Europa, parole per un futuro diverso

22 Mag

Festival della Fantasia, grande partecipazione alla rassegna della Fondazione Zanotti sul senso della nostra identità

A cura di Andrea Musacci

ANIMA, RADICI E TABÙ

Buttiglione: «recuperare i valori antichi e la dimensione religiosa». Il Barocco anima creativa.Dogmi e totem di oggi

L’Europa come idea forte, come visione dell’avvenire, mosaico di parole da recuperare. È stato questo il senso dell’incontro svoltosi la mattina di domenica 19 maggio nel Castello di Ferrara, uno degli appuntamenti centrali del Festival della Fantasia iniziato giovedì 16. «L’Europa è un’opera d’arte perché è nata come grande composizione», ha introdotto Davide Rondoni, Direttore Artistico del Festival, prima degli interventi di tre relatori d’eccezione.

La fantasia non può non richiamare innanzitutto l’aspetto creativo. Su questo si è concentrato Francesco Botturi (Università del Sacro Cuore di Milano): nel XVI secoloil Barocco «non era solo uno stile ma una cultura, un esperimento per entrare nella profondità del reale, un pensiero compositivo». Il Barocco, però, si trovò a lottare contro il pensiero razionalistico cartesiano, che «”abolisce” il movimento e la sensibilità a scapito dell’analisi, del pensiero puro e astratto, prevedendo la mente incarnata dell’intelligenza artificiale». Questo tra pensiero compositivo e pensiero analitico/razionalistico (poi illuministico) è un conflitto ancora oggi in atto: il razionalismo è «la tecnocrazia, la secolarizzazione, l’antropocentrismo che emargina la religione». Il destino dell’Europa, quindi, rischia di essere quello di una «progressiva atomizzazione razionalistica e tecnoscientifica». Ma l’Europa autentica è quella che sa valorizzare «il mondo poetico dell’umano, la cui mente non è soprattutto analitica e calcolatrice, ma compositiva, creativa», ha proseguito Botturi: la cifra dell’umano è «l’ingegno», la capacità di «stabilire relazioni tra realtà fra loro lontane e diverse», appunto componendole ma senza annullare la tensione tra loro, la «contraddittorietà della loro relazione».

«Solo una realtà – ha riflettuto quindi Rocco Buttiglione, noto politico e filosofo, nel suo discorso – può accogliere tutte le contraddizioni insolubili, tutti i dolori del mondo: la Croce di Cristo». La risposta al desiderio di felicità della persona non sta, infatti, nelle cose ma «viene da altrove, sta in Altro. Non si può sradicare Cristo dalla storia, e solo da Lui nasce quel popolo, alternativa a una società di individui atomizzati preda del potere», ha riflettuto. L’idea originaria di Europa è stata, quindi, bloccata. Era l’idea dei padri, quella che si fondava «sui valori ebraico-cristiani e su quelli greci e latini». È nata, invece, «un’Europa senza radici culturali». Di conseguenza, manca «un dèmos, una creazione spirituale con forti radici comuni e un comune destino». Così, per Buttiglione, lo stesso Trattato di Lisbona del 2009 non ha fatto che confermare «l’Europa della burocrazia e dei diritti individuali». Questi ultimi, in particolare, sono dominanti mentre «mancano i doveri, i diritti della famiglia e quelli delle nazioni». Ma questo «sistema di divertissement», di distrazioni «si sta incrinando»: abbiamo  bisogno di una «globalizzazione non solo economica ma etica e politica». I Trattati vanno dunque «riformati mettendo al centro l’identità culturale europea e recuperando la dimensione religiosa».

«Viviamo in un’Europa edulcorata, senza lacrime né santi», ha detto poi Ginevra Leganza, giornalista de Il Foglio, citando Cioran. Tre parole, nella nostra Europa decadente, vengono oggi in particolare snaturate: «amore, come dogma; morte, come tabù; postumano, come totem». Riguardo alla prima, per Leganza spesso domina «una concezione edulcorata di amore, astratta e assolutista»; ma questo può essere anche «un demone, può nascondere violenza, ossessione». E mercificazione, come nel caso «dell’utero in affitto». La morte, invece, oggi è «rimossa, c’è ma non si può più dire, è la protagonista silenziosa del nostro tempo». L’idea dei nostri tempi è quella della «morte per scelta, per cultura», quindi come «opzione alternativa alla vita»:non a caso, anche in Italia aumentano i suicidi e la promozione dell’eutanasia porta a una «normalizzazione della morte». Senza pensare all’aborto: chi usa l’espressione “interruzione di gravidanza” vuole rimuovere il fatto che sia un gesto che «porta morte, ponendo invece l’accento su chi compie questa scelta». Infine, il totem dell’intelligenza artificiale: per Leganza, questo è il tentativo ancor più radicale di «sostituzione dell’umano con la tecnologia»: ma «così rischiamo di diventare schiavi degli schiavi, cioè dei robot, delle macchine». 

L’alternativa è quindi chiara: l’Europa con un’anima e un senso o quella artificiale e dogmatica?

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CARITÀ

25 anni del “Centro di Solidarietà Carità”

In occasione del Festival della Fantasia, il Castello Estense ha ospitato un’esposizione, con testi e immagini, sui 25 anni di vita del “Centro diSolidarietà Carità” (CSC) di Ferrara.

A fine anni ’80, sull’esempio del “Banco dos Alimentos” di Barcellona, nasce in Italia la “Banca del cibo” grazie a don Luigi Giussani e a Danilo Fossati, presidente dell’azienda “Star”. Nel 1989 nasce quindi la Fondazione Banco Alimentare, e dieci anni dopo, il 1° maggio 1999, a Ferrara e provincia, il “Centro diSolidarietà Carità”. I dati sono importanti – circa 930mila kg alimenti raccolti e oltre 11mila persone assistite, metà delle quali nel solo Comune di Ferrara – ma non bastano a raccontare il senso di quest’avventura. Gli scopi del CSC sono ancora gli stessi di 25 anni fa: distribuzione di alimenti e farmaci a persone e famiglie bisognose, ed educazione alla carità. Sì, perché non è sufficiente il pur necessario sostegno materiale: ciò che i volontari del CSC fanno è di condividere la propria vita, di cercare assieme il suo senso. La carità è dunque un evento di popolo, non solo durante l’annuale Colletta Alimentare. In mostra, diverse le testimonianze di volontari e volontarie,  di alcune comunità, enti e associazioni coinvolte, e di uno dei fondatori, Riccardo Canella.

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LAVORO

Partecipazione, popolo ed educazione: valori e proposte

Sabato 18 maggio, il Festival ha ospitato un Seminario sul lavoro proposto dalla Confraternita. Emmanuele Massagli, Presidente ADAPT e LUMSA, fra i promotori della proposta di legge della CISL “Per una governance d’impresa partecipata dai lavoratori”, ha spiegato come questa si ispira all’art. 46 della Costituzione italiana («[…] la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende»). Nella proposta rientra la presenza di rappresentanti dei lavoratori nel CdA dell’azienda, la redistribuzione degli utili, la formazione di Commissioni interne, la consultazione dei lavoratori su decisioni importanti delle imprese. 400mila le firme raccolte: dopo gli oltre 190 emendamenti proposti in Parlamento, ora la discussione  prosegue. Ruggero Villani, Direttore Confcooperative Ferrara, ha invece posto l’accento sull’importanza di valorizzare la «dimensione espressiva» del lavoro e non solo quella «acquisitiva/economica». La prima, infatti, è importante per la «fioritura umana della persona», oltre ad aiutare «l’incremento produttivo» dell’impresa stessa. Sono intervenuti anche Giovanni Maddalena, Università del Molise («le opere nascono dalla libertà della persona, e questa libertà dal desiderio della felicità, che è sempre un cammino verso l’ideale, verso il bene»), Enrico Tiozzo Bon, Presidente Federazione Centri di Solidarietà («le nostre opere nascono da un popolo, speranza per il Paese»), Roshan Borsato, Ca Foscari Venezia («nell’epoca del sovraccarico informativo e della digitalizzazione è importante educare al pensiero critico»).

La Fondazione Zanotti ha invece riflettuto sulle formelle dei mesi presenti sulla facciata del nostro Duomo cittadino.

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PACE

Capuozzo: «capire il dolore dell’altro, stare coi disarmati»

Di pace e perdono si è parlato domenica 19 in Castello, dopo i saluti di Marcello Corvino, Direttore artistico Teatro Comunale “Claudio Abbado”.

Atteso l’intervento di Toni Capuozzo, noto giornalista e conduttore televisivo, per una vita inviato in diversi teatri di guerra. «Ho sempre cercato di raccontare la guerra immaginando la sofferenza delle persone, tutte», ha spiegato. Per la pace, è fondamentale «tentare di capire le ragioni dell’altro e confrontarsi col loro dolore. Da quando faccio l’inviato in guerra, non riesco più a parteggiare: sto solo dalla parte dei civili, dei disarmati, non considerandoli numeri ma persone, ognuno con la propria vita, con un nome, cercando di raccontare la loro storia», per evitare «una fossa comune della memoria». Dopo il ricordo dell’amico e collega Franco Di Mare, recentemente scomparso, Capuozzo ha spiegato come la guerra sia «la morte dell’innocenza e della parola».

«Questo realismo umano di Capuozzo – ha riflettuto il Direttore Davide Rondoni – è un’alternativa sia all’astrazione e alla distrazione, sia al cinismo e alla disperazione. L’atto più grande della persona è il perdono: è il più grande atto di libertà, che solo l’essere umano – nessun altro animale – può compiere».

L’incontro sulla pace ha visto anche gli interventi di Jiries Qumsiyeh (Direttore del Ministero palestinese per il Turismo) da Betlemme, Franco Vignazia (artista), Ettore Soranzo (Associazione Santa Caterina da Siena ETS) ed Enrico Tiozzo Bon, che hanno raccontato la loro amicizia  tra Italia e territori palestinesi, nella comune fede cristiana.

Pubblicato sulla “Voce” del 24 maggio 2024

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