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“Luca desiderava solo fare del bene”: intervista a suor Delia, missionaria in Congo

1 Mar

Intervista a suor Delia Guadagnini dopo l’attentato in Congo in cui hanno perso la vita Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo: “era un amico sempre disponibile, ci sentivamo spesso”

di Andrea Musacci

«L’uccisione del nostro ambasciatore Luca, del suo carabiniere guardia del corpo Vittorio e dell’autista Mustapha, ci rattrista moltissimo. Luca era una persona amabile. Ci aveva appena incontrati a Bukavu sabato scorso. Si interessava di ciascuno di noi, ci è stato molto vicino durante e dopo l’alluvione qui a Uvira. Potevamo chiamarlo al telefono come si chiama uno di famiglia. Preghiamo per lui, per chi è morto con lui, per le loro famiglie, per i loro uccisori. Pregate per noi e il nostro popolo. Che possiamo tener duro in questi tempi difficili. Un forte abbraccio pieno di sofferenza, aspettando un’alba nuova».
Chi ci scrive è suor Delia Guadagnini delle Saveriane di Maria, dal 1989 in missione a Uvira come coordinatrice delle scuole della diocesi. Una città, quella di Uvira, vicina al luogo dove lunedì scorso è avvenuta la sparatoria nella quale hanno perso la vita l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere della sua scorta Vittorio Iacovacci e il loro autista congolese Mustapha Milambo. I tre sono stati uccisi nel villaggio di Kibumba, nella regione del Nord Kivu, per la precisione lungo la strada che da Goma, capoluogo del Nord Kivu, sale verso Rutshuru, passando appunto vicino Kibumba e addentrandosi nel parco nazionale del Virunga.
Le abbiamo rivolto alcune domande sul suo rapporto di collaborazione e amicizia con Luca Attanasio.
Due giorni prima, infatti, il sabato, l’Ambasciatore era stato nella vicina località di Bukavu, per poi il giorno dopo recarsi a Goma dove ha cenato al ristorante italiano “Mediterraneo” con i suoi connazionali, soprattutto missionari saveriani e volontari.


Suor Delia, in che occasione aveva conosciuto Attanasio?
«Il nostro caro Ambasciatore l’ho conosciuto due anni fa quando dovevo rinnovare il mio Passaporto Italiano. Mi chiedevo se dovessi andare in Italia o recarmi a Kinshasa… Poco dopo, siamo state informate dal nostro Consolato a Kinshasa che l’Ambasciatore sarebbe venuto a Bukavu, non lontano da Uvira, e sarebbe stato accompagnato dalla signora Rita che lavorava all’Ambasciata, che si sarebbe resa disponibile a facilitare le pratiche a chi avesse avuto bisogno di rinnovare il passaporto senza andare a Kinshasa. La Provvidenza è arrivata!
In quella occasione abbiamo passato una serata insieme dai Missionari Saveriani a Bukavu dove ha alloggiato due giorni.
A dire il vero il mio primo incontro con lui è stato lì, in uno scantinato dei saveriani. Era in tuta da ginnastica e stava rovistando in un deposito di oggetti africani, statue, maschere, che gli stessi saveriani avevano accatastato lì, dopo aver scelto i pezzi migliori per il Museo che si trova all’entrata della loro casa. Lì ci siamo salutati per la prima volta, abbracciati come fratello e sorella. Subito mi ha fatto sentire a mio agio in quella stanza polverosa, chiedendo di me, delle mie sorelle, di quel che facciamo, delle difficoltà che incontriamo… Mi ha promesso che un giorno o l’altro sarebbe arrivato a Uvira. Lo aspettavamo questa volta ma mi aveva detto al telefono che la sua missione questa volta era piuttosto verso Goma. Non ha comunque rinunciato, anche a costi di una certa fatica, di fare “un salto” a Bukavu per incontrarci lo scorso fine settimana».

Suor Delia Guadagnini


Purtroppo l’ultimo della sua vita…Che persona era Attanasio? Come lo descriverebbe?
«Luca era una persona buona, attenta, amabile, aperta all’altro, desiderosa di fare del bene, di promuovere il bene. Amava il nostro Paese, la Repubblica Democratica del Congo. Penso che in ufficio all’Ambasciata, ci stesse poco. Uomo di relazione, capace di stare coi grandi e coi piccoli, sorridente, affettuoso, pieno di iniziative. Molto colto e altrettanto umile. Attento ai dettagli».


In che modo aiutava la vostra comunità?
«Quando nell’aprile dell’anno scorso, la furia delle acque si è abbattuta su Uvira, Luca mi ha telefonato più volte. Voleva accertarsi che stessimo bene, che avessimo trovato un luogo dove rifugiarci. Chiedeva dove era scappata la popolazione, chi ci stava dando una mano. La sua voce ci ha espresso vicinanza e affetto. Tutte le volte che mi chiamava al telefono, concludeva con queste parole: “Sr. Delia, non si faccia riguardo a chiamarmi, mi dica se avete bisogno di qualcosa, siamo qui per voi!”. Questo era il suo motto: “Siamo qui per voi!”».


Con quale frequenza lei lo incontrava o era in contatto con lui?
«Da quando era Ambasciatore qui in Congo, dal 2017, ci vedevamo una volta all’anno quando veniva a Bukavu per incontrare gli italiani presenti in questa regione, e tra essi, molti missionari. Spesso comunque ci sentivamo al telefono: era come averlo davanti, sorridente, affettuoso, sempre positivo».


Quando è stata l’ultima volta che l’ha incontrato?
«L’ultimo incontro risale all’anno scorso. Allegro, sprizzante, desideroso di conoscere la nostra realtà e di informarci sui vari progetti in cui era impegnato nella nostra Regione. Sempre molto accogliente, sobrio nel vestire e capace di tessere relazioni. Ci ha parlato di sua moglie, delle sue figlie e ci diceva che alla prossima sarebbe venuto anche con loro per far conoscere la nostra realtà. Era accompagnato da due carabinieri che, in un angolo del salone, mentre prendevamo una pizzetta, mi hanno fatto un bell’elogio del nostro Ambasciatore. Con lui stavano molto bene!».


Quando avrebbe dovuto rivederlo o risentirlo?
«Avrei dovuto salire a Bukavu per incontrarlo sabato ma visti i miei molteplici impegni di lavoro, ho rinunciato. Me ne pento…».


Stavate collaborando a qualche progetto in particolare?
«Niente di particolare poiché lui non aveva progetti specifici qui nella zona di Uvira, che peraltro desiderava tanto conoscere…».

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 5 marzo 2021

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“Io e mia moglie due anni fa siamo fuggiti da Rutshuru”: parla Carlo Volpato, volontario in Congo

1 Mar
Carlo Volpato con la moglie Kavira Kannette

Il racconto a “La Voce” di Carlo Volpato, dal ’95 volontario nel villaggio vicino al luogo del triplice omicidio di Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo: “La strada della sparatoria è insicura da almeno 5 anni”, la sua denuncia

Carlo Volpato, 87 anni, dal 1995 (un anno dopo la pensione) è volontario in Congo per l’associazione “Mondo Giusto” di Lecco, che da oltre 50 anni è impegnata in diverse zone del Paese, tra cui il Nord Kivu. Tanti i progetti portati a termine, fra cui centri nutrizionali, centri sanitari di base (fondamentali in un Paese povero e dove la sanità non è gratuita), acquedotti, ponti, sale polivalenti e centrali idroelettriche.
Carlo attualmente è in Italia, nella sua Zelarino vicino Venezia, in attesa del vaccino anti-Covid-19. Una volta vaccinato, l’idea è di tornare a Goma con la moglie congolese Kavira Kannette (i due in foto), originaria proprio di Rutshuru, dove si sono conosciuti e poi sposati nel 2016.
«L’anno scorso ho conosciuto personalmente Luca Attanasio a una cena a Rutshuru», racconta a “La Voce” Volpato. «Essendo io il più anziano tra i volontari, ha voluto che gli raccontassi tutti i nostri progetti. Era molto interessato, abbiamo parlato tutta la sera.
Due anni fa io e mia moglie ci siamo trasferiti dal villaggio di Rutshuru, dove ho vissuto per quasi 25 anni, alla città di Goma perché non ci sentivamo più sicuri. Avevamo anche in cantiere la costruzione di una nuova sorgente, ma non siamo riusciti a portarla a termine. Per non parlare della manutenzione delle altre opere costruite negli anni, non ancora effettuata». In quella zona, infatti, imperversano bande armate organizzate, le quali, per la mancanza dello Stato (e con un esercito debole e mal pagato), in qualche modo lo sostituiscono anche nell’aiuto alla popolazione. O almeno così fanno credere. «È da almeno 5 anni che la strada dove lunedì scorso è avvenuta la sparatoria non è sicura», prosegue Volpato. «Negli anni l’ho percorsa tantissime volte – ogni settimana o quasi – per recarmi da Rutshuru a Goma per l’approvvigionamento del materiale necessario ai nostri lavori: non capisco, quindi, chi in questi giorni ha detto che quella strada solo ultimamente fosse diventata insicura. Mia moglie a Rutshuru ha diversi parenti, una casa, ma anche lei ha molta paura a tornarci, anche perché, avendo sposato un bianco, si sente ancor più in pericolo».
Prima di salutarci, Carlo ci racconta d’aver ricevuto nelle scorse settimane l’invito per la cena con l’ambasciatore Attanasio svoltasi la sera precedente alla sparatoria, nel ristorante italiano “Mediterraneo”. Così recitava: “Cari e gentili Connazionali,
questa domenica 21 febbraio l’Ambasciatore, accompagnato dal Dottor Alfredo Russo, Capo della Cancelleria Consolare, e dal Direttore del World Food Program (PAM) Dottor Rocco Leone, effettueranno una breve missione consolare in Goma. Siete tutti invitati a partecipare al cocktail di saluto (…) presso il Ristorante “Mediterraneo” questa domenica alle ore 18:00 (…). Speriamo di incontrarvi tutti a Goma!
Un caro saluto,
l’Ambasciatore ed il Capo della Cancelleria consolare”.
Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 5 marzo 2021

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“Contro la violenza sulle donne? Auto mutuo aiuto per rincominciare a vivere”

3 Giu

Alcuni mesi fa a Ferrara è nato il gruppo “Dire basta” per donne che hanno subito o subiscono violenza. Un gruppo fondato sulla fiducia, la riservatezza e la sospensione del giudizio. Per aiutare le vittime a superare il proprio trauma e a denunciare

violenza donne 4Aiutare se stesse e altre donne che vivono o hanno vissuto situazioni di violenza fisica e psicologica. Da questo presupposto, apparentemente elementare, nasce l’idea, da sei mesi anche a Ferrara, di dare vita a un cosiddetto “Gruppo di Auto-Mutuo-Aiuto” (A.M.A.), piccole comunità di donne, di qualsiasi età o provenienza, convinte di quanto sia fondamentale il confronto e il sostegno reciproco tra “pari”, tra donne vittime della violenza maschile. Un tipo di solidarietà “dal basso”, informale, che a Ferrara mancava, e che ora vede circa 11 donne partecipare agli incontri settimanali. “Dire basta” è il nome del piccolo gruppo A.M.A. nella nostra città, sostenuto da Agire Sociale, a cui, lo scorso dicembre, hanno dato vita Cristiana e Alla, cercando di replicare una simile esperienza presente a San Giovanni in Persiceto (BO), dove dal 2015 è attivo il gruppo “Mai più”, inizialmente composto da cinque donne, mentre oggi conta una 30ina di partecipanti. Da vittime di violenza a pioniere del mutuo-aiuto “Mai più” e “Dire basta” sono i primi due gruppi informali di Auto-Mutuo-Aiuto in Italia per donne che hanno subito o subiscono violenza. Esperienze simili, fortunatamente, stanno nascendo anche in altre città. Del gruppo nato 4 anni nel comune bolognese fanno parte donne di ogni età – anche 15enni – e di ogni provenienza. “Qui – ci racconta Cristiana – vi sono entrata dopo un lungo percorso di psicoterapia e mi sono sentita fin da subito compresa e ascoltata e soprattutto non giudicata”. Un ambiente “ideale” per trovare il coraggio di uscire dalla paura e dal senso di colpa, e per vincere quell’omertà che spesso si aggiunge, come una seconda violenza. “La violenza sulle donne è un mondo perlopiù sommerso, che difficilmente viene a galla. Inoltre – prosegue -, spesso la vittima è da molti giudicata, fatta sentire in colpa, costretta a doversi giustificare per quello che ha subito”. È un meccanismo micidiale, la donna invece che vittima si sente responsabile, inizia ad autocolpevolizzarsi, con ripercussioni psicologiche spesso devastanti. “Noi cerchiamo di rompere questo muro di isolamento che spesso rinchiude le donne. Il senso del gruppo sta nel condividere un dramma, un comune disagio – ci spiega Cristiana -, e al tempo stesso nel trovare le risorse per uscire dalla violenza stessa, in quanto ti senti aiutata a guardare avanti, capisci che non sei solo quello che ti è successo ma molto di più. E, inoltre, nel far questo, possiamo diventare anche un monito per altre donne”. La solidarietà tra loro è totale, lo si nota dall’affetto e dalla comprensione profonda, che trapela dai loro gesti e dalle loro parole. Ognuna non vive più solo per sé, col proprio dolore e nel proprio passato o presente terribile, ma ragiona, agisce, piange e ride sempre con le altre, sempre al loro fianco. “Ricordo, ad esempio – sono ancora parole di Cristiana -, il caso di una ragazza di 16 anni, a cui il gruppo di S. Giovanni ha dato la forza di denunciare”. “Qui – ci racconta invece Alla – per la prima volta dopo la violenza che ho subito, sono riuscita a piangere. Nel gruppo riesco ad affrontare tutto, del tuo dolore se ne fanno carico le altre, e quindi ti senti sollevata, e non poco. Alcune di noi diventano tra loro amiche anche al di fuori del gruppo, ci si chiama se si ha bisogno a qualsiasi ora del giorno o della notte. Nel gruppo – prosegue – non mi sento sola, mi sono liberata dalla paura e dal senso di colpa: aiuto le altre e aiuto me stessa. Un’altra cosa che ho imparato è a non essere indifferente e a non giudicare gli altri, ma a cercare di comprendere perché una persona si trova in una determinata situazione”. Le regole del gruppo sono poche ma assolutamente fondamentali per gli obiettivi per i quali nasce. Sono essenzialmente due: la riservatezza su ciò che viene raccontato al proprio interno, e la sospensione del giudizio, oltre alla partecipazione libera e spontanea e al rispetto dei tempi di ognuna ad aprirsi, a confidarsi alle altre. Si ascolta, si cerca di comprendere, si aiuta. Si dona la propria esperienza e umanità, evitando critiche o condanne. Questo permette alla fiducia di poter maturare fino a diventare piena, quindi alla persona di potersi aprire e provare, come bene descrive Alla, “quel senso di sollievo che si prova, tanto nel potersi sfogare quanto nell’ascoltare e prendere consapevolezza che non si è sole a vivere o ad aver vissuto certe situazioni”. L’obiettivo è che questo gruppo “duri nel tempo, che le donne sappiano che c’è qualcosa di sicuro nel caso ne abbiano bisogno”.

