
L’intervento di don Luca Peyron a Ferrara: «la tecnologia non diventi un idolo ma un mezzo di cura»
La tecnologia digitale può essere utile nell’annuncio del Vangelo?
Su questo ha riflettuto la sera dello scorso 10 aprile don Luca Peyron, sacerdote della Diocesi di Torino e specialista in teologia e spiritualità delle tecnologie, in un incontro dal titolo “Parlare di Dio nell’era digitale” svoltosi nel Cinema S. Benedetto di Ferrara, all’interno del percorso sinodale.
COSA LA TECNICA NON FA DI BUONO
Viviamo nella «condizione digitale», nell’epoca «dell’efficientismo, della cultura delle macchine», cioè ci illudiamo che queste «possano darci le risposte a molte delle nostre domande», e possano darcele in un attimo. Questo è pericoloso anche perché ci disabitua, fra l’altro, a “perdere” del tempo nel cercare.
Ma tutto ciò, ha proseguito il relatore, ci fa comprendere anche come «la tecnologia sia strettamente intrecciata al potere», che significa anche potere economico, sociale e culturale, sulle nostre vite e relazioni.
La tecnologia digitale, quindi, «può solo creare connessioni fra le persone, non relazioni» vere.
COSA LA TECNICA PUÒ FARE DI BUONO
L’incontro è un’altra cosa: «è fatica, corpo, fisicità, odori. Non si tratta, quindi, di contrapporre tra loro virtuale e reale», ma di distinguerli.
Questa condizione digitale è anche, per don Peyron, «un segno dei tempi, un punto da cui ripartire, un punto di risurrezione per la Chiesa». Può, cioè, essere «generativa» e porsi «in funzione del servizio e della responsabilità nei confronti degli altri, del bene comune». Nella relazione, quindi, «il potere può diventare un prendersi cura», e anche il potere tecnologico può essere usato per quello che dovrebbe essere l’unico fine di ogni cosa: «la salvezza della persona nella sua umanità e nella sua divinità».
Ma la tecnologia può essere «motore di speranza e di pace solo se è a disposizione di tutti». In questo, la Chiesa deve «continuare a creare pensiero» (non chiudersi), ad esempio sull’Intelligenza artificiale, «deve creare alleanze, dare risposte alla sete di senso delle persone e continuare a ridurre lo iato fra scienza e fede».
SIAMO FIGLI DELLE STELLE
«La tecnologia non ci salverà», quindi, ma ci aiuterà. Non dobbiamo farne un idolo (l’unico nostro Padre è Dio): il nostro bisogno di assoluto «non sta nel possedere le cose o le persone», ma è «il desiderio naturale di vedere Dio». È perciò necessario «educare il desiderio: questa è la grande sfida della nostra epoca digitale». Educare a comprendere come il nostro desiderio è «desiderio di Dio», non di una macchina fatta idolo. La tecnologia può aiutarci tanto «a meravigliarci di ciò che siamo, di ciò che abbiamo intorno, facendoci capire che c’è un Oltre», ha proseguito il sacerdote. Nel costruire macchine sempre più intelligenti, quindi «sempre più simili a noi», capiamo che non potranno mai essere uguali a noi. Comprendiamo, cioè, la nostra irriducibile diversità, cioè che «la differenza tra noi e la macchina non riguarda il fare ma l’essere: a differenza di una macchina, la mia carne e il mio sangue sono coscienti di sé, amano».
Andrea Musacci
(Foto Archivio don Luca Peyron)
Pubblicato sulla “Voce” del 19 aprile 2024