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«La vita in grembo non appartiene né alla madre né allo Stato né alla tecnica», diceva Guardini nel 1949

15 Mar

Le parole profetiche scritte dal teologo: «l’elevatezza di un’istanza assoluta» non può venir meno per un giudizio «di utilità o danno»

di Andrea Musacci

«Quell’essere umano che matura nel grembo della madre è tutt’altro che un’escrescenza qualsiasi la cui estrazione può solo giovare», «non è semplicemente “corpo della madre”, non ne è una parte»: «esso è profondamente unito a tutto l’essere della donna e all’ethos della sua esistenza» senza però «dissolversi in esso». Queste parole pronunciate nel 1949 dal teologo Romano Guardini (pubblicate in “Il diritto alla vita prima della nascita”, Morcelliana, 2005) colpiscono per la loro lucidità e franchezza, oltre che per la ragionevolezza del contenuto che portano. E risuonano con ancora di più in questi giorni nei quali è ancora forte l’eco della «vittoria delle donne» per l’inserimento del diritto di aborto nella Costituzione francese.

«Tutti coloro che cooperano al «divenire di un individuo», prosegue Guardini, «anzitutto i genitori e lo Stato, ne sono responsabili. Non debbono forse, in certe circostanze, rappresentare l’interesse dell’essere non ancora indipendente, anche per ciò che attiene alla sua presenza fisica?». Ciò significa una cura e una tutela maggiore, quella necessaria per l’esistenza quando è più indifesa. Per questo, abortire un essere ai primi stadi del suo sviluppo, rappresenta per Guardini «la distruzione (…) di ciò che dovrebbe venir salvato». Il teologo era sempre impeccabile nell’uso attento delle parole; ma ciò non toglie loro una certa potenza. In questo caso, conseguenza anche dell’incubo nazista da poco conclusosi. «Nella misura in cui l’uomo usciva dalla barbarie – scriveva Guardini -, emerse sempre più chiaramente il principio che afferma: non è lecito toccare la vita dell’uomo finché non ha commesso un delitto per il quale è fissata, secondo il diritto vigente, la pena di morte, oppure finché non attacca un altro uomo che può salvarsi soltanto uccidendo l’aggressore (…). Non è [quindi] lecito distruggere la vita dell’essere umano che matura nel grembo materno, poiché non ha commesso nessun delitto, né ha posto un altro uomo in stato di legittima difesa». «Non appena (…) viene a mancare il principio assoluto» della sacralità della vita («l’elevatezza di un’istanza assoluta», la definisce Guardini), «e al suo posto subentra un giudizio pratico di utilità o danno, tutto va a rotoli»: diventa cioè «impossibile farsi un’idea di quali minacce possano sorgere per la vita e l’anima dell’uomo, se, privo del baluardo di questo rispetto, viene consegnato allo Stato moderno e alla sua tecnica». 

E infine – logica conseguenza -, sul tema dell’obiezione di coscienza all’aborto, Guardini fa una riflessione radicale ma più che mai realistica e attuale: se l’aborto è un diritto assoluto della donna (tanto da inserirlo in una Carta costituzionale, possiamo aggiungere ora), la sua applicazione dev’essere portata avanti a ogni costo. Anche contro la volontà di terzi: «il singolo medico può rifiutarsi, se però si verificasse il caso limite che tutti i medici disponibili si rifiutassero, lo Stato dovrebbe costringerne uno». Parole da non dimenticare.

Pubblicato sulla “Voce” del 15 marzo 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio