Archivio | ottobre, 2016

Fabrice Hadjadj: «Grazia e gratitudine contro la logica senza genealogia»

29 Ott
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Fabrice Hadjadj

“Perché dare la vita a un mortale? Essere genitori alla fine del mondo” è il nome dell’incontro pubblico tenuto dallo scrittore francese Fabrice Hadjadj lo scorso 27 ottobre nell’Auditorium Bisoffi in via Calatafimi a Verona, e organizzato da Associazione EdRes, con Gavia, Braida e ABiCi.

Dopo i saluti istituzionali con l’intervento dell’Assessore Alberto Benetti, vi è stata l’introduzione di Valeria Biasi, promotrice culturale, la quale ha definito Hadjadj «un pensatore, un cercatore, che ha trovato la fede cattolica senza cercarla».

“Le donne partoriscono a cavallo di una tomba”: con questa battuta di Beckett in “Aspettando Godot”, ha preso avvio la lunga, tormentata e appassionata riflessione di Hadjadj. Ha scelto di partire così, crudamente, senza fronzoli, com’è nel suo stile. «La culla, insomma, non sarebbe che un’illusione, il nascituro è come se fosse coricato in una bara. Invece – è il pensiero che Hadjadj ha cercato di portare – anche se è solo un istante, il giorno splende, il sentimento dell’assurdo non è primario. Il non-senso, infatti, lo sentiamo perché primariamente siamo destinati al senso, che lo vogliamo o no è così. Le tenebre sono mordaci solo sullo sfondo del giorno». Per il relatore, l’interrogativo sul perché procreare «apre uno spazio alla tragedia, senza per questo dimenticare lo stupore iniziale». Perché ci riproduciamo? Perché non scegliere di non riprodursi, dato che è tra le possibilità dell’essere umano? «Questa è la domanda delle domande, l’essenza stessa del perché. È questa la domanda fondamentale, non “la vita vale la pena di essere vissuta?”»

A differenza degli altri animali, non andiamo semplicemente in calore, «ma abbiamo un fervore rituale, c’è in noi una tendenza naturale che però dev’essere animata da una ragione più specifica». Storicamente, invece, bisogna considerare che «un tempo fare figli non era necessariamente un imperativo, ma uno scopo indiscutibile. Da quando il generare – ha proseguito Hadjadj – è diventato per molti un problema, allora ci siamo trovati sguarniti davanti a certe risposte». Al contrario la riproduzione della specie, «la genealogia, la fertilità sono da sempre essenziali per le religioni, fin dall’epoca primitiva», perché parte della natura umana. Con l’arrivo della filosofia antica, invece, «il filosofo si inizia a interrogare sull’origine prima del mondo, dimenticando la persona, la genealogia, la famiglia in carne e ossa. Poi, con la modernità, addirittura siamo arrivati a pensare che «la felicità sia legata al benessere, ma questa cura individualistica di sé ha arrecato molti danni alla fertilità».

Se è vero che già nel XIX secolo bisognava fare figli per la Patria, per la guerra, per il Partito o il regime di turno, così come oggi per lo Stato Islamico, ad esempio, insomma «il partorire era, ed è considerato un mezzo, non un fine in sé», oggi la situazione è ancora peggiore: «l’aborto – che è sempre un aborto della logica, della vita, una degradazione a programmazione –, la pillola, il parto senza dolore, la fecondazione in vitro, e quella medicalmente assistita, rendono la nascita non più dominio della donna ma degli ingegneri del vivente. Il dono della vita diventa diritto ad avere figli, o a non averne, o a sopprimere il feto. La nascita per via sessuale cede, quindi, il passo alla fabbricazione biogenetica, per costruire un essere adattato ai nostri progetti, fino alla “dolce morte”. Perlopiù – secondo Hadjadj – tutto ciò avviene in un contesto di crisi ecologica – dove si comprende che le risorse non sono illimitate, e quindi “conviene” anche procreare di meno – e di crisi antropologica».

L’analisi dello scrittore è spietata, perché sincera: «oggi l’essere padre o madre è considerato una degradazione, è il contrario del soggetto autonomo idealizzato dalla società attuale, chi sceglie di non avere figli viene considerato una persona che prende una scelta eticamente meno pericolosa, e il motivo che si addotta è di non avere nessun dovere di far venire al mondo degli esseri umani, che perlopiù soffriranno. Oggi chi sceglie di essere madre viene vista o come schiava sottomessa o come donna con un coraggio sovrumano. I cosiddetti “senza figli per scelta” dicono che il figlio, per farlo nascere, dovrebbe avere condizioni di vita eccellenti, ma è impossibile, quindi non se ne fanno: questa è una compassione senza passione, che pensa che quei figli, tanto, sono destinati a morire. Al contrario, un tempo le donne si gettavano a far figli senza pensarci troppo, nonostante le sofferenze e il rischio di morte legati al parto».

A questo punto Hadjadj cerca gradualmente di abbandonare la pars destruens della sua riflessione, e di concentrarsi sempre più sulla speranza e la bellezza legate al mettere al mondo dei figli. Come diceva all’inizio: “partorire sulla soglia della tomba”. «Sì, ma le tombe si apriranno, i sepolcri saranno vuoti, non generiamo per questo mondo, ciò ci insegna la fede. La Rivelazione, infatti, non è un sistema di risposte a tutto, ma qualcosa che ci chiama personalmente, e che implica una riscoperta e reinterpretazione del reale. Poi impariamo, con l’esperienza, che il sesso è legato essenzialmente allo spirito (“Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente”, Salmo 83), e quindi mette in gioco la relazione divina, è insomma un intreccio tra ciò che c’è di più naturale e ciò che c’è di più soprannaturale». La sua meditazione è un crescendo di passione e di fede: «il semplice fatto di dare la vita contiene già in sé un piccolo barlume di speranza nella vita eterna, è evidente che il nostro sesso ci spinge naturalmente verso l’altro sesso, e che questo incontro ci apre alla procreazione, come la chiave e la serratura di una porta segreta. Per gli animali ciò è istintivo, per noi invece no, abbisogna del massimo della metafisica».

Come già accennato, parlare di nascita significa anche parlare di tragedia, di fragilità, della «nostra vulnerabilità radicale, principio di ogni vulnerabilità umana: dare la vita significa mettere al mondo una persona vulnerabile, e quindi essere all’origine della sua vulnerabilità, essere “responsabili” di ciò, e dunque anche del suo dolore. Questa vulnerabilità radicale riguarda il male subito ma soprattutto quello compiuto, è la vulnerabilità al peccato originale». Sono, questi, concetti alieni in una società come la nostra dove «si cerca la salute non la salvezza, la comodità nella tecnica non lo sforzo nella Grazia». Dove, quindi, si segue «la logica e non la genealogia»: ma «la logica diventa appunto aberrante se abbandona la genealogia, appena cioè non è più motivata per la vita, a dare la vita, se insomma vive una sorta di ipertrofia del “perché”: infatti, il perché estremo è senza perché».

«Solo la Croce – è la conclusione di Hadjadj – può illuminarci con la sua gioia, solo così la morte diventa luogo dell’offerta suprema. La “genealogica”, insomma, rompe l’impero del calcolo tecnologico attraverso il regno dell’imprevedibile, considerando la nascita come un avvenimento. Si tratta, insomma, di Grazia e di gratitudine, anche verso i propri genitori che, generandoci, ci hanno insegnato ad amare la vita. Dio ha creato il mondo per amore, cioè senza perché, in una gratuità totale. Per chi è nell’amore la gratuità è Grazia, per chi ne è fuori, è assurdità». Così, usando una delle sue infinite immagini geniali, «la mangiatoia dove fu posto Gesù bambino è la breccia nel tempo dove passa l’eterna fecondità di Dio».

Andrea Musacci

Luigi Magnani in mostra alla Pi.gallery di Ferrara

28 Ott

luigi-magnani-6Dopo le mostre dedicate a Mario Schifano, Claudio Cintoli e alla Pop Art italiana, “Luigi Magnani. Opere 1967-1974” è il nome dell’importante retrospettiva che la Pi.gallery guidata da Giuseppe Falivene dedica all’artista parmense morto nel 1986. Sabato 22 ottobre alle 17.30 in via Frizzi, 30 a Ferrara è stata inaugurata l’esposizione con più di trenta opere tra astrattismo e costruttivismo.

Forme, spazio, luce sono le parole chiave su cui si fonda l’arte di Luigi Magnani, dalle cui opere emerge la volontà di inventare uno spazio dinamico a partire da forme statiche, di creare il movimento attraverso forme spezzate aggregate e curve continue. Nei suoi collages di cartone, il movimento trova espressione nel ritmo fondato da due momenti contrapposti, quello della forma e del colore.

Le opere di Magnani sono un sistema in quanto collegate, ma anche sintagmi, pezzi di materiale differente uniti in quanto parti di una comune ricerca. Un artista dalla geometria mutevole con asimmetrie, colori e spaziature inaspettate, che interpreta lo spazio in chiave simbolica. La realtà oggettiva viene filtrata da un sentire interiore, i segni che l’artista usa sono segnali che trasmettono l’esigenza di dar forma equilibrata a un mondo di itinerari molteplici e stratificati. Il lavoro di Magnani non si chiude in sistemi fissi e pur nel rigore non rinuncia alla libertà degli sviluppi, delle analogie, delle metafore.

Le opere, oltre che in via Frizzi, sono in parte esposte ad Altedo nello spazio arte dell’Osteria “Il Truciolo”.  Entrambe le mostre rimarranno aperte fino al prossimo 10 dicembre. Falivene ha anche realizzato un catalogo di oltre 90 pagine dedicato a Magnani, che si può trovare in galleria, con le immagini delle opere, biografia, elenco delle esposizioni, e diversi contributi critici dedicati all’artista parmense.

Andrea Musacci

Mazzacurati Fine Art, ecco le ciliegie di Laveri

27 Ott

giorgio-laveriLa Galleria Mazzacurati Fine Art, in collaborazione con RossovermiglioArte di Padova, sabato alle 18 inaugura nella sua sede in c.so Martiri della Libertà, 75 la mostra personale dell’artista Giorgio Laveri.

In parete vi saranno esposti sedici lavori che abbracciano un arco temporale compreso tra il 2006 e il 2016, per questo artista savonese celebre per le sue ciliegie giganti.

In questa occasione l’artista scultore, regista, sceneggiatore, performer, noto a livello nazionale ed internazionale, propone alcune delle sue opere più significative ed emblematiche del suo ricco percorso di ricerca.  Ciliegie, fischietti, i Truka (i celebri rossetti policromi declinati in molte varianti), e penne a sfera, popolano la poliedrica esposizione, tutti realizzati in ceramica smaltata dai colori forti e dall’impatto immediato.

Nel catalogo che sarà disponibile durante la mostra Vittoria Coen scrive: ”mai come in questo caso, si può parlare di ironia e di autoironia. Il senso del Ludus poetico è caratteristica del lavoro di Giorgio Laveri. Così come in Homo Ludens, però, il gioco è espressione serissima di crescita, maturazione, consapevolezza, con uno sguardo distante e, allo stesso tempo, dentro le cose”. La mostra sarà visitabile fino al prossimo 16 novembre lunedì, martedì, mercoledì e venerdì dalle 16 alle 19.30, giovedì solo dalle 10 alle 13, sabato dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19.30.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 27 ottobre 2016

Due artisti ferraresi in mostra a Modena

27 Ott

14718596_1465504836800003_472600147068638648_nSaranno presenti anche le opere di due artisti ferraresi, Carlo Andreoli e Rosy Locatelli alla mostra collettiva organizzata dall’artista Claudio Centin “Cinquino” a Modena. “Evvivaviviamo”, questo il nome dell’esposizione che sta per essere aperta al pubblico, verrà inaugurata sabato alle ore 17 e sarà visitabile fino al 2 novembre nell’ex Cinema Principe, con opere anche di altri tredici artisti.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 27 ottobre 2016

Le opere di Melotti all’Ospedale di Rovigo

27 Ott
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Renzo Melotti

“Arte e scienza in ospedale” è il nome dell’evento in programma sabato alle 11 nella hall dell’ospedale di Rovigo, “Santa Maria della Misericordia”, in Viale Tre Martiri, 89. L’evento ufficiale sarà la presentazione della donazione di dipinti e sculture del collezionista ferrarese Renzo Melotti, fino ad alcuni anni fa opere presenti negli ambienti dell’Ospedale Sant’Anna di c.so Giovecca.

La mattinata prevede diversi interventi: oltre a quello dello stesso Melotti, Antonio Compostella (Direttore Generale Azienda Ulss 18), Massimo Bergamin (Sindaco di Rovigo), Antonio Bombonato (Presidente Conferenza dei Sindaci), Marco Trombini (Presidente Provincia di Rovigo), Luca Coletto (Assessore Sanità Regione Veneto), Cristiano Corazzari (Assessore Territorio, Cultura e Sicurezza).

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 27 ottobre 2016

Incontro su Brecht all’Ariostea

27 Ott

Palazzo Paradiso AriosteaIn occasione del sessantesimo della morte del grande autore teatrale Bertold Brecht, domani alle 17 in Biblioteca Ariostea, Istituto Gramsci, Istituto di Storia Contemporanea insieme a Horacio Czertok e al Teatro Nucleo organizzano un incontro pubblico a lui dedicato.

Un evento pensato per ricordare e riflettere il maestro, tante volte frainteso e strumentalizzato.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 27 ottobre 2016

Lavoro e guerra, conferenza all’ISCO

27 Ott

iscoNella Sala Conferenze dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara (in vicolo Santo Spirito, 11) domani si svolgerà un corso di aggiornamento sul tema “Lavoro e guerra nelle campagne: storiografia e didattica”, organizzato dalla Società italiana di storia del lavoro e dall’ISCO.

Questo il programma della giornata: dalle ore 10, vi sarà l’introduzione di Michele Nani (Isem-Cnr, Roma), “Lavoro e guerra nelle campagne del mondo antico” di Alessandro Cristofori (Università di Bologna), e “Difendere il territorio, servire il signore. Vassalli in armi e professionisti della guerra tra Medioevo e Prima età Moderna” con Michele Rabà (Isem-Cnr, Milano). Nel pomeriggio, dalle 15, “La Rivoluzione Militare nelle campagne italiane della prima età moderna: soldati, contadini e fortezze” con Giulio Ongaro (Università di Verona), “Struttura corporativa e campagne padane in guerra” con Roberto Parisini (Università di Ferrara).

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 27 ottobre 2016

Ad Argenta arriva “I bambini sanno” di Veltroni

26 Ott

indexIl documentario di Walter Veltroni, “I bambini sanno” sarà proiettato stasera alle 17.30 al Centro Culturale Mercato di Argenta in Piazza Marconi. La proiezione rientra nel programma del cineforum gratuito organizzato da Agire Sociale e Gruppi del Volontariato Accogliente.

L’iniziativa è pensata per mettere insieme ragazzi, genitori, insegnanti, operatori del sociale e persone di ogni età interessate su varie tematiche del mondo giovanile, in un momento in cui le famiglie devono affrontare spesso una serie di difficoltà, che si pongono come sfide per la crescita di bambini e ragazzi: lo sfaldamento dei nuclei famigliari, la disoccupazione giovanile, l’uso illegale delle nuove tecnologie e altre problematiche sociali.

Nel film Veltroni ha fatto parlare 39 bambini e adolescenti da una rosa di 350. Amore, sessualità, vita, morte, raccontati attraverso gli occhi, i volti e le voci di trentanove giovani e giovanissimi tra i 19 e 13 anni.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 26 ottobre 2016

L’artista Cattani:«Pronto a ospitarle a casa mia»

26 Ott

giorgio-cattani_«”Portateli a casa vostra”, dicono: bene, io lo faccio, apro le porte del mio studio in via delle Vecchie per accogliere alcune donne respinte da Gorino». A parlare è Giorgio Cattani, noto artista  e gallerista ferrarese, che da pochi mesi in via del Podestà ha aperto la Galleria Fabula Fine Art, dividendosi tra questa attività e il suo ruolo di docente all’Accademia di Brera.

Ci contatta da Colonia, dove fino a domenica espone all’importante fiera artistica internazionale Art Fair, per lanciare un messaggio positivo e concreto alternativo alla reazione di parte degli abitanti di Gorino, e di altre persone, che la sera di lunedì hanno impedito a una dozzina di donne africane di trovare accoglienza in un ostello di Gorino, e che anche successivamente hanno proseguito con le barricate. «Voglio essere un piccolo, microscopico strumento per mostrare un altro punto di vista su questa vicenda, dato che sui giornali ci vanno solo i volti di quelli che non vogliono accogliere queste povere persone, e di quei politici locali che con la loro cattiveria soffiano sul fuoco, solo per avere qualche voto in più».

«Questo di accogliere alcune di quelle profughe– prosegue Cattani – sarà il più bel gesto pittorico della mia vita. Voglio dare asilo e aiutare almeno quattro donne, ospitandole dalla prossima settimana nel mio studio di via delle Vecchie, e così sensibilizzare anche altre persone, dato che non basta più solo indignarsi». Quella di Cattani, dunque, almeno nelle intenzioni, vuole essere più di una semplice provocazione, ma una vera e propria proposta, alle Istituzioni e alla cittadinanza, una dimostrazione reale e mirata su «qualcosa di possibile e di bello». Lo stesso Cattani, nei periodi che trascorre nella nostra città, risiede in un appartamento nella stessa via delle Vecchie, a pochi metri dallo studio.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 26 ottobre 2016

 

L’action painter Kano da oggi a Ferrara

25 Ott

1466220_10200895798746311_2062312313_nUna mostra di un artista giapponese all’insegna dell’informale, tra gestualità e ferma consapevolezza. Oggi alle 18 nella Galleria del Carbone di Ferrara (in via del Carbone, 18/a) verrà inaugurata la personale di Tatsunori Kano dal titolo “Oltre l’orizzonte”. L’Associazione Culturale Accademia d’Arte Città di Ferrara ha curato quest’esposizione in concomitanza con le celebrazioni per il 150° anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia. La mostra ha il patrocinio dell’Ambasciata Giapponese e del Comune di Ferrara.

Saranno esposti lavori pittorici e terrecotte frutto delle più recenti esperienze di Kano. Come dicevamo, quello di Kano è un informale forse non del tutto etichettabile nell’action painting di pollockiana memoria. Come scrisse Fabriano Fabbri, docente all’Università di Bologna, Tatsunori Kano, è “un allevatore di chiazze, di venature, un addomesticatore di screziature che con la forza placida del suo caos calmo sa mettere con le spalle al muro, appese alla parete”. Oppure, secondo Manuela Moscatiello del Centro Studi d’Arte Estremo-Orientale di Bologna, “ad un primo rapido sguardo, l’opera di Kano può trarre in inganno l’osservatore distratto alla ricerca di facili accostamenti, facendogli pensare all’action painting. Al contrario, dal mio punto di vista, il lavoro di Kano non ha nulla di casuale poiché presuppone una visione chiara, netta, del risultato finale”.

Kano nasce a Hiroshima, Giappone, nel 1954, e qui svolge i primi studi artistici con il maestro di pittura Kunio Kariahama. Nel 1973 si trasferisce a Tokyo, dove studia alla Nippon University, conseguendo nel 1979 Laurea e Specializzazione in Pittura. Kano unisce allo studio la prima attività espositiva, presentando olii su tela alle esposizioni del gruppo Kokugakai nel 1977. Nel 1980 si trasferisce a Bologna, e nel 1985 si diploma all’Accademia di Belle Arti di Bologna. L’artista inizia nel 1984 l’attività espositiva in Italia, con opere acriliche, e due anni dopo conosce lo studioso e collezionista Mario Lispi. Numerose le sue esposizioni, personali o in collettive, in vari luoghi d’Italia e del Giappone, ma non solo. Sue opere sono in collezioni pubbliche come quella dell’Ateneo felsineo, dell’Università di Tokyo e quella di Hiroshima.

La mostra sarà visitabile fino al 6 novembre dal mercoledì alla domenica dalle 17 alle 20, sabato e festivi anche dalle 11 alle 12.30.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 22 ottobre 2016