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Donatello riemerso a Ferrara: Marco Scansani ci racconta la sua scoperta

13 Nov

In una collezione privata vicino S. Stefano, il giovane ricercatore ha trovato la metà di una terracotta  raffigurante i funerali della Vergine Maria, opera di Donatello del 1450 (l’altra metà è stata rubata nel 1916), oltre a due frammenti con alcuni evangelisti. La nostra intervista

a cura di Andrea Musacci

«Mi trovavo a Ferrara per portare avanti la mia indagine sulle terrecotte ferraresi tra XV e XVI secolo. E nella collezione di un privato in zona Santo Stefano ho ritrovato un frammento particolare: ho capito subito fosse la metà mancante di una terracotta di Donatello raffigurante i Funerale della Vergine Maria. L’emozione è stata indescrivibile». 

Marco Scansani, 32 anni, è assegnista di ricerca dell’Università di Trento e autore del libro “Il fuoco sacro della terracotta” (Tre Lune ed., settembre 2024). Laureatosi all’Università di Bologna, ha conseguito il Dottorato alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Quando lo raggiungiamo al telefono per farci raccontare la sua scoperta, percepiamo la gioia ancora viva nel ripensare a questo risultato imprevisto. Che non si limita a quel frammento “bozzetto”: nella stessa collezione privata, infatti, ha trovato anche altre due terrecotte a suo tempo scoperte da un avo dell’attuale proprietario in un pozzo di questa casa privata e rappresentanti due evangelisti: «Anche in questo caso mi sento di attribuirle a Donatello», prosegue Scansani. Donatello che «è documentato fosse a Ferrara nel 1450», oltre che a Modena e Mantova, anche l’anno successivo. Nella sua Firenze vi farà ritorno tra fine 1453 e inizio 1454. Ma per il genio fiorentino fu un periodo stranamente improduttivo. O forse non del tutto. In ogni caso, «in quel momento tutti lo volevano, dai Gonzaga agli Este. Lui andava dal miglior offerente ma poi si disamorava delle commissioni».

Scansani, parliamo innanzitutto del progetto di mappatura delle terrecotte quattro-cinquecentesche in area padana: di cosa si tratta? 

«Il Progetto C.Re.Te. (Toward a Catalogue of Renaissance Terracotta Sculpture in North Italy) coordinato dal prof. Aldo Galli (Università di Trento) e dal prof. Andrea Bacchi (Università di Bologna), finanziato con fondi PNRR (PRIN – Progetti di Rilevante Interesse Nazionale), si occupa della catalogazione di tutte le sculture in terracotta realizzate in area padana tra il XV e il XVI secolo. Stiamo realizzando il primo database di tutte queste opere. Al termine del progetto sarà liberamente fruibile online. Io sono assegnista di ricerca presso l’Università di Trento proprio per questo progetto e proprio l’indagine sulle terrecotte ferraresi mi ha portato a scoprire quei bozzetti di Donatello».

Partiamo da oltre un secolo fa. Anno 1916: ritrovamento del frammento nella chiesa di Santo Stefano a Ferrara, donazione e furto. Ci racconta un po’ meglio? Dove si trovava di preciso? E perché fu attribuito a Donatello?

«Come racconta perfettamente Corrado Ricci sulla rivista L’Arte del 1917, “nella primavera del 1916 il Municipio di Ferrara stabiliva di liberare l’abside della chiesa di S. Stefano dall’addossamento di alcune casette, e di ristaurarla. Durante i lavori, e precisamente il 29 dicembre, in un tratto di muratura slegata (che riempiva un vano e che rimaneva coperta dall’intonaco), tra diversi frammenti di terracotta ornata, fu rinvenuto quello che qui riproduciamo e che ora trovasi nel Museo di Schifanoia”. Tutta la critica si accorse immediatamente del valore della scoperta, e condivise l’attribuzione a Donatello. Ad esempio Arduino Colasanti scrisse: “la geniale originalità della composizione, l’energica plastica e quasi fulminea di ogni steccata, l’efficacia sintetica del modellato, la potenza del pathos e della vita, resa con pochi tratti di immediata evidenza, convengono perfettamente al grandissimo scultore fiorentino”. L’entusiasmo per la terracotta donatelliana ritrovata durò però pochissimo: nella notte tra il 20 e il 21 giugno 1921 alcuni ladri – dopo aver reciso ben tre reti metalliche, essersi arrampicati mediante una scala fino alla finestra del Museo, aver tagliato il vetro con una punta di diamante e forzato la porta che immetteva nella Sala degli Stucchi – trafugarono il rilievo fittile oltre a numerose medaglie, monete, placchette e bronzetti. Da allora la critica sembra essersi via via dimenticata del valore di quella scoperta e ha perfino iniziato a dubitare sull’attribuzione, non potendo più studiare il pezzo dal vivo, ma solo attraverso le fotografie».

Riguardo alle altre due terrecotte, quelle con gli evangelisti: può azzardare ipotesi più specifiche? 

«Una delle due con tutta evidenza raffigura un evangelista che tiene la mano sul libro. Per la seconda – purtroppo acefala – possiamo solo ipotizzare che si trattasse di un altro evangelista in posa speculare. Anche queste terrecotte furono trovate negli anni Sessanta insieme al rilievo nel pozzo di una casa privata non distante dalla chiesa di Santo Stefano, dove fu trovato il primo rilievo nel 1916».

Esattamente dove e quando?

«Come ricordato dagli attuali proprietari e da un’iscrizione a pennarello nel retro di uno dei supporti lignei sui quali sono stati montati i frammenti, queste tre terrecotte furono ritrovate casualmente il 20 luglio 1962 sul fondo di un pozzo di una casa privata situata in via Saraceno, quindi a 800 metri da S. Stefano».

Può avanzare ipotesi anche sulla destinazione finale sia della terracotta della Vergine sia di quelle con gli evangelisti?

«Purtroppo non è facile fare ipotesi: Donatello in quegli anni era conteso dalle maggiori città del Nord Italia, accettava molti incarichi che però spesso non portava a termine. Ad esempio, avrebbe dovuto realizzare un monumento dedicato a Borso d’Este a Modena e l’arca del patrono di Mantova Sant’Anselmo, ma nessuno di questi vide la luce. Posso solo dire che i frammenti “ferraresi” ritrovati sono senz’altro bozzetti, oggetti di studio che consentivano all’artista di studiare le composizioni prima di realizzare le opere definitive destinate alla fruizione».

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Funerali della Vergine: analisi dell’opera e ipotesi sull’artista

Il ritrovamento di Scansani è stato al centro di un articolo pubblicato da “The Burlington Magazine”, storica (e inglese) rivista accademica d’arte. Di seguito, alcuni passaggi dalla traduzione dell’articolo stesso:

le due metà della terracotta – scrive Scansani – compongono «una formella rettangolare alta 33 cm, larga 47 cm e spessa 2 cm con la raffigurazione – come già intuito da Ricci – della morte della Vergine. La composizione è suddivisa in due registri orizzontali sovrapposti che compongono idealmente un’architettura a due livelli messi in comunicazione da una scala che principia dal vertice in basso a sinistra della formella e si conclude al suo centro ove è collocato il cataletto della Vergine, fulcro dell’affollatissima scena. (…) 

Al secondo piano la scena, a partire da sinistra, si apre con quattro pingui angioletti che parrebbero sorreggere con grande sforzo un sepolcro dotato di un coperchio a spiovente (…). Dietro il sarcofago parte il corteo dei dodici apostoli (tutti dotati di aureola): il primo si rivolge con sguardo mesto al sepolcro, il secondo – di profilo – si dirige verso il cataletto portandosi una mano al volto in segno di disperazione, il terzo procede nella stessa direzione – ormai ai piedi della Vergine – ma è in parte illeggibile poiché coincide con il margine frammentario della terracotta trafugata. In questo punto il rilievo non combacia perfettamente con quello riemerso in collezione privata poiché è andata perduta una porzione in cui verosimilmente doveva essere raffigurato un ulteriore apostolo: è sopravvissuta solo una piccola parte della sua veste. (…) La Madonna è rigidamente distesa, quasi priva di un corpo, è infatti totalmente coperta da un ampio panno che grava copioso oltre il cataletto e in corrispondenza dei sostegni verticali: si riconoscono solo le sagome dei suoi piedi che premono sotto il lenzuolo e una parte del viso esanime in gran parte celato dal velo che le ricade sugli occhi. Davanti ai larghi manici della portantina funebre sono modellati ben cinque angioletti abbigliati con piccole tuniche: due trattengono un cero a testa, gli altri tre sembrano volersi fare spazio, aggrappandosi alle spalle dei primi, per poter vedere il corpo della Vergine. (…) Le terrecotte riemerse consentono di gettare nuova luce sulle pratiche realizzative dello scultore, più in generale sulla sua attività nell’Italia Settentrionale e forse anche sull’impatto che ebbero le sue invenzioni nel contesto emiliano. Non è possibile stabilire con certezza se gli artisti dell’Officina ferrarese ebbero la possibilità di vedere e studiare questi bozzetti che avrebbero fornito una formidabile scorciatoia per conoscere le mirabolanti novità che Donatello stava imponendo nel contesto padovano».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 novembre 2024

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