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«IA e robot non potranno mai comprendere la complessità e imprevedibilità dell’umano»

29 Ott

Federico Manzi (UniCatt) è intervenuto alla Scuola diocesana di teologia su linguaggio umano e non

Lo scorso 23 ottobre a Casa Cini si è tenuta la terza lezione del nuovo anno pastorale della Scuola diocesana di teologia per laici. Federico Manzi ha relazionato su “Linguaggio e linguaggi (Gen 11,1)”. Manzi è Ricercatore in Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione alla Cattolica di Milano e Co-direttore dell’Unità di Ricerca in Psicologia e Robotica nel Ciclo di Vita.

«Agenti conversazionali come Chat GPT – ha riflettuto – sono sempre più utilizzati: a volte le risposte di queste “macchine” ci sembrano simil umane, ma è un’illusione, queste macchine non possono davvero comprendere ciò che abbiamo loro domandato». Non di rado la macchina «ci dà la risposta giusta ma essa è già stata addestrata attraverso i dati che contiene, già raccolti. Quindi in realtà non può davvero comprendere cosa c’è dietro la domanda che le poniamo».

Allora – si è chiesto il relatore – perché dovremmo fidarci di questi strumenti? In base a che cosa dovremmo riporre fiducia in essi? Innanzitutto, «la familiarità con questi strumenti può evitarci un approccio catastrofistico, pur conservando il senso critico nei loro confronti».

Manzi ha poi brevemente illustrato gli sviluppi della robotica nella storia, nella tecnica e nell’arte: sono diversi i tipi di robot, sempre più sofisticati e antropomorfizzati, fino ad arrivare agli androidi, ideati dall’uomo. A dominare è stato, nella storia, perlopiù, «una visione distopica, negativa». Ma il nostro approccio è mutato all’incirca intorno all’anno 2010».

Oggi strumenti come Chat GPT pur potenti «sono incapaci di entrare nella complessità dell’umano e delle relazioni umane: l’umano è estremamente imprevedibile e complicato nelle sue capacità relazionali, speculative e comunicative».

Riguardo all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nelle scuole e nell’ambito educativo, Manzi ha poi spiegato come innanzitutto «bisognerebbe coinvolgere gli insegnanti in eventuali scelte di questo tipo, ragionando con loro su come si trasformerebbe il ruolo dell’educatore». Poi vi è l’ambito dell’applicazione della robotica per gli anziani, che può essere utile «per la loro riabilitazione sociale e cognitiva».

Insomma, il rapporto tra l’uomo e robot e tra uomo e intelligenza artificiale «deve mettere al centro l’umano. per fare ciò, vi è la necessità di una formazione profonda al riguardo, anche se siamo ben lontani dal dominio dei robot e dell’intelligenza artificiale».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 ottobre 2025

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«L’Intelligenza Artificiale va fermata con l’umano e la sovranità popolare»

2 Ott

Festival Internazionale / 1. Il giornalista bielorusso Evgeny Morozov è intervenuto a Ferrara: «dovremmo pensare a far progredire l’intelligenza umana, non queste tecnologie. L’IA è uno strumento del neoliberismo, un suo inganno»

di Andrea Musacci

Chi sostiene acriticamente l’Intelligenza Artificiale (IA) «non riesce a immaginare un modo diverso per migliorare l’umanità, l’intelligenza umana, ma solo questo raffinamento tecnologico. Dietro tutto ciò, c’è un’ideologia più profonda, lo Iagismo, che promette una panacea progressista».

A quasi un anno dal lancio di ChatGPT si moltiplicano gli allarmi riguardo alle possibili conseguenze negative dell’AI. Fra le voci maggiormente critiche vi è Evgeny Morozov, giornalista e scrittore bielorusso, intervenuto al Cinema Apollo di Ferrara lo scorso 29 settembre in occasione del Festival di Internazionale. Esperto di tecnologia e di internet, scrive su Foreign Policy, Economist, Wall Street Journal, Financial Times e Internazionale. Fra i suoi libri, The Net delusion: The Dark Side of Internet Freedom (2011) e To Save Everything, Click Here: The Folly of Technological Solutionism (2013).

«L’Attuale infatuazione per l’IA è un’estensione di quella per il mercato e il neoliberismo», ha riflettuto Morozov. «In pochi contestualizzano l’IA studiando i suoi legami con le forze economiche e politiche dominanti». Il giornalista pone la sua attenzione in particolare sulla cosiddetta “Intelligenza Artificiale generale” (o “forte”), vale a dire la capacità di un agente intelligente di apprendere e capire un qualsiasi compito intellettuale che può imparare un essere umano: «questo è il vero obiettivo di chi intende ancora sviluppare l’IA». 

Ma nella Silicon Valley «non esistono organizzazioni umanitarie, esistono aziende capitalistiche orientate al profitto. Lo Iagismo è un alleato potente e cool del neoliberismo, e in particolare ne rilancia i dogmi più deleteri», ha proseguito. Innanzitutto quello che afferma che il privato è di per sé più efficace del pubblico, che al contrario «non sarebbe creativo ma solo oneroso». Per questo, l’IA sta già invadendo anche diversi servizi pubblici (trasporti, sanità, educazione, sicurezza). Ma com’è avvenuto anche per Uber nel sistema dei trasporti, dopo l’inganno iniziale legato ai prezzi stracciati, col tempo il modello si rivelerà una bolla pronta a scoppiare se non alzando notevolmente i prezzi. Ormai, però, come potrà succedere con l’IA, «i consumatori ne saranno dipendenti e quindi saranno disposti a pagare molto di più per lo stesso servizio. La millantata “salvezza del mondo”, quindi, va monetizzata», ha chiosato Morozov.

Un secondo dogma neoliberista afferma che conviene adattarsi alla realtà e non tentare di trasformarla. «La “follia soluzionista” – così la definisce il giornalista – dell’ideologia tecnologica neoliberista pretende sempre di risolvere qualsiasi problema». Le istituzioni pubbliche, invece, non dovrebbero adattarsi alla realtà (e al mercato) ma aiutare le comunità, le persone «a sviluppare le proprie intelligenze». Terzo e ultimo dogma del neoliberismo è quello di promettere un’efficienza che renderebbe inutile ogni concetto di bene comune e di giustizia, considerati come «meri ostacoli per i profitti». È il mercato, invece, a «dare la misura delle cose», ad assegnare loro valore. Così, l’IA generale potrà essere applicata in ogni ambito, compreso quello sanitario, educativo e dell’informazione. Con conseguenze estremamente gravi. L’IA, infatti, non può cogliere la missione, i valori e le tradizioni, e le interazioni fra queste, ma solo usare freddi dati» (basti pensare a ChatGPT, mero algoritma). «Analizza il linguaggio ma non comprende i concetti: per questo, non può essere definita “intelligente”. Non può cogliere l’ethos del pubblico» e «non aumenterà, come promette, le nostre capacità ma anzi le restringerà. Inoltre, ad oggi non sappiamo nulla riguardo alla sua sostenibilità economica ed ecologica».

Quale alternativa a questo sistema che pare inarrestabile? «Dobbiamo pensare a una sovranità tecnologica e popolare, unica via per contrastare lo strapotere globale di Silicon Valley». Servirebbe, dunque, per Morozov «uno Stato capace di creare regole e infrastrutture pubbliche digitali, un modello pubblico alternativo» per evitare, ad esempio, che l’IA sfrutti – come già ha iniziato a fare – l’intelligenza, le conoscenze e la creatività di artisti, letterati e professionisti vari. Una sfida non da poco, ma necessaria.

Pubblicato sulla “Voce” del 6 ottobre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio