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La preghiera: l’eterno in me, che esco dal mio tempo

7 Giu

Quel «canto che Cristo ha introdotto nel mondo»: l’ultimo incontro con don Federico Giacomin

La preghiera non è un mero «esercizio pietistico, “donabbondiano”» ma «l’ingresso del tempo della Pasqua nel mio tempo». Anche un ottimo oratore non è detto sia capace di trasmettere l’essenza…dell’orante. Don Federico Giacomin, presbitero della Diocesi di Padova, con la sua passione e l’originale talento oratorio che lo contraddistingue, vi è riuscito, appassionando i tanti partecipanti dei tre incontri da lui tenuti in questi mesi a Casa Cini, Ferrara. La sera del 29 maggio – sul tema “Come pregare?: Prega solo chi si compromette. L’ecclesiologia dell’orante” – si è tenuto l’ultimo dei tre, parte del progetto dedicato alla preghiera organizzato proprio tra Casa Cini e il Duomo.

ANTI-TECNICA E RIBELLIONE

Come pregare, quindi. Ma un “come” tutto da definire, trattandosi di un mistero, anzi del Mistero più grande. Mistero che – ha spiegato il relatore – «esula dalla “tecnica” del pregare. A forza di spiegarle, le tecniche distruggono il mistero». 

Se il mistero/sacramentum è «quell’azione che mentre la fai realizza qui e ora la presenza viva e vera del Signore Gesù», allora «tantissime nostre azioni, anche quotidiane, sono sacramento». Per questo, la domenica quando ci ritroviamo per la liturgia diventiamo realmente, nella nostra comunione, «Chiesa come Corpo di Cristo, ecclesia». La preghiera, che portiamo anche nella liturgia domenicale, è un vero e proprio «atto di ribellione»: sì, «ribellione al proprio tempo personale per entrare in quello di Cristo» e ribellione al tempo in cui ci è dato di vivere, così dominato dall’individualismo.

NELLA NOSTRA MANCANZA ESPLODE L’ETERNO

È necessario uno sguardo diverso, un tempo diverso. Un modo diverso di vivere il proprio corpo: «la preghiera del cristiano – ha proseguito don Giacomin – non è semplice, e non è sua». È una lotta continua, qualcosa di «non naturale». «L’uomo non prega volentieri, ogni altra cosa lo attrae», scriveva Guardini. Ed è il Corpo di Cristo che prega in noi. 

«O Dio vieni a salvarmi, Signore vieni presto in mio aiuto»: con questo Salmo inizia la preghiera nella Liturgia delle ore, a rappresentare la nostra mancanza, il nostro «non essere Dio», il nostro essenziale stato di «necessità». «Pregando vivo – quindi – una situazione estatica, nella quale, cioè, sto fuori di me, nel Corpo di Cristo». La Liturgia delle ore – pur nella sua «semplicità, canonicità, regolarità» – mi chiede di «andare in un altro Corpo, in un altro tempo». Di compiere, come accennato, qualcosa di non naturale, di particolarmente «difficile». Non si tratta di cercare a ogni istante la «concentrazione» ma di sentire quel «canto intra-trinitario che Cristo, incarnandosi, ha introdotto nel tempo»: la preghiera, dunque, «riempie di eternità il mio tempo». La partecipazione dei fedeli alla liturgia non consiste, dunque, semplicemente nel cantare o nel ripetere formule ma nel pregare con l’anima e col corpo, nel «partecipare alla Pasqua di Cristo, come corpo unico», il Suo. La preghiera è quindi «labbra e ritualità»: tutto ciò che viviamo, se vissuto in Lui, diviene pasquale.

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Percorso sulla preghiera: gli incontri rimanenti

Il 12 giugno alle ore 21 nella Cattedrale di Ferrara è in programma l’ultimo dei tre momenti di adorazione, guidato dal gruppo Taizè. I primi due sono stati guidati dalla Comunità Shalom.

Inoltre, sono previste due esperienze di preghiera in cammino in città accompagnati da Gian Maria Beccari (Insegnante di filosofia, religione e del metodo Feldenkrais): la prima si è svolta il 13 maggio, la seconda sarà il 17 giugno, ore 18-20, su “Mi fido di te?: Pregare attraverso il corpo nella relazione con l’altro”. Partenza dal Monastero del Corpus Domini di Ferrara.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 7 giugno 2024

Abbònati qui!

