
“Anarcocene. La politica e la (non) violenza” è il titolo del nuovo libro di Gianpiero Magnani. Tra free riders globali e rischio Leviatano, c’è bisogno di utopia, sostenibilità e democrazia
di Andrea Musacci
Nessuna mano invisibile che tutto governa e convoglia al benessere collettivo. Nessun astratto ottimismo progressista. Nessuna tentazione di ripiegamento sovranista. Partire dalla critica di queste tre illusioni/imposture ideologiche è fondamentale per provare a immaginare un futuro diverso a livello globale, in un’epoca dove guerre, disastri climatici e follie tecniciste rischiano di farci piombare nella disperazione.
Di tutto ciò sembra essere cosciente Gianpiero Magnani, vicesegretario del MFE – Movimento Federalista Europeo – Ferrara, che ne riflette nel suo ultimo libro “Anarcocene. La politica e la (non) violenza” (Cleup-Università di Padova, maggio 2025, con introduzione di Guglielmo Bernabei, Presidente Ferrara Popolare Europea). Il volume è stato presentato lo scorso 19 giugno nella sede di ISCO Ferrara (v. art. a destra), dove l’autore per l’occasione ha dialogato con due docenti di UniFe – Agostino Cera e Orsetta Giolo – e con Rossella Zadro (Vicepresidente nazionale MFE), con introduzione e coordinamento dello stesso Bernabei. L’incontro è stato organizzato da MFE – Ferrara, Ferrara Popolare Europea e CDS-Centro ricerche Documentazione e Studi – Ferrara.
Il volume di Magnani è attraversato da questa domanda cruciale: «Da che parte vogliamo andare noi umani, verso la distruzione di noi stessi e dell’ambiente di cui facciamo parte, da realizzare in tempi rapidi con una guerra nucleare o con i tempi più lunghi, ma comunque anch’essi inesorabili e senza possibilità di ritorno, del cambiamento climatico incontrollato e della perdita di biodiversità, oppure vogliamo provare a modellare in positivo questo pianeta, anche a vantaggio delle nostre stesse generazioni future? Ma soprattutto, noi esseri umani sappiamo veramente dove vogliamo andare?».
IL CAOS NICHILISTA CHE REGNA
FREE RIDERS E ANARCOCENE
Leggi, regole e istituzioni da sempre impediscono «la guerra di tutti contro tutti; ma in ogni momento», scrive Magnani, «può sorgere il free rider(“battitore libero”, ndr), l’outsider che disobbedisce all’ordine vigente, che rimette nuovamente in discussione le regole del gioco creando così nuove situazioni di conflitto». Le conseguenze delle sue azioni a volte sono positive ma spesso sono «distruttive» se non «molto distruttive». «Il problema – prosegue Magnani – è che quando i free riders sono tanti, e interessano contemporaneamente o in un breve intervallo di tempo più sfere di attività umana, agendo in contrasto fra loro e creando situazioni di ingovernabilità, instabilità, caos e conflitti allora si può determinare quella situazione di disordine globale e di distruttività» che l’autore chiama Anarcocene, ovvero la «società delle catastrofi immanenti». Pur essendo vero che i “disobbedienti” nella storia sono stati anche portatori di progresso in tutti gli ambiti, perlopiù l’azione dei free riders, l’Anarcocene nella sua forma totale (guerra nucleare, crisi climatica) porterebbe all’estinzione del genere umano.
Mentre in quella che si definisce Antropocene, l’impatto dell’uomo è forte ma «costruisce qualcosa di diverso e di nuovo che si aggiunge al mondo biologico esistente», nell’Anarcocene invece «si distrugge, si divora, si uccide». Ma ancora del tutto dobbiamo riconoscere due fattori decisivi: da una parte, che il capitalismo è connotato dalla «continua espansione dell’economia» e dalla «crescita disarmonica»; dall’altra, la mancanza di limiti e l’allergia a regole e lacci di ogni tipo tipiche soprattutto della globalizzazione neoliberista.
E il rischio oggi è ancora maggiore: «lo sviluppo industriale ha prodotto anche nuove armi, nuove tecnologie sempre più distruttive, cui si è aggiunta la minaccia del tutto inedita di un uso completamente distorto e fuori controllo dell’intelligenza artificiale», «dei sistemi di sorveglianza e dei mezzi di comunicazione di massa, internet primo fra tutti».
