Shoah, fare memoria del male per un avvenire diverso 

5 Feb

A S. Spirito “Il giardino dei Finzi Contini” con dibattito. Il terrore e quel finale dolce

di Andrea Musacci

L’urgenza non solo della memoria del male che è stato, ma della denuncia di quello che è ancora e del rischio di quel che potrà essere. E l’urgenza contro il tempo che corre e che rischia di seppellire il ricordo di quei fatti. Di questo si discute ogni Giorno della Memoria – e non solo -, perché gli anni passano e il periodo in particolare fra il 1938 (entrata in vigore delle leggi razziali nel nostro Paese) e il 1945 si allontana sempre più, forse anche dalla coscienza e dal cuore delle nuove generazioni.

Di questo si è riflettuto la sera dello scorso 27 gennaio nel Cinema S. Spirito di Ferrara in occasione di un incontro promosso dallʼUfficio Diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso, che ha visto la presenza di circa 120 persone. La proiezione della versione restaurata de “Il giardino dei Finzi Contini” di Vittorio De Sica (’70) è stata preceduta da un momento di confronto – moderato da Alberto Mion – che ha visto gli interventi del nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, di Amedeo Spagnoletto (Direttore MEIS Ferrara), di Anna Quarzi (ISCO Ferrara) e Carlo Magri (docente UniFe ed esperto di cinema locale).

IL DIBATTITO: DOVERE E DIFFICOLTÀ DEL RICORDARE

«Bisogna sempre cercare il dialogo e prestare attenzione all’antisemitismo che dà segnali preoccupanti. Mai dimenticare l’importanza della relazione con l’altro e con la diversità, anche religiosa», ha detto il Vescovo. Dicevamo della memoria, e Spagnoletto ha così esordito: «Mi interrogo sempre su quale sarà il futuro della memoria della Shoah». Ha poi raccontato un aneddoto su Edith Bruck, scrittrice classe ’31 di origini ungheresi sopravvissuta ad Auschwitz e ad altri campi tedeschi: «ieri l’ho intervistata. “Testimonierò – mi ha detto – finché avrò un alito di vita. Ritengo che i semi che abbiamo piantato daranno frutti”. Liliana Segre invece è molto preoccupata che fra qualche anno sulla Shoah possano rimanere solo poche righe nei libri di scuola». 

Ricordiamo che il giorno successivo, Edith Bruck si è collegata con la nostra città in un incontro organizzato dal MEIS e riservato alle scuole. Al MEIS «in questi giorni – ha spiegato quindi Spagnoletto – abbiamo promosso ancor più visite del solito. Il nostro impegno è rivolto soprattutto ai più giovani, con attività pensate appositamente per loro. L’ultimo anno è stato difficile». Il riferimento è alla strage del 7 ottobre 2023 e alla guerra: «spesso nella comunicazione e nel dibattito alcuni decontestualizzano la Shoah e fanno un uso sbagliato delle parole». La memoria, invece, «è come un giardino che va annaffiato costantemente. E le erbacce – antisemitismo, razzismo, mancanza di dialogo – vanno tolte di continuo. Per voi, essere qui stasera – ha concluso -, significa voler ricordare le responsabilità che anche la città di Ferrara ha avuto dal 1938 al ‘45».

Senza nulla togliere al regime di terrore instaurato dal Fascismo fin dai suoi esordi (e prima di prendere il potere), giustamente Quarzi ha ricordato come a Ferrara fino al 1938 il podestà fosse ebreo (Renzo Ravenna), così come ebrei erano il Presidente della Cassa di Risparmio, quello dei Consorzi Agrari e i Presidi dei Licei Classico e Scientifico. «Nel film – ha proseguito – la tragica perdita dei diritti viene narrata in un’atmosfera ovattata: Ferrara è “la città dalle persiane socchiuse”, come la chiamò Guido Fink. Ed è la stessa Segre a parlare spesso del pericolo dell’indifferenza». 

Magri ha poi raccontato diversi aneddoti legati alla genesi e alla realizzazione del film, partendo anche dal suo recente libro “Ferrara, città e provincia nel cinema”, dov’è presente anche un capitolo sulla “Ferrara ebraica”. «De Sica all’inizio non era molto propenso a girare il film – ha detto -, avendo dubbi su alcuni aspetti della sceneggiatura, ad esempio sull’uso dei flashback».

IL FILM: DOLORE E SPERANZA NELLA REALTÀ

La famiglia protagonista del romanzo di Bassani, e poi del film di De Sica, è ispirata a quella dei Finzi Magrini: Silvio Finzi Magrini ha infatti “suggerito” nello scrittore la figura di Ermanno Finzi Contini, capostipite della casata e padre di Micòl. I Magrini a Ferrara vissero al numero 76 di via Borgo dei Leoni. «Persino il cane Ior che si vede nel film – ha spiegato Quarzi – è identico a quello della famiglia Magrini». Nella pellicola, la dolce atmosfera di una serena giornata di sole sembra rompersi, quasi fin da subito, per la presenza del cane che enorme giace poco dopo il grande ingresso, intimorendo così i giovani diretti verso il campo da tennis. Non fa male, non aggredisce, non aggredirà: di lui si può dire, non di quella fiera disumana che è il nazifascismo. Alberto (Helmut Berger), fratello di Micòl (Dominque Sanda), confessa il timore di essere aggredito là fuori, gli altri no, non si sa se per incoscienza o rimozione di ciò che li terrorizza. Sta di fatto che man mano che le vicende si susseguono, anche la luce esterna si spegne sempre più, il buio diventa padrone. Quel buio nei cuori, che non concede rifugio né pietà. Nemmeno le mura di cinta della proprietà dei Finzi Contini – che sembra sconfinata – sono sufficienti per evitare l’avanzata del male. E l’assurdo dell’Olocausto è anticipato dall’assurdo di Micòl che nega il proprio amore (antico e ancora vivo) per Giorgio (Lino Capolicchio): come se la morte terribile che la attende iniziasse a roderla dentro nella forma dell’odio, dell’isolamento che stringe lei e gli altri ebrei in una lenta morsa fatale. 

Solo la sequenza finale sembra poter restituire – a noi, inerti spettatori – un ricordo e un sogno della sua bellezza, della sua giovinezza spensierata. Sulle note di “El Maalè Rahamim” (canto poetico in lingua ebraica usato come preghiera per le persone morte di morte violenta), Micòl, Alberto e gli amici sembrano venirci incontro trasfigurati, coi loro corpi e col loro amore folle della follia dei bambini. 

«Che dunque il Signore di Misericordia / lo nasconda tra le Sue ali per sempre / e avvolga la sua anima nella vita eterna. / Dio sia la sua eredità / e possano riposare in Paradiso».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 febbraio 2025

Abbònati qui!

Lascia un commento