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«La fantasia è ciò che ci tiene aperti, che ci reinventa»

8 Mag

Siamo andati ad ascoltare Giacomo Poretti alla presentazione del suo spettacolo al Teatro Comunale. Ecco cos’ha detto su lavoro in ospedale, covid e trio…

L’esistenza è un «gioco serio», nel quale conta saper gestire i momenti in cui l’ironia è importante, se non necessaria, e quelli, invece, dove la commozione e l’empatia debbono semplicemente imporsi.

Anche questo, in un certo senso, ha inteso comunicare Giacomo Poretti, noto attore comico, nella sua due giorni a Ferrara. Il membro del mitico trio con Aldo e Giovanni nel pomeriggio di sabato 6 maggio ha presentato il proprio spettacolo “Chiedimi se sono di turno” in una platea del Teatro Comunale di Ferrara al completo, incalzato dalle domande di Giovanni Farkas (Fondazione Zanotti) e Marcello Corvino, Direttore artistico del Teatro Comunale.

L’OSPEDALE: IL LAVORO PIÙ FATICOSO

Poretti, dai 18 ai 29 anni di età ha lavorato come infermiere nell’Ospedale di Legnano (di cui 5 in oncologia), dopo un biennio da metalmeccanico. «I malati adulti, in ospedale non hanno così tanta voglia di ridere», ha spiegato a Ferrara. Un Patch Adams è adatto a un reparto per bambini. «L’adulto malato preferisce la compagnia, la vicinanza, anche silenziosa». L’ospedale, per Poretti, «è un luogo tragicamente straordinario, per gli incontri umani che si possono avere».

Dal periodo del covid, emerge un aneddoto, com’è  spesso accaduto, agrodolce: «dopo alcune settimane dall’inizio dell’emergenza nel 2020, alcune regioni precettavano i medici perché non ce n’erano a sufficienza. Io vivo a Milano, e ho tremato dalla paura che mi potessero richiamare, sono sincero. Lavorare in ospedale è il lavoro più duro che abbia fatto. Faticoso soprattutto a livello mentale e sentimentale».

IL LOCKDOWN: IL PERIODO PIÙ AMBIVALENTE

L’attore ha poi aggiunto di come lui e la moglie Daniela Cristofori abbiano avuto il covid i primissimi giorni dell’emergenza nel 2020. Un’esperienza vissuta in maniera ambivalente, quella del lockdown: «in quel periodo sono riuscito a riposarmi, a godermi la vita domestica con mia moglie e nostro figlio (che ha 17 anni, ndr), a leggere, guardare film e partite dell’Inter…D’altra parte, però, è vero che non si può trasferire tutto su uno schermo, sul digitale. Il teatro, ad esempio, ha bisogno di presenza, corporeità, non si può guardare su uno schermo. Mi ribello a questa idea». È invece importante non dimenticare la potenza dell’arte e della letteratura, derivante dal fatto che sanno parlare «delle nostre angosce e dei nostri desideri più profondi, e così è per il teatro, arte antichissima:all’uomo è sempre piaciuto raccontare e farsi raccontare storie».

Ma tornando alla bellezza dell’aver potuto, pur nella tragedia, riscoprire l’intimità domestica, rimane il fatto che «è molto difficile andare d’accordo con tutte le parti di se stesso, figuriamoci con gli altri… Su questo io e mia moglie abbiamo preparato uno spettacolo che si intitola “Litigar danzando”. Anche io, Aldo e Giovanni – ha proseguito – siamo tre caratteri forti e per certi versi molto diversi fra di noi. Tante volte abbiamo anche litigato, ma litigare può essere anche sano, in quanto espressione di qualcosa che è dentro di noi».

Detto ciò, dal periodo del covid «ne sono uscito arricchito», ha detto Poretti. E poi, vi sono i gesti di umanità, gesti che la straordinarietà della situazione ha fatto emergere: «come quello di uno dei nostri vicini di casa che ci portava la spesa quando non potevamo uscire perchéammalati. Lasciava a terra i sacchetti appena aperta la porta, e poi si ritraeva. Ma a vincere non era il suo naturale gesto di “repulsione”, ma quello di umanità nell’averci aiutato».

LA FANTASIA: IL “LAVORO” PIÙ IMPORTANTE

Venendo al tema del Festival nel quale era inserito l’incontro, «la fantasia è sempre fondamentale, in tutti gli ambiti, è quell’abito mentale che ti porta nella dimensione del gioco. La nostra stessa ironia – ha proseguito parlando del trio – è strettamente imparentata col gioco, seppur un gioco “serio”, che tenta di mostrare una dimensione diversa dalla solita».

Sul rapporto professionale con Aldo e Giovanni, ha spiegato come «dopo 30 anni abbiamo sentito l’esigenza di prendere strade diverse» e dunque di non fare più teatro assieme. Teatro che rimane per Poretti la grande passione, quella passione nata da giovane: «mentre facevo ancora l’infermiere, mi ero iscritto ad una scuola serale di teatro. Ho avuto sempre quella curiosità e quell’inquietudine di tentare strade diverse; già mi piaceva, nei miei precedenti luoghi di lavoro, raccontare storie ai colleghi…».

E a proposito di strade nuove, dal 2019 Poretti dirige il teatro Oscar deSidera a Milano insieme allo scrittore Luca Doninelli e a Gabriele Allevi. «Senza la fantasia, non saremmo andati da nessuna parte. La fantasia ti dice: stai aperto, disponibile ad immaginare altro, altre possibilità». Una scommessa non facile, in una città colma di teatri. Proprio la sera del 5, l’Oscar ha ospitato lo spettacolo “La Milonga del Fútbol” di Federico Buffa: ilDirettore Corvino ha anticipato che lo spettacolo farà parte del programma del Teatro Comunale di Ferrara nella stagione 2023/2024.

Andrea Musacci

(Foto Marco Caselli Nirmal)

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 12 maggio 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

A Ferrara il primo Festival della Fantasia: «Fa conoscere e amare davvero la realtà»

7 Giu


Intervista al poeta Davide Rondoni, ideatore e Direttore Artistico della rassegna in programma il 10 e l’11 giugno tra il Castello Estense e il Giardino delle Duchesse. La prima sera verrà consegnata la cittadinanza onoraria ad Antonia Arslan

di Andrea Musacci

Davide Rondoni (foto Musacci)

«La fantasia va coltivata, aiuta a far crescere il senso critico e a meglio conoscere e amare la realtà nella sua essenza».

L’idea di organizzare un Festival della Fantasia a Ferrara a Davide Rondoni è venuta un paio di anni fa. Poeta e scrittore forlivese classe ’64, Rondoni è di casa nella nostra città, dove viene invitato spesso per incontri culturali. Nel 2019 del progetto – pensato per tutte le fasce d’età – ha parlato al Sindaco Alan Fabbri e alla Fondazione Zanotti (diretta da Riccardo Benetti), con la quale collabora da diversi anni in quanto amico personale di Enrico Zanotti. Il Festival rappresenta, infatti, la prima di diverse iniziative in occasione dei 20 anni dalla scomparsa di Zanotti, avvocato e consigliere comunale di Ferrara deceduto a 36 anni nel gennaio 2001 a seguito di una rara malattia.

La prima edizione della rassegna è in programma giovedì 10 e venerdì 11 giugno tra il Castello Estense e il vicino Giardino delle Duchesse, e vedrà tra gli ospiti più noti l’attore Gioele Dix, lo scrittore e docente dell’Università IULM di Milano Luca Doninelli, il musicista Ambrogio Sparagna e Antonia Arslan, scrittrice e saggista armena (nota soprattutto per il romanzo “La masseria delle alloddole”), protagonista lo scorso 4 novembre dell’incontro “Siamo tutti armeni” in streaming proprio con Rondoni e organizzato dalla stessa Fondazione Zanotti.

La sera del 10 giugno in Castello la Arslan riceverà dal Sindaco Fabbri la cittadinanza onoraria di Ferrara. Una decisione maturata dal primo cittadino lo scorso aprile in seguito alle forti critiche rivolte dall’ambasciatore turco in Italia, Murat Salim Esenli, allo stesso Fabbri per aver ospitato il 23 aprile al Teatro Comunale lo spettacolo “Metz Yeghern. Il genocidio degli armeni tra memoria, negazioni e silenzi” con la stessa Arslan. Uno spettacolo che fece luce sulle deportazioni e le eliminazioni degli armeni perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916, che causarono circa 1,5 milioni di morti (nella stima degli storici, i due terzi degli armeni dell’Impero).

Tornando al tema del Festival, Rondoni nei giorni scorsi ha accettato di rispondere ad alcune domande de “La Voce” sul significato profondo del termine “fantasia”.


Il termine “fantasia” richiama il “mostrare”. Di solito si mostra ciò che è. La fantasia, quindi, permette di svelare il reale, oppure creando, va oltre la realtà già data? 

«La fantasia, innanzitutto, è diversa dalla creatività, termine che non amo molto usare. La fantasia è il motore della creazione, mette in questione ciò che la realtà è, nella sua essenza più vera. Perché la realtà non è ciò che si vede, ma qualcosa di più profondo. Nella nostra epoca, domina, invece, una visione empiristica e materialistica: per questo è importante valorizzare la fantasia, che non è per nulla da intendere come fuga dalla realtà, anzi».


Recentemente ho letto una frase di Marco Pannella del ’73: “Non credo al potere, e ripudio perfino la fantasia se minaccia d’occuparlo”. Lei cosa ne pensa? Meglio la fantasia al potere o il potere della fantasia?

«Concordo con Pannella…La fantasia al potere è stato uno slogan del ’68 purtroppo rivelatosi vuoto. Il potere della fantasia, al contrario, permette di vedere e amare meglio le cose, la realtà».


È possibile “educare” alla fantasia?

«La fantasia può essere educata come tutte le qualità, o meglio, può essere coltivata. Il metodo educativo più adeguato, come per la pazienza o la tenacia, è quello dell’esempio, dell’osmosi. Un giovane non si innamora della poesia, della letteratura, o di qualsiasi altra disciplina, perché glielo dice, se non impone, l’insegnante, ma perché è attratto dalla passione e dall’amore che l’educatore ha per ciò che insegna, per ciò che vuole trasmettergli. Oggi, invece, spesso, anche nella scuola, l’educazione viene intesa come mero passaggio di nozioni, ma di vera educazione ce n’è poca».


Venendo al Festival, perché è stata scelta Ferrara come luogo dove organizzarlo?

«Un festival così si può fare solo a Ferrara, città magica e che tanto ha stimolato la fantasia di poeti, letterati e registi. Qui non si corre il rischio, come per altre città, che la città venga usata solo come scenario. Ferrara è la capitale della fantasia».


Questo Festival cos’ha di diverso dagli altri?

«Non è una scatola vuota, una “scatola di intrattenimento”, come a volte rischiano di essere i festiva, ma una provocazione editoriale per far crescere il senso critico. La cultura, in generale, ci tengo a sottolinearlo, non deve servire al turismo, non ha come fine quello di richiamare turisti. Semmai al contrario, il turismo deve far da volano per far meglio conoscere e comprendere la cultura di un territorio».

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 giugno 2021

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