
Riflessioni dopo la 37^ edizione della rassegna ferrarese svoltasi tra molte polemiche: riscopriamo la sua essenza
di Andrea Musacci
Per almeno una settimana, in città non si è parlato d’altro: il Ferrara Buskers Festival non è più nel centro storico ma “confinato” nel Quadrivio degli Angeli e a Parco Massari. Ed è a pagamento (11 euro + eventuali costi di prevendita).
In attesa dei dati sull’affluenza e della conferenza stampa prevista a breve, cerchiamo di riflettere a freddo su questa che verrà ricordata come l’edizione più discussa del Festival. Innanzitutto, non si è trattato della prima a pagamento nella nostra città: già nel 2020 e 2021, in piena era Covid, gli organizzatori avevano optato per questa scelta. Allora venne motivata con l’obbligatoria selettività causa restrizioni emergenza sanitaria. Nel 2020 venne scelta la formula dei tre concerti a sera per ognuno dei cinque luoghi del centro selezionati (giardino di palazzo dei Diamanti, cortile di palazzo Crema, chiostro di San Paolo, cortile del Castello Estense, Palazzo Roverella). Costo del biglietto, 12 euro. Nel 2021, sarà di 10 euro, col Festival relegato nel solo Parco Massari.
Ma oggi, come giustificare una tale scelta, così contraria allo spirito libero dell’artista di strada? «I costi organizzativi sono diventati davvero improponibili», aveva dichiarato la Presidente e Direttrice Artistica del Festival, Rebecca Bottoni. D’altra parte, nei giorni scorsi l’Assessore alla Cultura del Comune di Ferrara, Marco Gulinelli, ha dichiarato: «per l’organizzazione del Festival edizione 2024 l’Amministrazione comunale ha sostenuto gli organizzatori con un contributo di 110mila euro».
LO SPIRITO ORIGINARIO
Nel libro del 1989 intitolato “Musicisti di strada. Immagini del Ferrara Buskers Festival”, in occasione della prima edizione del 1988, gli organizzatori riflettevano su una questione decisiva: «viene tradito lo spirito dei buskers nel costringere una attività spontanea, libera, per certi versi “trasgressiva”, entro i limiti di programmazione, istituzionalizzazione e codificazione che la struttura di un festival impone?». A ciò Luigi Russo, attuale Direttore organizzativo del Festival, 36 anni fa rispondeva elencando le dovute attenzioni dei promotori per lasciare il più possibile la spontaneità del gesto artistico del busker: «i luoghi deputati alle performance musicali sono stati individuati fra quelli normalmente prescelti dai buskers di passaggio in città. Nessun luogo chiuso dunque (teatro o cortile) (…)».
Nello stesso volume, Thomas Walker (già Direttore della Rassegna di teatro Aterforum) citava la distinzione fondamentale – sostenuta dal noto regista teatrale Eugenio Barba – fra teatro di strada (che «deve catturare, accattivare un pubblico che non ha pagato il biglietto») e spettacolo «borghese». Era sempre Walker a spiegare come busk in inglese rimandi al «girare come un pirata». Insomma, già un Festival di buskers richiede un’organizzazione antitetica alla natura dell’artista di strada. Le molto criticate scelte di quest’anno – ingresso a pagamento, zona centrale ma chiusa e mai scelta spontaneamente dai buskers – han però dato vita a una separazione troppo grande fra ideale e realtà. Nell’edizione 2024 del Ferrara Buskers Festival, infatti, tra il busker che offre la propria arte e la folla libera di ascoltarlo e di premiarlo con un’offerta, si è creato un “muro” organizzativo che non fa più da utile filtro per dar vita all’evento-festival, ma che è diventato altro.
Scrivevano, infatti, gli stessi organizzatori del Ferrara Buskers Festival nel catalogo dell’edizione 1993: «Per noi il Festival non è altro che la spontaneità “organizzata” in mille momenti musicali e d’incontro liberamente gestiti dall’artista con la complicità del suo pubblico. Il nostro compito è soltanto quello di porre le condizioni perché questo incontro avvenga nella maniera più naturale e felice possibile».
RITORNO ALL’ANTICO
Molti, invece, quest’anno hanno sofferto lo snaturamento del Festival, che ha fatto perdere la bellezza – senza prezzo – di poter scovare un one man band, un gruppo, un giocoliere ad ogni crocicchio, piazza, strada o vicoletto del centro. L’artista, con un’intuizione istantanea (solo in parte dettata dall’abitudine) diveniva parte del contesto cittadino, in esso si con-fondeva: quest’ultimo non era mero “palcoscenico” ma diveniva luogo vivo di pietre, corpi e musica.
Pur nelle diversità, quest’anno gli altri Buskers Festival in Italia (Roma, Bologna, Aosta, Belluno, solo per citarne alcuni) sono rimasti a ingresso libero e gratuito, come anche la tradizionale anteprima svoltasi a Comacchio il 18 agosto. Nei giorni del Ferrara Buskers Festival, invece, una fra le aree più magiche e note della nostra città è stata di fatto “privatizzata” e chiusa con tanto di divieto di accedervi in bicicletta e di portare cibo, bevande e macchine fotografiche. Escludendo una violinista e una band “fuggiti” in piazza oltre il recinto del Festival, nel centro cittadino gli unici musicisti di strada rimasti erano gli zingari con la loro fisarmonica che, come ogni giorno, giravano chiedendo l’elemosina…
Nel sito del Ferrara Buskers Festival campeggia la scritta: “Quest’anno tutta un’altra musica”. Così è stato. Ma forse sarebbe meglio tornare a quella precedente.
Pubblicato sulla “Voce” del 6 settembre 2024
Abbònati qui!
Se io fossi un musicista di strada sarei animato soprattutto dal desiderio di essere una sorpresa, un’inattesa gradita scoperta per chi attraversa il paesaggio urbano senza aspettative. Se invece per vedermi uno paga un biglietto aspettandosi di sentire la mia musica in un luogo prestabilito ad un’ora prestabilita sono un musicista che fa un concerto. Tutt’altra cosa. Così mi pare