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Unità e responsabilità: l’AC diocesana ha eletto il nuovo Consiglio 

12 Feb

Domenica 11 febbraio nella storica sede di Casa Bovelli a Ferrara erano presenti una 70ina di persone: eletti 20 consiglieri su 105 candidati.Gli interventi del Presidente uscente Martucci, del nostro Arcivescovo e del Delegato nazionale Francesco Vedana

Di responsabilità si è parlato lo scorso 11 febbraio a Casa Bovelli a Ferrara in occasione della 18^ Assemblea elettiva del nuovo Consiglio diocesano di Azione Cattolica.E di senso di responsabilità, nei fatti, ne abbiamo vista tanta in questi anni dentro l’AC. Responsabilità che significa gioia ma anche fatica, fraternità e sacrificio. Memoria e futuro. Proprio alla fine del pomeriggio dell’11 in via Montebello a Ferrara, veniamo a sapere il nome della tesserata AC di Ferrara-Comacchio più anziana: è Ada Cecchi, detta Nives, di Porotto. Non una semplice curiosità ma la testimonianza di come si possa vivere l’adesione all’Azione Cattolica come momento imprescindibile pur nei differenti periodi della propria vita.

E così, a Casa Bovelli, in un pomeriggio finalmente illuminato dal sole dopo due giorni di pioggia, si sono ritrovate una 70ina di persone, fra cui una 15ina di giovani.Fra i presenti, 57 avevano anche diritto di voto per scegliere, tra i 105 candidati, i 20 membri del nuovo Consiglio diocesano.Consiglio che darà l’indirizzo alla vita associativa, che poi a sua volta eleggerà chi dirigerà l’associazione durante il prossimo mandato (2024-2027) e andrà a comporre la Presidenza diocesana. Di solito l’Assemblea elettiva diocesana si svolge ogni tre anni, ma questa volta, eccezionalmente, si è svolta dopo quattro anni dall’ultima in quanto, causa Covid, quella nazionale è stata rimandata e  quindi, a cascata, tutte quelle locali.

DON ZECCHIN E FANTINATO: «RIPARTIRE DA CRISTO»

L’Assistente Unitario don Michele Zecchin ha introdotto la giornata con un commento di At 10,34-43:«la Chiesa è sempre il suo farsi – ha riflettuto -, non è mai qualcosa di già definito. E importante per l’AC è «il continuo rifarsi al suo fondamento,cioè a Cristo e alla sua storia, senza perdersi nelle discussioni sulle strutture e sull’organizzazione. In tanti, anche nella nostra città, nei nostri territori, aspettano da noi l’annuncio del Vangelo». Riflessione ripresa nel suo breve intervento da Chiara Fantinato, vice Presidente diocesana uscente e Presidente dell’Assemblea di domenica 11: «è necessario ripartire dalla centralità della Parola, da Lui», ha detto.«Corresponsabilità è il nostro concetto di base, come AC e come Chiesa», tema ancora più importante in un contesto di «crisi motivazionale del servizio dentro l’AC e di crisi di adesioni» alla stessa Associazione.

VEDANA: «TESSERE RAPPORTI DI COMUNIONE»

E proprio di responsabilità ha parlato Francesco Vedana, delegato del Centro nazionale di AC e originario della Diocesi di Belluno-Feltre. Il responsabile di AC, ha riflettuto, «tesse continui rapporti di comunione con tutti e fa trasparire sul territorio il valore dell’Associazione come esperienza comunitaria». Inoltre, si occupa di «conservare l’unità» nell’Associazione, evitando sia lo spontaneismo quanto la burocratizzazione della stessa. «Lavora assieme agli altri sapendo di non essere indispensabile, valorizza l’intergenerazionalità e la scelta democratica». Da due sondaggi istantanei tra i presenti all’Assemblea è emerso poi come la responsabilità dentro l’AC possa far paura perché richiede «fatica», sacrificio e non per il timore di essere giudicati: quest’ultimo è senz’altro segno del rispetto e della fiducia che domina tra i membri dell’Associazione.Le parole più usate dai presenti per descrivere, invece, la bellezza della responsabilità in AC sono state, non a caso, “cura”, “dono”, “sfida” e “relazione”.

MARTUCCI: «FARE IL PRESIDENTE È UNA SCUOLA DI UMILTÀ»

Non poteva che essere sentito e commosso l’intervento di Nicola Martucci, Presidente diocesano uscente di AC dopo quattro, difficili anni: «ho sempre vissuto l’AC come luogo di crescita e di nutrimento spirituale. In questi quattro anni mi sono lasciato guidare, ho intessuto legami, favorito la comunione, ascoltato», ha detto. Il ruolo del Presidente diocesano è «una grande scuola di umiltà». Un mandato, quello di Martucci, iniziato con «l’uragano» della pandemia da Covid, che «ci ha insegnato la preziosità del tempo, che le relazioni sono il centro della nostra vita, che gli strumenti digitali non solo non possono sostituire il contatto umano ma che possono diventare gabbie dorate nelle quali nascondersi».

Non dimentichiamo, invece – ha proseguito – «che dietro ogni persona si celano domande di senso e una grande sete di infinito a cui dare risposte. E poi – ha incalzato i presenti -, «siamo capaci di farci sorprendere da chi non fa parte dei nostri soliti circuiti?». In questi quattro anni, ha riflettuto, «abbiamo provato a porci in ascolto, a interrogarci e ad essere interlocutori di tutti. È comunque sempre necessaria una seria rilettura della propria presenza nella Chiesa e nel mondo e della propria vocazione».

AlConsiglio entrante Martucci ha quindi rivolto queste parole: «serve il coraggio di scegliere quale futuro costruire assieme, abbandonando quel modello a cui siamo affezionati ma che ormai appartiene a una minoranza». Vi è, poi, la «necessità di vivificare le nostre AC parrocchiali e delle Unità pastorali: senza queste, l’AC diocesana entra in crisi.Senza questo cammino concreto nelle parrocchie e nelle UP, perdiamo il contatto con la realtà, rischiamo di essere generici. Occorre, quindi, una proposta, un “vieni e vedi”».A tutti, parroci compresi, ha quindi rivolto un appello: «c’è bisogno dell’AC, di un associazionismo solido, che formi le persone alla corresponsabilità ecclesiale. Essere responsabili e prendersi cura è bello: questo ho imparato».

MONS. PEREGO: «GUARDIAMO ALLA CITTÀ»

«Ci tengo a ribadire l’importanza di camminare insieme.Continuiamo a confrontarci per guardare meglio il cammino da intraprendere, e tendiamo la mano a chi ha bisogno, che significa anche vivere concretamente la responsabilità, sempre nel contatto diretto con le persone, per capire chi sono, sentire la loro presenza, donare loro uno sguardo di compassione». Così mons. Gian Carlo Perego nel suo intervento conclusivo all’Assemblea. Importante è, poi, lo «sguardo alla città, luogo fatto di sempre più anziani, di tanti giovani che vengono da fuori, e di bambini. Grazie – sono state le sue parole finali rivolte all’AC -, perché in questi anni vi ho sentito vicino».

Prima della proclamazione degli eletti (v. box a fianco), sono intervenuti anche Miriam Turrini per ricordare la Causa di beatificazione della Serva di Dio Laura Vincenzi, e Matteo Duò per parlare della neonata Associazione “La pulce nel cuore”, da lui presieduta, per la cura della Casa di Loiano (ne abbiamo parlato sulla “Voce” dello scorso 9 febbraio).

Ricordiamo, infine, che il prossimo 25 aprile tutta l’Azione Cattolica italiana si troverà in piazza San Pietro insieme con Papa Francesco.L’incontro aprirà idealmente la XVIII Assemblea nazionale dell’associazione (“Testimoni di tutte le cose da Lui compiute”), che proseguirà da venerdì 26 fino a domenica 28 aprile.

***

Ecco i 20 Consiglieri eletti. Diversi i giovani presenti

VICARIATI

Vicariato S.Caterina de Vigris: Chiara Fantinato e Francesco Ferrari. 

Vicariato SanMaurelio: Giacomo Forini e Aurora Righi. 

Vicariato Beato Tavelli: Elena Orsini e Fausto Tagliani. 

Vicariato San Giorgio: Emanuela Celeghini e Maria Cecilia Gessi. 

Vicariato Sant’Apollinare: Marina Guidoboni e SaverioAnsaloni. 

Vicariato San Cassiano: Cecilia Cinti e Luca Bianchi. 

Vicariato San Guido: nessun eletto. 

Vicariato urbano Madonna delle Grazie: Monia Minghini e Sara Ferioli.

Per l’ACR sono stati eletti Matteo Duò e Cristina Scarletti. 

Per i Giovani, Paolo Luciano Ferrari e Claudia Vannella. 

Infine, per gli Adulti, Chiara Ferraresi e Bernardetta Forini.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 16 febbraio 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto Pino Cosentino)

Tutto del Signore e della sua gente: ritratto di don Giuseppe Crepaldi

7 Feb

87enne parroco di Masi Torello, sempre al fianco di chi ha bisogno

«Con Gesù ritornano più facili e sereni i rapporti con i fratelli; si fa viva la responsabilità dei doveri quotidiani; ci si apre alle necessità di famiglie, di poveri e di infermi». La lunga vita di don Giuseppe Crepaldi (per tutti, Dongiu) si può riassumere così, con le sue stesse parole affidate al nostro Settimanale “La Voce” il 20 maggio 2020, alla fine del primo doloroso lockdown anti covid. 

La storia di don Crepaldi è la storia di un’esistenza totalmente consacrata al Signore nella carità quotidiana ai fratelli e alle sorelle…

Leggi l’articolo integrale qui.

Pubblicato anche sulla “Voce” del 9 febbraio 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio

«Un angelo ci parla del Paradiso»: la piccola Elena e la sua vita in Cristo

24 Gen

È tornata alla Casa del Padre a 17 anni la ragazza vittima di un grave incidente nel 2016. Ecco la sua esistenza spesa nella fede nel Signore, nell’amore e nella preghiera. Tante le persone che grazie a lei hanno riaperto il cuore a Gesù

di Andrea Musacci

In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli». (Mt 11, 25)

Elena piccola e fragile, Elena forte e matura. Elena bambina, Elena modello di fede. Elena immobile, Elena che cammina nelle vite delle persone. Elena che è morta e risorta mille volte, Elena sempre viva.

È una storia straziante e magnifica quella che ci arriva dalle porte di Ferrara: è la storia di Elena Marangon, una bambina mai diventata donna, un’anima speciale, il cui calvario, la cui forza, la cui fede genuina stanno portando a Cristo sempre più persone.

L’INCIDENTE

È il 7 settembre 2016, siamo in provincia di Rovigo: un terribile incidente stradale tra Adria e Corbola costa la vita a Gino “Angelo” Firenzuola, 72 anni, residente a Cologna vicino Berra. “Angelo” è il nonno affidatario della nostra piccola Elena, 10 anni, che nell’incidente si salva assieme ad altri due nipotini, un maschio e una femmina, e alla nonna Maria Rita Smanio (che passerà tre mesi in ospedale).

Natascia, figlia di Gino e Maria Rita, in un colpo solo rischia di perdere i genitori e una delle sue figlie in affido. Intubata e caricata a bordo dell’elicottero per essere trasportata all’Ospedale di Padova, Elena subirà diversi interventi che le salveranno la vita ma rimarrà con un forte deficit motorio fino al 20 dicembre 2023, giorno del suo ritorno alla Casa del Padre. 

Proprio nel trigesimo, sabato 20 gennaio, il nostro Arcivescovo ha presieduto la S. Messa in sua memoria nella chiesa di Santo Spirito. 

RINASCERE, SEMPRE

Natascia Firenzuola e il marito Riccardo Vassalli sono i genitori affidatari di Elena. In particolare, Natascia ha lavorato come educatrice e operatrice sanitaria con minori, anziani e disabili e oggi si occupa appunto di minori in difficoltà. Elena nasce l’11 luglio 2006 e quando ha appena 20 giorni viene affidata alla coppia: «è la cosa più bella che il Signore mi ha donato», ci racconta Natascia. 

Una grazia vera e propria, una vita appena nata ma già da far rinascere. Fin dai primi anni di vita, Elena si dimostra una bambina particolarmente affettuosa, legata ai genitori e ai nonni affidatari. «Con me – ci racconta la nonna Maria Rita – amava lavorare a maglia, cucinare, pulire, assistermi quando tiravo il collo alle galline…». Una bambina sempre obbediente e molto più matura e responsabile della sua età anagrafica. Una maturità e genuinità che le facevano dire, spesso anche agli adulti, ciò che pensava, anzi ciò che andava detto, la verità delle cose.

Poi inizia il periodo della scuola con le Materne, le Elementari e le Medie. Fino all’incidente di quel maledetto 7 settembre 2016, che segnerà la vita di Elena e della sua famiglia in maniera irreversibile. Ma che aprirà gli occhi e il cuore di tante persone. 

Elena sarà ricoverata tre settimane in terapia intensiva pediatrica all’Ospedale di Padova, poi 11 mesi al Centro San Giorgio di Ferrara per la riabilitazione, alternando alcuni periodi in pediatria. E poi, a parte due mesi di ricovero al Sant’Orsola, sarà sempre a casa, curata e amata dalla sua famiglia. 

Fondamentale sarà anche l’aiuto della fisioterapista Barbara Bellagamba, che ha seguito la ragazza per sei anni. Elena, piccola guerriera, continuerà a rimanere sempre lucida, consapevole, comunicando solo con gli occhi. All’inizio, grande è il dolore e lo shock in tanti amici e conoscenti: il suo allenatore di pallavolo, ad esempio, dopo quell’episodio decide di non allenare più. Dopo due anni di sosta obbligata, Elena riprende anche gli studi, concludendo le Medie e iscrivendosi a un Istituto Superiore di Ferrara, dove sta collegata in dad 4 ore al giorno per seguire le lezioni. Lo scorso ottobre, Elena ha fatto in tempo ad andare a visitare i propri compagni di classe, appena due mesi prima di morire: «avrebbe dovuto starci 15 minuti – ci racconta Natascia -, ma alla fine è rimasta lì 1 ora e mezza, tante erano le domande e tanto l’affetto dei compagni». 

Ora riposa nel cimitero di Mezzogoro (paese d’origine dei genitori naturali), ma una sua foto è stata posta nella cappella della famiglia di Natascia, di fianco all’amato nonno Gino.

TESTIMONE DELLA FEDE

Una bambina avvolta dalla grazia era Elena. «Sempre altruista – ci racconta Natascia -, portava a scuola due merende, una per sé e una per una sua compagna, nel caso questa non l’avesse avuta». A 5 anni i genitori scoprono la sua celiachia: «desiderava fare l’Istituto alberghiero per aiutare le persone che come lei soffrivano di questa malattia». 

Ma tanti cuori, Elena, ha toccato anche con quel suo naturale senso religioso, quell’inclinazione, che sembra innata, alla preghiera: «diverse persone grazie al suo esempio – prosegue Natascia – hanno ricominciato ad andare a Messa, a comunicarsi. Persone che da tanti anni avevano perso la fede o non l’avevano mai avuta, hanno riaperto i loro cuori a Gesù». Per la sua Prima Confessione il parroco le diede, come da tradizione, un libricino per imparare a recitare il Santo Rosario. Elena se ne innamorò: fu, quella, una delle fonti della sua grande forza. «Aveva fatto sua l’importanza della preghiera», prosegue Natascia. «Nei momenti di sconforto andava a pregare davanti a una grande statua con la Madonna e Gesù Bambino». Si tratta di una scultura lignea – un tronco intero in noce – scolpita da Fratel Giuseppe Piccolo (morto nel 2021, Direttore della Città del Ragazzo dal 2000 al 2003), posta nel porticato della casa dei nonni Maria Rita e Gino. Una statua strappata all’abbandono essendo stata trovata nel cortile dell’ex studentato in via Borsari a Ferrara fino ad allora gestito dall’Opera “Don Calabria”. 

Un bisogno di un dialogo col Signore, quello di Elena, che la seguiva ovunque: «Nel 2016, qualche giorno prima dell’incidente, si ruppe un braccio in piscina: nel tragitto verso l’ospedale pregava la Madonna invece di piangere e urlare», come avrebbe fatto qualsiasi bambino. «Oppure, quando andavamo in gita, se in macchina passavamo davanti a una chiesa si voleva sempre fermare per entrare e accendere una candela, dire una preghiera. E sgridava i propri compagni se in chiesa non cantavano», lei che adorava cantare per il Signore. «Una bambina di altri tempi, insomma». 

LUCENTEZZA DIVINA

Elena nei suoi 17 anni di vita ha sofferto tutte le sofferenze immaginabili: emotive, psicologiche, fisiche. Un vero e proprio calvario, il suo. «Ma mai – proseguono Natascia e Maria Rita – le è venuta meno la voglia di vivere e la fede in Dio». Elena non solo convertirà, grazie al suo esempio, diverse persone ma spingerà molti a pregare per lei: il gruppo di preghiera del suo paese dieci giorni dopo l’incidente organizza un pellegrinaggio al santuario di Chiampo, nel vicentino; per un lungo periodo, sempre dopo l’incidente, la mattina alle 7 a casa di Natascia si recita il Santo Rosario, con diverse persone presenti fra cui il parroco. E don Alessandro Denti, a inizio 2017, poco prima di morire, l’ultima Messa la celebra proprio per Elena e nonno Gino. La stessa Elena, pochi giorni prima di tornare al Padre, riceve la Comunione a Cona, dove trascorrerà due giorni ricevendo la visita, fra gli altri, dell’allora cappellano don Andrea Martini e dei medici di famiglia Francesco Turrini e Matilde Turchetti. Anche il nostro Vescovo mons. Perego prenderà a cuore la vicenda di Elena, incontrandola più volte sia a casa sia in ospedale.

Ciò che rimane come segno dell’Eterno è «la purezza e lucentezza negli occhi di Elena, pietra scartata che è diventata pietra d’angolo», aggiunge Natascia fra quelle lacrime che però non le tolgono il sorriso nel ricordare il suo «angelo». «Elena è ancora molto presente, col suo spirito è sempre con noi». Continua la sua “opera” con le tante conversioni e con le testimonianze di chi ha imparato la gioia vera, imperitura grazie al suo sorriso, alla sua fede semplice e inscalfibile. «Elena ora ci assiste da Lassù e ci dice che il Paradiso esiste». I suoi occhi ne erano una dolce anticipazione.

S. Messa e testimonianze a Santo Spirito

Sabato 20 gennaio a Santo Spirito Elena ha radunato tante persone, segno dell’amore che ha sparso in tanti cuori: le compagne e i compagni delle Elementari, delle Medie e delle Superiori, oltre alle maestre, agli insegnanti, ai presidi e dirigenti scolastici. Alcuni di loro hanno accompagnato la liturgia – celebrata da mons. Gian Carlo Perego assieme a don Giacomo Granzotto – con le chitarre e un flauto e le letture sono state curate da persone che l’hanno conosciuta, mentre la liturgia è stata accompagnata dal coro parrocchiale dove ha vissuto. Dopo la Messa, un grande pallone con una pergamena contenente le firme dei suoi ex compagni è stato fatto volare sopra la chiesa e a seguire, il Cinema parrocchiale ha ospitato un filmato con diverse foto e video di Elena, realizzato da un suo ex compagno di scuola assieme a Natascia e ad alcune mamme, nel quale si racconta la vita della ragazza dalla nascita fino alle ultime settimane di vita. 

A fine Messa, in chiesa sono stati letti alcuni ricordi, fra cui quello della sorella di Elena: «il tuo ricordo mi terrà compagnia nelle notti insonne, resterà la tua anima ad amarmi». E ancora: «grazie a te mi sono ritrovata quando mi ero persa, con te mi sentivo a casa». Un’altra lettera molto toccante è quella scritta da una persona che ha voluto bene ad Elena, immaginando fosse proprio la ragazza a scriverla alla mamma Natascia: «Tu mi hai insegnato a parlare, a camminare, a ridere. Mi hai insegnato a vivere», è un passaggio. «Ma soprattutto mi hai insegnato che cosa significhi volere bene, e che per farlo, a volte, è necessario mettersi da parte». «Elena per me è stato un fiore di grazia, una grande testimonianza di come la verità nasca dalla carne», scrive invece Francesco Turrini. «È stata mia paziente nel suo ultimo anno di vita, nel mio primo anno come Medico di Famiglia a Ferrara. Il mio caso più “complesso”. Sono stato spesso a casa di Elena e tutta la sua famiglia. Ho avuto il privilegio di stare di fronte alla sua “carne”, vederla, toccarla e ascoltare il suono di quei polmoni che vibravano di una risonanza che è quella del nostro corpo segno dell’Infinito che porta dentro». 

«Elena non è stata guarita fuori – ha detto il Vescovo in un passaggio dell’omelia -, ma è stata guarita e liberata dentro da tutto ciò che allontana. Elena è stata purificata dall’amore di Dio e dall’amore dei familiari, del prossimo. Cari fratelli e sorelle, guardando ad Elena, oggi nella casa del Padre, ma in comunione con noi, impariamo a desiderare sempre qualcosa di più dalla nostra vita».

Pubblicato sulla “Voce” del 26 gennaio 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio

Festa dei popoli: la nostra Epifania multietnica

8 Gen

Il 6 gennaio a San Francesco centinaia di persone da tutto il mondo unite nella gioia

di Andrea Musacci

L’Epifania è la festa dei popoli che accorrono per ammirare la manifestazione di Nostro Signore, fratelli e sorelle unite in Cristo pur nella diversità di lingua e cultura.

Da diversi decenni in Italia assume  concretamente la forma colorita di un grande evento di fede, svoltosi lo scorso 6 gennaio anche nella nostra Diocesi con la Santa Messa presieduta da mons. Gian Carlo Perego nella Basilica di San Francesco a Ferrara.

L’iniziativa è stata preparata dall’Ufficio per la Pastorale dei migranti – coadiuvato dai Cappellani di lingua straniera -, Ufficio diretto da don Rodrigo Akakpo, il quale  durante la liturgia ha guidato il coro multietnico presente.

L’evento – che ha seguito il tema dell’anno, suggerito da Papa Francesco, “Liberi di migrare o restare” – ha visto la presenza di alcune centinaia di persone, fra cui un nutrito gruppo proveniente da Bergamo in occasione del gemellaggio della nostra Arcidiocesi con l’Ufficio Migrantes di quella Diocesi, presente con un centinaio di persone accompagnate dal direttore don Sergio Gamberoni. Il gemellaggio è stato suggellato a fine Messa sul sagrato con il lancio di due palloncini.

VOLTI E COLORI DI UNA GRANDE FESTA GLOBALE

È stato srotolato da alcuni giovani di Bergamo lo striscione “Io+tu+noi+loro…Il mondo migliora”. Un semplice ed efficace slogan per un evento di questo tipo. Altri, invece, hanno esposto l’insegna del Sermig con la scritta “Pace”. Fra i fedeli, poi, spiccavano gli scout del Doro, anche loro con l’immancabile divisa a contraddistinguerli.

A un certo punto, si è visto avanzare lungo la navata centrale un uomo con la bandiera ucraina alta sopra le teste, per raggiungere alcuni suoi connazionali nelle prime file. Quella romena, poggiava invece tranquilla su uno dei banchi a ridosso dell’altare maggiore. E a proposito dell’Ucraina, i segni della sofferenza e dell’orgoglio sono vivi sui volti pur festosi dei presenti, oltre che in alcune immagini che cogliamo casualmente, come quella di un giovane militare che una donna, forse la madre, conserva sullo sfondo del proprio smartphone.

Nella nostra liturgia c’è spazio per l’invocazione a Dio perché difenda il «debole» e il «misero» come per il giubilo più incontenibile: dai canti africani più movimentati a quelli ucraini o a quelli più solenni in latino (antico), la liturgia è dunque stata fortemente segnata da melodie diverse, provenienti da regioni del globo a noi più o meno lontane, tanto quanto le epoche nelle quali han preso vita.

Un viaggio fra i vari continenti grazie al coro multietnico che ha cantato in italiano, spagnolo, francese, inglese, tagalog (lingua filippina), rumeno e ucraino, così come nelle diverse lingue sono state pronunciate le preghiere dei fedeli e alcune letture. Fra queste, la lingala, lingua bantu tipica del Congo, protagonista dell’offertorio nel quale alcune donne e uomini della comunità francofona africana di Ferrara hanno attraversato in tutta la sua lunghezza la navata centrale portando, nei loro abiti tipici, i doni all’altare attraverso una danza trascinante. Un originale e variopinto viaggio verso il Signore, come allora fu quello dei Magi d’Oriente.

Originali anche alcuni degli strumenti musicali utilizzati: oltre a quelli più classici – batteria, basso e pianole -, hanno animato la liturgia anche tre strumenti a percussione di origine nigeriana, l’oromi, l’udu e l’igba.

A fine Messa, un altro momento speciale con un gruppo di ragazze e ragazzi ucraini, in abiti tipici, ai piedi dell’altare a intonare un commovente canto natalizio, “Dobryi vechir tobi pane gospodarou” (“Buonasera a te,Signore”).

Dopo la Santa Messa, i partecipanti hanno condiviso in sagrestia i cibi tipici offerti dalle varie comunità. Ma prima, il tripudio finale: il “Gloria” finale si è dilatato per una ventina di minuti con voci e danze a trascinare, come in un torrente inarrestabile, i tanti presenti ai piedi dell’altare. Un crescendo nella gioia, nella comunione, uniti e animati dalla forza viva dello Spirito. Un grande abbraccio finale a sigillare una grande festa della fede universale.

«NEI MAGI C’È IL DESIDERIO DI USCIRE E INCONTRARE IL SIGNORE»

«La luce di Cristo ci permette di alzare lo sguardo – afferma il profeta Isaia – e guardarci attorno, guardare il mondo e accorgerci che la luce di Cristo illumina tutti, accompagna tutti a quella grotta». Così il nostro Arcivescovo in un passaggio dell’omelia a SanFrancesco. «Questa “ricchezza delle genti” è la destinataria della salvezza che il Dio con noi porta. Tutti proclamano il “Gloria a Dio”. Il cammino sinodale di quest’anno ci deve non far dimenticare questo “tutti” a cui è destinata la salvezza, perché il nostro cammino non si fermi nei recinti ecclesiali, ma raggiunga la città, il mondo, con un grande spirito missionario». Il Natale è «una festa di popoli», ha detto poi mons.Perego. «Nei Magi riconosciamo il desiderio di Dio, di uscire e incontrare il Signore.  Il loro cammino non fa perdere la fede, la loro libertà, ma le arricchisce. Il loro cammino indica il cammino di una “Chiesa in uscita”, aperta alle sfide del mondo, certa di portare un valore aggiunto, i doni di Dio».

(Foto di Alessandro Berselli)

Pubblicato sulla “Voce” del 12 gennaio 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio

In cammino verso il Suo volto: il Presepe Vivente a Ferrara

19 Dic
Foto Alessandro Berselli

300 presenti e una sorpresa

Di per sé momento vivo dove meditare e gioire della nascita di Nostro Signore, quest’anno il Presepe Vivente ha riservato ulteriori sorprese.

Innanzitutto, il luogo scelto, la Basilica di San Francesco a Ferrara in occasione degli 800 anni dalla nascita del presepe grazie al Santo di Assisi (v. articolo sotto). Circa 300 i presenti sul sagrato, tante le famiglie con bambini, in prima fila il nostro Arcivescovo. «Vivere il Natale significa stare davanti a questa Presenza eccezionale», ha detto Marco Romeo, uno degli organizzatori. «L’Eterno ci diventa familiare». «Il Presepe – concluderà poi mons. Gian Carlo Perego – è luogo di semplicità, povertà e umiltà. Possiamo vivere il Natale da prepotenti oppure come storia vera, comprendendo come Gesù con la Sua vita rinnova ogni giorno la nostra vita». 

Un importante momento – questo, annunciato – è stata la proiezione del videosaluto da parte di mons. Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme: il Presepe Vivente «è importante per recuperare la tradizione:nel passato si trova la certezza per il presente e il futuro e ciò che può rendere festoso il tempo», ha detto. «Natale è tempo di speranza per un mondo moderno che non crede più in niente. Natale è il tempo di riscatto dalla menzogna, dall’odio, dal nulla». Quel nulla vinto dal “sì” di Maria, con l’Annunciazione svoltasi sul balcone a lato della Basilica, momento conclusosi con un imprevisto soffio di vento ad accompagnare le ultime deboli luci prima della sera, l’inizio di una storia nuova. Si fa buio sulla nostra terra, come fu per Maria e Giuseppe raminghi nel tentativo di trovare un giaciglio. Giaciglio che sarà lì, nella casa di tutti, proprio dentro la Basilica (il cui primo nucleo risale al XIII secolo), in un punto non casuale: nella terza cappella della navata di destra, dove campeggia la “Natività” di Olindo Martinelli (del 1865), fedele riproduzione dell’omonima opera di Benvenuto Tisi da Garofalo (1512 ca.) conservata nella Pinacoteca Nazionale di Ferrara.

Finale suggestivo e a sorpresa, quindi, con i presenti invitati all’ingresso della Basilica ad “armarsi” di lanterne, cesti con doni e bastoni, perché siamo tutti pellegrini in cammino, che seguiamo la luce alla ricerca del Suo volto.

Il piccolo Tommaso è stato l’inconsapevole interprete di Gesù Bambino, Giovanni Bugli  (ingegnere) e Marta Pini (studentessa universitaria e iscritta al CLU) hanno impersonato San Giuseppe e la Vergine Maria, mentre Gloria Soncini ha vestito i panni di Elisabetta, Andrea Fabrizi quelli dell’angelo e il coro di CL ha accompagnato con i canti, fra gli altri, di Adriana Mascagni. Grande la soddisfazione, quindi, tra gli organizzatori: Associazione Genitori “Luigi e Zelia Martin”,Fondazione Zanotti, Ferrara Eventi, L’Umana Avventura,Associazione Gaudì, in collaborazione coi Frati francescani. Grande sostegno anche per la solidale “Campagna Tende” della Fondazione AVSI. Un’altra luce nel buio del presente.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 22 dicembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

La Cattedrale di Ferrara e i legàmi invisibili in questa grande opera collettiva

16 Dic
Immagine tratta dal documentario “Tesori nella pietra”

Si avvicina la data di riapertura del Duomo di Ferrara: il 15 dicembre nel Cinema San Benedetto la presentazione dei lavori e la proiezione del nuovo documentario “Tesori nella pietra”

Ormai si avvicina l’atteso momento della riapertura della Cattedrale di Ferrara al culto. Nel frattempo, la nostra Arcidiocesi propone all’intera comunità una serata per illustrare nel dettaglio il lungo e complesso cantiere che ha interessato per cinque anni il cuore della città di Ferrara e della nostra Chiesa locale. L’appuntamento è per venerdì 15 dicembre quando alle ore 21, nell’ambito dei “Tè Letterari”, al Cinema San Benedetto di Ferrara saranno illustrati da don Stefano Zanella, Direttore dell’Ufficio Tecnico Amministrativo Diocesano, i lavori di ripristino dei pilastri interni della Cattedrale. Sarà l’occasione per conoscere le delicate fasi del rafforzamento di queste importanti strutture, ma anche di apprezzare il prezioso intervento di restauro dei dipinti e di recupero delle parti medioevali riscoperte.

In attesa di poter visitare la Cattedrale riaperta – sono ancora in corso le operazioni di pulizia e riallestimento -, sarà poi possibile assistere in anteprima alla proiezione del documentario “Tesori nella pietra”, con ideazione, regia e montaggio di mons. Massimo Manservigi e Barbara Giordano, e musiche di Giorgio Zappaterra. Un lavoro cinematografico durato quanto il cantiere – cinque anni, dal 2018 al 2023 – che illustra in 27 minuti, come in un diario, le varie fasi di recupero dei pilastri: dallo stacco dei dipinti ottocenteschi al rafforzamento antisismico, dalla ricostruzione delle parti usurate e mancanti delle decorazioni pittoriche e scultoree fino alla narrazione della più grande scoperta archeologica avvenuta in Cattedrale, cioè il ritrovamento dei capitelli medioevali pressoché integri.

UNA GRANDE OPERA COLLETTIVA 

Per sua natura, possiamo dire, una Cattedrale è il prodotto magnifico di un lavoro collettivo durato anni: non solo quelli dell’ideazione e fondazione, ma anche di tutti i successivi lavori di consolidamento e restauro che in molti casi hanno modificato, anche in maniera significativa, il volto e il corpo dell’edificio. E così è anche per il nostro Duomo cittadino.

Una catena complessa composta da tanti anelli, ancora del tutto da riscoprire e interpretare. Una rete invisibile di legàmi – sopra e sotto quelle reti poste in alto nelle navate dopo il terremoto: legami storici, fra epoche lontane, come detto; ma anche e soprattutto legami spirituali e connessioni sentimentali con il popolo di Dio, con l’intera città e col territorio diocesano; e legami più fitti e quotidiani tra le persone nel voler ridare stabilità a questo gigante che domina il cuore della città estense. 

Questo emerge dal documentario di mons. Manservigi e Giordano: dalle immagini delle macerie nelle chiese della nostra Diocesi in seguito al sisma del 2012 (che rievocano dolore e angoscia), a un presente fatto di volti attenti e di mani operose, di menti dedite all’unico fine di rendere ancor più splendente e sicuro il nostro Duomo.

