
Si intitola “La nostra infanzia e altre omelie sul Natale (1955-1976)” il volume da poco uscito
di Andrea Musacci
«Il tempo che ci trascina sempre insinua dentro di noi il bacillo della vecchiaia, sempre corrode le nostre cose più pure: e noi abbiamo bisogno dell’intatto, dell’immacolato, del trasparente. I nostri affetti non sono mai trasparenti, una ruggine profonda e mordace» li spezza. «E noi lo sentiamo e ci ribelliamo, vorremmo appunto quell’età inconsapevole in cui la bellezza è senza tempo e in cui la previsione del futuro non viene a viziare la gioia del presente».
Padre Ernesto Balducci tra le molte grazie aveva quella di riuscire a esprimere con rara e poetica densità la fede nel suo crudo splendore. Un patrimonio ricco quello che ci ha lasciato il sacerdote dell’Ordine degli Scolopi scomparso nel 1992, che vede un ultimo tassello nel libro “La nostra infanzia e altre omelie sul Natale (1955-1976)”, uscito a novembre per San Paolo Edizioni. Di Balducci, coscienza lucida per la Chiesa e per il mondo, sono raccolte nove riflessioni degli anni ’50 e ’70, specchio, anche, dei mutamenti profondi avvenuti nelle società occidentali e, in maniera radicale, nel popolo della Chiesa. Nelle sue analisi, tormentate e appassionate, c’è sempre, però, il tentativo di cogliere quella radice di male sempre più manifesta ma ben piantata nel profondo dell’umano.
Natale: «ornamento» o compimento?
Per questo – è il suo pensiero – va riscoperto il senso del Natale al di là delle nostre meschinità: «Chi sente la pena, il mistero dell’esistere immersi in un peccato che è nostro e non è nostro», sono parole di Balducci, «chi sente la propria bassezza morale, il bisogno di un candore intangibile (…). Solo chi riduce il proprio spirito a queste attese verginali (…) può capire la bellezza di quest’ora [del Natale], il mistero che in questo momento ci inonda e strappa alla Chiesa le grida che mai finiranno, le grida della sua gioia». Ognuno ha dunque bisogno di riscoprire quell’umiltà «che non si muove a partire dai piedistalli delle conquiste del passato ma che ha la passione del cominciamento, dell’inizio, per riprendere il filo dell’esistenza nel suo bandolo originario».
E invece, senza che ormai siamo più in grado di accorgercene, viviamo in un falso Natale costruito secondo tutt’altri calcoli, quelli del piacere e del consumo. Il mistero del Natale è diventato oggi, dice ancora Balducci, «ornamento» dei nostri calendari: «così anche Gesù Cristo è diventato innocuo: Egli appartiene alla chincaglieria del mondo esistente». E ancora: «È veramente un motivo di tristezza il pensare che per molti questa gioia che è capace, rintracciata alla sorgente, di dissetare ogni sete, si riduce semplicemente allo scintillare dello stoviglie, a un po’ di fragranza familiare, e non sia quel che è: cioè l’improvviso colmarsi di tutte le umane attese, la dissipazione totale delle tenebre».
«Dio si manifesta contestato e ripudiato»
Eppure i vacui riti a cui ci condanniamo sono così distanti da quel Dio che ci pare «assurdo» se inglobato nelle nostre logiche. Un Dio che ci scomoda, ci spiazza.
«Dio si presenta sì in forma umana, attraverso l’umano – sono parole di Balducci -, ma non attraverso ciò che l’umano ha – per così dire – sistemato, organizzato, stabilito secondo la sua scala di valori. Non per nulla Dio si è manifestato a noi come un bambino, figlio di pellegrini scacciati dalla città». Gesù è «nato e morto come un escluso, fuori dalla città» ed è «vissuto sempre preferibilmente tra gli esclusi».
Interessante questa apparente contraddizione di un Dio che è il lontano, l’escluso, colui che sta al di fuori, e al tempo stesso che è Colui che «venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Siamo noi che, resi coscienti di questa incredibile novità, dobbiamo scegliere se continuare a vivere, e dunque anche a festeggiare il Natale, come prima, come sempre, oppure abbandonare le nostre sistemazioni, riscoprire quella «freschezza» mattutina: «se mi accorgo che la mia vita è tranquilla quando sto fra gente sistemata e serena, che il mio cristianesimo si appaga dell’assemblea di gente onesta e perbene (come siete voi, e come sono io pubblicamente), io sono rovinato: ho paura di essere nel numero degli scribi». Il Natale, invece – affonda ancora una volta il coltello nella piaga Balducci – «è un “no” di Dio al mondo degli uomini, al mondo costruito secondo le regole degli uomini. È un “no” perenne. È una contestazione definitiva» capace di portare nel nostro cuore una «pace non equivoca», non vile né superficiale ma pura e profonda.
Spetta dunque a ognuno riscoprire un «occhio semplice», «un’infanzia che abbiamo soffocato nel peccato e nella sapienza tortuosa e sofisticata». Sta a ognuno non prescindere dalla «luce di Dio» che «riconsacra le cose», che «entra nel tempo», «germoglia e porta con sé verso la sua fioritura definitiva tutte le nostre passioni, le nostre sofferenze e le nostre gioie».
Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 dicembre 2020