
A 50 anni dalla morte dell’intellettuale, il racconto della genesi del suo film Il Vangelo secondo Matteo: siamo nel ’62, Pasolini è alla Cittadella dove i Vangeli e don Giovanni Rossi gli cambiano la vita. E poi, l’incontro con le Piccole Sorelle di Gesù e Papa Giovanni…
di Andrea Musacci
«Ma lei crede in Gesù, Figlio di Dio?».
«Per adesso no».
«Preghi allora anche lei come il padre del lunatico alle falde del Tabor: “Signore, aiuta la mia incredulità”».
«Questa invocazione la sceglierò come motto del mio film».
(Dialogo tra don Giovanni Rossi e Pier Paolo Pasolini, 1962)
Il 9 gennaio 1959 don Giovanni Rossi, fondatore della Pro Civitate Christiana (PCC) di Assisi, assieme ad altri volontari della PCC e al Vescovo assisano, viene ricevuto in Udienza in Vaticano da Papa Giovanni XXIII. Questi aveva un antico rapporto di amicizia con don Rossi. Ed è proprio prima di questa Udienza che il Pontefice ha un colloquio privato col sacerdote. Un colloquio storico: «Devo dirti una bella idea. Ma tu poi la vai a dire a tutti!», dice a un certo punto il Papa. «No, no, padre santo», risponde don Rossi. E Roncalli allora gli rivela: «Questa notte mi è venuta una grande idea: di fare un Concilio Ecumenico». Don Rossi, nel pieno dell’emozione, lo invita a visitare Assisi.
LÀ FUORI IL PAPA, SUL COMODINO IL VANGELO
Quasi 4 anni dopo, il 4 ottobre ’62, Festa di San Francesco, il treno si muove dalla Stazione vaticana alle 6.30 del mattino: sopra, Papa Giovanni XXIII si mette in viaggio per Loreto e Assisi. Ricordando anche quell’incontro del ’59, ha scelto queste due località per porre sotto la protezione della Madonna e del Poverello il Concilio Vaticano II, cominciato una settimana dopo, l’11. La sera di quel 4 ottobre don Rossi torna a casa scosso dalla profonda commozione di aver visto il suo amico Papa Giovanni nella sua Assisi. La casa di don Rossi è la Cittadella, sede della PCC (elevata nel ’59 ad Associazione Primaria proprio da Giovanni XXIII). E alla sua tavola, a cena, c’è uno degli intellettuali più importanti e controversi: Pier Paolo Pasolini (PPP) (i due, in foto nel ’62). Giunto ad Assisi due giorni prima per partecipare al VII Convegno dei Cineasti sul tema Il cinema come forza spirituale del momento presente, Pasolini alloggia alla Cittadella, stanza num. 16, nella quale dormì lo stesso Roncalli un anno prima di diventare Papa. In questa stanza, quel giorno il regista si è chiuso infastidito dai rumori per l’arrivo del Pontefice: ma nel suo cuore si è aperta una breccia, che lo porterà a realizzare un capolavoro del cinema: Il Vangelo secondo Matteo. Così lo stesso regista raccontò quelle ore: «D’istinto, allungai la mano al comodino, presi il libro dei Vangeli che c‘è in tutte le camere e cominciai a leggerlo dall’inizio, cioè dal primo dei quattro Vangeli, quello secondo Matteo. E dalla prima pagina giunsi all’ultima – lo ricordo bene – quasi difendendomi, ma con gioia, dal clamore della città in festa. Alla fine, deponendo il libro, scoprii che, fra il primo brusio e le ultime campane che salutavano la partenza del Papa pellegrino, avevo letto intero quel duro ma anche tenero, così ebraico e iracondo testo che è appunto quello di Matteo. L’idea di un film sui Vangeli – prosegue PPP – m’era venuta altre volte, ma quel film nacque lì, quel giorno, in quelle ore». Quel film lo dedicò – non a caso – «Alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII». «A quella cara “ombra” l’ho dedicato», spiegò: «L’ombra, che è la regale povertà della fede, non il suo contrario».
