
Una liturgia per tutti, attiva e partecipata (anche col corpo), comprensibile, abbandonando concettualizzazzioni sempre più dannose. Sull’importanza di questa “rivoluzione” nei nostri rituali ha riflettuto don Manuel Belli, intervenuto lo scorso 14 dicembre a Casa Cini per la settima lezione della Scuola diocesana di teologia per laici. Sacerdote della Diocesi di Bergamo e docente di Teologia dei sacramenti presso la Scuola di teologia del Seminario diocesano, don Belli è anche autore di alcuni volumi sul tema.
Ricordiamo che la Scuola riprenderà il prossimo 22 febbraio alle 18.30 con don Paolo Bovina che relazionerà su “Le sette chiese, una lettura pastorale di Apocalisse.
«Noi non facciamo riti, siamo fatti di riti e la qualità della nostra vita dipende dalla qualità dei nostri riti», ha esordito il relatore.Nelle nostre società, e spesso nelle nostre comunità ecclesiali, spesso però viviamo «riti tristi», cioè staccati dalle nostre vite, dal nostro cuore, dalle nostre fragilità: «Non abbiamo più vissuto a cuore aperto l’urto della realtà né percepito il modo d’essere delle cose», scriveva Guardini in “Formazione liturgica”. I nostri riti invece – secondo don Belli – sono troppo «ierocratici» e «troppo pensati», mentre essi «sono molto più dei concetti», delle nostre inutili sovrastrutture. Il relatore ha accennato come esempi quelli dell’atto penitenziale («che sia almeno di dieci secondi!»), la frazione del pane, le preghiere dei fedeli (che dovrebbero essere davvero loro frutto), il ruolo degli accoliti. «Ci vuole di più della forma – ha proseguito -, quel più che può essere dato solo dall’amore», per cambiare tutte le forme della nostra intelligenza (da quella interpersonale a quella estetica, da quella spaziale a quella musicale, solo per citarne alcune). In una società tecnocratica e digitalizzata come la nostra, invece, «siamo troppo abituati alla funzionalità delle cose e troppo poco, o nulla, ai loro aspetti simbolico ed estetico, che invece ci permettono di vivere la Messa con la sensazione di star incontrando il Signore». Solo così, per don Belli, «le fragilità di ognuno potranno sentirsi a casa». La sfida sta, per ogni sacerdote e semplice fedele, nel saper «riavvicinare vita e liturgia». Senza, però, banalizzare quest’ultima, mantenendone la sacralità e solennità.
Andrea Musacci
Pubblicato sulla “Voce” del 22 dicembre 2023