RISCHIO LEVIATANO
Ma a livello globale – dato che è a questo livello che bisogna ragionare, soprattutto sulle questioni belliche, di armi nucleari, di crisi climatica – «come si può controllare l’azione politica» per non finire nell’Anarcocene, ma al tempo stesso «senza costruire un sistema totalitario globale, equivalente al Leviatano di Hobbes?» («Antropocene distopico»). La stessa idea di Luigi Ferrajoli di una “Costituzione della Terra” pur affascinante si scontra con la – ineliminabile? – realtà della mancanza di quella «razionalità collettiva» e della presenza appunto di free riders in senso distruttivo.
LA GRANDE SPERANZA GLOBALE
SERVE UNA RAZIONALITÀ COLLETTIVA
L’azione politica, infatti, non segue sempre modalità «razionali» ma anzi spesso «paradossali, imprevedibili a priori». In ogni caso, per Magnani la questione va posta ancora, per non cadere nella tentazione di sterili e pericolosi nazionalismi o velleitarismi: in dialogo anche col Kant della Pace perpetua, «nessuno si salva da solo» – dice – ed è quindi «necessario individuare un sistema sovraordinato di vincoli e incentivi che orienti tutti i soggetti politici a livello globale a muoversi in un certo modo e non in altri, arrivando in tal modo a conseguire quella razionalità collettiva che è indispensabile se vogliamo costruire per davvero un mondo sostenibile di pace».
Uno scenario globale che quindi non solo veda l’umanità non in preda al caos («Anarcocene», appunto) o al dominio del più forte («Antropocene distopico»), ma che veda ancora la presenza dell’umanità su questa terra: l’autore la chiama «Antropocene utopico» (o «Antropocene sostenibile»), uno scenario connotato da «condizioni di sviluppo sostenibile che valgano per l’intero pianeta, in un contesto che prevede forme di partecipazione collettiva e quindi con la possibilità di generare un’azione politica non distruttiva e in qualche modo diffusa». Bussole globali di riferimento per Magnani rimangono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) e l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Ma per spiegare questa azione dell’uomo sulla natura e non contro la natura, Magnani, lodevolmente, fa un esempio magari “piccolo” ma molto concreto: quello del Consorzio degli Uomini di Massenzatica (CUM). Più in generale, «limite» e «regia collettiva» sono due termini che si tengono, assieme a «nonviolenza» (e qui, Magnani dialoga con due grandi pensatori, Gandhi e Bobbio).
EFFICACIA NELL’UTOPIA
Ciò che si è sempre chiamato “progresso” e che Magnani ridefinisce come «età antropocenica», per l’autore oggi come non mai può essere dato «dallo sviluppo dell’azione politica “micro”, interna ai territori, locale, piuttosto che dal livello “macro” degli Stati sovrani, che prima o poi finiscono col farsi la guerra per definire e ridefinire le regole del gioco collettivo». Da qui, una proposta ripresa dal politologo polacco Jan Zielonka: quella dell’ONU come «Agorà globale» formata non da rappresentanti degli Stati (limitati invece a un «rinnovato Consiglio di Sicurezza») ma «delle diverse regioni» e «delle città metropolitane».
Concludendo, per Magnani, «istituzioni, norme e valori» collettivi che definiscano un «Antropocene sostenibile» «già esistono ma non sono efficaci, in quanto non sono dotate degli strumenti operativi per renderle effettive, quali sanzioni, incentivi e relativi apparati amministrativi e burocratici in grado di applicarli a livello globale con strumenti idonei». Non solo, quindi, per Magnani oggi ancora non esiste una «Repubblica Federale Europea», che sarebbe insufficiente ma necessaria, ma soprattutto manca un vero «governo mondiale» che abbia effettivo potere politico per prevenire guerre e aggressioni e gestire le risorse a livello globale. Il deficit, quindi, sta nell’efficacia, nel poter concretizzare, attuare questi limiti e strumenti per affrontare le sfide globali. Sul “che fare?” l’incertezza è grande, ma vale la pena continuare a riflettere e a trovare sinergie e rafforzare relazioni per renderle attuabili. L’utopia – ancora una volta – è termine affascinante ma non fine a sé stesso. Non indica qualcosa di fumoso, di irrealizzabile. Ma, chissà, forse richiama – perlomeno a livello formale – la definizione che di “socialismo” diede 50 anni fa Willy Brandt ad Oriana Fallaci: «un orizzonte che non raggiungeremo mai e a cui tentiamo di andare sempre più vicino».
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 27 giugno 2025
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(Foto Pexels – Cottonbro studio)