Tocca, dunque, nel documentario a don Stefano Zanella e a Valeria Virgili (alla quale è stato affidato il progetto architettonico e la Direzione Lavori del Duomo) il racconto dei giorni del sisma 2012 e una breve storia dell’edificio. Nicola Gambetti del nostro Ufficio Tecnico diocesano spiega invece la genesi dei lavori – con la scelta di chiudere l’edificio anche in seguito al crollo del Ponte Morandi dell’agosto del ’18 -, mentre Michela Boni (Leonardo srl) illustra il progetto di mappatura delle decorazioni, della ricostruzione degli intonaci originali e delle altre fasi più recenti di manutenzione, per poi iniziare il distacco degli affreschi, il loro restauro e successivo ricollocamento.

Infine, Gianluca Muratore (Leonardo srl) spiega la ricostruzione di parti mancanti o logorate di alcuni capitelli medievali e di statue sulle colonne settecentesche: riuscendo nell’intento di  recuperarne dei pezzetti, questi sono stati riassembrati e, tramite calco, è stata ricostruita la struttura. In questo modo, si sono anche potute ricostruire integralmente alcune parti simili di altri capitelli.

I legami tornano anche nelle molto concrete operazioni tecniche per rinforzare i pilastri dell’edificio: si è, infatti, legato i pilastri medievali con quelli settecenteschi: una cucitura attuata attraverso barre metalliche, per dare una maggiore stabilità. I pilastri sono stati poi avvolti da intonaco armato per creare una cerchiatura di rinforzo.

Ricordiamo come a stupire tecnici e restauratori non fu tanto il ritrovamento delle colonne medievali ma, per mancanza di documentazione, quello dei capitelli e degli affreschi che le abbelliscono. I capitelli che non rimarranno visibili (6 su 10) sono stati coperti con pannelli removibili per facilitarne le eventuali future individuazioni e analisi da parte di esperti, studiosi e tecnici.

ECCO QUALI OPERE MEDIEVALI RIMARRANNO VISIBILI

All’interno della Cattedrale rimarrà – anche dopo la riapertura al culto – una piccola area di cantiere: si tratta di una “fabbriceria” utile a indagare e ad attendere le autorizzazioni per proseguire i lavori necessari a rafforzare i due pilastri secondari nella navata sinistra dell’edificio, entrando dall’ingresso principale. 

Finora, infatti, sono stati indagati tutti i pilastri principali ma solo uno di quelli più piccoli. La nostra Cattedrale sta quindi “scoprendo” di aver bisogno di una “Fabbrica” o “fabbriceria” – com’è tradizione nella storia delle Cattedrali -, un luogo, cioè, dove poter studiare e approntare quei piccoli o grandi interventi necessari per la conservazione e tutela dell’edificio che si susseguiranno nel tempo, gestito da un ente pensato ad hoc per la manutenzione e la conservazione dell’edificio. Uno strumento che potrà essere utile anche per gli studiosi e per chi si occupa di promuovere a livello turistico la storia e la bellezza di una Cattedrale riscoperta dopo gli ultimi lavori di restauro e consolidamento.

Ricordiamo come nel dicembre 2020 vennero alla luce frammenti di alcune delle colonne medievali – con capitelli e fregi -, che sostenevano l’antico matroneo prima della ristrutturazione settecentesca (1712-1728) guidata da Francesco Mazzarelli. Opere più o meno conservate (alcune sono state rovinate dai lavori svolti nel XVIII secolo), raffiguranti leoni, grifoni e figure antropomorfe, che verranno analizzate, e di cui non si conserva alcuna documentazione storica.

Alcuni mesi fa è riemerso un ulteriore capitello medievale, inglobato nel pilastro secondario più vicino al presbiterio, sul lato destro (guardando dall’ingresso principale): si tratta di un telamone, una cariatide maschile con funzione di sostegno. Altre tre figure simili sono riemerse dai capitelli medievali negli anni scorsi, altre due del XII secolo si trovano nel protiro, e altrettante nell’atrio.

In tutto, saranno quattro (su undici scoperte) le opere medievali riemerse dai pilastri settecenteschi centrali che rimarranno visibili al pubblico (gli altri capitelli verranno coperti con pannelli rimovibili): nel terzo e nel quarto pilastro sulla destra, entrando dall’ingresso principale, verranno lasciati in vista gli archi gotici e le porzioni dei capitelli bassi (testa di leone e giovane che porta un peso) visibili dal lato meridionale (p.zza Trento e Trieste). In questo modo si ripropone, pur parzialmente, la visuale che poteva avere un fedele che entrava dalla Porta dei Mesi. Nel terzo pilastro a sinistra entrando dall’ingresso principale, verrà lasciato in vista un capitello policromo; infine, rimarrà visibile anche la porzione di capitello sulla destra rivolta verso il presbiterio e raffigurante un uomo adulto che regge un peso.

Alcuni di essi sono colorati, e anche questo ha fatto dire con certezza ai tecnici che il Duomo originariamente era policromo; altri invece sono monocromi, al massimo hanno qualche ombreggiatura.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 15 dicembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

«Negli anziani incontro sempre il Signore»

24 Nov

Don Andrea Zerbini da una vita punto di riferimento per gli anziani e i malati

Era ancora bambino, don Andrea Zerbini, quando prese la buona abitudine di andare regolarmente a far visita agli anziani ospiti del “Betlem”. E questa «pastorale del quotidiano» la vive ancora oggi.

Don Zerbini quest’anno ha compiuto 70 anni e proprio 40 anni fa è diventato parroco di Santa Francesca Romana, da 5 anni parte dell’Unità Pastorale Borgovado da lui stesso guidata e che comprende anche Santa Maria in Vado, Madonnina e San Gregorio. Ordinato sacerdote nel 1977, don Andrea è stato prima cappellano a Santa Maria Nuova-San Biagio (per 1 anno), poi tre anni a Roma per concludere la Licenza e il Dottorato, quindi docente in Seminario fino a ottobre 1983. In passato è stato, fra l’altro, Direttore dell’Istituto di Scienze Religiose e dell’Ufficio Missionario e oggi è responsabile del Centro di Documentazione–CEDOC DI Santa Francesca Romana, di cui cura anche i Quaderni consultabili online.

VOCAZIONE DI UNA VITA

«Da bambino abitavo di fianco al Santuario del SS. Crocifisso di San Luca, quindi di fronte al Betlem, e andavo spesso a trovare gli anziani lì ospitati», ci racconta. A S. Francesca Romana, grazie allo storico parroco don Carlo Borgatti (1945-1989) i giovani, negli anni Settanta, iniziarono a interessarsi dei problemi degli anziani non solo in parrocchia ma nell’intera città. Questa loro ricerca confluì in un Bollettino, “L’anziano protagonista”, oggetto di attenzione da parte dell’Amministrazione comunale e di studio per il Consiglio pastorale diocesano. «Quando nel 1983 fui mandato a Santa Francesca come amministratore parrocchiale – prosegue don Andrea -, in aiuto a don Carlo, Giordano Banzi, un parrocchiano, mi portò subito a conoscere tutti i malati della parrocchia e, successivamente, mi accompagnò all’Ospedale Sant’Anna, dove andammo spesso insieme. Al sabato invece andavamo a celebrare la Messa nella cappella del Nosocomio di via Ghiara. Fu per me quell’inizio – sono ancora sue parole -, una benedizione e il dono di una bussola, per inserirmi in un cammino di pastorale e di evangelizzazione già tracciato da don Carlo».

Tracciato dall’ex parroco don Carlo e che ha due testimoni importanti fra i santi: la prima è proprio Santa Francesca Romana (1384-1440) – fondatrice della comunità delle Oblate di Tor de’ Specchi -, che i malati andava a cercare nei tuguri, negli ospedali, ovunque si trovassero, non solo per far loro visita, ma per fasciare le loro ferite, lavare, cucire e profumare i loro panni sudici. L’altro è San Camillo de Lellis (1550-1614), che due secoli dopo, sempre a Roma, replicò questo servizio integrale ai malati. Con la devoluzione di Ferrara al papato (1598-1796), la chiesa della Madonnina passò proprio ai religiosi dell’Ordine di San Camillo de Lellis, i Camilliani, detti Ministri degli Infermi, che da sempre si occupano dell’assistenza ai malati negli ospedali.

PROSSIMITÀ FISICA E SPIRITUALE

Oggi più che mai quella di S. Francesca Romana, e l’intera UP Borgovado, è come tante una parrocchia con sempre più anziani, per cui il bisogno di una presenza è sempre fondamentale. «Spesso – ci racconta ancora don Andrea – sono i famigliari a contattarmi se un anziano è ricoverato in ospedale o infermo in casa. Con il covid si erano dovute interrompere le mie visite a domicilio e nelle case di riposo: in quel periodo rimanevo in contatto con loro tramite telefonate e messaggi WhatsApp: ogni giorno inviavo loro il saluto mattutino, un saluto semplice accompagnato da un incoraggiamento, una foto e il commento al Vangelo del giorno. Poi le mie visite sono riprese, anche se più lentamente. Quando vado a trovarli, li ascolto, sto un po’ lì con loro, è importante anche solo che sentano la presenza di qualcuno. Dopo 40 anni che sono parroco di Santa Francesca Romana, li conosco tutti o quasi, a volte li visito anche solo per sapere come stanno».

La prossimità spirituale di don Andrea agli anziani e ai malati non si interrompe mai: «Nelle mie preghiere quotidiane prego sempre per coloro che sono ricoverati in ospedale, nelle case di riposo e nei centri ADO della città e della provincia. E ogni giovedì celebriamo la S. Messa per i malati. Per me andare a trovarli è come incontrare il Signore», scandisce don Andrea. «Loro, senza dirlo, ti comunicano il senso del vivere, del vivere la malattia, la sofferenza e la loro fede. Non incontro, quindi, solo la persona anziana ma in quella persona incontro anche il Signore».

ANZIANI IN PRIMA LINEA

Nella parrocchia di Santa Francesca Romana, però, alcuni anziani sono ancora fondamentali per la vita della comunità: alcuni di loro sono attivi nel Centro di Ascolto dell’Unità Pastorale, altri nel doposcuola, nella scuola di taglio e cucito, altri sono Ministri Straordinari dell’Eucarestia. E assieme ad altri parrocchiani organizzano varie iniziative, fra cui il pranzo comunitario dell’UP una domenica al mese, partecipano ai concerti di musica sacra, spendendosi anche nell’organizzazione di incontri. Un esempio, unico ma emblematico, è quello di Raffaele Lucci, 101 anni, che regolarmente tiene incontri di storia dell’arte.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 24 novembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Santo Spirito, da 75 anni al servizio della città 

11 Nov
Enrichetta Maregatti, Giorgio Mazzoni ed Elvio Bonifazi

Nel novembre del 1948 l’allora parroco padre Francesco Righetti aprì la sala cinematografica in via Resistenza. Un pezzo di storia di Ferrara che ancora guarda al futuro (di tutti)

di Andrea Musacci

Nell’atrio il primo proiettore a carbone – un Victoria 4r del 1934 – accoglie giovani, famiglie, coppie, anziani e bambini che per gioco vorrebbero tirarne ogni parte sporgente…Utilizzata fino agli anni ’80 (a parte un’eccezione nel ’98 per “Gatto nero, gatto bianco” di Emil Kusturica), è l’immagine plastica di un piccolo ma storico luogo che definire cinema è riduttivo. Non è fra i più “antichi” (ad esempio l’Apollo è del ‘21), ma fu, ad esempio, il primo a proiettare capolavori del neorealismo e a organizzare Cineforum. Siamo in via della Resistenza a Ferrara, nel complesso parrocchiale di Santo Spirito, dove l’omonimo cinema da 75 anni è il punto di riferimento per cinefili e amanti della cultura in senso largo.

Nel ’48 fu l’allora parroco, il francescano padre Francesco Righetti, a dar vita al “Piccolo Cinema”, inaugurato a fine novembre dello stesso anno e con la prima proiezione organizzata a inizio dicembre. Fra i primi “padroni” della cabina di proiezione ci furono i proiezionisti Mario Stabellini, morto nel 2020, e Giordano Galesini, padre di frate Mauro, francescano del Santuario di Chiampo (VI). Ai tempi, per motivi di sicurezza e di gestione meccanica dei proiettori, era infatti normale la presenza contemporanea di due operatori. 

Nel libretto parrocchiale “S. Spirito…e le sue opere” del 1958 Antonio Cavalieri scrive: «Tutti sanno o almeno ammettono che l’essere umano ha necessità di ricreazione (…). Ricreazione è distensione, è rinnovamento di energie intellettuali, spirituali, fisiche (…), sollievo dal normale lavoro manuale o intellettuale (…). Ma perché questo si avveri (…) si rende indispensabile creare l’ambiente, dare i mezzi affinché ciascuno possa veramente “ricrearsi” nel vero senso, santo della parola (…). Tutto questo l’ha ben capito il nostro amatissimo Parroco, Padre Francesco, fin dai tempi dei tempi. Era un pallino che aveva nella Sua mente, un assillo che gli tormentava l’anima e il cuore (…). Ungiorno non ne poteva più; sentì il cuore gonfio, e nel cuore una Voce di sicura speranza, di fiduciosa sicurezza…e si mosse! Ed ecco la sala del cinema (eh già, come si fa oggi giorno a pensare ad opere ricreative senza cinema!…), la più bella fra le sale parrocchiali ferraresi; poi vennero i locali nuovi: le sale dei giochi per tutti – grandi e piccoli – le sale di lettura, la sala (magnifica) della televisione, delle adunanze (…)».

La Chiesa, anche a Ferrara, capì dunque che l’educazione e lo sviluppo della cultura, necessitava di luoghi moderni. Il proiezionista Galesini venne poi affiancato da Giorgio Mazzoni, che inizia a lavorare come operatore a S. Spirito 50 anni fa, nel 1973, proseguendo fino al 1984 e poi riprendendo da metà anni ’90 fino al 1998. Per un periodo, Mazzoni si alternava assieme ad Armando Maregatti tra qui e il Cinema Boldini. Armando, morto nel 2010, è il papà di Enrichetta Maregatti, che da lui ha ereditato la gestione della sala dopo l’esordio, assieme al marito Elvio Bonifazi, a fine anni ‘80. Enrichetta ed Elvio ancora oggi gestiscono con grande passione il loro amato cinema.

DAI BIGLIETTI A 40 LIRE ALL’AVVENTO DEL DIGITALE

I primi tempi le proiezioni erano quasi giornaliere, e i biglietti costavano tra le 40-60 lire nei giorni feriali (ridotti e interi) alle 50-70 per i festivi. Da inizio anni ’80, per un periodo, le proiezioni furono solo la domenica, dalle 14.30 fino a tarda serata, mentre con l’austerity (tra il ’73 e il ’74) la chiusura venne imposta alle 23. Ma con la gestione Maregatti ripresero anche nelle serate di venerdì e sabato, fino ad arrivare nel 2007 all’inizio delle rassegne (la prossima è prevista per gennaio 2024) e degli eventi speciali e, ora, a quattro serate di proiezioni, da venerdì a lunedì (oltre ai festivi e prefestivi). Un’altra svolta S. Spirito l’ha vissuta nell’estate 2013 con l’avvento del proiettore digitale (il canadese Christie Solaria One) che ha mandato in pensione i vecchi proiettori (l’ultimo fu un Victoria 8r, ai tempi considerato “la Rolls Royce” dei proiettori), grazie al contributo della Regione per la digitalizzazione dei cinema locali. S. Spirito fu il primo cinema non multisala a Ferrara ad adottare il digitale. Il Boldini ci arrivò per secondo solo il febbraio successivo. In pensione il digitale mandò anche la macchina “girafilm”, per riavvolgere la piccola o per fare montaggio, che Enrichetta conserva ancora gelosamente nella stanzetta attigua alla cabina di proiezione.

Ma torniamo agli albori: padre Francesco – che guidò S. Spirito fino al 1967 – come detto, non immaginò la sala cinematografica come luogo alieno dalla parrocchia e dal quartiere, ma una sala della comunità nella quale poter unire svago, educazione e condivisione. Un posto pensato soprattutto per famiglie, con proiezioni pomeridiane domenicali per i bambini e la sera il “filmone”. Sempre nel ’48 fu allestito anche un bar, col bancone a sinistra dell’ingresso principale e dietro la sala con i tavolini. Tra il 1982 e l’83 fu buttata giù la parete in modo da accedere direttamente alla sala. Di fronte all’ingresso, l’immancabile “stracciabiglietti”/maschera, ruolo ricoperto da metà degli anni ’50 fino al 2008 da Leonello Lugli, e il “segnatempi” sulla parete ai piedi della scala che porta alla galleria e alla cabina di proiezione. “Segnatempi” con i numeri romani I, II, III e con la A a indicare “Attualità”, vale a dire la pubblicità o i cinegiornali. «Ma non si fanno più intervalli – ci spiega Enrichetta – perché i film vanno visti senza pause».

Santo Spirito, quindi, come cinema della città ma senza dimenticare il suo legame con la Chiesa: come ci ricorda Giorgio Mazzoni, se richiesto, prestava le “pizze” con le pellicole, come ad esempio a metà degli anni ’70 quando don Sergio Vincenzi (ai tempi giovane seminarista e dallo scorso maggio in servizio proprio a S. Spirito) veniva a ritirarle per le proiezioni – sempre con una cinemeccanica Victoria 4r – nel Seminario di via G. Fabbri.

