Archivio | aprile, 2023

La filosofia nel Santo Rosario: padre Giuseppe Barzaghi a Ferrara

24 Apr

I Misteri e la dialettica, un rapporto originale. Incontro il 4 maggio a Casa Cini

di Andrea Musacci

Cosa c’entra la filosofia con il Santo Rosario? Come questi due mondi possono incontrarsi? 

Su questo il prossimo 4 maggio rifletterà padre Giuseppe Barzaghi (foto), Direttore dello Studio Filosofico Domenicano di Bologna, sacerdote domenicano, saggista e docente di Teologia. L’appuntamento è per le ore 18.30 a Casa Cini, Ferrara. Si tratta dell’ultimo dei tre incontri del ciclo “Il cuore non basta. Filosofia e fede oggi: un legame da riscoprire”, organizzato dalla Scuola di Teologia per laici “Laura Vincenzi” e coordinato dal prof. Maurizio Villani. I primi due incontri si sono svolti il 23 febbraio con Anna Bianchi (Università Cattolica di Milano) su “Fides et ratio” e il 16 marzo con lo stesso Villani su “Percorsi fenomenologici sulle religioni”. 

Il titolo dell’incontro di p. Barzaghi riprende, invece, quello di un suo noto libro, “Il riflesso. La filosofia dove non te l’aspetti o il rosario filosofico” (ESD Edizioni Studio Domenicano, collana Anagogia, ottobre 2018.)

La dialettica porta alla Gloria

Per un approccio integrale al sapere, occorre trovare una visione sintetica – scrive padre Barzaghi nel suo libro – nel senso di «tecnicità dell’operazione teoretica» e di «visione che raccoglie tutto, anche i rimasugli. I rimasugli sarebbero lo scarto», ciò che per l’uomo di scienza è opinabile.

La struttura più conforme è quella dialettica: tesi, antitesi e sintesi (che non è mera somma, ma oltrepassamento degli elementi, loro superamento nella relazione). Anzi: Positio, Oppositio, Compositio. Ma questo metodo, questa struttura si può applicare anche per i Misteri della nostra fede: la positio è rappresentata dai cinque misteri gaudiosi, l’oppositio dai cinque misteri dolorosi, la compositio dai cinque misteri gloriosi. Così, ognuna delle tre parti si divide in cinque tappe, proprio come le cinque decine del Rosario. Questa l’originale intuizione del domenicano.

Misteri gaudiosi (Positio)

Praepositio: lo stupore, la meraviglia da cui nasce la filosofia. Ovvero, la meraviglia di Maria durante l’Annunciazione. Dispositio: la Visitazione di Maria ad Elisabetta, «l’abbandono di qualsiasi presupposto», «l’umiltà di chi non sa». Propositio: proporre una nuova idea: la Nascita di Gesù. Suppositio: la Presentazione di Gesù al Tempio. Ovvero, proporre la nuova idea ma in modo riflesso. Expositio: Ritrovamento di Gesù tra i dottori nel Tempio: l’interrogare di Gesù.

Misteri dolorosi (Oppositio)

Depositio: l’agonia, la lotta, l’agone: Gesù nel Getsemani. Contrappositio: il primo atto della lotta: la Flagellazione di Gesù. Interpositio: la Derisione di Gesù. Impositio: la salita di Gesù al Calvario. Decompositio: «l’addormentarsi in Dio, nella nebbia della non conoscenza».

Misteri gloriosi (Compositio)

Superpositio: «il risvegliarsi in Dio, la Resurrezione di Gesù», cioè «considerare da un punto di vista assoluto». Transpositio: avere quindi uno sguardo più ampio e pieno: l’Ascensione di Gesù Cristo. Circumpositio: lo sguardo pieno porta a un pieno coinvolgimento: lo Spirito agisce dall’interno. Appositio: coinvolgimento anche sensibile: l’Assunzione di Maria Vergine in cielo in anima e corpo. Infine, Diapositio: «In Paradiso c’è la perfetta compositio», scrive p. Barzaghi. La diapositio è «la Gioia, filtrata dal Dolore, e che si consu(m)ma, cioè arriva a perfezione, nella Gloria». «Che cos’è il meraviglioso della Gloria? È l’atto nel quale gioia e dolore sono la stessa cosa. E questa è la commozione, la compassione e la consolazione», sono ancora sue parole. È il «meraviglioso senza perché»: «si tratta di una identificazione, come se l’addormentarsi in Dio nel risvegliarsi in Dio implicasse una fusione».

Dallo stupore iniziale, “crudo”, naturale si arriva dunque alla mistica, passando per la speculazione.

***

Si chiede ai partecipanti iscritti in presenza di comunicarlo alla Segreteria dell’Istituto. Gli incontri saranno anche disponibili (in diretta e come registrazioni) sulla piattaforma YouTube dell’Ufficio Comunicazioni diocesano.

Per informazioni e iscrizioni contattare la Segreteria: Tel. 0532 242278 

segreteria@stlferraracomacchio.ithttp://www.stlferraracomacchio.it

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 aprile 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Cristo condizione dell’umano: Enzo Cicero a Ferrara

24 Apr

Dal dio astratto a una nuova cristologia: l’intervento di Enzo Cicero a Ferrara. Arrivare a Cristo tramite l’analogia, suprema struttura trascendentale di tutto ciò che riguarda l’umano

È ancora possibile oggi un discorso su Cristo partendo da basi filosofiche? È possibile, dunque, una cristologia filosofica? Una grande sfida a cui cerca di dare una prima risposta Vincenzo Cicero col suo libro “Sapienza muta. Dio e l’ontologia” (Morcelliana, 2023), presentato lo scorso 21 aprile nella sede dell’ISCO di Ferrara (vicolo S. Spirito, 11). L’incontro, organizzato da Istituto Gramsci e ISCO, ha visto l’autore dialogare con Piero Stefani. 

«Io sono colui che sono!», dice Dio a Mosè (Esodo 3, 14). Da qui è partito Stefani nella sua riflessione introduttiva:«come suggerisce anche Cicero nel suo libro, si è esaurita la possibilità di fare un’ontologia filosofica che abbia come primato questa “autopresentazione” di Dio. Ma non si è esaurito, invece, il versetto di Giovanni “E il Verbo si fece carne” (Gv 1, 14), che sarebbe più corretto tradurre con “La Parola [Logos] si fece carne”. Da questo versetto di Giovanni – ha proseguito Stefani – si può fare non un discorso su Dio ma su Cristo, è cristologia, da cui può partire quindi una cristologia filosofica».

«Filosoficamente parlando – è intervenuto dunque Cicero -, è Cristo la chiave ermeneutica dell’intera Bibbia. Ad essersi esaurito – ha proseguito – non è quel passo di Esodo ma la sua traduzione filosofica: hanno fallito le interpretazioni filosofiche di Dio, tutte o troppo astratte, astruse o troppo antropomorfe. È questo dio a essere morto». Da qui il tacere, il silenzio necessario della filosofia sulla deità. Ma andando oltre l’appercezione trascendentale kantiana, e mettendo in guardia dall’interpretazione errata di Esodo 3,14 («non si può usare l’io per Dio»), Cicero ha proposto l’uso dell’es tedesco, che non è né personale né impersonale, per dire Dio. L’autore suggerisce dunque la nozione di “inquanto” inteso nella sua struttura analogica, il medio analogico trascendentale, l’analogo, l’”in quanto tale”. «Ciò che non può essere posto in relazione ad altro, l’innominabile, la condizione stessa di ogni nominazione. Condizione che, dunque, si sottrae ad ogni nominazione». Appunto, ciò che non è né personale né impersonale. L’analogo, quindi, è «la suprema struttura trascendentale, la condizione trascendentale di ogni sentire, pensare, dire e immaginare dell’umano». Insomma, di ogni relazione. «È ciò mediante cui ogni cosa può essere sentita, pensata, detta e immaginata. L’analogo richiama quindi Cristo»: «tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1, 3). «Di tutto ciò, quindi, che anche può essere sentito, detto, pensato, immaginato. L’analogo è Cristo», ha concluso Cicero.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 aprile 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Purezza e silenzio nelle foto di Cristina Garzone

24 Apr

La mostra “Misticismo copto” esposta nella Basilica di San Giorgio fuori le Mura

Purezza e silenzio, una preghiera fatta anche di gesti lenti, impercettibili.

Sono forti le emozioni che trasmette la mostra di Cristina Garzone, “Misticismo copto”, esposta dal 21 al 25 aprile nell’ex chiostro olivetano della Basilica di San Giorgio fuori le Mura. In occasione della Festa del patrono, la nostra città ha ospitato le fotografie della fotoreporter di fama internazionale. Foto scattate nella città di Lalibela nel nord, patrimonio UNESCO dal 1978, con le sue 11 chiese monolitiche ipogee costruite nel XII secolo e collegate da un intricato sistema di tunnel sotterranei.

«Abbiamo pensato che questo chiostro, per secoli luogo del silenzio, potesse essere adatto per questa mostra», ha detto il diacono Emanuele Pirani durante l’inaugurazione del 21. «Il silenzio e l’osservazione – ha proseguito – sono caratteristiche necessarie perché ogni fotografia sappia cogliere sentimenti, azioni, storia e cultura delle persone, dei luoghi, dei popoli». 

«Lasciamoci prendere dal silenzio, dal fascinosum di queste fotografie», ha aggiunto padre Augusto Chendi, Amministratore parrocchiale di San Giorgio.

Presente all’evento inaugurale anche il nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego: «sono stato due volte in Etiopia, la prima per un progetto Caritas Italiana legato alla guerra, la seconda da Direttore della Migrantes. Nei miei viaggi ho potuto ammirare anche queste meravigliose chiese. È una mostra importante – ha proseguito – anche perché ci fa riflettere sui monasteri presenti nella nostra città, una città storicamente religiosa e di preghiera, fortemente mistica». 

Dopo un breve saluto da parte di don Lino Costa, amico da anni di Garzone, ha preso la parola proprio quest’ultima: «nei sotterranei che ho visitato e fotografato sono venuta in contatto con la gente di queste tribù. Persone dure, difficili, ma devote e che trasmettono un senso di purezza da cui mi sono fatta trasportare. Persone che ho avvicinato considerandole non cose, oggetti del mio lavoro, ma con una dignità. Mi sono avvicinata a loro, quindi, in punta di piedi, mettendomi “al loro livello”. Ero diventata la loro fotografa, ho anche regalato loro una foto scattata da me».

Garzone ha quindi donato due copie della sua foto della chiesa di San Giorgio a Lalibela in Etiopia, una al Vescovo e una a padre Chendi come rappresentante della parrocchia. A lei, invece, padre Chendi ha regalato una statuetta di San Giorgio. Poi, il giro con mons. Perego per presentargli la mostra, attraversando le immagini della processione di Santa Maria, della luce che filtra nelle fessure, del bacio della croce prima dell’ingresso in chiesa, delle scarpe tolte prima di entrarvi. Del profondo raccoglimento e stupore di questo popolo così profondamente – è il caso di dire – immerso nel divino.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 aprile 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Delta del Po, un equilibrio molto delicato

17 Apr

Il Convegno a Porto Viro dedicato alle trivellazioni nell’Adriatico. L’allerta degli esperti è chiara

Un equilibrio a rischio per un territorio di per sé già fragile. La questione delle trivellazioni nel Mar Adriatico, per la precisione a nord di Goro, per estrarre gas in questo periodo di crisi energetica, è stata al centro di un importante convegno svoltosi lo scorso 13 aprile a Porto Viro (RO). L’iniziativa è stata ideata e organizzata dai tre Vescovi delle Diocesi coinvolte: mons. Gian Carlo Perego (Ferrara-Comacchio), mons. Pierantonio Pavanello (Adria-Rovigo), mons. Giampaolo Dianin (Chioggia).

Nella Sala Eracle, sul tema “Le trivellazioni in Adriatico: domande per il presente, responsabilità per il futuro”, si sono confrontati diversi esperti moderati dal giornalista di Avvenire Antonio Maria Mira. Circa 200 i presenti.

I saluti iniziali sono spettati a mons. Dianin, il quale ha voluto innanzitutto puntualizzare sul senso dell’incontro: «non siamo qui per fare politica, come alcuni hanno detto.  Siamo anche noi membra vive della società, del nostro territorio. Il nostro è dunque un desiderio pastorale e morale, al servizio delle persone. Come sempre».

Il geologo Alberto Riva, assegnista dell’Università di Ferrara, è intervenuto per primo, trattando del delicato tema della subsidenza, il lento e progressivo sprofondamento del fondo di un bacino marino o di un’area continentale. «Negli anni – ha detto Riva – è venuto meno l’equilibrio del Delta del Po: nel secondo dopoguerra, fino agli anni ’60, estrazioni selvagge di gas hanno avuto conseguenze, anche a lungo termine». 

Tema, questo, ripreso da Bernhard Schrefler, docente emerito di Scienze delle costruzioni dell’Università di Padova: «la presenza di gas e acqua crea tensione nei terreni, rendendoli fragili. Finora non è mai stata studiata l’interazione fra i vari giacimenti di gas: sono studi che andrebbero fatti, con una piena trasparenza dei dati».

A mettere ancor più il dito nella piaga è stato poi Giancarlo Mantovani, direttore del Consorzio di Bonifica Delta del Po, parlando delle conseguenze della subsidenza, causata anche dal consumo eccessivo del sottosuolo, trivellazioni comprese: «oggi il Veneto è mediamente sotto 2 metri e mezzo sotto il livello del mare, con picchi di 3-4 metri. Dal 1961 – anno in cui fu sospesa l’estrazione del metano – è sceso di un altro metro». Dal ‘73 al 2008, il territorio è poi calato di ulteriori 40 cm. Insomma, «il Delta del Po è stato stravolto», con conseguenze sulla «sicurezza idraulica per l’abbassamento degli argini», con una «maggiore erosione delle linee di costa»: il mare «si è ripreso pezzi di territorio, le spiagge spariscono, gli argini sono aggrediti dal moto ondoso». Questo è lo scenario da guardare in faccia e affrontare. Riguardo al provvedimento approvato dal Governo italiano lo scorso novembre che permette estrazioni di metano oltre le 9 miglia dalla costa (prima era dalle 12 miglia), Mantovani ha proposto: «dovremmo creare un gruppo di lavoro di tecnici e scienziati indipendenti per capire come agire, non affidandoci a ciò che dicono le aziende di estrazione del gas».

E a proposito di una corretta informazione sui temi che riguardano la tutela dell’ambiente, il fisico e climatologo del Gruppo Energia per l’Italia Vittorio Marletto ha usato parole altrettanto nette: «il riscaldamento del pianeta è indubitabile: la temperatura è aumentata più di un grado in un secolo, più che in 2mila anni. Nel nord Italia, le temperature estive sono aumentate di 2 gradi in 30 anni: qualcosa di mostruoso». La causa principale è chiara: l’aumento spropositato di emissioni di gas serra. «Dobbiamo uscire dalla trappola dei fossili», ha proseguito, «interrompendo quindi le estrazioni». Anche perché «dalle stime, anche se estraessimo tutto il gas dall’Adriatico, sarebbe comunque 1/5 di quello che ci servirebbe in 1 anno in Italia. E la stessa UE ci impone entro il 2030 di aumentare le energie rinnovabili, non di estrarre altro gas».

«Dobbiamo aspirare a un nuovo equilibro tra terra e acqua, e ciò metterebbe in moto teste, idee, esperienze virtuose», ha detto invece il sociologo Giorgio Osti, mentre della Pianificazione dello Spazio Marittimo ha parlato l’urbanista dello IUAV di Venezia Francesco Musco: «il Piano del Mare – attualmente in fase di consultazione – è importante per dare risposte sull’utilizzazione delle risorse, e darle a lungo termine». 

Al termine degli incontri sono intervenuti alcuni rappresentanti delle istituzioni locali, fra cui Valeria Mantovan, Sindaca di Porto Viro, e il nostro Arcivescovo mons. Perego per un saluto finale: «c’è uno stile di vita che dobbiamo adeguare, sull’uso dei beni della terra». Senza dimenticare «il problema delle conseguenze demografiche sulla popolazione delle trasformazioni ambientali. La politica – è il suo invito – deve approfondire queste domande e queste problematiche, per il bene comune del nostro territorio». Un territorio estremamente fragile.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 aprile 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Misticismo copto, l’Etiopia tra Matera e San Giorgio: mostra di foto a Ferrara

17 Apr

Dal 21 al 25 aprile la Basilica di San Giorgio fuori le Mura a Ferrara ospita la mostra di Cristina Garzone, fotoreporter di fama internazionale. Le abbiamo rivolto alcune domande

di Andrea Musacci

La Basilica di San Giorgio fuori le Mura ospita la mostra personale di una fotoreporter di livello internazionale, Cristina Garzone. Dal 21 al 25 aprile, in occasione della Festa di San Giorgio, nell’ex Chiostro Olivetano sarà esposto il progetto fotografico dal titolo “Misticismo copto”. Inaugurazione il 21 aprile alle ore 18.45. Protagonista delle opere in parete, la città di Lalibela nel nord dell’Etiopia (a oltre 2600 metri di altezza), patrimonio UNESCO dal 1978, con le sue 11 chiese monolitiche ipogee costruite nel XII secolo e collegate da un intricato sistema di tunnel sotterranei. Come ha scritto Carlo Ciappi a proposito del progetto della Garzone, «è proprio in quell’interiorità della terra che gli Etiopi cercano di immedesimarsi in quell’Uno, di avvicinarsi al suo esempio ideale poggiando mani e volto a pareti non levigate o in presenza di sontuosi arazzi o pregiate rappresentazioni di ogni genere». 

“Misticismo copto” è anche il titolo del suo libro fotografico con contributi, fra gli altri, di Derres Araia (Segretario Diocesi ortodossa Eritrea in Italia) e mons. Antonio Giuseppe Caiazzo (Arcivescovo Diocesi Matera-Irsina). È stato realizzato anche un audiovisivo, a cura di Lorenzo de Francesco (https://www.youtube.com/watch?v=v49yHeP5Wso).

Garzone, originaria di Matera e residente in provincia di Firenze, negli anni ha conseguito numerosi riconoscimenti nei più importanti concorsi internazionali. Fra questi, nel 2010, ha ottenuto il 1° Premio nel concorso “3° Emirates Photographic Competition” in Abu Dhabi, e nel 2014 ha conquistato il Grand Prize nell’8a edizione dell’“Emirates Award of Photography”, sempre in Abu Dhabi: qui, è risultata prima assoluta fra 8500 partecipanti di 58 Paesi, presentando il portfolio “Pellegrinaggio a Lalibela”. Ad aprile 2020 le è stata conferita la più alta onorificenza della fotografia internazionale MFIAP (Maitre de la Federation Internationale de l’Art Photographique): Garzone è ancora la prima ed unica donna fotografa italiana ad aver conseguito un titolo così importante. Infine, nel Luglio 2021 le è stata conferita l’onorificenza EFIAF (Eccellenza della FIAF) e nel marzo 2023 l’onorificenza EFIAF/b. Sue mostre personali sono state esposte in Italia e all’estero.

L’abbiamo contattata per rivolgerle alcune domande.

Dove nasce il progetto “Misticismo copto”?

«Il progetto parte da lontano, nel 2011, quando scelgo di “abbandonare” la mia macchina analogica per iniziare a usare quella digitale, e il mio amato Oriente – sono stata, ad esempio, una decina di volte in India – per visitare il sud dell’Etiopia, alla ricerca delle antiche tribù. Successivamente ho scelto di visitare anche il nord del Paese, in particolare la città di Lalibela, famosa per le sue chiese monolitiche scavate nella roccia».

Cos’ha scoperto qui?

«Ho scoperto innanzitutto queste chiese splendide, scavate nel tufo. Fin da subito mi ha impressionato vedere tanti fedeli così profondamente assorti nella preghiera, molti di loro all’esterno delle strutture, dato che le chiese sono piccole: alcuni di loro – avvolti in mantelli bianchi così da trasmettere una sensazione di purezza – gli ho visti baciare le pareti in segno di devozione». 

Da qui, l’idea del progetto…

«Esatto. Una volta tornata a casa, mi sono confrontata con un noto studioso di storia delle religioni, che mi ha incitato a realizzare un progetto di questo tipo sui copti, mai realizzato prima». 

Com’è nata l’idea di esporre a Ferrara?

«Sono venuta in contatto col diacono Emanuele Pirani tramite don Lino Costa, che conosco da diversi anni e più volte mi ha coinvolto nelle sue iniziative “In viaggio con don Lino”».

Il legame con San Giorgio è profondo…

«Sì, sembra che San Giorgio mi segua ovunque: la chiesa più importante a Lalibela è proprio la chiesa di San Giorgio (Bet Giorgis, ndr), la cui foto aprirà la mia mostra a Ferrara. Tra l’altro, il prossimo 7 settembre tornerò a San Giorgio fuori le Mura per esporre il mio progetto fotografico dedicato alla Festa della Bruna a Matera».

Avremo modo di riparlarne. In ogni caso, Matera per lei non rappresenta solo il luogo di nascita…

«Sì, questo progetto mi fu suggerito da un mio cugino: nel realizzarlo, ho provato emozioni molto forti, ricordi e sensazioni di quando ero bambina e ogni anno tornavo a Matera coi miei genitori. Ho deciso così di lasciare qualcosa d’importante di me nella mia terra, anche in memoria di mio padre, morto quando aveva 58 anni. Sono entrata in contatto anche con diversi artigiani del luogo, fra cui Francesco Artese, maestro dei presepi. Inoltre, lo scorso settembre ho partecipato al Congresso eucaristico nazionale di Matera come fotografa per Logos, la rivista della Diocesi».

A livello di spiritualità, esiste qualche legame tra una terra come Matera e l’Etiopia?

«Sì, a Matera come in tutto il Sud Italia la spiritualità è molto forte, la fede è molto sentita, vissuta in maniera intensa, come in Etiopia. Spesso, invece, al Nord Italia ad esempio, è ridotta a un fatto d’apparenza». 

In generale, qual è il suo rapporto con la fede?

«Sono credente, spesso amo “rifugiarmi” nel convento di S. Lucia alla Castellina a Sesto Fiorentino, perché sento il bisogno di staccarmi dalla quotidianità e perché la vita a volte ti mette davanti a dure prove. Da qui, il mio bisogno di avvicinarmi a Dio, di sentirmi vicino a Lui».

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Festa di San Giorgio, tante iniziative fino al 25 aprile

Lunedì 24 importante Rassegna corale e strumentale diretta da Davide Vecchi

La Festa di San Giorgio, patrono della città di Ferrara, prevede venerdì 21 aprile alle ore 18.45 l’inaugurazione della mostra “Misticismo copto” di Cristina Garzone.

Sabato 22 aprile alle ore 18, S.Messa solenne presieduta dal nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, mentre domenica 23 aprile, S. Messe alle ore 11.15 (solenne) e 18 (in memoria dei contradaioli di San Giorgio).

Lunedì 24 aprile alle ore 21, I^ Rassegna corale & strumentale “San Giorgio, Patrono di Ferrara”, diretta da Davide Vecchi.Si esibirannoCoro della Basilica di S. Giorgio in Ferrara (Dir. Davide Vecchi), Coro dell’Arengo, Bologna (Dir. Daniele Sconosciuto), Ensemble strumentale “Otto e mezzo” Accademia Corale Teleion, Mirandola (MO) (Dir. Luca Buzzavi),Coro da camera del Conservatorio “G. Frescobaldi” di Ferrara (Dir. Manolo Da Rold).

Ma sono tanti anche gli eventi organizzati dalla Contrada di San Giorgio col Palio di Ferrara:fra questi, “Le Taverne all’ombra del campanile” (dal 21 al 25 aprile), il 22 alle 18 l’inaugurazione dei nuovi giardini della Contrada diSan Giorgio con spettacolo del gruppo sbandieratori e musici; il 23 aprile alle 9.30 è invece in programma la “Caminada Par San Zorz – Trofeo AVIS”. Infine, il 25 aprile sul piazzale San Giorgio alle ore 10, XI Trofeo dell’Idra, Torneo Sbandieratori e Musici.

Pubblicati sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 aprile 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

«Per gli ucraini il disarmo vorrebbe dire piena distruzione»: Massimo Faggioli sulla guerra

3 Apr

«La pace viene dopo aver fatto la resistenza, la resistenza non è la pace». Sbaglia, quindi, chi in Italia, compresi molti cattolici, «vorrebbe il disarmo dell’Ucraina contro l’invasore russo: significherebbe una resa, e porterebbe a una distruzione dell’Ucraina». Così Massimo Faggioli, storico delle religioni e docente dell’Università di Villanova (Pennsylvania, USA), intervenendo il 31 marzo all’incontro “Guerra ucraina e cristianesimo”, per il ciclo “Anatomia della pace”. L’incontro, svoltosi on line, è stato organizzato da Istituto Gramsci Ferrara e Isco Ferrara, ed è reperibile sulla pagina Facebook dello stesso Istituto Gramsci.

Secondo Faggioli – intervistato da Francesco Lavezzi -, «spesso nel dibattito all’interno del cattolicesimo italiano non si è colta la rottura che questa guerra ha portato, e che invece ha fatto emergere la rielaborazione della memoria della Resistenza in Italia sotto l’emblema della pace. Ma la resistenza – ha proseguito – vuol dire anche resistenza attiva, con l’uso della forza quando non ci sono altre risorse». Tanti cattolici, invece, propongono il disarmo anche per gli ucraini, «una soluzione velleitaria, che significherebbe la distruzione» del Paese. La stessa Chiesa cattolica, secondo Faggioli, deve continuare a «essere operatrice di dialogo e di pace», ma «a volte non ci sono alternative: la resa dell’Ucraina sarebbe una sorta di suicidio collettivo». I laici cattolici «devono prendere decisioni», a volte «le meno peggio», spesso dolorose. Ma «il primo dovere è quello di difendere chi non si può difendere». Da notare, inoltre, come l’Ucraina negli ultimi decenni «abbia fatto molto più i conti col proprio passato, anche filonazista», rispetto alla Russia che, al contrario, «glorifica il proprio passato imperiale». Oggi l’Ucraina è guidata da Zelensky, «un presidente ebreo», ed è «sempre più multiculturale».

Il dibattito nella Chiesa

Faggioli ha anche ragionato su come la guerra russo-ucraina stia spaccando tanto il mondo cattolico quanto quello ortodosso. «Si tratta di un evento che rompe una certa situazione, o illusione, sull’Europa, che anche il mondo cattolico si era fatto: quello di un quadro stabile e pacificato». Quadro che aveva portato anche alla «de-europeizzazione e de-occidentalizzazione» tipica del papato di Francesco. «La guerra russo-ucraina – secondo Faggioli – sicuramente sta facendo ragionare molti cardinali su quale pontificato possa essere il più adatto» nel post Francesco, «viste anche le difficoltà di quest’ultimo a volte nell’interpretare il conflitto».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 aprile 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto Francesca Brancaleoni)

Sacramento e abbandono: Marina Salamon a Ferrara

3 Apr

La sera del 30 marzo a Casa Cini è intervenuta la nota imprenditrice. In dialogo con Piero Stefani e coi presenti, è emersa la  complessità di una vita tra fede, carriera e famiglia

di Andrea Musacci

Per don Lorenzo Milani era centrale l’aspetto sacramentale oppure quello caritatevole/pastorale? Era un esponente ante litteram della “Chiesa in uscita” o, semplicemente, un sacerdote della Chiesa pre Concilio Vaticano II, che cercava, ogni giorno, di incarnare il Vangelo?

Da questi dilemmi, escono, da decenni, accesi dibattiti. Uno di questi, si è svolto la sera del 30 marzo a Casa Cini, Ferrara, in occasione dell’ultimo incontro della Cattedra dei credenti organizzata dalla Scuola di teologia “L. Vincenzi” e coordinata da Piero Stefani. Proprio quest’ultimo ha dialogato con Marina Salamon, personalità eclettica del mondo imprenditoriale italiano, verve da ragazzina e forza da matriarca.

Anelli e catene: il dono, il denaro, la profezia

«Vengo da una famiglia borghese e non credente ma amante di don Milani, che diventava quindi un anello di congiunzione», ha esordito Salamon. Un anello, dunque, il primo che la tenne legata, per alcuni anni, alla Chiesa. Poi ne vennero altri, gli scout («ho avuto il grande dono di incontrare Dio attraverso lo scoutismo e S. Francesco d’Assisi»), Comunione e Liberazione, con quella Jeep comprata coi primi soldi guadagnati e donata a un amico ciellino missionario in Africa.

«La mia fede è un dono» ma ho passato parte della mia vita a sentirmi fuori posto, a essere considerata irregolare, per i figli che ho avuto fuori dal matrimonio e i miei due divorzi alle spalle». Quegli anelli, segno di profonda unione e di libertà, sono diventati catene da cui liberarsi. 

Marina inizia dunque la propria carriera imprenditoriale: da lì il successo, la ricchezza, la fama. Ma sempre senza diventarne schiava. Sì, perché le catene possono anche essere quelle del guadagno, della ricchezza e della sua ostentazione. «Da tanti anni faccio filantropia, ma solo da alcuni rifletto su come possa diventare metadone, cioè possa aiutare a tenere la propria coscienza a posto. Non amo la ricchezza che diventa simbolo del lusso, ostentazione», sono ancora sue parole. «Il denaro dovrebbe essere solo uno strumento e invece troppo spesso ho visto ricchi farsi del male perché non sapevano usarlo». Denaro che, «come ci insegna la Parabola dei talenti, non è davvero nostro», e quindi è da restituire e reinvestire.

Da qui, una riflessione sul mondo di oggi, dove ostentazione e speculazione dominano. «Il tema della finanziarizzazione è serio, grave, incombente, le disuguaglianze aumentano ma bisogna ancora tentare di creare nuove possibilità. Per questo, c’è bisogno di profezia, e di una profezia incarnata nel fare». Per Salamon, pensando anche alle lotte di queste settimane in Francia, «dobbiamo ridefinire l’impegno, l’utilità sociale e il senso del lavoro: perché lavoriamo? Per costruire quale società?». Il suo pensiero è quindi andato alla lettera che don Milani nel ’50 a San Donato a Calenzano scrisse a Pipetta, giovane comunista, suo “compagno” di battaglie, ma che ammonisce così: «Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno d’un sacerdote di Cristo: “Beati i… fame e sete”». È questa la profezia, il non sentirsi mai appagati, il «saper andare oltre», il sapere che c’è sempre Qualcosa che ci supera. 

Sempre capaci di rimetterci davanti a Dio

Questo suo bisogno – di don Milani, e di Salamon – di andare sempre oltre il presente, la concretezza così velocemente tramutabile in grettezza, è stato ripreso da Piero Stefani, che ha posto l’accento sulla «spiritualità “tridentina”» di don Milani, nella quale «centrali erano i sacramenti e un’idea del peccato molto forte».

Ai suoi ragazzi di Barbiana una volta disse: «Per me che l’ho accettata, questa Chiesa è quella che possiede i sacramenti. L’assoluzione dei peccati non me la dà mica l’Espresso (settimanale laico di sinistra, ndr). L’assoluzione dei peccati me la dà un prete. Se uno vuole il perdono dai peccati si rivolge al più stupido, arretrato dei preti pur di averla. (…). In questa religione c’è fra le tante cose, importantissimo, fondamentale, il sacramento della confessione dei peccati. Per il quale, quasi per quello solo, sono cattolico. Per avere continuamente il perdono dei miei peccati. Averlo e darlo». Don Milani era quindi, per Stefani, «il rappresentante di un cattolicesimo che non c’è più».

«Sento spesso il bisogno di rimettermi davanti a Dio – ha risposto Salamon -, perché quando senti la spaccatura dentro di te fra intelligenza e libertà, logica e desiderio di bene, di ciò hai bisogno, e solo di ciò: per questo, don Milani amava la Confessione». Senza, però, «rifugiarsi nei sacramenti» ma vi aderiva per appartenere alla Chiesa, «altrimenti penso avrebbe spaccato tutto… . Non credo, quindi – ha proseguito Salamon – che la sacramentalizzazione fosse centrale in lui». E a maggior ragione oggi, i sacramenti sono ancora fondamentali ma «dobbiamo anche riscoprire il bisogno, di ognuno, di sentirsi accolto, di potersi fidare e abbandonare all’altro».

Un dialogo, con Stefani e col pubblico, conclusosi con la commozione di Marina Salamon. Lacrime di dolore, le sue, per la giovane nipote morta suicida, e per il ricordo dei sei figli perduti in gravidanza. Ma anche lacrime di riconoscenza, segno sacro. Come segni sono quelle piccole chiese gotiche di cui Marina è sempre alla ricerca, e quel Santuario parigino della Medaglia Miracolosa tante volte sfiorato e solo dopo tanto tempo davvero “visto”, come una rivelazione. Un luogo dove potersi abbandonare, dove vedere – col cuore – sacramento e carità uniti oltre ogni falsa separazione.

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 aprile 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto Pino Cosentino)

Utero in affitto: se il mercato vende anche i bambini (e le relazioni)

1 Apr

In Italia si è riaperto iil dibattito sulla cosiddetta “maternità surrogata”. Chi la sostiene, non rispetta la dignità della donna e del bambino e la bellezza indisponibile della relazione materna. Alcune riflessioni su corpi e contratti

di Andrea Musacci

Nelle ultime settimane, il dibattito sull’utero in affitto si è riacceso dopo che la Commissione Politiche europee del Senato italiano ha respinto il certificato europeo di filiazione che prevede che la genitorialità stabilita in uno Stato membro UE venga riconosciuta in ogni altro Stato membro, senza alcuna procedura speciale (come l’adozione “in casi particolari”), che si tratti di figli di coppie eterosessuali, omogenitoriali, figli adottati o avuti con la maternità surrogata.

In tanti hanno denunciato (totalmente a sproposito) come questa scelta comporterebbe la negazione dei diritti del bambino. Ma chi, prima di questa surreale tesi, aveva il coraggio di sostenere che sia naturale che un bambino/a nasca senza la propria madre? Nessuno. La realtà, però, viene ancora una volta stravolta.

La realtà è che l’utero in affitto è un accordo commerciale fra due o più parti, in virtù del quale una donna si impegna, dietro compenso (in rari casi, a titolo gratuito), a farsi fecondare o a farsi impiantare un ovulo fecondato al fine di portare a termine una gravidanza per conto di uno o più committenti, e a consegnar loro il bambino dato alla luce rinunciando a ogni diritto su di esso. Commercio, committenti, rinuncia a ogni diritto. Bisogna partire da qui, da questi dati di realtà. E dal fatto che «gli aspiranti genitori lo realizzano [il figlio] facendo propria una creatura che viene al mondo per soddisfare» il loro desiderio di essere genitori, «unicamente. Soddisfarlo è la sua ragione di essere». Parole di Luisa Muraro, filosofa femminista (1).

LA DONNA TORNA A ESSERE OGGETTO

La liberazione sognata per secoli dalle donne, dove sarebbe in tutto ciò? La donna diventa mezzo di produzione, negando a sé stessa non solo il generare vita nell’amore, ma anche nel piacere, nel desiderio. «La riproduzione diventa produzione di cui siamo a un tempo mezzi e destinatari», scrive un’altra femminista, Marina Terragni (2): ci si vende (i propri gameti: ovociti e spermatozoi, pratica vietata in Italia) e si compra l’utero di un’altra (pratica altrettanto vietata). 

Il vero antiliberismo e il vero ecologismo oggi non possono non essere anche a tutela della naturalità della riproduzione umana, contro la mercificazione dei corpi (soprattutto delle donne), della parte più intima del corpo. E invece i maître à penser progressisti sono in buona parte schierati col mercato. Dall’altronde, è tipico del neoliberismo spacciare il commercio per libertà, per autorealizzazione. Siamo arrivati all’«autosfruttamento del proprio capitale umano, corporeo e sessuale» (3), scrive Ida Dominijanni, anch’essa filosofa femminista: il neoliberismo tecnicista ci ha chiesto di venderci integralmente, e noi lo stiamo facendo.

RELAZIONE IN VENDITA

Il mercato, quindi, non si ferma nemmeno davanti alla relazione tra la madre e la sua creatura, separandoli, strappando il neonato dal ventre subito dopo il parto. Ha qualcosa di sulfureo tutto ciò: strappare violentemente il legame più naturale, più sacro che esista, arrivando così all’origine della vita, interrompendo una relazione – quella tra creatura e madre – iniziata 9 mesi prima. I committenti non comprano solo un bambino, non affittano solo il corpo di una donna: in un certo senso, comprano anche la loro relazione. 

Ancora Terragni: «È paradossale che alla donatrice di utero si richiedano capacità empatiche straordinarie, al punto di saper provare compassione per perfetti sconosciuti infertili che spesso abitano dall’altra parte del pianeta e che le chiedono aiuto. Ma dal momento in cui l’embrione è impiantato le viene richiesto l’esatto contrario, cioè che rinunci a ogni empatia nei confronti della creatura che ospita». Un contratto commerciale diventa più sacro del legame tra madre e figlia/o.

IL CONTRATTO DI AFFITTO: CONTROLLO PIENO, SULLA VITA E SULLA MORTE

Ma cosa dice questo contratto? Riportiamo solo alcuni passaggi: i committenti possono controllare quasi ogni dettaglio della vita privata della “surrogante” fino al momento della nascita: la dieta, l’esercizio fisico, lo stile di vita, i viaggi. C’è chi pretende che la donna segua una dieta vegana o macrobiologica, chi le vieta di tingersi i capelli. E soprattutto, di non creare alcuna relazione genitore-figlio con il bambino. I compratori hanno anche diritto a tutte le notizie mediche sulla donna, sia sulla sua salute fisica, sia sulle sue eventuali sedute da uno psicologo. I contratti prevedono anche l’accesso diretto dei committenti a tutte le sue cartelle cliniche. E ancora: la “surrogante” non può avere nei 9 mesi nessun rapporto sessuale completo (per questo, spesso vengono scelte donne lesbiche). I compratori si riservano il diritto di far terminare la gravidanza entro 18 settimane. Diritto che possono esercitare a richiesta, in modo assoluto e senza dover addurre alcuna spiegazione o giustificazione. Infine, se alla “surrogante” dovesse capitare una fatalità, e morire, è inutile che abbia fatto testamento biologico: i compratori saranno gli unici ad avere voce in capitolo per tenere in vita la donna, eventualmente legata a una macchina salva-vita, qualora la gravidanza fosse nel secondo o terzo trimestre, per tutto il tempo necessario a raggiungere la vitalità del feto. Il marito della “surrogante”, o un suo parente prossimo, avranno voce in capitolo per il distacco dei macchinari o altri interventi sulla paziente solo dopo la nascita del bambino.

MADRE E CREATURA, UN LEGAME PROFONDO

Nel caso, invece, la gravidanza venga portata a termine senza ostacoli, la donna deve semplicemente sparire. Il suo compito è finito. Si prenda i soldi (sempre pochi, fossero anche 1milione di euro) e scompaia. E stia zitta: ora non è nemmeno più utile, ora deve tornare nel suo nulla, non rivendicare nulla sulla creatura che ha accudito e nutrito per 9 mesi. Come se nella gravidanza non avesse avuto nessuna relazione profonda: chimica, psichica, emotiva. È la scienza ad aver dimostrato questa relazione: a livello fisiologico, della comunicazione comportamentale e di quella empatica. Tra madre e creatura, nel grembo si instaura un legame profondo (“bonding prenatale”). «La relazione tra la madre e il feto – scrive Silvia Bonino, psicologa dello sviluppo (4) – garantisce lo sviluppo neurofisiologico e i primi apprendimenti, con conseguenze che non si limitano alla gestazione e non finiscono con il parto, ma possono durare per tutta la vita». 

MEZZO IN VISTA DI UN FINE

È la reificazione assoluta: la donna serve a qualcosa, è strumentale a soddisfare un desiderio altrui. È portatrice dell’oggetto del desiderio altrui (perlopiù maschile). È – con buona pace di Kant – mezzo in vista di un fine altrui. Perché se il fine (il mio desiderio di possesso di un figlio) è tutto, ogni mezzo è lecito. Il mio desiderio – criterio assoluto – giustifica anche il mezzo estremo: usare l’intimità di una donna.

Con l’utero in affitto, la donna che tanto ha lottato per affermarsi come soggettività libera e autodeterminata, ritorna ad antiche – e al tempo stesso nuove – catene: ancora vittima del maschile, di uomini che possono comprarla, dominarla, fare del suo corpo ciò che vogliono, carne per i propri desideri egoistici, mera fonte di (ri)produzione. I compratori sono anche persone che renderanno per il bambino angosciante domandarsi “chi sono io?”. Che significa anche “chi è mio padre?”, “chi è mia madre?”, e così a ritroso lungo le generazioni. Sono figli senza storia. Figli del dio mercato. Sta a noi salvarli dall’inferno che è stato progettato per loro.

1 L. Muraro, L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto, La Scuola ed., 2016.

2 M. Terragni, Temporary Mother.  Utero in affitto e mercato dei figli, VandA ed., 2016.

3 https://idadominijanni.com/2014/05/15/il-corpo-e-mio-e-non-e-mio/

4 https://psicologiacontemporanea.it/blog/lintima-relazione-tra-feto-e-gestante/

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 marzo 2023

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