Dalla «cava del bisogno» al “Tu” della preghiera

27 Apr

La sera del 17 aprile a Casa Cini il primo incontro del percorso sulla preghiera: 50 persone (metà giovani) assieme a don Federico Giacomin

«Ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te», scriveva Sant’Agostino nelle sue Confessioni e queste parole che un uomo rivolge a Dio rimangono scolpite, oltre il tempo e i confini, come le parole sgorganti dall’abisso di grazia e miseria che abita il cuore di ognuno.

Una fiamma che divampa, anche improvvisa, può essere l’orazione, imprevista nei tempi e nei modi, ad abbattere barriere e certezze, croste di odio e di disperazione. Non si impara mai abbastanza a pregare. Lo sapevano, sicuramente, le 50 persone (la metà delle quali giovani) che la sera del 17 aprile scorso si sono radunate nel Salone di Casa Cini a Ferrara per il primo dei tre incontri formativi sulla preghiera guidati da don Federico Giacomin, coinvolgente e appassionato presbitero della Diocesi di Padova, Direttore del Centro di Spiritualità”Villa Immacolata”.

“Perché pregare? Prega solo chi perde il controllo – Antropologia dell’orante” il titolo di questo primo appuntamento, introdotto da Gianfranco Conoscenti di Taizè Ferrara, uno dei soggetti organizzatori dell’ampio programma e iniziato con un coinvolgimento dei presenti.A questi, don Giacomin ha chiesto innanzitutto di presentarsi e di esporre con una parola la propria idea di preghiera. Ciò che è emerso riguarda principalmente l’ascolto, la consapevolezza, l’affidarsi, la fatica e la riconciliazione con sé e con Dio, la compagnia, l’abbandono a Qualcuno che ci sovrasta.

VISIONE, CORPO E IMMAGINE

Come dentro di sé «ognuno ha un bisogno, cioè ciò che desidero ma non ho», così «esiste qualcosa più grande di noi, che però abita la nostra storia»: da qui nasce la preghiera, da questo «materiale grezzo», da questa «cava», dal male, dalla sofferenza «che ci sveglia, come la fame ci fa desiderare qualcosa che non abbiamo». In questo senso – ha proseguito don Giacomin – il bisogno è «rivelativo del nostro essere intrinsecamente poveri, mancanti». Ma nella consapevolezza che in tutto ciò, «Qualcuno mi viene accanto e mi salva». Siamo sì sempre incompleti ma «non condannati in eterno all’incompletezzza». Nella cava del bisogno cerchiamo sempre, ma «se non cerchiamo ciò che davvero può riempirci, cadiamo nella disperazione», ha proseguito il sacerdote. Dobbiamo imparare, come il Santo di Ippona, a dare del “Tu” a «Colui che sta dietro alla realtà», passare dal bisogno al desiderio, dalla cava alla preghiera, dalle inquietudini a una relazione con Dio.

Ma «ogni nostro rapporto con la realtà passa per il vedere», dentro e fuori di noi, e facile è cadere «nel rischio di crearci illusioni, di vedere cioè ciò che vogliamo vedere, di dar vita a fantasie che mi fanno andare oltre le mie possibilità, fuori dal reale». Per stare lontani dalle illusioni, bisogna quindi «educare la propria fantasia».

Madeleine Delbrêl (1904-1964), mistica e poetessa francese, questo l’aveva intuito bene, percependo «l’esistenza di Dio come persona: così, non per fede, a 20 anni, dopo un periodo di ateismo radicale, spontaneamente si inginocchia». L’immaginazione (Dio come persona da incontrare) va, cioè, educata anche attraverso il corpo, attraverso «atti» (in questo caso, l’inginocchiarsi), «azioni precise e quotidiane», non formali né meramente rituali ma necessarie per fare in modo che «il male non intacchi la nostra stessa immaginazione». La preghiera è, dunque, un’azione che ci permette di «allenare la fantasia a vedere l’azione di Dio nella nostra vita».

In questo modo, il nostro «desiderio di salvezza, che vive dentro al Mistero, può essere colmato solo da Chi ci ama, da Chi ci salva».Pregare è dire un “Tu”, non concentrarsi sul proprio “io”. Come C.S. Lewis fa dire al demone nelle Lettere di Berlicche, per impedire alle persone di rivolgersi direttamente a Dio bisogna «stornare il loro sguardo da Lui verso loro stessi». In questo modo rimaniamo prigionieri nella cava del nostro bisogno  sempre frustrato, nelle sabbie mobili della disperazione. Ma fuori c’è Altro. È dentro di noi.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 26 aprile 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio