Il racconto in esclusiva a “La Voce” di Miriam Paredes, missionaria peruviana a Ferrara: «andai a Lima per consegnare documenti per conto del mio Vescovo: mi ospitò con umiltà»
di Andrea Musacci
«Ricordo con grande commozione quella volta che il card. Prevost a Lima mi aprì la porta e mi accolse, pur non conoscendomi». Così in esclusiva a “La Voce” Miriam Paredes, missionaria in servizio dall’anno scorso nella nostra Diocesi, racconta uno dei suoi incontri con l’allora Vescovo di Lima. «Per questo, quando l’ho visto affacciarsi dal balcone su piazza san Pietro ho provato un’emozione gigantesca…».
Miriam Paredes, 55 anni, originaria di Lima, è una missionaria laica consacrata dal 1990 nella Diocesi di Lurìn, a sud della capitale. Nel suo cammino c’è tanto lavoro pastorale, prima nella sua parrocchia come catechista, dopo nella sua Diocesi come consacrata in mezzo ai più poveri. Dal 2012 insieme a don Giacomo Falco Brini, «che conosco fin dai tempi della sua presenza nel mio paese negli anni dal 2002 a 2008», ha avviato il progetto missionario chiamato Andiamo in Peruferia, al quale ogni anno partecipano anche diversi ferraresi. Nel 2024, il suo Vescovo, mons. Carlos E. Garcìa Camader, la lascia partire per la nostra Chiesa locale, dove collabora col Centro Missionario Diocesano e la parrocchia “del Gesù” a Ferrara (dove don Falco Brini è parroco), ospite dell’amica Giuliana Benvenuti.
«Ho conosciuto il card. Prevost in alcuni incontri a Lima della Conferenza Episcopale Peruviana e quando, sempre nella capitale, dovevo consegnare per conto del Vescovo della mia Diocesi alcuni documenti alla Nunciatura Apostólica: lì ho avuto modo di incontrare il card. Prevost, di vedere con i miei occhi la sua semplicità, attenzione, umiltà e attenzione ai più piccoli». Un episodio in particolare Miriam conserva nel cuore: «una volta mi ero recata da sola alla Nunciatura Apostólica a Lima per alcuni documenti per conto del Vescovo della mia Diocesi; solitamente, le suore ricevevano i documenti, e finiva lì. Non c’era tempo e modo per altro. Ma quella volta fu il card. Prevost in persona ad aprirmi la porta per farmi entrare, mi fece sedere e prese i documenti che dovevo consegnare. Fu davvero molto attento: era un Vescovo, quindi avrebbe anche potuto non fare ciò che ha fatto, ma lui si comportò come uno di noi».
Miriam ha lavorato per diversi anni, fino all’anno scorso, come segretaria del suo Vescovo della Diocesi di Lurìn, a sud di Lima. «Per il resto, i miei contatti col card. Prevost, sono stati solo incroci brevi e sporadici ma che mi hanno comunque fatto toccare con mano la sua semplicità e fraternità con tutti coloro che incontrava. Avendo lui vissuto 40 anni in Perù prima come sacerdote poi come Vescovo di una Diocesi povera» (quella di Chiclayo, nel nord del Perù) e «avendo la cittadinanza peruviana, posso dire che lo consideriamo peruviano, perché ha il cuore peruviano!». E peruviano, in un certo senso, lo è anche formalmente, avendo sia la cittadinanza statunitense sia quella peruviana…
DON FALCO BRINI: «COI POVERI»
«Ricordo questo grande agostiniano nella sua presenza nella Diocesi di Chiclayo, al nord», ci spiega don Giacomo Falco Brini, che per diversi anni è stato missionario in Perù, dove ci torna ogni anno. «Io ho prestato servizio sempre nelle baraccopoli nella periferia di Lima, ma anche lui è stato missionario in una terra ugualmente povera. Dopo che sono rientrato dalla missione, lui è diventato sempre più conosciuto e amato in Perù, essendo un pastore davvero mite e accogliente».
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 16 maggio 2025
Ulises Paredes vive a Chiclayo ed è stato il responsabile legale della Diocesi guidata dall’allora mons. Robert Prevost. A “La Voce” racconta alcuni aneddoti: «retribuì noi dipendenti anche durante la crisi e pagò i funerali di mio papà. Guidava fino a 14 ore nella giungla per raggiungere la sua gente, e col niño camminò nel fango per portare gli aiuti. Col Covid portò l’Eucarestia per le strade deserte»
C’è un legame che unisce la nostra Arcidiocesi con il nuovo Santo Padre e con il Perù. È un legame inaspettato, che alla “Voce” viene raccontato tramite don Giuseppe Cervesi, Rettore del Santuario del Poggetto (Sant’Egidio), poco fuori Ferrara, e per diversi anni missionario in Messico.
Zaida Maribel Damian Paredes è collaboratrice di don Cervesi. Nata a Lima il 24 giugno 1969, a 10 anni si trasferisca a Chiclayo. Sì, proprio la Diocesi che ha visto il card. Prevost Vescovo per una decina di anni, dal 2014 al 2023. Zaida è arrivata in Italia lo scorso 12 dicembre, e ha un fratello, Ulises Milson, assesor legal (responsabile legale) della Diocesi di Chiclayo, quindi per molti anni stretto e fidato collaboratore di colui che diventerà Papa Leone XIV.
Ulises conosce Leone XIV nel 2015, quando l’allora mons. Prevost entra in carica come Vescovo di Chiclayo. Con lui, fianco a fianco, lavorerà dal 2015 al 2023. Mentre Zaida ha conosciuto Prevost solo di vista, non personalmente, il fratello Ulises – come detto – ha avuto modo di conoscere a fondo quest’uomo che giudica «saggio, giusto e molto di preghiera», spiega a “La Voce”. «Nella Diocesi di Chiclayo – prosegue Ulises – si è fatto parte del popolo: il popolo non doveva adattarsi a lui ma lui si adattava al popolo e, in un certo senso, è un esempio di vero seguace di Cristo, ora che sarà il Vicario di Cristo, il rappresentante di Cristo. Robert Francis è un giusto, una persona buona, una persona di preghiera, che ascolta, una persona molto intelligente».
Non mancano aneddoti e testimonianze dirette che ben rappresentano la personalità di Papa Prevost e confermano l’impressione che in molti hanno avuto fin dalle sue prime commosse parole dal balcone di piazza San Pietro. Siamo nel 2021 e muore il padre di Ulises e Zaida. Nonostante il Perù, e la stessa Diocesi di Chiclayo, vivano una forte e drammatica crisi economica, mons. Prevost fa retribuire regolarmente i propri dipendenti e, in più, aiuta Ulises con 20.000 soles (attualmente equivalenti a circa 5mila euro) necessari a pagare il funerale del padre.
Ulises, inoltre, non ha paura a definire quello che è diventato Leone XIV una persona «molto coraggiosa». La Diocesi di Chiclayo «confina a nord con la giungla», ci spiega. «La strada è giudicata particolarmente pericolosa ma il futuro Papa non esitava mai a prendere il fuoristrada per recarsi, da solo, a visitare e conoscere tutti i villaggi della Diocesi affidatagli».
Quando Prevost arrivò – nel 2015 – a Chiclayo, subentrò a un Vescovo spagnolo che aveva ritmi di lavoro abbastanza lenti. Prevost, invece, si dimostrò subito molto dinamico, infaticabile: ad esempio, «guidava fino a 14 ore per raggiungere tutti i villaggi della propria Diocesi. Gli ci volle un po’ di tempo (circa 1 anno) per conoscere le diverse forme della religiosità popolare, poi però si adattò perfettamente, mostrandosi davvero come uno del popolo. Riuscì – continua Ulises – a incrementare ulteriormente la già alta e profonda religiosità presente a Chiclayo, fra le più forti in tutto il Perù. Nella Cattedrale di Chiclayo – per capirci – vengono celebrate ben 8 Messe domenicali: sono tutte stracolme, soprattutto di giovani».
E a proposito di giovani, Prevost si interessò anche al mondo accademico. L’Università di Chiclayo è un’università cattolica. Ulises ci spiega come l’allora mons. Prevost «curò molto il rapporto con i professori per poter, tramite loro, raggiungere anche i giovani. E curò molto anche l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa cattolica».
La Diocesi di Chiclayo, inoltre, è soggetta al fenomeno atmosferico del niño, l’innalzamento delle temperature dell’acqua dell’Oceano Pacifico che porta a gravi effetti ambientali. «Una volta – ci racconta Ulises – è straripato un fiume allagando un villaggio con 1 metro d’acqua: Leone XIV attivò subito la “macchina della carità” per trasportare agli abitanti viveri e altri beni fondamentali. Egli stesso aiutò il trasporto, infilando gli stivali e camminando nel fango». Anche il Covid provocò molti morti a Chiclayo: Prevost prese il Santissimo e lo portò attraverso le strade deserte della città».
«Altra caratteristica di Prevost che ci tengo a sottolineare – prosegue Ulises – è l’aver individuato rapidamente i propri collaboratori: dopo aver verificato la loro attendibilità, delegava molto a loro, segno che si fidava delle persone che lo affiancavano, valorizzando in tal modo tanto i laici quanto i sacerdoti in cui aveva riposto fiducia».
Ulises ricorda anche il giorno che Prevost ha lasciato la sua Diocesi: «sentivamo una grande nostalgia di lui, perché non se ne andava solo un Vescovo, ma un amico. L’anno scorso è ritornato a Chirujana (nel nord del Perù), e per qualche giorno è venuto a Chiclayo per una cerimonia all’università; ed è passato anche nell’Arcivescovado per salutarci: in quell’occasione gli ho dato un forte abbraccio perché lo considero un grande amico, non solo un pastore; e insieme abbiamo ricordato tanti momenti condivisi assieme. È stato un momento molto bello e confortante. Quando ho saputo che lui, proprio lui, era diventato Papa, mi sono emozionato molto, avrei voluto gridare di gioia, abbracciare tutti i miei amici, e soprattutto ringraziare Dio per una persona che si faceva vicina, buona, un grande lavoratore.Aveva “l’odore delle pecore” – come disse Papa Francesco rivolto ai sacerdoti, perché come pastore si coinvolgeva completamente con le persone che incontrava».
Andrea Musacci
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IL CARD. PREVOST IN PERÙ(1985-1999 e 2014-2023)
Prevost consegue la licenza nel 1984 e l’anno dopo viene mandato nella missione agostiniana di Chulucanas, a Piura, in Perù (1985-1986). È il 1987 quando discute la tesi dottorale su “Il ruolo del priore locale dell’Ordine di Sant’Agostino” ed è nominato direttore delle vocazioni e direttore delle missioni della Provincia agostiniana “Madre del Buon Consiglio” di Olympia Fields, Illinois.
Nel 1988 raggiunge la missione di Trujillo, sempre in Perù, come direttore del progetto di formazione comune degli aspiranti agostiniani dei vicariati di Chulucanas, Iquitos e Apurímac. È priore della comunità (1988-1992), direttore della formazione (1988-1998) e insegnante dei professi (1992-1998) e nell’arcidiocesi di Trujillo vicario giudiziale (1989-1998) e professore di Diritto Canonico, Patristica e Morale nel Seminario maggiore “San Carlos e San Marcelo”. Gli viene anche affidata la cura pastorale di Nostra Signora Madre della Chiesa, eretta poi parrocchia di S. Rita (1988-1999), nella periferia povera della città, ed è amministratore parrocchiale di Nostra Signora di Monserrat da 1992 al 1999.
Tra il ’99 e il 2014 avrà incarichi a Chicago, fino a quando Francesco lo nomina, il 3 novembre 2014, amministratore apostolico della diocesi peruviana di Chiclayo e al contempo vescovo titolare di Sufar. Il 7 novembre fa l’ingresso in diocesi, alla presenza del nunzio apostolico James Patrick Green, che lo ordina vescovo il 12 dicembre, festa di Nostra Signora di Guadalupe, nella cattedrale di S. Maria. Il 26 settembre 2015 dal Pontefice argentino è nominato vescovo di Chiclayo e nel marzo 2018 viene eletto secondo vicepresidente del Conferenza episcopale peruviana, all’interno della quale è anche membro del Consiglio economico e presidente della Commissione per la cultura e l’educazione.
Nel 2020, il 15 aprile, arriva la nomina pontificia anche di amministratore apostolico della diocesi peruviana di Callao. Il 30 gennaio 2023 il Papa lo chiama a Roma come prefetto del Dicastero per i Vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 16 maggio 2025
Massimo Faggioli, esperto di cattolicesimo USA, a “La Voce”: «Prevost cattolico sociale non liberal»
di Andrea Musacci
Ferrarese d’origine, Massimo Faggioli è storico delle religioni e docente negli Stati Uniti alla Villanova University (Philadelphia, Pennsylvania), dove Papa Leone XIV si è laureato. Lo abbiamo contattato per chiedergli di analizzare con noi questa novità storica e inaspettata di un papa stars&stripes.
Faggioli, il nuovo Papa viene dalle Americhe come Francesco, ma non si può dire venga «dalla fine del mondo»…
«Sì, è un po’ diverso, è un papa delle Americhe, non solo dell’America latina, ma anche dell’America del nord: è quindi molto meno “fine del mondo” rispetto a Francesco. Nato a Chicago, una delle capitali del cattolicesimo USA, Leone XIV è stato missionario in un Paese povero come il Perù ma qui il venire “dall’altro mondo” si deve applicare in modo diverso rispetto a Bergoglio…
Papa Francesco, inoltre, proveniva dall’Argentina, Paese molto particolare in America latina in quanto a stragrande maggioranza bianca, a differenza del Perù – dove ha vissuto Prevost – e della sua Chicago, capitale nera degli States».
Che tipo di cattolico statunitense è Prevost?
«È un cattolico sociale ma non liberal, formatosi alla scuola di Leone XIII. È poi interessante il suo essere agostiniano e non un gesuita, quindi sulla modernità ha una visione più pessimista rispetto a un gesuita.Oltre, naturalmente, alla grande novità di essere il primo papa degli USA: ciò avrà effetti sia sul Vaticano sia sul cattolicesimo statunitense. Ma ci vorrà tempo per capire come la Chiesa USA si relazionerà col primo papa USA».
E rispetto all’attuale Amministrazione statunitense?
«Negli States viviamo in un tempo particolare: il trumpismo rappresenta un modo di appropriarsi della religione e il Conclave ha anche voluto, quindi, mandare un segnale sul fatto che esiste una voce alternativa al trumpismo. Lo stesso vicepresidente Vance si è definito “figlio di Sant’Agostino” ma è evidente che il suo e quello di Prevost sono due agostinismi tra loro diversi».
Qual è l’atmosfera oggi alla Villanova University? Che ricordi si hanno di Prevost?
«Io non ho avuto modo di conoscere personalmente Prevost, ma qui alla Villanova lo conoscono bene, era molto noto anche prima di diventare cardinale».
Come gli anni alla Villanova hanno influito sulla sua personalità?
«Gli agostiniani hanno il carisma della comunità: per loro è molto importante la vita di comunità, la formazione comunitaria. Qui diPrevost ne parlavano come membro di una comunità, come uno che ha vissuto da monaco agostiniano in modo più tranquillo, meno conflittuale di come Bergoglio visse nel mondo gesuita: infatti, il rapporto di quest’ultimo con la sua comunità è stata più accidentata rispetto a quella di Prevost negli agostiniani, dove non ha mai avuto un rapporto traumatico».
Qual è la situazione del cattolicesimo negli USA?
«I cattolici negli Stati Uniti purtroppo sono più o meno spaccati in due, seguendo i due grandi partiti – Democratico e Repubblicano.Questo papa è quindi chiamato più di altri a rispondere su questa profonda frattura, che Trump ha accentuato ma che nasce 30 anni fa e nel tempo si è aggravata. Ciò ha conseguenze sulla vita di ogni cattolico, come la scelta della scuola per i figli e della parrocchia dove andare. È un’esperienza che un cattolico europeo difficilmente può capire…».
L’elezione di un Papa USA accentuerà o meno queste fratture tra i cattolici statunitensi?
«Difficile dirlo.Sicuramente Prevost conosce molto bene la Chiesa americana, a differenza di com’era per Bergoglio. Prevost non ha bisogno di “traduttori” o mediatori per capire cosa succede nella Chiesa statunitense. È un altro tipo di rapporto. Qualcosa di inedito, tutto da studiare».
Quali novità Papa Prevost potrà portare alla Chiesa universale ?
«È un agostiniano e viene dopo un gesuita: ciò riequilibrerà determinati aspetti. È un prete missionario della Chiesa globale e questo permetterà di continuare certe traiettorie del papato di Francesco. Su altre questioni, eticamente sensibili, è difficile dire come si comporterà, forse qualche spostamento e differenza di accento rispetto a Francesco ci sarà.Ma bisognerà vedere, aspettare. In ogni caso, non credo ci sarà un “Francesco 2”. Sarà qualcosa di diverso».
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 16 maggio 2025
Mi chiamo Andrea Musacci.
Da aprile 2014 sono Giornalista Pubblicista, iscritto all’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna.
Sono redattore e inviato del settimanale "la Voce di Ferrara-Comacchio" (con cui collaboro dal 2014: http://lavoce.e-dicola.net/it/news - www.lavocediferrara.it), e collaboro con Filo Magazine, Periscopio e Avvenire.
In passato ho collaborato con La Nuova Ferrara, Listone mag e Caritas Ferrara-Comacchio.
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"L'unica cosa che conta è l'inquietudine divina delle anime inappagate."
(Emmanuel Mounier)