Gruppo “Dire basta” CONTATTI: Alla 377-2115127 ; Cristiana 345-7263679

—- LE TESTIMONIANZE —-

violenza donne 5Cristiana: “Il mio calvario dai 6 anni fino alla presa di coscienza che non avevo colpa”

“Ho subito abusi per oltre due anni”, è l’orribile racconto di Cristiana a “la Voce”, “dai 6 a oltre gli 8 anni d’età, da un vicino di casa. Molestava me e mia sorella. A 11 anni ne abbiamo parlato con i miei genitori, ma non hanno voluto affrontare la cosa. Negli anni ho iniziato a soffrire di ansia e depressione, ho ancora attacchi di panico, la mia vita quotidiana è stata compromessa, per anni ho avuto anche forti sensi di colpa. E c’è voluto tanto tempo per capire che ero la vittima, non la responsabile. Avevo sensi di colpa per non essere riuscita, io, bambina, a respingere quegli abusi. Ma negli anni ho capito che potevo uscirne e ho iniziato un percorso di psicoterapia che mi ha portato anche al gruppo di Auto-Mutuo-Aiuto”.

L’incubo di Adele: violenze e ricatti dal marito, anche davanti ai figli piccoli

“Con la nascita della mia prima figlia, a fine 2002, paradossalmente è iniziata la fine del mio matrimonio”, è il racconto sofferto di Adele (nome di fantasia), anch’essa parte della famiglia del gruppo A.M.A. “Dire basta” di Ferrara. “Persino la prima notte passata con mia figlia a casa dopo la sua nascita mi ha mortificato: la piccola, nutrita con latte artificiale in ospedale contro il mio espresso desiderio, faticava ad attaccarsi al seno, e il mio ex marito furioso, nel cuore della notte, mentre seduta sul letto cercavo di allattare la bimba, mi insultò e mi urlò che volevo far morire di fame sua figlia con le mie idee da ‘femminista di m…’. Non mi chiese mai scusa”. Tutt’altro. “Sei mesi dopo per una sciocchezza – continua Adele – mi strappò dalle braccia mia figlia, mi prese per lo scollo dell’abito strappandolo e mi chiuse in una camera fino a quando la bimba non ebbe bisogno di essere allattata: quella fu la prima volta che mi mise le mani addosso, la prima in cui mia figlia fu costretta – seppure molto piccola – ad assistere alla violenza fisica di suo padre. Con il senno di poi ora so che avrei dovuto chiudere lì il matrimonio ma non lo feci: me ne assumo ogni colpa”, è il suo rammarico. “Con la nascita del secondo figlio, che ora ha 14 anni, è stato chiaro che diverse opinioni sulla loro crescita e differenti progetti di vita stavano portando noi genitori alla separazione”, prosegue Adele. Nel frattempo, non cessano gli episodi di violenza psicologica, verbale, a volte fisica ai danni della donna, e si ripetono diversi “comportamenti totalmente irresponsabili da parte di lui anche nei confronti degli stessi bambini, tipico di una persona con disturbo antisociale di personalità. Dopo un altro episodio di violenza verbale e fisica sempre davanti ai miei figli, allora non più tanto piccoli, nel 2009 su consiglio di una psicologa gli comunicai la decisione di separarmi. La frase che mi disse, se allora la trovai crudelmente inutile e irrealizzabile, ora suona come una minaccia realizzatasi: ‘Se mi porti in tribunale, farò di tutto per portarti via i figli!’ ”. Continuano, negli anni successivi, le violenze di ogni tipo, le minacce, i ricatti. Adele, ora, denuncia, “da 43 mesi” può vedere la figlia “solo un’ora al mese” ed il figlio “2 ore ogni settimana”, in quanto “affidati a una parente del mio ex marito, e, di fatto, a lui stesso”. Un caso di alienazione parentale vissuto con indicibile sofferenza da Adele, e, dice, “fondato su accuse assolutamente false contro di me”.

“Io, sopravvissuta a un femminicidio, alle vittime dico: ‘denunciate subito’ ” : la testimonianza di Alla

“Nel 1995 mi sono trasferita dal mio Paese d’origine, la Russia, in Italia. Sarei dovuta rimanere per soli tre mesi ma scelsi di viverci, perché mi ero innamorata di lui”. Lui è l’uomo, un modenese, che sposerà, e che col quale avrà una figlia, oggi 23enne, e un figlio di 15 anni. Lei è Alla, laureata in ingegneria elettronica, viva per miracolo dopo essere stata pestata, gettata in un canale, rinchiusa nel bagagliaio di un’auto e nuovamente percossa dal suo ex marito. “Prima, mi sentivo colpevole – ci racconta -, perché ero innamorata di lui e quindi non comprendevo quel filo sottile che separa l’amore dalla possessività e dalla violenza, anche psicologica e verbale. Ti abbandoni a lui, stai a casa perché lui vuole così, non lavori, non esci nemmeno il pomeriggio a prendere un caffè o la sera a mangiare una pizza con un’amica, perché, lui mi diceva, ‘sono le puttane che escono la sera da sole’ ”. Da sole. Cioè senza un uomo a controllarle. “In 18 anni di matrimonio non sono mai uscita a mangiare una pizza con le amiche. Aveva plagiato me e i miei figli. Mi considerava un suo oggetto”. “Il primo schiaffo – ci racconta ancora – me l’ha dato quand’ero incinta di mia figlia di sei mesi, perché avevo messo una camicetta che secondo lui era troppo sexy. Mi disse: ‘se vuoi andartene, prima abortisci e poi vai via’. Ma feci l’errore di perdonarlo, quella volta e tante altre, perché ogni volta mi chiedeva scusa. Poi ha iniziato a dirmi: ‘Sei grassa come una mucca, ma come sei brutta. Ti sei guardata allo specchio? ’, e mi faceva sempre sentire in colpa per ogni minima cosa. Nel 2001 ho iniziato a soffrire di depressione. Anni dopo, nel 2008 ho scoperto che aveva un’altra donna e un altro figlio, che naturalmente manteneva, mentre da noi i soldi non bastavano mai. Quando l’ho affrontato, lui mi ha minacciato di nuovo e mi ha picchiato. Non l’ho denunciato, ma sono andata dal mio medico. Ma cos’altro potevo fare? Avevo tre figli, un mutuo sulle spalle. Come sarei potuta andare avanti da sola, con i miei lavoretti part time? Io volevo solo dare la miglior vita possibile ai miei figli. Per quello ho iniziato a sopportare: per i miei figli”. Nel 2014 l’incubo diventa totale, avviene l’episodio in cui Alla rischierà seriamente di essere uccisa da quest’uomo: “una notte, era luglio, mi ha svegliato tirandomi per i capelli e urlando. All’inizio non capivo cosa volesse. Mi ha buttato giù per le scale e trascinato in mezzo alla strada, sempre picchiandomi: mi accusava di tradirlo. Capivo bene che rischiava di ammazzarmi. A un certo punto mi ha preso e buttato in un canale lì vicino. Approfittando del fatto che se n’era andato, sono uscita dal canale e ho iniziato a camminare lungo la strada principale per chiedere aiuto. Ma lui mi ha visto, allora sono scappata, ma sono rimasta impigliata cercando di scavalcare un guardrail. Lui mi ha raggiunto, mi ha tirato per i capelli e mi ha buttato nel bagagliaio della macchina. Mi ha preso a sprangate le gambe: ‘così non corri più’, disse. Ogni tanto fermava la macchina e tornava a picchiarmi. Mi ha salvato il fatto che lui abbia chiamato al telefono un cliente del bar, convinto che fosse il mio amante. Ha iniziato a picchiarmi mentre era in vivavoce con lui, voleva che io confessassi il tradimento. Alla fine, ho anche provato a confessare questa cosa non vera, speravo di placare così la sua rabbia, non sapevo più che fare. Dall’altra parte della linea, quella persona è riuscita a chiamare i Carabinieri ma non sapeva dove eravamo. Intanto mio marito mi aveva rinchiuso nel bagagliaio e aveva ricominciato a guidare. Lì dentro ho realizzato che ormai mi mancava poco. Non ho ’visto’ la morte in faccia, ho ‘sentito’ la morte. Gli ho chiesto di farmi salutare i miei figli, era il mio unico pensiero prima di morire. Una volta arrivata in casa, mi ha ripreso dall’auto e buttato dentro. Ha ricominciato a picchiarmi. Ormai non sentivo più nemmeno il dolore. Dopo un’ora e quaranta minuti, i Carabinieri mi hanno trovata e portata in ospedale in ambulanza, a Bologna. Poi l’ho denunciato, al processo ha avuto il rito abbreviato e poi il patteggiamento: gli hanno dato appena un anno e dieci mesi, è stato libero subito. Dopo 2 mesi di carcere e 4 ai domiciliari, era di nuovo libero”. L’incubo non era finito. “Una notte è entrato in casa e ha provato a strangolarmi. Non voleva che chiedessi la separazione, voleva togliermi i figli, vittime anch’essi di violenza assistita. Non ho sporto di nuovo denuncia: se dopo quello che era successo aveva avuto solo un anno e dieci mesi, cosa gli avrebbero fatto ora solo per qualche livido che mi aveva lasciato sul collo? Mi sono rivolta agli assistenti sociali, ora sono separata ma c’è ancora una causa civile, perché c’è di mezzo un figlio minorenne. Lui ha gli stessi miei diritti. Con il procedimento penale c’è il patrocinio gratuito, ma con il civile no. Lì bisogna pagare e tanto. Come faccio a pagare il consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice? Per trovare duemila euro, devo lavorare tre mesi. Anche questa è violenza economica”. Insomma, conclude amaramente Alla, “per molti uomini la libertà di una donna ha un prezzo. Se lo paghi, alla fine sei libera”. Un costo alto, fatto di violenza fisica e psicologica, a volte pagato con la stessa vita. “Mi considero una sopravvissuta di femminicidio. Per questo alle donne vittime di violenza dico: ‘denunciate subito’ ”. Ora Alla gestisce un bar a Pieve di Cento. “Da cinque anni dormo sul divano con la tv accesa per la paura, devo controllare la porta d’ingresso, se qualcuno cerca di entrare, tengo con me sempre uno spray al peperoncino, e ho fatto un corso di autodifesa. Non riesco a fare la spesa da sola, per esempio, in quanto soffro di attacchi di panico. Ma ho un nuovo compagno”. Nel portafoglio conserva una foto che un’amica le scattò appena arrivata in ospedale, distesa sul lettino, il volto tumefatto e pieno di terrore. “Perché la tengo? Perché a volte ho avuto la tentazione di mollare tutto. Sono troppe le spese per l’avvocato, troppa la paura. Ma voglio andare avanti”.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 giugno 2019

La Voce di Ferrara-Comacchio

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Una casa per le associazioni grazie al centro “Il Parco”

13 Feb

Inaugurato a Consandolo il nuovo grande spazio all’interno di Villa Salvatori. Le attività saranno concordate fra i vari enti. Coinvolti soprattutto i ragazzi

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Foto di gruppo all’inaugurazione

Una rinnovata proposta aggregativa che fa della collegialità e del servizio ai giovani del paese le sue ragioni d’essere. E’ con questo spirito che nasce, o meglio, “rinasce” nella “casa” di Consandolo, ovvero Villa Salvatori sulla via Provinciale, un centro d’aggregazione giovanile, rinominato “Il Parco”. Il centro, che sarà aperto tutte le domeniche dalle 14 alle 17, è stato inaugurato ieri alla presenza di Giulia Cillani, Assessore associazionismo e politiche giovanili di Argenta. Uno spazio dove soprattutto i giovani del paese, ma in realtà l’intera comunità, possano incontrarsi e realizzare ogni tipo di attività, dalle arti al teatro (anche dialettale), dalla lettura allo sport, dalla ceramica fino alla realizzazione delle luminarie, o alla riparazione delle biciclette.
Promotore del Centro è innanzitutto la cooperativa sociale Gaia, insieme a Comune di Argenta, Gruppo Attività Teatrali, Gruppo Ciclistico, Estensi Consandolo, Gruppo Attività Natalizie di Consandolo, Pro Loco e Argentea Arte Ceramica.
Il Centro, diretto dai giovani educatori Elena Bonora e Giulio Bolognesi. avrà a disposizione tutto il piano terra, con, oltre al salone d’entrata, cinque stanze, e il grande parco circostante l’edificio. Le attività verranno di volta in volta concordate tra le associazioni, coinvolgendo sempre le ragazze e i ragazzi interessati.
Lo scorso dicembre la coop. Gaia ha vinto per la seconda volta il bando comunale per la gestione di tre luoghi di aggregazione giovanile, ad Argenta, Santa Maria Codifiume e, appunto, Consandolo. Dopo il primo triennio di gestione del centro “La Base”, sempre a Villa Salvatori, ora la cooperativa ha scelto di cambiare nome, e, soprattutto di impegnarsi in una gestione sinergica con i soggetti del territorio.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 13 febbraio 2017

Barco, i 35 anni del centro sociale

24 Nov

E’ stato il primo sodalizio per anziani nato in Regione

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Da sinistra, Fava, Artini, Giberti e Battaglioli, durante la conferenza stampa

Tutto nasce 35 anni fa da un fiasco di vino e un salame, da condividere mentre si gioca a carte. È così che l’11 febbraio 1981 prenderà vita il Centro Sociale per anziani “Il Barco”, oggi Centro di promozione sociale, il primo Centro Anziani nato in Regione e uno dei primi in Italia. Per festeggiare insieme a tutta la cittadinanza questa importante ricorrenza, sabato mattina dalle 10.30 vi sarà una festa nella sede di via Indipendenza, 40.

L’iniziativa è stata presentata ieri nel Municipio di Ferrara alla presenza del portavoce del Sindaco Anna Rosa Fava, il presidente del Centro Eridano Battaglioli, il responsabile delle attività del Centro Paolo Giberti e il presidente del coordinamento provinciale di Ancescao (Associazione nazionale centri sociali, comitati anziani e orti) Gianni Artini. Della «vivacità del quartiere Barco, grazie alla rete di associazioni», ha parlato la Fava, che ha ricordato come il Centro faccia parte del comitato “VivaBarcoViva”. «Insomma – ha proseguito – è un esempio da esportare nelle altre zone del Comune, un modello virtuoso di cittadinanza attiva».

Giberti ha dunque preso la parola per ricordare come «il quartiere non abbia vissuto sempre momenti facili, soprattutto 30-40 anni fa, ma il nostro Centro è sempre stato una presenza viva, un aiuto per affrontare le difficoltà. Sperando in una continuità generazionale, invitiamo soprattutto i più giovani a partecipare a questo che è un luogo di accoglienza e di aggregazione». Dopo l’intervento del Presidente Battaglioli, che ha ricordato le molte donne volontarie, e la loro importanza anche per l’aspetto finanziario del Centro, ha preso la parola Artini che ha spiegato come nel nostro territorio comunale vi siano «quindici Centri sociali per un totale di circa 10.000 associati», dei quali circa 200 attivi nel Centro del Barco.

Sabato il programma prevede alle 10.30 la presentazione della storia del Centro, con interventi di Battaglioli, Giberti e Artini, alle 11.15 l’intervento delle autorità e alle 12.15 proiezione di foto e rinfresco.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 24 novembre 2016

Polizia Municipale e volontariato, nuova sede a Portomaggiore

7 Giu

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Don Giuseppe Negretto, Giovanni Tavassi, Nicola Minarelli e Barbara Panzani durante il nastro del taglio

Più che una Casa del Volontariato assomiglia più a una vera e propria casa dei portuensi. La nuova sede della Polizia Municipale e di un nutrito gruppo di associazioni è stata inaugurata ieri alle 18.30 nell’ex scuola Media di via Fiume a Portomaggiore, alla presenza di una trentina di cittadini di tutte le età. Proprio da via Fiume vi è l’entrata per gli uffici della Polizia, mentre dall’altra entrata, in via Martiri della Libertà, si potrà accedere alle sedi delle seguenti associazioni: Scuola di musica Mafalda Favero, A. C. C. F. Associazione Cardio Trapiantati e Cardiopatici Ferraresi, Circolo Fotografico Portomaggiore, Associazione Bersaglieri e Carabinieri a riposo, Palio Portuense, A.s.d. Attiva Med, Associazione ciclistica Caduti da Piccoli, Radio Club Portuense.