ALLA RICERCA DEL VOLTO DI GESÙ
In una delle mie visite ad Assisi, alloggiando alla Cittadella ho avuto modo di parlare con Anna Nabot, storica volontaria lì residente, nonché Direttrice della Galleria d’arte contemporanea della struttura, e arrivata alla PCC proprio nel 1962. Galleria che è parte dell’Osservatorio Cristiano, centro di documentazione e studio sulla figura e l’opera di Gesù. «Osservatorio – mi spiega Anna – che conserva la sceneggiatura originale del Vangelo di Pasolini, donata da don Andrea Carraro (biblista della PCC, ndr), che ne scrisse le correzioni su richiesta dello stesso Pasolini». E nella Fonoteca dell’Osservatorio, PPP «scelse anche le musiche per il suo Vangelo e consultò le copie di diverse immagini sacre presenti nella “Sezione iconografica”, divisa per fasi della vita di Gesù». Interessante – inoltre – l’intuizione che PPP ha in quel luogo per il volto del Gesù del suo film, «ispirato anche al Gesù del Miserere di Rouault» (Parigi 1871-1958), serie di 58 incisioni lì conservate. E nel febbraio ’64 un giovane militante comunista spagnolo, Enrique Irazoqui, è a Roma per raccogliere soldi per la causa antifranchista: «bussa alla porta di Pasolini per chiedere un aiuto economico e in lui il regista vede subito il volto del suo Gesù». «Nel ’62 – prosegue Nabot – fu un giovane volontario della Cittadella ad andare a casa di PPP a Roma per invitarlo al Convegno dei cineasti del 2-3 ottobre dello stesso anno». E in quei giorni «Pasolini visita anche San Damiano e l’Eremo delle carceri, accompagnato da Bernardini, giovane volontario della PCC ed esperto di cinema muto e dal fratello Tony, anche lui volontario qui ed esperto di arte, autore di alcune pubblicazioni, anche sul Miserere di Rouault».
VANGELO SOFFERTO
Proprio nella sede dell’Osservatorio della Cittadella è conservato il comodino con la copia dei Vangeli che PPP consultò. Il Vangelo di Pasolini uscirà nelle sale proprio due anni dopo la sua ideazione ad Assisi, il 2 ottobre ‘64. Ma sempre nel novembre del ’62 PPP torna ad Assisi dall’amico don Rossi (che morirà il 27 ottobre ’75, sei giorni prima di lui): «Io non credo in Dio», dice il regista al sacerdote. «Però, di un fatto devo tener conto: la lettura del Vangelo mi ha veramente sconvolto (…). Voglio farne un film, con il vostro aiuto». La sceneggiatura viene completata in due mesi: alcune obiezioni sono di principio, come quella di Guardini sull’impossibilità di fare un film su Gesù. Crudeli, invece, sono le critiche a don Rossi e Pasolini provenienti da parte del mondo cattolico. Nel marzo ’63, il sacerdote scrive al regista per tranquillizzarlo: «Caro Pier Paolo! Sono molto addolorato per la Sua sofferenza. Prego per Lei e per la sua cara mamma. Spero e di gran cuore le auguro che presto un bel sole cristiano splenda sopra la sua anima».
Due mesi dopo l’uscita del film, Pasolini torna alla Cittadella assieme alla mamma Susanna, donna di grande fede. La notte di Natale i due partecipano alla Messa nella cappella della Cittadella. Un’ora prima, PPPP ha un colloquio privato con don Rossi nel suo studio; in una lettera del 27 dicembre all’amico sacerdote, lo ringrazia per le parole pronunciate in quell’incontro: «sono state il segno di una vera e profonda amicizia, non c’è nulla di più generoso che il reale interesse per un’anima altrui (…) ricorderò sempre il suo cuore di quella notte». E dopo PPP conclude con una confessione drammatica e commovente: «Sono “bloccato”, caro don Giovanni, in un modo che solo la Grazia potrebbe sciogliere. La mia volontà e l’altrui sono impotenti. E questo posso dirlo solo oggettivandomi, e guardandomi dal suo punto di vista. Forse perché io sono da sempre caduto da cavallo; non sono mai stato spavaldamente in sella (come molti potenti della vita, o molti miseri peccatori): sono caduto da sempre, e un mio piede è rimasto impigliato nella staffa, così che la mia corsa non è una cavalcata, ma un essere trascinato via, con il capo che sbatte sulla polvere e sulle pietre. Non posso né risalire sul cavallo degli Ebrei e dei Gentili, né cascare per sempre sulla terra di Dio».
Non meno triste e fonte di profonde riflessioni è il racconto che Pasolini fa della morte improvvisa nel febbraio del ‘69 di don Andrea Carraro, sacerdote della Cittadella (sopracitato, che nel ’64 lo aveva accompagnato nei sopralluoghi in Israele e Giordania e che fu consulente anche per Uccellacci e uccellini), la cui salma va a visitare in una delle stanze: «contadino povero, come il suo buon Papa Giovanni», che al regista pare insegnare – lì disteso senza vita, in attesa della vita vera – un certo abbandono all’Assoluto, che forse PPP allora non coglie (ancora?) del tutto: «Si è rassegnato» alle umiliazioni subite per le sue umili origini, «e ha sorriso. Ha messo tutto nelle mani del suo Signore».
LE PICCOLE SORELLE, «QUESTO CRISTIANESIMO NASCOSTO…»
Come detto, Pasolini nel ’62 arriva ad Assisi il 2 ottobre, con l’intenzione di non rimanerci più di 24 ore. Ma don Rossi lo convince a fermarsi di più, per una serata di letture di alcune sue poesie. Pasolini accetta. Nel pomeriggio del 2, assieme ad alcuni volontari della Cittadella (Lucio Caruso, Paolo Scappucci e Guido De Guidi) gira per Assisi visitando anche San Damiano. A un certo punto i quattro si dirigono a un casolare lì vicino, dove dal ’53 abitano le Piccole Sorelle di Gesù (dopo oltre 70 anni sono ancora lì presenti), fraternità nata in Francia 25 anni prima grazie a suor Magdeleine di Gesù e ispirata al messaggio di Charles de Foucauld. Qui entrano nella cappella, situata nella stalla. «Voglio vedere qualcuna di queste sorelle, fatemele vedere», prega PPP. Una di loro, Paola (allora responsabile italiana e unica consacrata del gruppo), arriva assieme alla Piccola Sorella Diomar (brasiliana) e alle postulanti Giovanna Carla e Fulvia; Paola spiega a un turbato Pasolini: «Noi lavoriamo col sottoproletariato, cerchiamo di dare una mano ai non garantiti, ai più esclusi». La sera stessa, confida a Caruso il suo turbamento per l’incontro con quelle umilissime discepole di Cristo: «Quelle Piccole Sorelle… (…). Ecco uno dei motivi di fascino che ancora mi attirano al cristianesimo. Questo cristianesimo da scoprire senza che si esibisca e ti faccia perdere il gusto e la pena di cercarlo…Questo cristianesimo nascosto, senza uffici stampa, senza televisione, senza cinema…».
Quel cristianesimo vissuto nel deserto come luogo mistico della contemplazione di Dio, e che della cura dei deserti dei cuori fa la propria missione. Lo stesso deserto nell’irrisolto “teorema” del nostro fratello Pasolini: «Ah, miei piedi nudi, che camminate sopra la sabbia del deserto! Miei piedi nudi, che mi portate là dove c’è un’unica presenza e dove non c’è nulla che mi ripari da nessuno sguardo! (…) Come già per il popolo d’Israele o l’apostolo Paolo, il deserto mi si presenta come ciò che, della realtà, è solo indispensabile. O, meglio ancora, come la realtà di tutto spogliata fuori che della sua essenza (…). Io sono pieno di una domanda a cui non so rispondere».
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 ottobre 2025
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