Archivio | marzo, 2022

«Attendiamo la pace sotto le bombe»

30 Mar
Don Moreno insieme ad alcuni profughi accolti

Don Moreno Cattelan ci aggiorna da Leopoli: «siamo tra la paura crescente e piccoli segni di normalità». Il 26 tre bombe russe sopra la città

A un mese dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, ricontattiamo via WhatsApp don Moreno Cattelan, uno dei sacerdoti che vivono nella Casa della Comunità – Monastero di Leopoli (L’viv), nell’ovest del Paese, Monastero che ha un reparto di accoglienza per disabili chiamato Cafarnao e un ostello per giovani intitolato ai ss. Apostoli Giacomo e Giovanni. 

Sabato 26, appena 48 ore dopo la nostra telefonata, Leopoli è colpita da tre bombe russe.Questo il racconto di don Moreno: «Verso le 15,45 abbiamo ricevuto la visita da parte dell’ambasciatore italiano in Ucraina, Pier Francesco Zazo assieme  al  capo della cancelleria Sergio Federico Nicolaci. Sono venuti personalmente a ringraziare per il lavoro che svolgiamo in particolare per la collaborazione che  possiamo garantire nell’aiutare quanti si rivolgono all’Ambasciata  per raggiungere l’Italia. Mentre ci salutiamo scatta l’allarme bombardamenti. Non ci facciamo caso. Passano pochi minuti e sentiamo tre colpi secchi a ripetizione. Hai solo il tempo di mettere in salvo i bambini nel nostro sottoscala. Corri tu, come oltre la strada,  quanti cercano un riparo nei rifugi dei palazzi.  Sale il panico e la paura: “Ci bombardano! Ci bombardano!”.  È il grido dei bambini. Usciamo e notiamo una nube nera non lontano da noi. Il chierico Mykhailo con l’amico Arsen erano vicini alla fermata del tram e hanno visto i missili in cielo cadere sul bersaglio prestabilito. Un vecchio deposito di nafta. Alle 18 una seconda esplosione dalla parte opposta.  Dopo quattro ore l’allarme rientra.  Giusto il tempo di cenare e ci risiamo. Nuovo allarme. Ci troviamo tutti a Casa Cafarnao».  «Sembra passato un anno, non un mese, dallo scoppio della guerra», ci aveva confidato don Moreno. 

Lui e i confratelli nelle scorse settimane sono stati impegnati nell’organizzare viaggi per i profughi da Leopoli al confine con l’Ungheria e da lì per l’Italia o altri Paesi europei. «Sabato scorso è partito l’ultimo pullman, soprattutto di nostri parrocchiani. In molti fuggono perché hanno sempre più paura delle bombe. Ma il flusso di profughi è diminuito, prima facevamo 2-3 viaggi a settimana, ora meno». Il 21 marzo gli orionini di don Moreno avevano cercato di contattare una casa famiglia vicino Mariupol, a Melitopol, che ospita sei bambini orfani, proponendo loro accoglienza a Leopoli, ma il responsabile – che vive nel bunker con i bambini – si è rifiutato per il timore di attacchi durante il viaggio.

All’inizio di questa settimana dovrebbe partire da Leopoli un nuovo pullman con oltre 40 persone in direzione Italia. Ma ora l’incertezza e la paura aumentano. Inoltre, prosegue don Moreno, «da una settimana ospitiamo anche tre volontari italiani dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, provenienti da Rimini e Torino, venuti a Leopoli per assistere insieme ad altre associazioni (tra cui la locale BUR, che significa “Insieme costruiamo l’Ucraina”) i profughi alla stazione dei treni e a farli uscire dal Paese per raggiungere l’Italia in auto».

La solidarietà arriva anche dalla Romania e in particolare da alcuni confratelli orionini di Oradea – don Valeriano Giacomelli e don Gabriel Ciubotaru assieme ad una volontaria, Benedetta – la cui scuola, il Liceo don Orione, ha raccolto 4 tonnellate tra generi alimentari, medicine e materiale per l’igiene personale.

Uno dei missili esplosi non lontano dal Monastero di don Moreno

La vita, quindi, a Leopoli, e nel Monastero stesso, prima delle bombe cercava di riprendere, quanto più possibile, con sembianze di normalità: «abbiamo riaperto l’oratorio – ci spiega don Moreno -, i bambini vengono a giocare a ping pong, a calcetto, sono ripresi gli allenamenti della squadra di calcio dei ragazzi di 11-13 anni». E poi proseguono i lavori, iniziati nel 2018, per la nuova grande chiesa, ora sostituita da una provvisoria. A non essersi mai fermate sono le liturgie: «sempre più persone vi partecipano, per un conforto, per ritrovarsi, per non stare sempre davanti alla tv a sentire notizie di guerra. Al mattino facciamo la veglia di preghiera per i defunti e durante la Quaresima, la Messa la celebriamo solo il sabato e la domenica, oltre alla Via Crucis il venerdì». 

Ma la scuola, come il catechismo, è sospesa, e anche i beni alimentari iniziano a scarseggiare. «Nonostante ci riforniamo alla Metro, l’acqua è razionata, il grano saraceno scarseggia e così, ad esempio, anche i sacchi per la spazzatura». Insomma, nonostante tutto, prosegue, «se riesci a cacciare dalla testa che siamo in guerra, per alcuni aspetti sembra di essere tornati ad alcuni mesi fa», ci diceva il 24, due giorni prima delle bombe. 

