Archivio | luglio, 2017

“Riflessi” di eterno nelle opere di Patricia Glee Smith

28 Lug

20376077_1847700428580556_4340113540558150975_n.jpgFino a domani, sabato 29 luglio, nella Galleria d’Arte Cloister è possibile visitare, a ingresso libero e gratuito (orario continuato 9-19.30), la mostra “Riflessi” di Patricia Glee Smith.

Come scrive la stessa artista statunitense, “sono interessata ai singoli momenti e frammenti della vita e al loro aspetto eterno, alla bellezza inaspettata, all’imperfezione di oggetti sorpresi in un momento di riposo. Sono affascinata dall’idea dell’interconnessione fra tutte le cose. Isolo le singole immagini dal loro contesto, le sottolineo, le amplifico, le rendo monumentali”.

Andrea Musacci

Sakura, i colori e le atmosfere del Giappone per tre giorni a Ferrara

25 Lug

logo sakuraIn pieno solleone a Ferrara sbarca il…Sol Levante. Dopo il successo, sofferto e insperato, del debutto svoltosi nel settembre 2015 nel Palazzo della Racchetta, da venerdì 28 a domenica 30 luglio la nostra città ospiterà la seconda edizione della biennale Sakura Festival, rassegna artistico-culturale dedicata al Giappone e al rapporto tra il Paese orientale e la storia di Ferrara.

Nelle sotterranee Sale Imbarcadero del Castello Estense di Ferrara, le organizzatrici Grazia Guberti della Business Consulting & Event Design Srls (che curò la prima edizione) e Marianna Petronelli, pittrice, proporranno un ampio programma composto, tra l’altro, da esibizioni di danza e canto tradizionali, rituali tipici come la cerimonia del tè e la vestizione del Kimono tradizionale, oltre a pratiche come l’Ikebana, o le arti marziali. Ma non mancheranno anche laboratori interattivi, per grandi e piccoli, di calligrafia, etegami ed origami. Ed è proprio Grazia Guberti a raccontare (e raccontarsi) alla Nuova in vista della tre giorni.

Quale obiettivo si pone il Sakura?

«Il Festival ha come obiettivo principale quello di mettere in luce un evento storico svoltosi nel periodo rinascimentale con protagonisti la Corte Estense e il Giappone, facendo incontrare due culture tanto diverse ma al tempo stesso simili, attraverso differenti espressioni artistiche».

Il Sakura ha quindi un forte legame con Ferrara e la sua storia…

«Certo, si tratta di una storia lunga 430 anni, iniziata il 22 giugno 1585, quando giunsero nella nostra città tre giovani giapponesi con il loro seguito, ospitati per alcuni giorni alla corte di Alfonso II d’Este e Margherita di Gonzaga. I tre facevano parte di una missione, organizzata dalla Compagnia dei Gesuiti in Giappone al fine di far visita all’allora pontefice, Papa Gregorio XIII, e all’intera penisola italiana. Altro episodio che lega l’Italia al Giappone è la visita di Hasekura Rokuemon nell’anno 1615».

Quali sono le novità più rilevanti rispetto alla prima edizione?

«Sicuramente la location che si presta per ovvi motivi storici a tutto quello che è stato motore della prima edizione! Altro punto di forza saranno i nuovi espositori che cercheranno di coinvolgere i visitatori nella scoperta di questi due meravigliosi mondi. Infine, vi sarà un percorso di storie e leggende che trasporteranno le persone in realtà spesso sconosciute…»

Tutto ciò in un’ottica multidisciplinare…

«Esatto, vi saranno momenti ludico-ricreativi aperti a tutti i visitatori, ma anche teatro, musica, artigianato, senza dimenticare lo sport. Saranno tre giornate indimenticabili, grazie all’impegno di tante persone coordinate da me e Marianna Petronelli».

Com’è nata la collaborazione tra voi due?

«Ci siamo conosciute alcuni anni fa in occasione della prima edizione del Sakura, e da quel momento due persone molto diverse tra loro, come siamo noi due, si sono unite sempre di più: da lì è nata davvero una collaborazione forte, fondata su obiettivi comuni, ma soprattutto un’amicizia reale».

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 24 luglio 2017

«Chiesi a mio zio Michelangelo di fare il postino»

11 Lug

A dieci anni dalla morte di Antonioni la nipote Elisabetta scava nei ricordi

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Michelangelo Antonioni

«L’ultima volta che ho incontrato mio zio Michelangelo è stato a Roma nel febbraio 2007, pochi mesi prima della sua morte. A me e mio marito regalò un suo catalogo d’arte, la cui dedica all’interno, lo ricordo ancora, scrisse con un pennarello color oro». Si conclude così il racconto che Elisabetta Antonioni ci regala del suo rapporto affettuoso col grande regista. Siamo in prossimità del decennale della morte avvenuta il 30 luglio 2007. Non è certo la prima volta che Elisabetta – Presidente dell’Associazione “Michelangelo Antonioni”, senza fini di lucro – si presta a rendere pubblici frammenti di vita di Michelangelo, ma ogni volta, in modo spontaneo, ne sgorgano di nuovi, con immutata nostalgia per quello zio la cui celebrità non lo ha reso “scomodo” nella vita della nipote, ma, al contrario, è continuo motivo d’orgoglio. Sì, perché ad Elisabetta interessa raccontare «dell’Antonioni uomo più che dell’Antonioni regista, di cui persone più titolate di me continuano a scrivere».
«L’idea dell’Associazione – ci spiega – è nata per il bisogno di conservare la sua memoria. Finché era in vita ho scelto di rimanere in disparte, e lui stesso non voleva che noi famigliari entrassimo nel mondo del cinema. Anche ora voglio che al centro ci sia lui, non io». Un amore spassionato, quasi filiale, la lega a Michelangelo. «Conservo ancora la sua racchetta da tennis marca SAIL degli anni ‘30, il tagliacarte, il piatto regalatoci per le sue nozze con Letizia Balboni. E poi ho le lettere che inviava a me o ai suoi genitori. Sua mamma morì poco prima che io nascessi, quindi leggerle è per me anche un modo per riscoprire i miei nonni». Già, i nonni, Elisabetta Roncagli e Ismaele Antonioni, rimasti sempre nel cuore di Michelangelo. «Pochi anni prima di morire, nel 2004, quando dovemmo sistemare la tomba di famiglia, ricordo quanto ci tenesse a essere sepolto accanto ai genitori alla Certosa». Non meno profondo era il legame col fratello Carlo Alberto, padre di Elisabetta, morto nel ‘99: «provava affetto e ammirazione per Michelangelo – ci spiega –, non fu mai invidioso, anzi si rattristava con lui. Ricordo il giorno dell’ictus di Michelangelo (nel dicembre 1985, ndr), quella telefonata drammatica tra loro due: mio zio iniziò a balbettare, e non capivamo perché».
Due personalità simili sono quelle di Elisabetta e Michelangelo Antonioni: riservate, fin schive, ma ironiche e capaci di grande affetto e gratitudine. «Ci volevamo molto bene – prosegue Elisabetta – ma non eravamo tipi da “smancerie”, a parte quella volta negli anni ’60, in cui in una lettera mi scrisse: “sai che ti voglio bene…e se non lo sai te lo dico…”. Mi stupì molto perché non esplicitava mai le sue emozioni. Ricordo anche quando lo invitai al mio matrimonio. Mi rispose: “non credo al matrimonio, vengo solo perché è il tuo”».
Come spesso accade, pescare nei ricordi dell’infanzia significa attingere a memorie ancor più cariche di significato. «Da bambina gli dicevo: “non fare il regista, non ci sei mai! Non potresti fare il postino, così ti posso avere sempre qui?”. Insomma, “detestavo” il suo lavoro perché lo allontanava da me. Ma lui mi rispondeva: “È la mia vocazione, non potrei fare altro”».

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara l’11 luglio 2017

Mons. Perego, dal “Betlem” una preghiera e la vicinanza al dramma del piccolo Charlie

6 Lug
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Mons. Gian Carlo Perego

«Chiedo al Signore di esservi vicini, che riusciate sempre più a essere una famiglia, e che possiate leggere sempre dentro la sofferenza una particolare presenza e vicinanza di Dio».
Con questa preghiera Mons. Gian Carlo Perego la scandito la sua prima visita alla Casa di Riposo e Casa Protetta “Betlem”di Ferrara. Questa mattina l’Arcivescovo alle ore 9 ha celebrato la Santa Messa nella chiesa interna alla struttura, che poi ha visitato accompagnato dal Direttore Mons. Guerrino Maschera.
Nell’omelia Perego è partito proprio da Betlem, «la più piccola città d’Israele, ma al tempo stesso il luogo dove nasce il Salvatore». Prendendo spunto poi dalla prima lettura del giorno (Gen 21, 5-20), il Vescovo ha affrontato la tragica vicenda che vede al centro il piccolo Charlie Gard, bambino inglese di pochi mesi. «Agar e suo figlio vengono abbandonati ma si affidano al Signore, che non li lascia soli ma li sostiene. Oggi questa preghiera di sostegno la rivolgiamo per Charlie, che è vicino alla morte: è una preghiera che il Papa chiede a tutta la Chiesa di pronunciare, e da questo luogo di sofferenza anche noi vogliamo essere vicini ai due genitori che stanno soffrendo per loro figlio, la cui vita si sta spegnendo davanti ai loro occhi, non vedendo la possibilità di una cura. La preghiera, che sale anche da qui, possa essere di consolazione e di aiuto a questa famiglia. Come Agar e suo figlio sono sostenuti da Dio Padre, cosi lo siano i genitori di Charlie».
“Ascolta o Dio sempre il grido del povero”, recita il Salmo 33, nella liturgia di ieri. Un grido che proviene da «coloro che soffrono, che sono in difficoltà, che si sentono soli, abbandonati».
Spesso, però, non basta invocare il Signore se non sappiamo riconoscerlo e accoglierlo nella nostra vita. CosÌ Mons. Perego – riprendendo il Vangelo del giorno (Mt 8, 28-34), nel quale molte persone non “riconoscono” alcuni miracoli di Gesù, che, anzi, invitano ad allontanarsi – ha spiegato come «tante volte non abbiamo occhi per vederlo, e così rischiamo di non riconoscere la sua presenza, a causa del nostro egoismo e della nostra chiusura. Ciò può avvenire anche quando c’è sofferenza e solitudine».
Citando anche San Giovanni Paolo II, l’Arcivescovo ha spiegato come, invece, è fondamentale comprendere che «la sofferenza è una delle esperienze in cui il Signore si rende più vicino. Basti pensare alla Croce, mezzo di salvezza. Il dolore è un luogo importante per credere e continuare a credere».
Le ultime parole Mons. Perego le ha rivolte alla Madre di Dio, testimone silenziosa e fedele della sofferenza del figlio. «Spesso Maria la invochiamo come l’Addolorata, e questa di Maria Addolorata è una delle figure più belle da implorare ogni volta che fatichiamo a vivere la sofferenza, che fatichiamo a comprenderla».

Andrea Musacci

Pubblicato su la Voce di Ferrara-Comacchio il 05 luglio 2017

San Basilide, Messa in carcere a Ferrara

2 Lug
annalisa gadaleta

Annalisa Gadaleta

Nella mattinata di venerdì 30 giugno nel parchetto all’interno della Casa Circondariale di Ferrara si è svolta l’annuale Santa Messa nell’anniversario di San Basilide, patrono del Corpo di polizia penitenziaria e del Corpo degli agenti di custodia.
Queste le autorità presenti alla funzione, insieme alle educatrici e ad alcuni volontari: il Direttore della Casa Circondariale Paolo Malato e la Comandante della Polizia Penitenziaria di Ferrara Annalisa Gadaleta, il Prefetto Michele Tortora, il Questore Antonio Sbordone, l’Assessore del Comune di Ferrara Roberto Serra, il Presidente del Tribunale Rosaria Savastano, Giovanni Franceschini del COFA, Stefania Carnevale, Garante provinciale dei Detenuti, Andrea Firrincioli, Comandante Provinciale dei Carabinieri, Filippo Ruffa, Comandante Provinciale della Guardia di Finanza, Paolo Francesconi della Polizia Provinciale, Marcello Marighelli, Garante regionale dei detenuti e Sergio Mazzini, Presidente comunale AVIS.
San Basilide, nativo di Alessandria d’Egitto, morto circa nel 202 d.C., era un semplice soldato dell’esercito romano, una sorta di guardia carceraria. Incaricato di portare la cristiana Potamiena al patibolo perché aveva rifiutato di abiurare la propria fede cristiana, eseguì sì l’ordine, ma durante il trasporto impedì che la vittima venisse oltraggiata dalla folla. Questa semplice accortezza commosse l’ormai prossima santa, la quale promise che, giunta in Paradiso al cospetto di Dio, avrebbe interceduto per lui. Pochi giorni dopo Basilide si dichiarò cristiano, fu messo in prigione, dove fu anche battezzato, e il giorno successivo venne decapitato.
Don Domenico Bedin, che ha celebrato la Santa Messa insieme al Cappellano del carcere Mons. Antonio Bentivoglio, nella sua omelia, prendendo come esempio il martirio di San Basilide, ha spiegato come «se vogliamo essere punti di riferimento per gli altri, esercitando un compito delicato come quello della guardia carceraria, dobbiamo compiere innanzitutto un rinnovamento interiore, crescendo nelle virtù della giustizia, della carità e della pace».
Annalisa Gadaleta, alla fine della funzione, dopo aver letto la preghiera dedicata a San Basilide, ha voluto ringraziare i presenti e sottolineare «il senso di misericordia e carità cristiana» del Santo protettore, mentre Paolo Malato ha ricordato come quest’anno ricorra il bicentenario del Corpo di Polizia Penitenziaria.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” il 02 luglio 2017

Accoglienza e integrazione a Ferrara: racconti e dati

2 Lug
alcuni ospiti della casa

Alcuni ospiti di Casa Masslo

Nell’analizzare una questione delicata e complessa come quella riguardante l’accoglienza e l’integrazione delle persone immigrate bisognerebbe sempre, per quanto possibile, partire da quella che è la realtà effettiva e innanzitutto dal proprio contesto territoriale. In occasione della Giornata Internazionale delle Cooperative, che si celebra ogni anno il primo sabato di luglio, e che quest’anno è dedicata proprio al tema dell’inclusione, l’Alleanza delle Cooperative di Ferrara ha aperto alla cittadinanza le porte di alcune strutture. Tra queste, venerdì 30 giugno era possibile visitare “Casa Masslo”, Centro di accoglienza di via Vallelunga 145/147, gestito dalla cooperativa sociale Camelot, in piena campagna a pochi chilometri da Pontelagoscuro.
Perché “Casa Masslo”? L’edificio, un tempo adibito a scuola, nel 2006 è stato aperto, come prima struttura di accoglienza nel nostro territorio. La Casa è intitolata a Jerry E. Masslo, rifugiato sudafricano trentenne assassinato a Villa Literno, vicino Caserta, nel 1989 da una banda di criminali in un tentativo di rapina ai danni suoi e di altri rifugiati che lavoravano come semi-schiavi nei campi di pomodori della zona.
Nella nostra visita abbiamo avuto la possibilità di conoscere alcuni dei venti ragazzi attualmente ospitati in via Vallelunga: Alì, afghano originario di Jaghori, che ora lavora come custode notturno in una sede di Camelot. È arrivato in Italia nel 2015, vivendo a Casa Masslo fino allo scorso febbraio. È rifugiato politico. Alphonse, invece, è originario della Costa d’Avorio, vive da un anno e mezzo nel nostro Paese e ha già ricevuto protezione per motivi umanitari. E poi ci sono Lamin, Abou (dal Gambia) e Buba. La cooperativa Camelot gestisce questa e altre sedi all’interno del programma Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), di cui è titolare il Comune di Ferrara. Alcune operatrici della cooperativa ci accolgono in questo edificio pensato proprio per persone in attesa di risposta per la loro domanda di richiesta asilo o protezione, o che ne hanno già ricevuta una positiva ma vengono aiutati ancora nel loro difficile percorso di integrazione. Sono Cecilia Baltieri, referente territoriale accoglienza e referente di Casa Masslo, Anna Lauricella, consulente legale, Concetta Goldone, Anna Viale e Stefania Puddu, Operatrici sociali, e lIaria Ungaro, volontaria Servizio civile. «Nel Comune di Ferrara col programma Sprar – ci spiegano – Camelot ha a disposizione 128 posti per l’accoglienza di rifugiati, 84 dei quali per adulti “ordinari”, 8 per persone con disagio mentale e 36 per minori stranieri non accompagnati, quest’ultimo gruppo gestito con l’Istituto don Calabria alla Città del Ragazzo. Ferrara, e tutta la Regione Emilia Romagna, è stata tra le prime in Italia per il programma Sprar».
A Casa Masslo gli ospiti sono distribuiti in tre distinti appartamenti, ognuno dotato di cucina, dislocati su due piani, due da sei e uno da otto posti. «I ragazzi che accogliamo – proseguono le operatrici – frequentano, oltre ai corsi di lingua italiana, corsi e tirocini in diversi ambiti – ristorazione, magazziniere, falegnameria, meccanico, agricolo – per qualificarsi a livello professionale. In genere, sono liberi di uscire quando e quanto vogliono, con l’unico obbligo di dormire qui. Coi vicini non ci sono mai stati problemi».

operatrici camelot

Alcune operatrici di Camelot

I DATI PROVINCIALI…
I profughi e richiedenti asilo attualmente accolti a Ferrara e provincia sono circa 1.320, di cui circa 160 inseriti nel programma SPRAR, finanziato dal Ministero dell’interno. La grande maggioranza, invece, sono gestiti in Accoglienza Straordinaria, cioè attraverso il sistema messo in piedi negli ultimi anni per fronteggiare il grande numero di sbarchi sulle coste del Mediterraneo.
Il Comune che accoglie il maggior numero di rifugiati in proporzione alla popolazione residente è Vigarano Mainarda, dove i rifugiati sono l’8,97 per mille della popolazione; al secondo posto Berra, 7,19 per mille, poi Ostellato e Fiscaglia. Il Comune di Ferrara è quinto, con il 5,57 per mille.
Il progetto Sprar per minori stranieri non accompagnati del Comune di Ferrara accoglie in tutto 29 ragazzi dai 16 ai 18 anni provenienti da Bangladesh, Burkina Faso, Costa D’Avorio, Egitto, Gambia, Guinea, Mali, Nigeria, Pakistan, Sierra Leone e Togo.
… E QUELLI NAZIONALI
Nel 2016 i progetti finanziati dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (FNPSA), che costituiscono la rete dello Sprar, sono stati 652 rendendo disponibili 26.012 posti in accoglienza per circa mille enti locali complessivamente coinvolti nell’accoglienza. Nel 2015 i posti disponibili erano stati 21.613. I beneficiari accolti nei progetti Spar sono stati 34.528, anche in questo caso in aumento rispetto ai 29.698 dell’anno precedente.
È quanto emerge dal nuovo “Atlante Sprar 2016”, presentato lunedì scorso. Sicilia e Lazio restano le due Regioni in cui si registra il maggior numero di persone in accoglienza (oltre il 19%, rispetto al 20,1 e al 22,4 del 2015) seguite da Calabria (10% in aumento), Puglia (9,7%), Lombardia (6,2% rispetto al 5 del 2015). Lontane Veneto (2,1%), Liguria (1,9%), Friuli Venezia Giulia (1,8%). Delle oltre 34mila persone in accoglienza nello Sprar, il 47,3% è richiedente protezione internazionale, il 28,3% titolare di protezione umanitaria, il 14,8% titolare di protezione sussidiaria, mentre il 9,6% ha lo status di rifugiato.
Nigeria (16,4%), Gambia (12,9%) e Pakistan (11,7%), in linea con lo scorso anno, sono le tre nazionalità maggiormente rappresentate tra le persone in accoglienza. Le prime due in aumento rispetto al 2015. Seguono Mali (9,3%), Afghanistan (8,7%), Senegal (6,3%). Ancora più forte l’aumento dell’accoglienza per i minori non accompagnati passati da 977 posti del 2015 a 2.039, rendendo possibile l’accoglienza complessiva di 2.898 minori a fronte dei 1.640 dell’anno precedente.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” il 02 luglio 2017

Ricordando don Dino Rossato

2 Lug

image«Si sentiva sempre più coinvolto a Ospital Monacale, aveva tanti progetti per la nostra parrocchia. Avevamo un bel rapporto, spesso era ospite a pranzo a casa mia. Era davvero una persona umile».
Questo di Don Matteo Zambotti, dal 1999 Diacono Permanente, è solo uno dei tanti cari ricordi, che in questi giorni abbiamo raccolto, dedicati a don Dino Rossato, tornato alla Casa del Padre lunedì scorso, 26 giugno, mentre si trovava, da poche ore, in villeggiatura ad Alassio (Sv), ospite dei fratelli salesiani. L’ultima Santa Messa nella nostra Diocesi l’ha celebrata domenica mattina alle 8.30 nella Chiesa di San Benedetto a Ferrara, una delle sue due famiglie, insieme, appunto a quella della piccola frazione argentana dov’era dal 2013 impegnato come vice parroco.
«Era benvoluto, non è mai mancato, spesso visitava a domicilio anziani e malati», ricorda il parroco di Ospital Monacale Mons. Marco Bezzi, mentre Franca Mazzanti, catechista, ci spiega come «nonostante fosse affaticato, non lo faceva pesare ed era ancora molto attivo. Fin dal suo arrivo nel nostro paese prese a cuore la parrocchia. Poche persone frequentavano, però, le attività e lui, per coinvolgere i giovani, a volte andava anche a parlar loro davanti al bar o al parchetto del paese». Inoltre, prosegue la signora Franca, «quando non poteva essere presente, mi chiamava per essere aggiornato, ad esempio, su quante persone, soprattutto bambini, avessero partecipato alla Messa il giorno prima». «C’è tanto bisogno di persone come lui capaci di trasmettere il bene», ci spiega Daniela Mazzanti, mentre Vittorio Cacciatori, Mauro Mazzanti e Cinzia Gentili lo ricordano come una «persona gentile e disponibile, piena di idee, quel che non aveva già fatto, ce l’aveva in programma. Una persona pacata e attenta ai giovani».
Il parroco di San Benedetto a Ferrara, don Luigi Spada, ci parla di una persona che «ha saputo servire con letizia e semplicità la sua comunità, costruendo vere amicizie». «Eravamo molto amici, ci aiutavamo», ricorda don Giuseppe Boldetti, mentre don Paolo Salmi sottolinea come «lavorasse ancora sodo, non dimostrando di avere 80 anni». Don Gianalfredo De Ponti gli rivolge, invece, un saluto: «continua dal Cielo il tuo servizio d’amore per la nostra comunità». Anche Mons. Massimo Manservigi, Vicario generale diocesano, ricorda che, «come nel caso dei funerali di Valerio Verri lo scorso aprile [la guardia provinciale vittima di Igor, ndr], faceva tutto nel modo più corretto e preciso, senza mai tirarsi indietro».

Giovedì 29 giugno nella Cattedrale cittadina si sono svolte le esequie, concelebrate dall’Arcivescovo Mons. Luigi Perego, il quale, nei due saluti, iniziale e finale, ha sottolineato il «particolare carisma di don Dino legato al cammino dei giovani», segno di una «capacità di rimanere puri di cuore».
«Caro don Dino, la tua vita è stata entusiasmante, appagante e benedetta, hai vissuto in purezza la tua umanità, senza paura di mostrare affetti, legami e limiti», ha spiegato nell’omelia don Claudio Cacioli, Ispettore della confraternita salesiana per l’Emilia e la Lombardia. Don Cacioli ha ricordato anche il suo desiderio di «morire in Congregazione», tra i confratelli, perché «noi siamo innanzitutto salesiani di don Bosco». Particolarmente toccante anche il ricordo di quel «magnifico crocifisso donatoti, che conservavi nella tua camera, davanti al quale, sono certo – ha proseguito don Cacioli – trovavi la forza per affrontare i problemi».

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” il 02 luglio 2017

 

Crociara, Darbo e…Bassani: ecco le nuove mostre del fine settimana

1 Lug
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Renzo Crociara

Tornano anche questo fine settimana le inaugurazioni artistiche nella nostra provincia.
Oggi alle 11 nella Palazzina del Turismo dell’Abbazia di Pomposa, inaugura la collettiva fotografica “Giorgio Bassani e le sue poesie” organizzata dal Fotoclub Ferrara, in collaborazione con la Fondazione Bassani, con in mostra immagini di soci del Fotoclub cittadino. Ogni opera, composta con trittico di fotografie, riporta un testo dello scrittore ferrarese da cui sono state ispirate. La mostra è a ingresso libero tutti i giorni dalle 9.30 alle 13 e dalle 15 alle 18.30.
Sempre oggi alle 19.30 nella Galleria d’arte moderna di Palazzo Bellini a Comacchio inaugura la mostra “40 anni di pittura” di Renzo Crociara, artista codigorese, che sarà presente. L’esposizione, con il patrocinio del Comune di Comacchio e della Regione Emilia Romagna, ha come partner logistico Ascom Confcommercio, e sarà visitabile fino al 12 settembre. L’ evento è accompagnato da un catalogo con la prefazione dell’assessore alla Cultura Alice Carli e con l’intervento di Vittorio Sgarbi. Quest’ultimo ripercorre le tappe della pittura di Crociara che mette in esposizione una cinquantina di opere (dall’acrilico all’olio su tela) che raccontano di nature morte, autoritratti, oggetti di uso quotidiano, frammenti di vita vissuta. E nell’ultima fase della sua produzione, come scrive Sgarbi, “tutto diventa, nei dipinti di Crociara, atmosfera, traduzione della realtà nella dimensione del pittorico, emozione vibrante, poesia”.
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Infine, ricordiamo che da ieri è visitabile “Carne italiana”, la nuova personale del pittore Marcello Darbo, esposta nel suo studio in via Vittoria, 22/b a Ferrara.

Andrea Musacci

Camelot, la vita dei profughi nella casa di via Vallelunga

1 Lug

Sono venti i richiedenti asilo ospitati nella ex scuola vicino a Pontelagoscuro. Seguono corsi in vari settori e hanno un buon rapporto con il vicinato

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Alcuni ospiti di Casa Masslo con le operatrici di Camelot

Alì, afghano, originario di Jaghori, lavora come custode notturno in una sede di Camelot. È in Italia dal 2015, ha vissuto a Casa Masslo fino allo scorso febbraio. È rifugiato politico. Alphonse, invece, è originario della Costa d’Avorio, vive da un anno e mezzo nel nostro Paese, e ha già ricevuto protezione per motivi umanitari. E poi ci sono Lamin, Abou e Buba. Sono alcuni dei venti ragazzi attualmente ospitati in una delle case accoglienza gestite dalla cooperativa Camelot all’interno del programma Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). Si tratta di “Casa Masslo” – intitolata a Jerry Masslo, rifugiato sudafricano trentenne assassinato vicino Caserta nel 1989 da una banda di criminali – che abbiamo visitato ieri in occasione della Giornata Internazionale delle Cooperative. Qui in via Vallelunga, a una manciata di chilometri da Pontelagoscuro, in piena campagna, operano alcune operatrici di Camelot: Cecilia Baltieri, referente territoriale accoglienza e referente di Casa Masslo, Anna Lauricella, consulente legale, Concetta Goldone, Anna Viale e Stefania Puddu, Operatrici sociali, e lIaria Ungaro, volontaria Servizio civile. L’edificio, un tempo ospitante una scuola (all’entrata campeggia ancora una lapide del Comandante Diaz), nel 2006 è diventata la prima struttura di accoglienza nel nostro territorio, pensata per persone in attesa di risposta per la loro domanda di richiesta asilo o protezione, o che ne hanno già ricevuta una positiva e vengono così aiutati a integrarsi.
«Nel Comune di Ferrara col programma Sprar – ci spiegano – Camelot ha a disposizione 128 posti per l’accoglienza di rifugiati, 84 dei quali per adulti “ordinari”, 8 per persone con disagio mentale e 36 per minori stranieri non accompagnati, quest’ultimo gruppo gestito con l’Istituto don Calabria alla Città del Ragazzo. Ferrara, insieme ad altre realtà della nostra Regione, è stata tra le prime in Italia per il programma Sprar», sottolineano con giusto orgoglio. Insomma, da queste parti un’accoglienza seria e un’integrazione organizzata non sono solo vacue parole.
Qui a Casa Masslo i venti ospiti sono dislocati in tre appartamenti, ognuno con cucina autonoma, su due piani, due da sei e uno da otto posti. «Frequentano corsi e tirocini in vari ambiti – ristorazione, magazziniere, falegnameria, meccanico, agricolo – per qualificarsi a livello professionale. Inoltre, seguono corsi di italiano. In genere, sono liberi di uscire quando e quanto vogliono, con l’unico obbligo di dormire qui. Col vicinato (poche case sparute nei dintorni, ndr) non ci sono problemi di coesistenza, anzi qui i profughi sono benvoluti, pensi che a volte una signora regala loro anche uova delle sue galline».

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 1° luglio 2017

In Duomo commosso saluto a don Dino Rossato

1 Lug

image«Caro don Dino, la tua vita è stata entusiasmante, appagante e benedetta, hai vissuto in purezza la tua umanità, senza paura di mostrare affetti, legami e limiti». Queste commoventi parole sono solo uno dei passaggi fondamentali dell’omelia dei funerali, svoltisi ieri pomeriggio nella Cattedrale cittadina, di don Dino Rossato, morto per un malore nel pomeriggio di lunedì nella località ligure di Alassio dov’era appena giunto per alcuni giorni di riposo assieme ai fratelli salesiani. L’omelia è stata pronunciata da don Claudio Cacioli, Ispettore della confraternita salesiana per l’Emilia e la Lombardia, in una funzione dove non sono mancate le inevitabili lacrime, ma dominata, per quanto possibile, da un’atmosfera di lode e di affetto.
Le esequie, presiedute dall’Arcivescovo Mons. Gian Carlo Perego, hanno visto la partecipazione nelle prime file di diversi parrocchiani dalle comunità di San Benedetto in Ferrara, e di Ospital Monacale, dove negli ultimi quattro anni don Rossato ha svolto l’importante ruolo di vice parroco.
Don Cacioli ha ricordato la sua «innata simpatia e capacità di ridere di se stesso», il suo desiderio di «morire in Congregazione», tra i confratelli, perché «noi siamo innanzitutto salesiani di don Bosco». Particolarmente toccante anche il ricordo di quel «magnifico crocifisso donatoti, che conservavi nella tua camera, davanti al quale, sono certo – ha proseguito don Cacioli- trovavi la forza per affrontare i problemi».
Commosso anche il parroco di San Benedetto don Luigi Spada: «grazie don Dino perché ci hai voluto bene e sei stato un confratello buono».
Mons. Perego nei due saluti, iniziale e finale, ha sottolineato il suo «particolare carisma legato al cammino dei giovani», segno di una «capacità di rimanere puri di cuore».

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 30 giugno 2017