
L’intervento di don Goccini alla Scuola diocesana di teologia: «come Gesù torniamo sulla strada per cercare gli ultimi e invitarli al nostro ballo collettivo»
Sembra paradossale ma le riflessioni intraecclesiali sull’annuncio e l’evangelizzazione, cioè su nuovi modi di comunicare la fede sono…vecchi. È un tema, infatti, che dal Vaticano II ha attraversato tutte le generazioni di educatori, laici e religiosi. Oggi, però, andrebbe affrontato con uno stile differente.
Su questo ha riflettuto a Ferrara don Giordano Goccini – parroco di Novellara (RE) e componente del Comitato scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo -, relatore della seconda lezione del nuovo anno della Scuola diocesana di teologia per laici “Laura Vincenzi”.
Tema, “La tradizione” (Ger 1,6): «fra le nuove e le vecchie generazioni la comunicazione si è interrotta, noi adulti non siamo più capaci di trasmettere la fede», ha esordito. Insomma, assistiamo al «grande divorzio tra da una parte una forte richiesta di fede da parte delle nuove generazioni, una loro ricerca spirituale; e, dall’altra, un sostanziale disinteresse nei confronti di ciò che la Chiesa dice e fa». Molti giovani oggi non hanno più «un pregiudizio ideologico contro la religione» ma al tempo stesso «non gli interessa sentire annunciare un Dio della verità».
Inoltre, come Chiesa continuiamo a essere strutturati sulla triade parrocchia-campanile-tempo della festa.Ma «questi luoghi e la divisione tra tempo feriale e tempo festivo è ormai estranea alle nuove generazioni». Questa forza ancora presente della «mediazione ecclesiale (e sacramentale) – e di quella della Vergine Maria» – contrasta col bisogno di tanti di «un incontro diretto con Dio». Disintermediazione, questa – potremmo aggiungere – in un certo qual modo sorella del rifiuto di ogni mediazione politico-partitico-istituzionale. Questa disintermediazione ecclesiale si accompagna a una “disintermediazione” temporale: «se un tempo la salvezza era la vita eterna (per la quale valeva la pena fare sacrifici nel presente), oggi invece si pensa a un Dio che salva qui e ora, perché la sua promessa di felicità è per il presente». L’incontro con Dio è, quindi, per molti giovani, con un Dio «che chiama per nome», che mi conosce e riconosce. La Chiesa – dunque – dovrebbe «tornare a cercare i giovani uno a uno, mettendo in dubbio la propria pastorale ordinaria». Ciò non significa «buttare via integralmente la tradizione ma tornare a Gesù». Proprio Gesù che non può che essere il nostroModello: Lui, infatti, «si era smarcato tanto dall’esperienza religiosa del suo tempo quanto da coloro che rifuggivano la “città” per andare a vivere in una comunità di puri». Gesù, invece, «va lungo la strada per incontrare gli ultimi, i peccatori, avendo ben presente la Causa di Dio: Egli, il Regno – insomma – illumina di luce nuova la storia, ogni aspetto e momento, relativizzandolo».
Oggi – dunque – abbiamo bisogno di «una pattuglia ecclesiale» che sappia andare dai giovani e dai giovanissimi coinvolgendolo in una sorta di «ballo collettivo nel quale ognuno mantiene la propria individualità e tutti concorrono all’armonia generale». Una «comunità che danza» dev’essere quindi la nostra Chiesa: una comunità attrattiva dove non si perde la bellezza unica del «contatto fisico».
La sfida è enorme ma, in fondo, è la sfida di ogni tempo: portare Cristo alle donne e agli uomini affamati di Eterno.
Andrea Musacci
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 24 ottobre 2025
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