A fine anni ‘50 fu uno dei francescani di S. Spirito, padre Geminiano Venturelli, a far costruire la galleria al primo piano del cinema di via Resistenza, assieme alla cabina di proiezione (che prima era al piano terra), in questi ambienti direttamente collegati a quelli parrocchiali dove ancora oggi i bambini fanno catechismo e dove una volta erano adibiti ad aule per la Scuola elementare. E nella saletta di “passaggio” tra il cinema e le sale per i bambini, viene conservata un’altra macchina, una Victoria 5r, la stessa che nel film di Tornatore “Nuovo Cinema Paradiso” sostituisce il vecchio proiettore dopo l’incendio che rende cieco il proiezionista Alfredo.

Luoghi magici, più o meno nascosti, che dopo tanti anni trasmettono ancora quel calore antico di spazi vissuti e fatti crescere con invincibile passione.

Proseguendo nel nostro giro negli ambienti, scopriamo come per diversi anni in sala il palcoscenico – di legno – fosse davanti lo schermo, mentre quello nuovo, dietro lo stesso, venne fatto costruire a metà degli anni ’80 da padre Flavio Medaglia. Una volta, lo schermo quando non serviva veniva alzato e posto orizzontalmente a sfiorare, parallelo, il soffitto. Diverse foto che possiamo ammirare grazie a Enrichetta Maregatti e al parroco don Francesco Viali, testimoniano dell’iniziativa “Microfono d’oro” che si teneva proprio su questo palco negli anni ’70-’80, ispirata allo Zecchino d’oro del Coro Antoniano di Bologna. E un capitolo a parte meriterebbero le poltroncine blu della sala, fatte installare (assieme al pavimento) un quarto di secolo fa da padre Antonio Atanasio Drudi, in sostituzione di quelle di legno che a loro volta presero il posto di quelle in ferro. Prima delle poltroncine blu, i posti erano di più – oltre 200, rispetto alle 173 attuali – e in passato la sala era riscaldata con stufe di carbone. Un altro aneddoto riguarda le poltroncine in legno, che nei periodi estivi venivano trasferite nel campetto dell’oratorio per il “cinema all’aperto”.

I PRIMI CINEFORUM CITTADINI E “LASCIA O RADDOPPIA?”

Come accennato all’inizio, proprio nel Cinema Santo Spirito nacque, grazie a don Franco Patruno e Luciano Chiappini, il primo Cineforum ferrarese: la terza serie – a cura del “Club Ferrarese Cineforum” – ci risulta essere della stagione 1952-1953, col titolo “Panorama della cinematografia mondiale del dopoguerra. Charlie Chaplin – Il cinema francese”, con film anche di Renè Clair (“Il silenzio è d’oro”, 1947) e Henri Georges Clouzot, mentre di Chaplin venne proiettato “Monsieur Verdoux” (1946). Nella quinta serie, invece, anni ’53-54, protagonisti furono Jean Renoir (“La grande illusione”), Frank Capra (“L’eterna illusione”), G. W. Pabst (“La voce del silenzio”) e Billy Wilder (“Viale del tramonto” e “L’asso nella manica”). 

Don Patruno e Chiappini li ritroviamo quasi mezzo secolo dopo, il 4 dicembre 1998, per un incontro pubblico organizzato in occasione del 50° anniversario, con gli interventi, oltre che dei due, di Enrichetta Maregatti, del parroco padre Giovanni Di Maria (a S.Spirito dal ’97 al 2009) e di Antonio Azzalli. Proprio in occasione dei primi 50 anni del cinema, sull’edizione ferrarese del “Resto del Carlino” Gianfranco Rossi ricordava quando nel 1957 Michelangelo Antonioni con la sua troupe de “Il grido” (tra cui Alida Valli e Dorian Gray), si fermò al Cinema S. Spirito per annunciare la prossima uscita del film. 

Cinema d’autore, dunque, ma anche la neonata televisione fece capolino dal grande schermo di via della Resistenza con, dal ‘56, la proiezione di “Lascia o raddoppia?” e di altre trasmissioni televisive che raccoglievano una volta alla settimana tante famiglie della parrocchia ancora sprovviste in casa del televisore.

LE CRISI, IL PRESENTE E IL FUTURO DI UNA COMUNITÀ

Il Cinema S. Spirito è iscritto all’ACEC-SdC (Associazione Cattolica Esercenti Cinema – Sale della Comunità) e oggi ospita 173 posti, di cui 153 in platea e 20 in galleria.

Come ci spiega Enrichetta Maregatti, «cerchiamo di proiettare film d’essai o comunque di qualità. Facciamo anche proiezioni per le scuole, per l’Università degli Studi di Ferrara, oltre a conferenze e spettacoli teatrali benefici di compagnie amatoriali locali».

Negli anni, prosegue, «abbiamo vissuto momenti di crisi, ad esempio dopo l’apertura del Multisala in Darsena e con le chiusure causa Covid. Ma dallo scorso gennaio è ripreso il regolare flusso di spettatori, che anzi è aumentato rispetto al periodo pre-Covid. Da noi vengono persone non solo dalla città ma anche dalla provincia (Ostellato, Massa Fiscaglia, Poggio Renatico ad esempio) o dal rodigino, e ci sono tanti affezionati, un vero e proprio “zoccolo duro”».

La missione per il futuro è sempre chiara: «siamo una sala polivalente che cerca innanzitutto di aggregare le persone, di farle ritrovare, incontrare, socializzare. Il nostro è un servizio alla comunità, e anche per questo cerchiamo di mantenere prezzi bassi. I film vanno visti in sala, sul grande schermo e soprattutto assieme agli altri». 

Per questi motivi, i cinema come S.Spirito vanno tutelati e sostenuti come patrimonio dell’intera comunità.

***

SERATA SPECIALE IL 18 NOVEMBRE

“Cinema Santo Spirito. 75 anni di film che parlano al cuore” è il nome dell’incontro in programma sabato 18 novembre al Cinema Santo Spirito di via Resistenza, 7 a Ferrara.

Questo il programma della serata:

* ore 18:45 – 20:45, atrio del cinema:Annullo filatelico di Poste Italiane per la ricorrenza.

* 19:00, Sala del cinema:Tavola rotonda “Cinema Santo Spirito tra ricordi e prospettive”. Modera mons. Massimo Manservigi, Direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio.

*20:00, cortile dell’oratorio:aperitivo con buffet.

* 21:00, Sala del cinema:speciale proiezione a sorpresa  di un film restaurato.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 10 novembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Relazione, trascendenza, generatività: i volti della vocazione

6 Nov

Don Grossi e Bruzzone i relatori della seconda lezione della Scuola diocesana di teologia per laici

Sulla natura della vocazione e l’essenza relazionale della persona hanno riflettuto lo scorso 26 ottobre a Casa Cini, Ferrara, don Alessio Grossi (Referente del Servizio Diocesano Tutela Minori e persone vulnerabili della diocesi di Ferrara-Comacchio, nonché sacerdote dell’UP Arginone-Mizzana-Cassana) e Daniele Bruzzone Ordinario di Pedagogia generale e sociale presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Presidente di Alæf (Associazione di Logoterapia e Analisi Esistenziale Frankliana) (foto in basso). L’occasione è stato il secondo incontro dell’anno in corso della Scuola di teologia per laici “Laura Vincenzi”, avviata lo scorso 5 ottobre con la lezione introduttiva del nostro Arcivescovo.

“Parliamo di vocazione: Una via per ciascuno?” il titolo, invece, della lezione del 26 ottobre che ha visto la partecipazione (in presenza o on-line) di oltre 120 persone.

«La vocazione – ha esordito don Grossi – è chiamata, appello, è qualcosa che parte da Dio ma che non mi arriva dall’esterno, come qualcosa che possa non andare d’accordo col mio cuore, come qualcosa che io non conosco di me». Da una concezione errata di vocazione (intesa anche come «privilegio» e come qualcosa di esclusivo), si arriva a «forme negative di rinuncia e mortificazione» e si può arrivare anche «all’abuso spirituale e di coscienza». Nessuno può dire che cosa un altro deve fare, «può accompagnarlo nella sua scelta ma alla fine è quest’ultimo che deve decidere».

