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Fontana e le immagini sacre, universo tutto da scoprire

13 Giu


Presentato in Arcivescovado il volume di Lara Scanu “Rivoluzione Fontana”: ecco alcuni spunti

La cura e le norme del Vescovo Fontana, e le differenze e somiglianze col card. Borromeo e il card. Paleotti.

Erano una 60ina le persone che nel tardo pomeriggio dello scorso 4 giugno hanno partecipato nella Sala del Sinodo del Palazzo Arcivescovile di Ferrara alla presentazione del volume di Lara Scanu, “Rivoluzione Fontana. Ritratto di un episcopato” (Ferrariae Decus. Studi e Ricerche, 37, Faust edizioni, giugno 2025).

Giovanni Fontana, originario di Vignola, fu Vescovo nella Diocesi di Ferrara dal 1590 al 1611, quindi tra la fine del ducato estense e l’inizio dell’età legatizia.Studente universitario a Bologna e strettissimo collaboratore del card. Carlo Borromeo nella Diocesi di Milano, è una figura di “traghettatore” verso una nuova epoca.

Nella Sala del Sinodo, l’incontro si è aperto con i saluti del nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego e di Marialucia Menegatti, Presidente di Ferrariae Decus. L’autrice ha poi dialogato con Maria Cristina Terzaghi, docente ordinaria dell’Università degli Studi Roma Tre, che ha esordito spiegando come Fontana e Borromeo abbiano «tanto in comune» e «tanta vita si sono scambiati». Il «valore assolutamente fuori dal comune di Fontana – ha proseguito Terzaghi – emerge nei testi presenti nel volume di Scanu», che ha «il merito di indagare bene le fonti, anche classiche, di Fontana in ambito artistico», nella seconda parte del  volume, mentre la prima indaga la sua biografia e il rapporto con le immagini in rapporto alla Riforma liturgica della Chiesa nel post Concilio di Trento. Una cultura personale, quella del Vescovo che ha guidato Ferrara, «profondissima e a 360 gradi». Scanu, inoltre, nel libro compie il paragone «molto interessante» fra il trattato “Instructionum Fabricae et Supellectilis ecclesiasticae” del card. Borromeo e il “Discorso intorno alle immagini sacre e profane” del card. Gabriele Paleotti, Vescovo di Bologna (e poi di Albano e Sabina). Fontana «tratta la pastorale borromaica da un punto di vista non sempre del tutto conforme allo stesso Borromeo». Forti sono, inoltre, le differenze «tra il primo testo del card. Fontana (del 1591) e il suo ultimo, a fine episcopato».Si nota, ad esempio, come «il card. Borromeo “delegasse” molto ai Vescovi il trattamento da riservare alle opere d’arte sacra».

«Nella nostra Diocesi – è intervenuta quindi Scanu -, gli artisti hanno dunque l’obbligo di seguire le direttive del Vescovo Fontana», il quale si dedica molto anche alla «tutela delle stesse opere e al loro intero processo» di ideazione e realizzazione. Le sue prescrizioni «verranno seguite dai successori fino almeno all’episcopato del card.Ruffo», nella prima metà del XVIII secolo.

«Rigide e chiare – ha detto poi Terzaghi – erano le norme di Borromeo riguardo le raffigurazioni di santi, che non dovevano avere le sembianze di persone reali riconoscibili, mentre Paleotti al riguardo aveva una posizione più “dolce”». Diversa – ha aggiunto invece Scanu – era la posizione di Fontana, «che si fece ritrarre con la barba lunga, mentre ai sacerdoti della sua Diocesi impediva di portarla perché – diceva – può attrarre le donne». Non era, quindi, la sua, «una posizione così stringente» riguardo alla ritrattistica, almeno nella prima fase, mentre «si irrigidì nell’ultimo periodo» di episcopato.

Altro aspetto – sollevato da Terzaghi – è quello del nudo nelle opere di arte sacra, «condannato radicalmente da Borromeo e Paleotti, e in maniera ancora più forte da Fontana».Fontana che, per sostenere questa posizione, «cita addirittura due “auctoritas profane” come Aristotele e Platone, dimostrando una grande modernità».

Fontana che – ha aggiunto invece Scanu – «dava importanza al ruolo delle immagini, anche per creare una cultura di base tra i fedeli più umili».

L’ultimo tema trattato è stato quello del suo recupero della «centralità del tabernacolo – ha spiegato Terzaghi – posto sopra l’altare centrale»; altare che «doveva essere di pietra, per richiamare Cristo pietra scartata che è “diventata la pietra d’angolo” e, con sopra, una pala con raffigurato il santo a cui l’altare era dedicato». Per Fontana, il Santissimo Sacramento «andava custodito con materiali preziosi (come minimo, legno dorato), non per un lusso fine a sé stesso ma per richiamare la preziosità di ciò che si custodiva».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 13 giugno 2025

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(Foto Roberto Targa)