«Quanto resta della notte?», è scritto in Isaia 21. Gli rivolgiamo la domanda a lui: «È una notte un po’ lunga, ci affidiamo a Dio. Quello che doveva essere una guerra-lampo si è trasformata in un lungo temporale, anzi in un terremoto. Aspettiamo il giorno in cui questo terremoto si fermerà e allora ci guarderemo attorno e inizieremo a ricostruire, non solo gli edifici, ma soprattutto i cuori e le vite delle persone». 

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 1° aprile 2022

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Donne e bimbi in fuga. Ma Igor è militare in Ucraina

24 Mar
Olga e la sua famiglia uniti in Ucraina prima dell’inizio della guerra

Famiglie divise dalla guerra. La storia di Olga, di Tatiana e dei loro figli. Da una vita serena alle porte di Kiev, al rifugio nei sotterranei. E ora l’accoglienza a Porotto. «Un’odissea per scappare dalle bombe russe. Chissà cosa troveremo al nostro ritorno»

Dal 12 marzo a Porotto vivono due famiglie scappate da Kiev, dove hanno lasciato familiari, parenti, amici. Ogni affetto e ogni luogo della loro vita.

Olga è scappata da Boryspil’, a 30 km dalla capitale, insieme ai figli, Daria di 17 anni e Ivan di 11. A Ferrara hanno raggiunto la madre Ludmila – che vive nella nostra città dal 2000 e lavora nella cucina del ristorante “Le nuvole” – e la sorella Caterina, dal 2004 a Ferrara, impiegata come cameriera all’Hostaria Savonarola.

Le due donne vivono insieme e non avendo spazio nel loro bilocale per ospitare Olga coi figli, han dovuto trovare un’altra soluzione: grazie all’Associazione Nadiya di piazza Saint Etienne, ora sono al sicuro in un appartamento nella frazione fuori città. Ma Olga non è scappata solo coi figli ma anche con l’amica Tatiana e i suoi due figli, Vitaliy di 17 anni e Lilia di 13, che vivono nella stessa località, dove si trova anche l’aeroporto internazionale di Kiev- Boryspil’.

Il marito di Tatiana è morto lo scorso luglio, mentre quello di Olga, Igor, è un militare impegnato nel Servizio di Coordinamento e Controllo dell’Aeronautica ucraina. «Ci sentiamo con lui ogni giorno, più volte al giorno – mi racconta Caterina -, e questo allevia molto la preoccupazione».

Dal 24 febbraio Olga, Tatiana e i loro rispettivi figli non si sono più separati. Da quel maledetto giorno in cui iniziarono i bombardamenti russi, hanno vissuto nel seminterrato di una signora loro vicina di casa: «di giorno mia sorella e Tatiana andavano a lavorare» – Olga è commercialista in una rete di poliambulatori -, e alle 17 rientravano» nel rifugio, dove quindi vivevano in sette.

Il viaggio per arrivare nella nostra città

«Abbiamo dovuto mettere tutta la nostra vita in un bagaglio a mano e partire, senza sapere se al ritorno ritroveremo la nostra casa e i nostri affetti». Così Olga e Tatiana cercano di spiegare la consistenza del dramma che stanno vivendo.

È Caterina a raccontarci la loro odissea da Kiev a Ferrara: «sono partiti la mattina del 9 marzo e sono arrivati a Ferrara alle 22 del 12. Da Kiev avrebbero dovuto arrivare col pullman a Trieste, ma loro e altre persone sono state prima scaricate alla frontiera con la Polonia, che quindi hanno attraversato a piedi, poi alcuni volontari le hanno portate a Varsavia e successivamente a Lubiana». Hanno trovato, nel frattempo, altre difficoltà nel trovare pullman disponibili e con gli ostelli dove poter alloggiare, dormendo anche in stazione. «Dopo tante telefonate abbiamo trovato un autobus privato diretto a Napoli, con 90 posti, a pagamento, che quindi le ha lasciate all’Autogrill Po Ovest».

Un approdo in un posto sicuro, anche se la sofferenza e l’angoscia rimangono. «Daria, mia nipote, il giorno dopo l’arrivo a Ferrara ha avuto un crollo psicologico, piangeva ed era molto triste. Almeno, però, riesce a rimanere in contatto anche con le compagne di scuola. Ora lui e il fratello sono un po’ più sereni».

A breve dovrebbero iniziare ad andare a scuola, e per ora hanno potuto seguire alcune lezioni registrate su Zoom.

Piccoli passi per riabituarsi a una vita normale, se così si può dire, in attesa che dall’Ucraina possano arrivare notizie migliori.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 25 marzo 2022

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A Ferrara per tornare a respirare, a Kiev per resistere e sperare

24 Mar
Galina, Vyacheslav e i figli

Famiglie divise dalla guerra. A Ferrara, nella sede dell’Associazione Nadiya abbiamo  parlato con Galina, scappata con i figli di 6 e 7 anni. A Kiev ha lasciato il marito Vyacheslav, in attesa di essere chiamato a combattere. Lo abbiamo contattato per farci raccontare il dramma in corso

di Andrea Musacci

Galina e i figli in salvo a Ferrara

Kiev così lontana, Kiev mai stata così vicina. Vicina nel cuore, nelle viscere di una donna, di una moglie, di una madre. Vicina nello strazio che vive il cuore di Galina, una delle donne che fino a un mese fa vivevano una vita normale, in una grande capitale europea. E che ora sono qui a Ferrara, a oltre 2mila km di distanza, con i due figli piccoli, sperduti, spaventati pur non del tutto consapevoli di ciò che sta accadendo. Consapevolezza che invece ha lei, nei suoi occhi che presto si bruciano di lacrime. 

Conosciamo Galina il 17 marzo. Siamo in piazza Saint Etienne a Ferrara, di fianco alla chiesa di Santo Stefano. È da poco terminato uno dei corsi di italiano che l’Associazione Nadiya sta organizzando per i profughi provenienti dall’Ucraina. Roberto Marchetti alla fine della lezione domanda chi vuole lasciare una testimonianza per il nostro giornale. Tante le persone che si defilano, le teste che si abbassano, per pudore, tristezza. Galina invece dice: «io voglio raccontare cosa succede».

Arrivata lo scorso 6 marzo a Ferrara insieme ai figli Nazar di 7 anni e Tania di 6, nella Kiev sotto le bombe ha lasciato il marito Vyacheslav e una sorella. Col marito, ci spiega, si sentono quotidianamente tramite Viber o Skype, lui le invia anche immagini della città martoriata. In lei si capisce che combattono il bisogno di sapere e il dolore di conoscere quel che accade. Galina a deciso di venire a Ferrara perché qui sua madre lavora da oltre 10 anni. Lei e i bambini sono stati accolti dalla famiglia dove la madre lavora come badante.

«Alle 4.15 del mattino del 24 febbraio – ci racconta – la Russia ha iniziato a bombardare Kiev. Non ce l’aspettavamo. Abbiamo visto passare i razzi sopra le nostre case. Noi viviamo al 18° piano di un edificio di 22 piani, nel quartiere Darnyts’kyi», zona est di Kiev.

Il 3 marzo lei e i bambini hanno lasciato la città, pagando un privato perché li portasse fino a Ternopil. Un viaggio durato 19 ore. 

«Siamo stati un giorno in un parcheggio sotterraneo insieme a tante altre persone.  I genitori come me uscivano ogni tanto per comprare da mangiare. Poi per alcune ore siamo stati ospitati in un alloggio, prima che alcuni volontari ci portassero al confine con la Polonia. Ci tengo tanto a ringraziare le persone che ci hanno aiutato e quelle che ci hanno accolte». 

«Mio marito è rimasto a Kiev a fare la resistenza», prosegue Galina. «Mi racconta che lì la gente ha paura, si nasconde nei sotterranei, è terrorizzata dalle bombe e dai residui degli ordigni che cadono. Ma iniziano ad aver paura di andare anche nei sotterranei perché temono che le case possano crollare». 

«Non vorrei – conclude – che Kiev finisse come Mariupol o Kharkiv. Le persone nella mia città sono molto depresse dopo settimane di bombardamenti, pensano di morire, gli sembra di non avere vie d’uscita».

Vyacheslav aspetta di arruolarsi a Kiev

Prima mi invia le foto da Kiev dei palazzi dilaniati dalla furia russa. Poi mi inizia a scrivere su WhatsApp, Vyacheslav, marito di Galina, tre settimane fa ha dovuto farla partire con i bambini per un Paese lontano, il nostro. 

Le sue parole decide di anticiparle con le foto e i video della devastazione nel distretto di Podolsky e in quello di Lukyanovka, e dell’orrore dei corpi dilaniati a Mariupol.

«Sto aspettando di essere convocato per arruolarmi nell’esercito – ci spiega –, sono pronto per combattere». «Qui a Kiev in molti sono pronti ad arruolarsi ma attualmente non ci sono abbastanza armi per tutti. In ogni caso se i russi invadono la città, dobbiamo tutti combattere. Anch’io». 

Vyacheslav mi spiega che si è laureato al Dipartimento militare, ed è impiegato come contabile, anche se naturalmente ora la sua azienda è chiusa. Ora che la sua famiglia è dovuta scappare, vive con la madre di 82 anni nel suo appartamento nel Distretto di Nyvok a Kiev. «È anziana, non è riuscita a lasciare la città e in ogni caso non avrebbe voluto abbandonare la sua casa».

«Qui spesso i russi bombardano la città dalle 3 alle 8 del mattino, ogni giorno c’è il coprifuoco. L’azione della nostra difesa aerea è molto dura, Irpin e Gostomel sono vicine», rispettivamente a 50 e 70 km dalla capitale. «Il nostro Paese ha bisogno di una difesa aerea più imponente e di altri aerei perché la gente sta molto soffrendo sotto le bombe. Mariupol e Kharkiv sono state praticamente distrutte».

«Le nostre giornate le trascorriamo in casa, esco solo per comprare l’acqua e altri beni essenziali. All’inizio – prosegue – spesso ci rifugiavamo nel seminterrato della nostra casa, ma ora quando le sirene suonano non scappiamo nemmeno più, rimaniamo in casa. Tante persone, però, sono scappate nella metropolitana e ora vivono lì».

Vyacheslav poi mi racconta di suo figlio di 15 anni, avuto dal suo primo matrimonio. Lui vive con la madre e la nonna a Kherson, città occupata dai russi. «Mio figlio mi racconta che l’esercito russo bombarda i rifugi antiaerei dove le persone si rifugiano, quando l’esercito ucraino ha attaccato le loro truppe».

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 25 marzo 2022

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Nadiya a Ferrara, assistenza a tutto tondo

17 Mar
Corso di italiano nella sede dell’Associazione Nadiya (14 marzo 2022)

Crisi Ucraina: accoglienza di nuclei famigliari, corsi di italiano, aiuto per ogni tipo di pratica e assistenza psicologica

Non un grande momento per festeggiare i primi 20 anni di vita. L’Associazione Nadiya di Ferrara è da settimane in prima linea nell’assistenza e nell’accoglienza delle donne ucraine. In totale, in questi anni Nadiya ha assistito 2974 persone, di cui ben 1959 ucraine.

Lo scorso 12 marzo, come ci spiega Roberto Marchetti, fondatore dell’Associazione, «abbiamo accolto sei persone da Kiev, due donne entrambe con due figli. Le ospitiamo a Porotto in un appartamento che abbiamo preso in affitto». Per ora sono 700 i profughi ucraini arrivati a Ferrara.

In termini di accoglienza di donne straniere in condizioni di difficoltà lavorative o con problemi di salute, Nadiya vanta una certa esperienza: in via Frescobaldi, 54 gestisce una Casa di accoglienza composta da 6 monolocali avuti in affitto dal Comune dove attualmente ospita 6 profughe nigeriane, alcune badanti malate o in difficoltà e due persone fuori convenzione. 

«Questa casa di accoglienza – ci spiega Marchetti – non è solo d’aiuto per le donne ospitate ma anche per le famiglie dove queste hanno svolto badantato e che non possono più tenerle con sé. Siamo anche in contatto con i reparti di ematologia e oncologia di Cona, che ci avvisano quando una donna gravemente malata non ha più speranze di sopravvivere. A quel punto, anche se non è per nulla facile, la avvisiamo chiedendole se vuole rimanere ospite della nostra struttura o preferisce tornare nel suo Paese d’origine». 

Alcune donne vengono accolte in questa Casa perché non possono permettersi neanche un appartamento in affitto. Per avere la pensione ci vogliono almeno 20 anni di badantato, e spesso alcune badanti svolgono appena 4 ore al giorno di servizio, insufficienti per avere una pensione dignitosa. Spesso capita anche che in Ucraina non abbiano versato i contributi.

Tornando ai profughi giunti in questa settimana a Ferrara dall’Ucraina, l’Associazione li aiuta anche per l’iscrizione a scuola dei bambini e dei ragazzi, con un corso di italiano (foto del 14 marzo) tenuto da Marchetti con un’interprete bilingue loro ospite, oltre che per le pratiche legate alle vaccinazioni o di altro tipo. Inoltre, Nadiya promuove una serie di incontri di gruppo liberi e gratuiti gestiti da uno psicologo-psicoterapeuta, con l’obiettivo di aiutare gli ucraini in questo drammatico momento che vede tanti loro familiari sotto le bombe. Finora sono stati due gli incontri, il 4 e l’11 marzo. Si sta valutando se proseguire in questa modalità oppure organizzarne anche per i profughi arrivati in città.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 marzo 2022

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Ivan a Cernivci guida la macchina della solidarietà

17 Mar
Donne a Leopoli cuciono reti per coprire i mezzi militari

A “La Voce” spiega: «le difficoltà aumentano giorno dopo giorno». I contatti quotidiani con l’Italia (anche con IBO)

Ivan Sandulovich fa parte dell’Associazione Italia-Ucraina di Bologna, città dove ha vissuto 15 anni. Di solito ogni anno almeno per 6 mesi si reca in Ucraina per coordinare progetti di cooperazione internazionale, ad esempio per bimbi disabili. Ora, però, il periodo nel suo Paese d’origine si prolungherà.

Ivan si trova a Cernivci, a un’ora di macchina da Siret in Romania. Insieme ad altri 30 volontari dell’Associzione e agli operatori e ai volontari del Comune di Cernivci, organizza nel Centro regionale (gli altri due nell’ovest del Paese sono a Leopoli e Uzhorod) la raccolta e lo smistamento dei beni di prima necessità per i profughi, l’aiuto agli stessi durante il loro viaggio verso il confine rumeno, oltre a mantenere i contatti con enti, istituzioni e associazioni in Italia. Fra questi vi è IBO, che a Ferrara sta organizzando una raccolta di beni di prima necessità da inviare in Ucraina grazie anche ad Amos Basile e Agnese Di Giusto, i due volontari che sono dovuti rientrare da Kitsman a causa della guerra (ne abbiamo parlato nel numero scorso), dov’erano impegnati nel Centro Campanellino “Dzvinochok” per minori disabili.

Sono decine di migliaia – circa 60mila – le persone giunte a Cernivci da altre zone del Paese in guerra. «Molte – ci racconta Ivan – arrivano con solo uno zainetto, non hanno nulla. Spesso sono donne coi loro bambini. Vengono accolte in strutture di accoglienza, arrivano stremate, non mangiano da giorni». Ma uno dei compiti di Ivan è anche quello di fare in modo che gli aiuti dall’estero arrivino il prima possibile dove sono destinati. «Controllo cosa arriva, la destinazione e organizzo il trasporto, rendicontando tutto». 

I volontari della sua Associazione assistono anche i profughi durante il loro viaggio verso il confine, muovendosi ad esempio con mezzi agili nel traffico in mezzo alle lunghe file di macchine. «Capita spesso di dover assistere madri con bambini piccoli», ci spiega Ivan. In generale, la situazione in città non è facile. «Scarseggiano i carburanti, lunghe sono le file di auto davanti ai benzinai, che li esauriscono in poche ore. Gli alimentari si trovano, pur con prezzi maggiorati, molti farmaci bisogna prenotarli ma non si sa quando verranno recapitati». La speranza è che le bombe non arrivino anche qui. «La gente non può più lavorare, temo ci saranno tanti casi di crolli psicologici».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 marzo 2022

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Nel cuore dell’esodo: la situazione a Leopoli

17 Mar

Don Moreno Cattelan: «accoglienza e profughi al confine, ma intanto le bombe si avvicinano»

Don Moreno con una famiglia di profughi accolta

Quando riusciamo a metterci in contatto con lui via WhatsApp (l’11 marzo) la voce è sempre calma. Calma nonostante tutto. Da alcuni giorni erano sempre più chiare le intenzioni degli invasori russi: bombardare sempre più nell’ovest dell’Ucraina, verso la regione di Zhytomyr. E poche ore prima di parlare con don Moreno Cattelan, verso le 5.30 del mattino le forze di Mosca hanno lanciato un attacco con missili a lungo raggio ad alta precisione contro due aeroporti militari nelle città di Lutsk e Ivano-Frankivsk, distruggendoli, provocando morti e feriti. Lutsk si trova a 150 km a nord da Leopoli, dove don Moreno vive da alcune settimane con i suoi confratelli della comunità di “Don Orione”, mentre Ivano-Frankivsk è ancora più vicina, a 130 km verso sud. «Sono scattate le sirene, era ancora notte», ci racconta don Moreno. «Noi possiamo dirci ancora tranquilli, ma la paura e la tensione crescono». 

Inoltre, la notte tra il 12 e il 13 marzo i russi hanno colpito l’International Center for Peacekeeping and Security, di Yavoriv, a 30 km a nord ovest di Leopoli e a 25 km dal confine con la Polonia.

Continua l’afflusso di migliaia e migliaia di profughi da Kiev e dall’est del Paese verso Leopoli, per sfuggire alle bombe, ai combattimenti e alla miseria, per poi o rimanere lì oppure passare il confine ungherese, polacco o moldavo. «Ci sono 2 km di fila per entrare in stazione», per controllare ogni persona. Molti arrivano dalle campagne, da piccole località, gente semplice, che non si è mai spostata dal proprio paese, come la donna, ci racconta don Moreno, «che aveva con sé ancora il passaporto dell’URSS». Il flusso alle frontiere in questi giorni, però, diminuisce, chi voleva fuggire l’ha fatto la scorsa settimana.

«Nella nostra comunità “Don Orione” in questi giorni accogliamo 35 persone, siamo pieni e quindi le indirizziamo ad altri centri in città. Qui a Leopoli siamo ancora autonomi nell’approvvigionamento dei beni essenziali. Se a volte ci manca qualcosa per i nostri ospiti, chiediamo al centro di accoglienza allestito nella scuola qui vicina, e quando possono ci donano patate, polpette o altro». 

E poi il missionario padovano insieme ai confratelli don Egidio Montanari e Mykhailo Kostivdon continua a organizzare i viaggi per portare i profughi al confine ungherese. «Ad oggi abbiamo fatto 6 pullman, per un totale di circa 200 persone, e con un altro partiamo fra mezz’ora». Molti arrivano da Kiev (impiegando 3 giorni per fare 550 km), da Poltav, da Kharkiv. Su quest’ultimo pullman ci saranno bambini, disabili, malati, alcuni di loro si fermeranno all’ospedale “Burlo Garofalo” di Trieste. Altri arriveranno a Mestre per poi raggiungere altri profughi ucraini nelle comunità orioniane di Tortona e Fano, oppure a Milano, altri ancora andranno a Genova. «Abbiamo accompagnato al confine anche 7 famiglie italiane, indicateci dalla nostra Ambasciata», che a Leopoli si è trasferita, da Kiev, il 1° di marzo.

La guerra aiuta, per forza, anche a crescere in fretta, a volte troppo. È il caso, ad esempio, di due ragazzine ucraine di 16 anni che hanno raggiunto, da sole, le nonne in Italia, una a Trento l’altra a Novara.

Infine, a don Moreno, prima che raggiunga il pullman per un nuovo viaggio della sperranza verso l’Ungheria, gli chiediamo come stanno i ragazzi disabili che dal loro centro a Leopoli sono stati trasferiti due settimane fa nelle comunità di Fano e Tortona: «stanno bene, cercano di integrarli e di tenerli impegnati, gli fanno fare piccoli lavoretti, come realizzare collane con perline. Quand’erano qui a Leopoli facevano anche un laboratorio per realizzare icone». 

A Tortona, poi, è stato realizzato un piccolo reparto dove gli ospiti ucraini dispongono di una piccola cucina, in modo da essere autonomi, e tra loro solidali.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 marzo 2022

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A Drohobych aumenta la tensione e insieme la fede e il coraggio

17 Mar
Famiglia aiutata da padre Roman

Padre Roman Fedko, sacerdote cattolico di rito bizantino, ci aggiorna sulla situazione nell’ovest del Paese. Ogni giorno aumentano i profughi e i poveri ma la solidarietà regge

La paura, giorno dopo giorno, cresce anche nell’ovest dell’Ucraina. E di pari passo aumenta la solidarietà e la preghiera. Abbiamo ricontattato Padre Roman Fedko, sacerdote cattolico di rito bizantino che con la famiglia (la moglie e i tre figli) vive a Rychtyci, a pochi km da Drohobych, vicino al confine con la Slovacchia e la Polonia.

«Noi stiamo bene – ci dice l’11 marzo -, i generi di prima necessità si trovano ancora, ma ieri notte hanno bombardato i due aeroporti militari nelle città di Lutsk e Ivano-Frankivsk», quest’ultima a 120 km da Leopoli, la distanza che divide Ferrara da Reggio Emilia.

«Da qualche giorno qui gira una brutta voce», prosegue: «la Russia accusa l’Ucraina di voler usare armi chimiche. Non solo è una fake news usata dai russi ma di solito quando loro accusano gli altri di qualcosa significa che cercano un pretesto per compiere loro stessi quell’azione. È successo così in Siria, ad esempio. Temiamo, quindi, che prima o poi siano loro a usare armi chimiche contro il nostro popolo. E poi c’è il terrore che possa accadere qualcosa dalla centrale di Chernobyl», ora in mano agli uomini di Putin. 

Nonostante ciò, la zona non ha ancora conosciuto combattimenti o bombardamenti. «Abbiamo un po’ più di paura ma col tempo la gente si sta abituando anche a questa situazione straordinaria. In zona ci sono tanti profughi, scuole e altre strutture pubbliche vengono usate per dare alloggio a chi scappa da Kiev e da altre città. Molti decidono di non proseguire verso il confine polacco o ucraino perché si ritengono già fortunati di essere arrivati sani e salvi qui».  

Quasi quotidiana è l’opera di assistenza da parte di Padre Roman di poveri, anziani e profughi. «Oggi sono andato a Drohobych in una scuola allestita come centro di accoglienza che ospita oltre 200 profughi e ho portato riso e altri alimenti». Ieri, invece, «qui a Rychtyci sono tornato a trovare alcune famiglie povere con bambini, tra cui alcune di rom – di cui mi occupo da oltre 10 anni -, che naturalmente con la guerra hanno peggiorato la loro situazione. Poi, regolarmente faccio visita, sempre qui nel mio paese, a un hospice, un centro palliativo che ospita più di 20 anziani allettati». 

Continua anche la difesa territoriale, con tutti gli uomini dai 18 ai 75 anni d’età che si sono arruolati. Ogni giorno si vive col pensiero che la guerra possa iniziare, del tutto, anche qui. Anche le strategie di difesa come le barriere anti carro armato rispetto ai primi giorni vengono organizzate meglio e in maniera più efficace, con la supervisione dei militari. Prosegue anche la realizzazione di teli neri, spesso fatti con poveri stracci, per metterli sugli edifici e altri punti importanti in modo che i caccia russi non riescano a vedere bene dove eventualmente bombardare.

Poi, però, c’è il problema dei russi che «girano da civili, anche da prima della guerra, spacciandosi per ucraini e cercando di raccogliere informazioni importanti. Oppure «sappiamo di persone pagate dalla Russia per compiere attentati alle centrali elettriche o del gas».  

Infine, proseguono le veglie di preghiera: «aumenta sempre di più il flusso di persone che viene per pregare, il doppio rispetto a prima. E continuo il Rosario sul mio profilo Facebook, al quale si collegano circa 200 persone la mattina e 400 la sera. Per molte persone – conclude Padre Roman – venire in chiesa significa trovare un po’ di pace, riacquistare un po’ di tranquillità. Ogni giorno, poi, confesso circa 70 persone e tante altre mi chiamano per chiedermi aiuto, dei consigli, per parlare e sfogarsi, per chiedere come poter essere utili».  
Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 marzo 2022

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«Accompagniamo famiglie e disabili al confine»: il racconto di don Cattelan da Leopoli

9 Mar
Profughi in partenza dalla Comunità “Don Orione” di Leopoli

Don Moreno Cattelan racconta a “La Voce” l’impegno nell’aiutare le persone a raggiungere la frontiera ungherese per poi arrivare in Italia. La loro comunità è diventata centro di accoglienza dei tanti profughi

Sono veri e propri viaggi della speranza quelli che migliaia di ucraini da giorni stanno compiendo per sfuggire alla furia distruttiva dell’invasore russo. Viaggi che non sarebbero possibili senza il forte spirito solidale della popolazione e, nello specifico, senza l’aiuto dei tanti sacerdoti e delle tante opere cristiane radicate sul territorio. 

Fra i più attivi in questo senso c’è don Moreno Cattelan, missionario padovano della congregazione di Don Orione, la “Piccola Opera della Divina Provvidenza”, opera presente dal 2000 nella periferia di Leopoli, impegnata nell’animazione giovanile e nell’accoglienza di giovani disabili. Lo abbiamo contattato telefonicamente per farci raccontare la situazione. «La notte tra il 25 e il 26 febbraio da Kiev mi sono trasferito a Leopoli insieme a don Egidio Montanari», presente in Ucraina dal 2000. Un viaggio durato 18 ore. «Qui, abbiamo raggiunto il chierico Mykhailo Kostiv, mentre don Fabio Cerasa», altro sacerdote orioniano, «è andato a Tortona per dare una mano all’accoglienza dei profughi e per tenere i contatti tra noi e le comunità in Italia. A Kiev io e don Egidio in questi due anni abbiamo cercato di iniziare la nostra missione, ma prima il covid e poi la guerra non ci hanno aiutato». In ogni caso, «qualche progetto nel nostro quartiere l’avevamo iniziato, soprattutto coi bambini».

Don Moreno Cattelan

A Leopoli il centro di accoglienza nel Monastero dispone di 30 posti letto e di un grande refettorio. In queste settimane è un flusso continuo di persone provenienti da ogni zona dell’Ucraina: alcuni si fermano, altri invece proseguono verso il confine con l’Ungheria per raggiungere l’Europa. 

E in questi viaggi verso il confine – finora un centinaio di persone hanno accompagnato da Leopoli -, in direzione dell’Italia e di altri Paesi europei, i due sacerdoti italiani sono attivi in prima linea. Solo nella giornata del 3 marzo, quando riusciamo a parlare per la prima volta con don Moreno, hanno portato al di là del confine 42 persone, di cui oltre la metà bambini. Ad attenderli, un pullman diretto in Italia: metà di loro, i ragazzi disabili ospitati nella comunità di Leopoli, sono stati accolti dal Centro “Mater Dei” di Tortona dell’Opera “Don Orione”, una decina in una struttura orioniana di Fano e altri a Torino. Altri ancora, invece, arrivati a Mestre, si sono fermati in zona da alcuni parenti. Domenica 6 hanno accompagnato al confine ungherese dieci bambini con le madri. 

Ma il viaggio da Leopoli all’Ungheria, normalmente di circa 7 ore, non è facile: «già per noi – ci racconta don Moreno – è stata un’odissea fuggire da Kiev», un lungo viaggio «su strade spesso bombardate». E ora questi viaggi quotidiani per portare i profughi al confine, spostamenti nei quali, «oltre alla difficoltà di trovare pullman disponibili, si aggiunge il fatto che molti sono sprovvisti di passaporto. «È gente umile, non abituata a viaggiare. Per fortuna, per loro scatta automaticamente la protezione umanitaria». Tra le persone che hanno accompagnato, anche una bimba di un anno e un mese provvista del solo certificato di nascita. E a proposito dei bambini, don Moreno sottolinea come da poche settimane avevano ripreso ad andare a scuola. «Quando li ho lasciati al confine diretti verso l’Italia, ci siamo promessi di rivederci fra una settimana. Ma sarà molto dura. In Italia vengono accolti e integrati bene», per ricostruirsi una normalità, ma per loro, soprattutto per loro, è stato uno sradicamento non da poco, feroce e improvviso. Ma le dogane sono intasate e quindi don Moreno ci spiega che stanno cercando altri punti di confine dove portare i profughi.

Non tutti però raggiungono la comunità orioniana di Leopoli per starci solo qualche giorno prima del viaggio verso il confine. Alcuni decidono di rimanervi, come le tre famiglie, tutte con bambini, fra cui un neonato nato i primi di febbraio, o alcune anziane, provenienti da Kiev e da Kharkiv, una delle città più martoriate dalla furia distruttiva russa. «Stasera – ci spiega don Moreno venerdì 4 – un’altra madre coi figli partirà da qui verso l’Ungheria, mentre il padre tornerà a Kiev per combattere con l’esercito di difesa cittadino. Alcune persone che arrivano qui da noi a Leopoli tremano dalla tensione, e dopo tre giorni senza aver mangiato. Qui si autogestiscono e si aiutano reciprocamente con la cucina e la lavanderia. C’è un forte senso di familiarità». 

Ma anche mentre scriviamo, tante sono le persone che continuano a raggiungere Leopoli, ormai centro di raccolta e smistamento delle migliaia di sfollati che lasciano le città di un Paese che il governo di Putin sta cercando di schiacciare e sottomettere.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 marzo 2022

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«Uniti nella preghiera e nella resistenza»: il racconto di Padre Roman Fedko dall’Ucraina

9 Mar

Testimonianza da Drohobych a “La Voce”. «Qui ognuno è volontario, tutti aiutano in qualche modo»

di Andrea Musacci

Drohobych è una località nella zona occidentale dell’Ucraina, a quasi 80 km da Leopoli e vicina al confine con Slovacchia e Polonia. Qui vive Padre Roman Fedko, sacerdote cattolico di rito bizantino, sposato e con tre figli di 16, 10 e 4 anni. Parla bene l’italiano perché dal 2001 al 2009 ha studiato e conseguito la licenza e il dottorato all’Istituto Patristico Augustinianum dell’Università Lateranense di Roma. 

Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per farci raccontare la situazione nella zona in cui vive. «Per il momento è relativamente tranquilla. Alle 4.30 del 24 febbraio scorso, primo giorno di guerra, siamo stati svegliati da missili esplosi a 25 km da qui. Solo dopo abbiamo saputo che ne sono stati lanciati quattro in una piccola zona militare», una delle tre del territorio. Missili che, però, hanno colpito anche tutti gli edifici circostanti, con diversi feriti. «Poi abbiamo visto aerei militari volare basso e velocissimi. Qui non se l’aspettava nessuno, fino al giorno prima si parlava di dialogo». Le giornate di padre Roman come di tutti gli abitanti di Drohobych sono impastate di paura, dolore, ma non di rassegnazione. «La notte, anche per due o tre volte sentiamo il suono delle sirene: le persone scappano nei sotterranei», negli scantinati, nei piani interrati. Padre Roman e la sua famiglia non ne hanno uno. «Ma anche i miei figli dopo più di una settimana di guerra in un certo senso si sono abituati».

«La popolazione qui è molto unita, tutti sono volontari: davvero enorme e commovente è stato il risveglio della gente. Tanti sono quelli che si arruolano volontari nell’esercito, c’è sempre la fila davanti alle sedi militari». Otto anni fa, durante la guerra in Crimea non fu così: «molti sentivano la guerra comunque come più lontana». Altri, invece, hanno combattuto anche in quel conflitto, e quindi hanno molta esperienza. Chi non impugna le armi prepara il cibo per chi ha bisogno, i pacchi con i beni di prima necessità, aiuta gli anziani di un ospizio, le famiglie povere, oppure costruisce barriere anti carro armato: «sono barricate con sacchi pieni di sabbia», ma anche veri e propri «blocchi di cemento armato che vengono posizionati su diverse strade che portano alla città per impedire ai carri armati russi di passare».

Per quanto riguarda, invece, l’accoglienza dei profughi, a Drohobych e Truskavets, quest’ultima nota città termale poco distante, «molti edifici, tra cui quelli termali, sono stati messi a disposizione dei profughi, e in tanti hanno aperto le porte delle proprie case alle famiglie che arrivano da Kiev o da altre zone». In molti, però, sono di passaggio, si fermano due giorni per proseguire verso il confine con la Polonia, nella speranza di arrivare in Europa. Ma la solidarietà e la resistenza si concretizzano anche in altri modi: «diverse donne della mia parrocchia realizzano reti, tende nere di diverse stoffe per mascherare gli edifici, in modo che gli aerei russi senza pilota non li possano vedere e colpire».

E naturalmente c’è la preghiera, diffusa, continua, popolare, 24 ore su 24: sia in chiesa sia on line sulla pagina Facebook di padre Roman, con collegate ogni giorno centinaia di persone. Ma i soldati, padre Roman, li aiuta anche confessandoli: «in questi giorni – ci racconta – avrò confessato e benedetto una 30ina di soldati. A ognuno di loro regalo anche il rosario. Ieri di rosari ne abbiamo benedetti un centinaio».

Insieme al dolore, da ogni parola di padre Roman si sente anche l’orgoglio. Quello di un popolo che i russi vogliono schiacciare. «O siamo uniti e resistiamo oppure l’Ucraina non ci sarà più. Ora i missili arrivano anche dalla Bielorussia (alleata di Putin, ndr), e temiamo che anche il loro esercito ci invada in appoggio alla Russia». Un ringraziamento nasce in lui spontaneo prima di lasciarci: «Grazie di cuore a voi ferraresi per tutto l’aiuto che ci state dando. E grazie all’Italia e all’Europa che ci sostengono».

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 marzo 2022

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Nessuno può toglierci la nostra umanità, ci insegna Etty Hillesum

9 Mar

La mostra dalle Clarisse presentata il 1° marzo: «dobbiamo sempre cercare di scoprire questo debordare dell’umano, la positività nel reale»

Nulla ci viene strappato per sempre. Se immersi nell’orrore e nella miseria di un campo di concentramento, questa certezza è possibile solo grazie a un’assurda e smisurata fede.

È la fede di cui era piena Etty Hillesum, ebrea olandese deportata ad Auschwitz, dove muore il 30 novembre 1943 all’età di 29 anni. Di questo legame intimo con l’Assoluto, Etty lasciò traccia in un lungo Diario e in diverse Lettere (edite in Italia da Adelphi).

Fino al 9 marzo è possibile avvicinarsi al cammino di fede e di umanità di Etty grazie alla mostra realizzata dal Meeting di Rimini nel 2019 ed esposta nel coro del Monastero del Corpus Domini di Ferrara. La mostra è visitabile ogni pomeriggio dalle 15.30 alle 17.45. Per le visite guidate è possibile contattare Elisabetta Urban (cell. 351-5512283) o Giorgio Irone (3348045353), due giovani del CLU – Comunione e Liberazione Universitari di Ferrara. Negli stessi orari è possibile visitare la cappella del forno, alle ore 18 partecipare al Vespro e alle 18.30 alla Celebrazione Eucaristica. 

La mostra è stata presentata la sera del 1° marzo, davanti a una 40ina di persone, da uno dei curatori, il giornalista e scrittore Gianni Mereghetti, affiancato da Elisabetta Urban e Giorgio Irone. Proprio dal CLU è nata l’idea di portare l’esposizione dalle Clarisse. Una proposta nata grazie al fatto che da un po’ di tempo gli universitari di CL la Scuola di Comunità la svolgono proprio nel Monastero di via Campofranco.

Quello spiraglio di positività sempre da scoprire

Qualsiasi cosa accada non ci possono togliere nulla, non possono toglierci la nostra umanità: «questo pensava, viveva Etty Hillesum», ha spiegato Mereghetti.

«Etty ci insegna il metodo dell’ascoltare la realtà, per comprendere le cose vere», nella loro verità. «Un ascolto possibile solo nel pieno coinvolgimento».

Nel 1941 avviene l’incontro decisivo della propria vita, quello con lo psico-chirologo Julius Spier. È lui che la aiuterà ad ascoltarsi nel profondo, «ad aprirsi all’altro e a Dio in maniera autentica». Da qui la certezza che dentro la realtà «c’è sempre qualcosa di positivo, uno spiraglio di positività. Dobbiamo sempre cercare di scoprire questo debordare dell’umano». Di conseguenza, il compito che d’ora in poi si darà, sarà quello di «dissotterrare nel cuore dell’altro la positività della vita, di disseppellire Dio».

Nel campo di transito di Westerbork, dove Etty lavorerà come assistente sociale prima di essere deportata ad Auschwitz insieme ai genitori e al fratello Mischa, «non troverà solo miseria e disperazione» ma anche, nelle persone lì costrette, «un desiderio di bene e una grande umanità». Un “ascolto”, anche questo, fatto col cuore, tipico di chi «ha sempre vissuto l’impatto col reale, non difendendosi da esso ma vivendolo fino in fondo».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 marzo 2022

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