciere, delle fiaccole per la processione, “accolta” dagli immancabili petali di rose rosse sull’asfalto, e con in testa i tanti bambini, ragazzi e giovani assieme alla Banda di Cona diretta dal Maestro Roberto Manuzzi, formata per l’occasione da una ventina di musicisti su 41 elementi totali.

IL CORTEO E LA DEVOZIONE NEL QUARTIERE

La processione si è snodata lungo le vie Bologna, Poletti, Poltronieri, Grillenzoni, Leoniceno, Canani, Manardo, e ancora Poletti, Bosi, Grillenzoni, Bologna. Una zona nevralgica e densamente abitata della nostra città che per circa un’ora e mezza ha metaforicamente trattenuto il fiato, rallentando i propri ritmi, interrompendo i propri traffici per lodare, osservare, o semplicemente sbirciare con curiosità l’affollato corteo snodarsi nelle vie del quartiere. E così, si scorge un volto femminile dietro una zanzariera, dai balconcini e dalle finestre a tratti spuntavano candele, ceri, immaginette sacre. Proprio su via Bologna, quasi commuove vedere una luce accesa all’ultimo piano, l’unica non spenta di tutto il condominio. Alcune donne si fanno trovare davanti al cancelletto di casa, il cero in mano, il segno della croce. Su alcuni davanzali al secondo piano, qualcuno ha posto una statuina della Madonna e una del Sacro Cuore di Gesù. Un’altra signora, nonostante abiti al terzo piano di un palazzo, non ha rinunciato a fare il proprio altarino: ha spento la luce appena intravisto il corteo, ha acceso un cero, si è seduta in preghiera. Si scorgono, anche, da alcuni davanzali i drappi rossi, alcuni fiori ad accompagnare una semplice candela, fiocchi bianchi e blu ai cancelli. E un telo bianco – forse una tovaglia – ricamata di rose rosse e adornata con un fascio di luce.

LE MEDITAZIONI E LA CONCLUSIONE

«Maria ci è offerta e presentata come esempio; è un modello per ogni cristiano, soprattutto per chi si è consacrato al servizio di Dio e dei fratelli. Modello nell’ascolto della Parola di Dio e nell’attenzione agli avvenimenti della vita, modello nella lode di Dio. Maria sa ascoltare Dio». Così una delle meditazioni lette durante il corteo. Oppure Maria è presentata come «la piccola serva del Padre che trasalisce di gioia nella lode (…). Quale madre di tutti, è segno di speranza per i popoli che soffrono i dolori del parto finché non germogli la giustizia. È la missionaria che si avvicina a noi per accompagnarci nella vita».

La processione si è conclusa col ritorno in chiesa dov’è avvenuto l’Atto di Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria del cammino sinodale e, specialmente, dei lavori della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovo. A seguire, sul piazzale vi è stato un piccolo concerto della Banda di Cona.

DEVOZIONE MARIANA ALLA SACRA FAMIGLIA

Ricordiamo che lo scorso 29 novembre è avvenuta l’erezione ufficiale della chiesa della Sacra Famiglia di Ferrara a Santuario mariano (è rimasta, però, la parrocchia). «Scuola di Chiesa, luogo di vera ecclesialità» l’ha definita, con un auspicio, il parroco don Marco Bezzi nel suo saluto finale. Il mese mariano per la parrocchia della Sacra Famiglia è iniziato il 1° maggio con la consegna dell’immagine mariana da esporre nei luoghi del fioretto (le cosiddette “basi missionarie”). Infine, domenica 18 giugno, Solennità del Cuore Immacolato di Maria, alle ore 11.30 è in programma la S. Messa solenne presieduta dal rev.do padre abate dom Christopher Zielinski, guida dei monaci olivetani dell’abbazia del Pilastrello in Lendinara (RO). La Celebrazione sarà accompagnata dalla Corale “Musica Insieme” di Castel Franco Veneto (TV) diretta dal maestro Renzo Simonetto. Al termine pranzo comunitario con la corale e l’abate.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 9 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto di Pino Cosentino)