Il Sindaco Nicola Minarelli nel ricordare la particolare importanza di un’inaugurazione come questa, ha sottolineato come la sede riesca a unire i rappresentanti della “sicurezza, tanto individuale quanto sociale”, grazie a una sinergia tra istituzioni pubbliche e associazionismo privato, anche in aiuto alle persone più svantaggiate. L’importanza del fare squadra, della collaborazione tra le varie anime del volontariato, compresa quella parrocchiale, è stata ribadita dal parroco Don Giuseppe Negretto, il quale ha suggellato la cerimonia con una preghiera e una benedizione dei nuovi spazi.

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Don Giuseppe Negretto, Giovanni Tavassi e Nicola Minarelli

Tra i presenti all’evento di ieri vi era anche L’Assessore con delega per la Polizia Municipale Giovani Tavassi, l’Assessore ai servizi sociali e all’associazionismo Barbara Panzani e il Vice Comandante della Municipale Riccardo Tumiati, il quale ha accompagnato i presenti nella “visita guidata” dei nuovi uffici.

Infine, alle 19 aperitivo offerto a tutti i presenti e a seguire cena all’interno del parco dell’edificio organizzata dalla Pro Loco.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 07 giugno 2015

Oggi la presentazione delle opere di Corelli sulle donne in carcere

16 Ott

2014-10-03 19.52.36La mostra fotografica “La bellezza dentro. Donne e madri nelle carceri italiane”, visitabile dal 3 ottobre presso il ristorante “381 Storie da Gustare” in piazzetta Corelli, 24 a Ferrara, verrà oggi ufficialmente presentata al pubblico. Sarà presente Giampiero Corelli, autore di questo progetto fotografico dedicato alle donne (carcerate, volontarie e guardie) presenti all’interno di diversi istituti penitenziari femminili italiani. L’incontro, con inizio alle 18, verrà introdotto dal dott. Paolo Malato, Direttore della Casa Circondariale di Ferrara, e vedrà gli interventi del dott. Biagio Missanelli e di Nicola Cirelli della Coop. il Germoglio, per parlare del progetto RAEE nel carcere di Ferrara.

Saranno inoltre presenti altri autori di progetti presso la Casa Circondariale locale, che coinvolgono i detenuti in  numerose attività.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 16 ottobre 2014

Le Associazioni di Promozione Sociale al Giardino delle Duchesse

12 Set

Giardino Artigiani 2Il Festival Provinciale APS, Associazioni di promozione sociale, giunto quest’anno alla terza edizione, avrà luogo domani e domenica al Giardino delle Duchesse, con entrata da via Garibaldi, 6.

L’evento – ad ingresso gratuito – serve a divulgare le attività svolte dalle Associazioni di Promozione Sociale del nostro territorio. Per questo vi saranno numerosi approfondimenti, punti d’incontro e di ristoro, oltre ad animazioni e spettacoli. Il Festival permette alle Associazioni di presentarsi usufruendo di spazi in cui allestire banchi espositivi aperti ai visitatori, nei quali poter esibire i loro materiali: dai fascicoli informativi riguardanti le iniziative ai veri e propri prodotti e spettacoli realizzati dalle Associazioni stesse oltre alle modulistiche a disposizione di chi desideri associarsi.

Il programma di domani prevede alle ore 11 l’apertura dei punti d’incontro tra il pubblico e le Associazioni di Promozione Sociale aderenti al Festival. Dalle 12 alle 14.30 verrà aperto il punto di ristoro SLURP e nel pomeriggio via agli spettacoli: dalle 17.30 la Società Danza Ottocentesca con l’esibizione di danza storica “Sulle ali di Strauss”. Dalle 18 l’esibizione-presentazione attività del Centro Sociale ANCESCAO, mentre dalle 18.30 “Impulseart. La notte delle Tastiere” e dalle 19 presentazione dell’attività dell’Associazione L.I.L.T. Lega Italiana per la Lotta ai Tumori. Infine, dalle 21.15 alle 22.45 l’Associazione Musicisti di Ferrara propone l’esibizione-spettacolo della Scuola di Musica Moderna. Domenica, il Festival riapre alle 11 e alla sera vi sarà il Gran Galà con i finalisti di Emilia e Veneto del concorso nazionale “Una Voce per Sanremo 2014”.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 12 settembre 2014