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Aborto, «una guerra dei potenti contro i deboli»

29 Mar

Trent’anni fa, il 25 marzo 1995, usciva l’Enciclica Evangelium Vitae: il magnifico inno alla vita di S. Giovanni Paolo II più che mai attuale

a cura di Andrea Musacci

«Il vangelo della vita sta al cuore del messaggio di Gesù»: così inizia Evangelium Vitae, Lettera Enciclica di san Giovanni Paolo II, che proprio in questi giorni festeggia i 30 anni dalla pubblicazione. Un testo fondamentale di esaltazione di alcuni fondamenti dell’antropologia cristiana e di denuncia di una mentalità e di una prassi nichilista allora sempre più in crescita e oggi tragicamente dominante. Abbiamo scelto in queste due pagine di dare spazio al tema dell’aborto, piaga che l’umanità si porta dietro da tempo immemorabile e che nella nostra società iperindividualista e tecnicista è presente sempre più come emblema di autodeterminazione delle donne. Un inganno che pervade, ormai, le coscienze di masse sterminate in tutto il mondo.

«Ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene – ricordava Evangelium Vitae -, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario. Sul riconoscimento di tale diritto si fonda l’umana convivenza e la stessa comunità politica». «Scelte un tempo umanamente considerate come delittuose e rifiutate dal comune senso morale, diventano a poco a poco socialmente rispettabili», è scritto ancora nel testo. «La stessa medicina, che per sua vocazione è ordinata alla difesa e alla cura della vita umana, in alcuni suoi settori si presta sempre più largamente a realizzare questi atti contro la persona e in tal modo deforma il suo volto, contraddice sé stessa e avvilisce la dignità di quanti la esercitano».

Giovanni Paolo II parla poi di «attentati» alla vita nascente e terminale «che tendono a perdere, nella coscienza collettiva, il carattere di “delitto” e ad assumere paradossalmente quello del “diritto”». Si può, quindi, «parlare di una guerra dei potenti contro i deboli: la vita che richiederebbe più accoglienza, amore e cura è ritenuta inutile, o è considerata come un peso insopportabile e, quindi, è rifiutata in molte maniere». «Per facilitare la diffusione dell’aborto, si sono investite e si continuano ad investire somme ingenti destinate alla messa a punto di preparati farmaceutici, che rendono possibile l’uccisione del feto nel grembo materno, senza la necessità di ricorrere all’aiuto del medico». Un’analisi lucidissima nel suo essere profetica. «La stessa ricerca scientifica, su questo punto, sembra quasi esclusivamente preoccupata di ottenere prodotti sempre più semplici ed efficaci contro la vita e, nello stesso tempo, tali da sottrarre l’aborto ad ogni forma di controllo e responsabilità sociale».

Ma l’aborto procurato – le parole non possono essere più chiare – è «l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita (…). Chi viene soppresso è un essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto di più innocente in assoluto si possa immaginare: mai potrebbe essere considerato un aggressore, meno che mai un ingiusto aggressore! È debole, inerme…».

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SAV Ferrara, 236 famiglie aiutate e 5 nuclei stranieri accolti

Ormai da 37 anni nel Comune di Ferrara è attivo il SAV – Servizio di Accoglienza alla Vita, che nonostante i tempi non facili conta ancora 79 soci dei quali 42 operativi (perlopiù donne).

Assieme a Monica Negrini, dallo scorso novembre Presidente del SAV Ferrara, abbiamo fatto il punto del servizio che svolge l’Associazione: «attualmente – ci spiega – sono 236 le famiglie che aiutiamo, di cui 116  in maniera continuativa con fornitura di prodotti FEAD (Fondo di aiuti europei agli indigenti, ndr), prodotti per l’infanzia (latte e pannolini che compriamo noi) alimenti per l’infanzia e vestiti per i bambini».

Il SAV, inoltre, collabora col CSV-Centro Servizi per il Volontariato per accogliere ragazzi affinché nella sede di via Arginone, 179 (che è aperta dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12) svolgano stage formativi (alternanza scuola-lavoro) o trascorrano in modo altrettanto formativo il periodo di sospensione da scuola (Progetto di Accoglienza per Attività di VolontariatoSostitutiva della Sanzione dell’Allontanamento Scolastico).

Inoltre, prosegue Negrini, «attualmente accogliamo 5 nuclei familiari nelle nostre due strutture di Ferrara e Porotto. Si tratta di 4 mamme ognuna con un bimbo (1 albanese, 1 marocchina, 1 turca, 1 tunisina), e di due genitori nigeriani con altrettanti figli». In via Baluardi 39, sotto l’appartamento che accoglie alcune famiglie, vi è anche il “Laboratorio Mani d’oro” (aperto il lunedì e il giovedì, ore 9-12) che realizza e confeziona su misura tende, tovaglie e lenzuola ricamate a mano più altri piccoli oggetti per la casa, borse, copricestini, fasciatoi, grembiuli per giardinaggio, bomboniere e molto altro.

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«So che là io ero esistente»

Pasolini, Berlinguer, Bobbio, Alberti, Muraro: quei non credenti che chiamano l’aborto col suo nome

«Io sono per gli otto referendum del partito radicale, e sarei disposto a una campagna anche immediata in loro favore. Condivido col partito radicale l’ansia della ratificazione, l’ansia cioè del dar corpo formale a realtà esistenti: che è il primo principio della democrazia.

Sono però contrario alla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano – cosa comune a tutti gli uomini – io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. Mi limito a dir questo, perché, a proposito dell’aborto, ho cose più urgenti da dire. Che la vita sia sacra è ovvio: è un principio più forte ancora che ogni principio della democrazia, ed è inutile ripeterlo».

(Pier Paolo Pasolini, “Sono contro l’aborto”, Corriere della sera, 19 gennaio 1975)

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«Deve essere chiaro a noi stessi e agli altri che noi, in quanto fautori della legge 194 e anche in quanto comunisti, non difendiamo l’aborto, non lottiamo per la libertà di abortire, non riteniamo l’aborto una conquista civile, né tantomeno un fatto positivo … [dobbiamo cercare] con opportuni strumenti legislativi di contenerne i guasti, e di avviare mutamenti culturali e mutamenti sociali che tendano gradualmente a farlo scomparire come atteggiamento culturale e come fatto sociale. Noi non siamo dunque abortisti, l’aborto resta per noi una male… Lavoriamo perché nel futuro dei giovani non ci sia più l’aborto».

(Enrico Berlinguer, 26 aprile 1981, comizio pubblico a Firenze per la legge 194)

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«Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il “non uccidere”. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere».

(Norberto Bobbio, intervista a Giulio Nascimbeni, Corriere della sera, 8 maggio 1981)

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«Gli antiabortisti dicono che l’aborto è un assassinio. Hanno ragione. Noi donne lo sappiamo bene.  Ed e il più paradossale dei suicidi, la madre uccide sé. Sopprime il feto che è in lei, il germoglio, parte del suo corpo, non ancora bambino e già figlio. Essere tomba invece che culla. Non si guarisce dall’aborto. Se ne esce vive a meta. Portare un lutto segreto per sempre. Questo noi lo sappiamo. Nel millenario massacro dei nostri corpi, nel rimpianto che non dimentica. Solo le donne lo sanno».

(Barbara Alberti, “Solo le donne sanno che cos’è l’aborto”, L’Espresso, 20 novembre 2022)

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«Noi partivamo dal principio fondamentale di libertà femminile: una donna non può essere obbligata a diventare madre, la maternità inizia con un sì. Ma tendevamo a sottolineare che l’aborto non è un diritto. Un diritto ha sempre un contenuto positivo. L’aborto è un rifiuto, un ripiego, una necessità. La donna che non vuole diventare madre subisce un intervento violento sul suo corpo per estirpare questo inizio di vita. Pensavamo, e pensiamo tuttora, che se si fa dell’aborto un diritto, si autorizza l’irresponsabilità degli uomini».

(“Luisa Muraro: l’aborto non è un diritto”, di Antonella Mariani, Avvenire, 10 maggio 2018)

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Uno di noi da difendere: il nuovo libro di Marina Casini e Chiara Mantovani


“Diritto di nascere. La legge 194: storia e prospettive” è il volume dove si ripercorre la storia della normativa italiana sull’aborto e si riflette sui motivi profondi della difesa della vita nascente

di Andrea Musacci

Un testo scomodo nel suo dire la verità senza mai dimenticare la misericordia. Anzi, proprio perché nell’ottica della Carità, ancor più duro e scandaloso in una società ormai insensibile a certe parole. È il libro, da poco uscito, “Diritto di nascere. La legge 194: storia e prospettive”, di Marina Casini e Chiara Mantovani (Ed. Ares, 2025, con Prefazione di Marco Invernizzi): la prima, giurista, docente di Bioetica alla Cattolica e presidente del Movimento per la Vita italiano; la seconda, medico ferrarese, esperta di bioetica, da tempo impegnata con l’AMCI e il SAV di Ferrara.

Un libro sull’aborto, il loro, senza scorciatoie, pavidi tentativi di conciliazione. Se da cristiani denunciamo ogni attacco alla sacralità e alla dignità della persona – sembrano dirci -, non possiamo non farlo anche in riferimento all’essere umano nelle sue primissime fasi di vita, quando ha già una propria specifica identità che lo definisce come irripetibile.

Il volume non a caso esce in concomitanza di anniversari significativi: 50 anni fa, il 22 maggio 1975 a Firenze (nella sala del Monastero di clausura delle suore Benedettine in viaSanta Marta) nasceva il primo Centro di Aiuto alla Vita (CAV); 30 anni fa, il 25 marzo 1995, usciva la Lettera Enciclica Evangelium Vitae di San Giovanni Paolo II; 25 anni fa, il 25 gennaio 1980, nasceva il Movimento per la Vita (MpV); e 5 anni fa, il 23 marzo 2020, tornava al Padre Carlo Casini, fondatore dello stesso Movimento per la Vita nazionale.

IL PROTAGONISTA IGNORATO

«Un tempo ci si nascondeva perché non si poteva fare (ed erano i cosiddetti aborti “clandestini”), oggi ci si rifugia nel privato della propria casa (aborti chimici a domicilio, alias pillole dei vari giorni dopo) perché si vuole derubricarla a questione esclusivamente soggettiva e banale, come bere un bicchiere d’acqua». Con questo interessante parallelismo, Chiara Mantovani nel libro spiega la cattiva coscienza che da sempre attanaglia chi decide di compiere questo tipo di «assassinio», come ha ribadito Papa Francesco lo scorso settembre.

Ma è con la realtà che bisogna prima di tutto confrontarsi. Ed è quindi importante – ancora, sempre di più – «sottolineare il dato che volutamente è tacitato e, se emerge, è talvolta scandalosamente bollato di violenza: il primo e decisivo soggetto protagonista – che non fa, ma che è; non attore, bensì destinatario; non parlante, eppure esistente – è il concepito», scrive Mantovani. Il conoscere – scientificamente – non è necessario a cambiare la nostra interpretazione della realtà: il tema dell’aborto sta lì tragicamente a dimostrarlo. Come spiega ancora Mantovani nel libro, «il timore del giudizio morale ha impedito agli argomenti razionali di occupare il primo posto nelle disamine e nelle discussioni sul tema».

Ma «non si può negare la natura umana del concepito. Non la si può negare biologicamente: il suo dna è sufficiente a classificarlo senza tentennamenti (…). Non la si può negare nella stessa considerazione di chi se lo ritrova – atteso o inaspettato – nella sua vita: nessun dubbio che stia per nascere un umano. A quale scopo, altrimenti, abortirlo?». “Aspetta un bambino”, “Avrà un bambino”, non a caso, chiunque dice per riferire di una donna incinta. Ciò non toglie che sia «inadatta, a dire il meno – scrive giustamente Mantovani – qualsivoglia obbligatorietà per il personale medico di effettuare – e per la donna di subire – un atto medico quale l’esame ecografico». È invece «percorribile solo la via della partecipazione al dramma, la vicinanza umana e solidale di chi intende compiere il supremo atto fraterno dello svelamento del vero: “se vuoi, ti faccio vedere chi è colui che non vorresti”». Il riferimento è alla proposta di legge di iniziativa popolare (depositata in Cassazione) per emendare la legge 194, introducendo l’obbligo del medico di far vedere il nascituro e far sentire il battito alla donna intenzionata ad abortire. Legge firmata da diverse associazioni pro-life ma non dal Movimento per la Vita e dall’Associazione Family Day – Difendiamo i nostri figli.

In ogni caso, sembra sempre più forte la visione nichilista pro-abortista che a livello comunicativo distoglie «l’attenzione dal concepito, che è quello di pensarlo non pienamente umano, anzi, proprio un niente. Un grumo di cellule. Un’appendice carnosa della madre, addirittura un nemico da cui difendersi, un invasore alieno non voluto (…)». Per Mantovani, in questa visione, «l’unica cosa che importa, è un possesso intangibile, qualcosa che ha a che fare con l’idea di individuo assoluto». Ma la liberazione della donna, la sua emancipazione è proprio il contrario di ciò: è alternativa al potere, al dominio sulla nuda vita, su ciò che è fragile; è invece cura, accoglienza, prima e più importante “ecologia”1.

194, MOLTE OMBRE

Sulla legge 194/1978 che in Italia legalizza l’aborto, scrive Mantovani: «È ormai evidente che ogni legge che regolamenti un comportamento lo rende “buono” se rispettoso delle regole che lo delimitano». In Italia prima della legge 194 del 1978, l’aborto era sanzionato dalle norme del Codice penale (titolo X, libro II “Delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe”). E forse in pochi sanno che «prima della legge 194, se una gravidanza presentava per la mamma il pericolo incombente per la sua vita, senza che il pericolo fosse stato volontariamente causato, purché fosse inevitabile e non vi fossero alternative, l’aborto era sottratto alla sanzione penale. La logica è quella per cui lo Stato non può chiedere ai cittadini il sacrificio della vita. L’offerta della propria vita per la salvezza di un altro è un dono libero».

Lo spiega bene Marina Casini, che nella seconda parte del libro dialoga con Chiara Mantovani. Le due, confrontandosi, ripercorrono fatti e discussioni che hanno portato alla 194, partendo dalla scoperta nel gennaio ’75 a Firenze della clinica degli aborti clandestini organizzata dal Partito Radicale (40-50 al giorno di media erano quelli eseguiti con il metodo Karmann, per aspirazione): in quella vicenda giudiziaria fu impegnato in prima linea come pm proprio Carlo Casini, padre di Marina. 

«Attraverso la “depenalizzazione” dell’aborto – spiega Marina Casini – si voleva arrivare alla “decolpevolizzazione”, cioè alla normalizzazione dell’aborto cancellando le remore e mettendo a tacere ogni resistenza morale». Fino ad arrivare oggi allo sdoganamento delle nuove forme farmacologiche e chimiche. Ad esempio, dal 1° gennaio 2025 è possibile, per le donne dell’Emilia-Romagna, abortire a domicilio assumendo prima la pillola RU496 in un presidio sanitario pubblico e poi la Prostaglandina a casa propria. Ma «l’aborto non è soltanto un peccato o una questione privata per cui ognuno può agire come vuole. È anche una grave lesione nei confronti della società come tale, nella quale il precetto del “non uccidere” e il riconoscimento dell’eguaglianza di tutti gli esseri umani dovrebbero essere la base del bene comune».

Da questi principi “non negoziabili” nasce in quegli anni il Popolo della Vita, con il MpV e i CAV (o, come nella nostra Diocesi, il SAV). Insomma, si capì che – spiega Marina Casini – «il vero modo per aiutare le donne era essere solidali con i loro figli». Il MpV si fondava su questi assunti: «Non la sbrigativa scorciatoia della morte, ma il cammino della solidarietà; non la metodologia del giudizio e della condanna, ma quella della condivisione; non contro la madre, ma insieme alla madre». Sono oltre 280mila i figli nati grazie ai CAV e ai SAV in tutta Italia in questi 50 anni. Ma sono oltre 6milioni e 300mila gli aborti legali registrati dal 1978 al 2022 (ultimi dati disponibili) grazie alla 194. «Non è infrequente sentire – scrive ancora Marina Casini – che la legge 194 non si può toccare perché è “legge dello Stato che ha trovato conferma nel referendum del 1981”. È paradossale ritenere una legge intoccabile, poiché tutte le leggi sono per loro natura riformabili o abrogabili».

BAGNO DI REALTÀ

La realtà ha – in un certo grado – una sua “indipendenza” da ogni opinione: solo partendo da questo fatto, ognuno di noi può decidere se accoglierla così com’è oppure no. Ma riconoscerla nella sua essenza significa riconoscerla nella sua origine, quindi nel suo senso più profondo. Solo nell’abisso «più fondo del fondo» del mio essere, ritrovo l’Essere che infinitamente mi supera, Colui che ha creato me e ogni cosa o vita che esiste. Cercare di scimmiottare Dio decidendo della vita o della morte di una creatura al suo stato embrionale, è portare l’inferno qui sulla terra, cioè vivere e agire come se Dio non esistesse, come se nulla fosse sacro, non a disposizione del mio arbitrio. Questo bisognerebbe ricordare quando si discute e si decide di aborto. Compiendo un vero e proprio bagno di realtà.

NOTA

1 «Oltre all’irrazionale distruzione dell’ambiente naturale è qui da ricordare quella, ancor più grave, dell’ambiente umano, a cui peraltro si è lontani dal prestare la necessaria attenzione. (…) ci si impegna troppo poco per salvaguardare le condizioni morali di un’autentica “ecologia umana”» 

(San Giovanni Paolo II, Centesimus Annus, 38).

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 marzo 2025

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(Foto Matilde Ferreira – Pexels)