Nella “Gaudium et spes” – ha proseguito il sacerdote – è scritto che la dignità deriva dalla «vocazione alla comunione con Dio», dal dialogo tra uomo e Dio. Il Catechismo, poi, a proposito di vocazione parla di «vita nello Spirito», quindi di «un’espressione creativa, una dinamica e una concretezza». Qui, secondo don Grossi, risulta fondamentale il testo di Wojtyla “Persona e atto” (1969): secondo il futuro pontefice, «l’atto, il manifestarsi costituisce il particolare momento in cui la persona si rivela». Per l’uomo, infatti, «a differenza degli animali non è indifferente come vive la propria chiamata all’esistenza». «Partecipazione» (l’esplicarsi nella relazione) e «trascendenza» (apertura, eccedenza) sono i due concetti cardine che definiscono la persona umana. Ma questo oltrepassamento avviene anche al proprio interno, in quanto «il nucleo della persona risiede dentro di sé, è quella parte aperta al mondo ma che, ascoltandosi e decidendosi, vive la dimensione trascendentale partendo dal cuore». E – si badi bene – «l’interiorità non è riducibile allo psicologico, ma è molto di più, è lo spirituale, la fonte dell’uomo che può sempre decidere come orientarsi nella vita».

Ma se l’uomo è apertura, partecipazione e trascendenza, per un cristiano ciò che lo distingue è l’amore (si veda ad esempio Gv 13, 34), «il dare la vita, il generare: la stessa morte di Cristo e quella del nostro ego non significano mortificazione ma qualcosa di generativo, quindi la vocazione, ogni vocazione non può non essere qualcosa di generativo, che genera vita per me e per gli altri. La vocazione è tale se è generativa, se è una vivificazione reciproca», ha spiegato il sacerdote.

Alla base della sopracitata “teologia della persona” di Wojtyla e non solo, ha invece riflettuto Bruzzone, troviamo la filosofia del tedesco Max Scheler (1874-1928), che ha influenzato anche il pensiero di Viktor Frankl (1905-1997), neurologo, psichiatra e filosofo austriaco, tra i fondatori dell’analisi esistenziale e della logoterapia a cui si ispira l’Alæf presieduta da Bruzzone.

«Per Frankl – ha spiegato quest’ultimo – l’uomo è sempre orientato alla ricerca dell’altro e dell’Altro – che per chi crede è Dio -, quindi vi è sempre una tensione a un’alterità, un’apertura, un’eccentricità: per realizzarci abbiamo bisogno di dedicarci ad altro e ad altri. Il cuore dell’uomo ha una struttura dialogica – ha proseguito – la nostra coscienza è sempre interpellata e sempre risponde». Riguardo alla vocazione, dunque, vediamo come la vita sia «qualcosa che ci interroga, e dalle nostre risposte dipende la direzione della nostra esistenza». Senza dimenticarci, appunto, che «il concentrarci troppo su noi stessi ci fa ammalare: senza scopo, senza altro e senza altri, l’uomo inizia a preoccuparsi, a star male». Se rinnega la propria essenziale apertura, muore.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 3 novembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

C.A.S.A. Mesola, 60 anni per la comunità

6 Nov

Intervista al Presidente Michele Mangolini: «dobbiamo anticipare le trasformazioni»

Un esempio virtuoso di cooperazione e un valore aggiunto per il territorio: questo rappresenta C.A.S.A. Mesola (Cooperativa Assistenza Servizi Agricoli), realtà in via Bassalunga nel mesolano, nata nel 1964, in esecuzione della delibera n. 53/063 dell’Ente per la Colonizzazione del Delta Padano che favoriva la fusione di cooperative con finalità comuni, ma operanti in ambiti territoriali troppo ristretti per conseguire un’efficace azione di programmazione.

Una realtà che affonda le proprie radici nelle grandi trasformazioni conseguenti alla Riforma agraria degli anni ’50 del secolo scorso. Anche nel Basso Ferrarese, infatti, i primi cooperatori si trovarono a lavorare in condizioni difficili – bassa scolarità, condizioni igienico sanitarie insufficienti e precarietà economico-sociale – a cui la Riforma Agraria, con assegnazioni medie di 7 ettari di terreno, aveva dato risposte parziali.

Il processo migratorio della fine degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta in direzione dei centri industriali del Nord, che portò all’abbandono di molti terreni, e le integrazioni aziendali avvenute con la bonifica di Valle Giralda, consentirono un allargamento della maglia poderale favorevole a quanti erano rimasti sui terreni. L’obbligo per gli assegnatari, pena l’estromissione dal fondo, era di far parte di una cooperativa di assistenza e servizi agricoli. Questo favorì la nascita di cooperative su tutto il territorio interessato dalla Riforma Agraria, ma finì, però, col rendere la cooperativa uno strumento poco efficace. Qui si inserisce C.A.S.A. Mesola, strumento innovativo nella conduzione delle aziende dei soci quando, a partire dai primi anni Settanta, il gruppo dirigente si pose l’obiettivo di passare dalla cooperazione coatta alla cooperazione volontaria, di vincolare l’attività produttiva dei soci a precisi piani colturali, di regolare la contrattazione e la vendita collettiva dei prodotti, di rendere la cooperativa autonoma da tutele che non avevano più ragione d’essere.

C.A.S.A. Mesola oggi offre numerosi servizi come ad esempio il confezionamento, la lavorazione e la vendita di prodotti agricoli dei soci; l’assistenza tecnica specializzata per la difesa e la fertilizzazione delle colture; la vendita di prodotti fitosanitari, fertilizzanti e di tutti i prodotti necessari all’impresa agricola; la consulenza per la certificazione di prodotto e la contabilità ed amministrazione aziendale. Fra le produzioni, carote, asparagi, radicchio, porro, zucca, anguria, pomodoro per l’industria, zucchino e patate.

Abbiamo rivolto alcune domande a Michele Mangolini (foto), Presidente di C.A.S.A. Mesola e da quasi 4 anni Presidente di ConfCooperative Ferrara.

Mangolini, qual è la specificità, il valore aggiunto di C.A.S.A. Mesola nel nostro territorio? 

«C.A.S.A. Mesola nasce quasi 60 anni fa ma ha origini più antiche, con le prime bonifiche nel Delta, che per le assegnazioni dei terreni davano la precedenza a chi sia associava a una cooperativa.  Qualche ex dipendente della bonifica era poi rimasto come dirigente, e questo fu un fattore molto importante anche per il successivo sviluppo delle stesse cooperative e del territorio. Poi ci fu un abbandono delle campagne anche a causa della scarsità di terreni disponibili. Un altro dato è importante: negli anni ’70 C.A.S.A. Mesola aveva 430 soci, oggi ne conta 160, ma questi hanno a disposizione terreni molto più grandi rispetto a 50 anni fa». 

Qual è la situazione nell’ambito agricolo e quali le prospettive?

«La situazione è in evoluzione, la crisi riguarda maggiormente l’ambito della frutticoltura, pensiamo ad esempio alla pera, simbolo del nostro territorio. La causa, naturalmente, è della crisi climatica, basti pensare al maltempo e alle alluvioni che hanno interessato anche il Ferrarese. Per quanto riguarda l’orticoltura, invece, registriamo uno sviluppo nel nostro territorio. Spesso estensioni di orticole hanno sostituito gli alberi da frutto. Dobbiamo essere attenti, cercare di anticipare i cambiamenti, anche se non è facile. È necessario quindi non adeguarsi alle trasformazioni ma investire per anticiparle».

Nello specifico, C.A.S.A. Mesola che periodo sta vivendo?

«Abbiamo fatto moltissimi investimenti per le orticole, come ad esempio per un impianto per le carote all’avanguardia in Italia, oltre a investimenti per le imprese agricole e a un ampliamento del fotovoltaico per un minor impatto sull’ambiente. In generale, ci siamo allargati e aperti per dare maggiori risposte all’intera comunità del territorio. Rispetto al passato, quando la cooperativa era chiusa nel proprio perimetro, venendo concepita come utile solo per i propri soci, oggi è uscita, ponendosi interamente a disposizione delle comunità».

Ci può fare un esempio concreto di questa apertura? 

«Basti pensare alla collaborazione con diverse sagre del territorio, un’attività importante che va al di là della semplice sponsorizzazione. Inoltre, circa un anno fa come C.A.S.A. Mesola, assieme alla Fondazione “F.lli Navarra” di Malborghetto e all’Associazione “Aps Più Felici” abbiamo dato vita a “Casa Bosco”, una struttura di accoglienza per ragazzi diversamente abili, studenti e lavoratori del settore agricolo, all’insegna dell’innovazione agraria, della formazione e dell’inclusione sociale. La struttura, compresa nel complesso di C.A.S.A. Mesola, è un ex essicatoio del tabacco di inizio ‘900 completamente ristrutturato».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 3 novembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio