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L’altro oltre la soglia: covid e depressione nella Ferrara del 2020

20 Dic

“Ogni porta è sprangata” il titolo del romanzo d’esordio del giovane Antonio Susinna

di Andrea Musacci

Sta forse nella natura delle cose il fluire e inabissarsi all’orizzonte, lasciando al tempo l’incarico di sostituirle. Ma ogni flutto lascia un solco indelebile. Così è stato anche per la pandemia Covid scoppiata tra fine 2019 e inizio 2020. A 5 anni dal suo sorgere, quasi non se ne parla più ma nelle zone d’ombra delle nostre vite mai se ne andrà la traccia di quel dramma collettivo. Antonio Susinna, 27enne ferrarese, affronta proprio quei primi mesi del 2020 nel suo romanzo d’esordio, “Ogni porta è sprangata” (Affiori, Giulio Perrone ed., 2024, euro 20).

Protagonista è una ragazza senza nome, studentessa fuori sede di Lettere all’Università di Ferrara, «esilissima», solitaria e antiretorica, sofferente di depressione e preda di ricorrenti attacchi di panico. E originaria di una piccola località (Codogno?) dove vive il “paziente 1”. Per la giovane, il mondo è «insipido», al massimo ne riceve il racconto da altri, di cui perlopiù subisce lo sguardo. «Si lasciò agire», scrive Susinna a un certo punto. Dal mondo là fuori, la divide sempre un «velo opaco», per lei è naturale «racchiudere» in una “campana di vetro” (come il libro di Sylvia Plath citato in uno dei flashback) la propria vita, appartarsi nello spazio domestico, non “abitarlo”. Delimitare il proprio mondo per illusoriamente custodirlo da quello assurdo, spesso insostenibile, all’esterno, rimanendo «vicina al bordo» di un confine innanzitutto interiore, esorcizzando con gli anonimi riti dell’usuale i non anonimi volti e corpi “minacciosi” oltre la soglia.

Inerte e intorpidita è dunque la protagonista, estranea anche al proprio corpo, refrattaria a ogni forma di vero radicamento. Il racconto gocciola con cadenza quasi impercettibile, rischiando di diventare straniante anche allo stesso lettore. Solo il livellamento emergenziale le permetterà di «amalgamarsi alla folla liquida». Ma rimane il rischio del perpetuo rimpianto, dell’«avrei potuto», come nel flashback del suo primo bacio – anch’esso subìto -, che a sua volta sembra richiamare il racconto “Un caso pietoso” di James Joyce.

Per contro, ricorre – e incombe – il sangue che è vita, «vita che non osai chiedere e fu» (M. Luzi), ineluttabile. Come la gatta che si affaccia al davanzale della finestra del suo monolocale ferrarese e che lei, gradualmente, accoglie nella propria vita. Gatta che è l’intruso, lo straniero: da una parte, proiezione del di lei desiderio; dall’altra, anticipatrice di altro, segno che rimanda a un infante, a un figlio. Figlio – non a caso di una donna di nome Miriam – che aprirà alla vita la protagonista, permettendole di potersi nominare, di trovare un’identità, di rinascere nel respiro che è spirito.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 20 dicembre 2024

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