
La tesi di Romeo Pio Cristofori (Musei Arte Antica Ferrara): «potrebbe essere di fine XV secolo»
Chiunque entri nella Basilica di Santa Maria in Vado, che ne sia o no assiduo frequentatore, viene immediatamente rapito dal ricco splendore nell’area del presbiterio e dell’abside (oltre che, naturalmente, del tempietto del Miracolo eucaristico). Ma nella quarta cappella della navata sinistra si trova una scultura del Cristo crocifisso, che attira comunque l’attenzione. Attenzione non solo dei pellegrini o turisti che si recano nella Basilica, ma anche degli studiosi, data l’incerta datazione.La sera dello scorso 20 novembre, proprio a S. Maria in Vado, ne ha parlato Romeo Pio Cristofori, conservatore dei Musei di Arte Antica di Ferrara, in un incontro organizzato dall’Unità Pastorale Borgovado e dal Circolo ANSPI di Santa Maria in Vado.
L’IPOTESI DELLA DATAZIONE
Cristofori ne parla anche in un articolo dal titolo “Dopo Baroncelli. Crocifissi a Ferrara nell’età di Borso d’Este”, pubblicato sulla rivista semestrale “Schifanoia” (n. 64-65, 2023).
«Alla morte di Borso, nel 1471 – scrive Cristofori -, gli artisti attivi durante il primo Ducato ferrarese si trovarono parzialmente esclusi dalle nuove richieste della committenza e, travolti dall’arrivo delle nuove soluzioni formali e stilistiche richieste dal gusto di Ercole I e della sua consorte, modificarono il proprio stile o abbandonarono la scena artistica locale. Dopo la floridezza della stagione appena conclusa, di cui un ulteriore interessante esempio potrebbe essere lo sconosciuto crocifisso ligneo dell’altare maggiore della chiesa di San Paolo, la realizzazione di crocifissi monumentali sembra subire un rallentamento a favore di composizioni diverse o di rielaborazioni locali».
Il Cristo crocifisso presente a Santa Maria in Vado – prosegue lo studioso – «potrebbe essere una tarda interpretazione della figura di Cristo che ebbe così tanto successo negli anni borsiani. Testimoniata fin dalla fine del Settecento, la scultura (170 x 100 cm circa) è comunemente ritenuta opera di un ignoto artista ferrarese, cronologicamente collocabile nei primi decenni del Cinquecento. Tuttavia – è l’ipotesi di Cristofori -, un’attenta analisi dell’intaglio potrebbe consentire una datazione più antica, non troppo distante» da opere come il Cristo ligneo della chiesa di San Cristoforo alla Certosa, oggi esposto al Museo Schifanoia, o quello della chiesa di Santo Spirito. Il periodo sarebbe, quindi, all’incirca tra la fine del ducato di Borso d’Este (1452-1471) e l’inizio di quello di Ercole I (1471-1505). Così lo studioso analizza nel dettaglio l’opera:«Nonostante lo stato conservativo non favorevole, le numerose ridipinture e i corposi depositi di polvere (che ne alterano la policromia e offuscano la qualità dell’intaglio), l’opera denuncia una vicinanza a un patetismo delle forme, specie nel volto, nei capelli e nelle solide gambe, vicini alle ricerche formali condotte a partire dalla fine degli anni settanta da Guido Mazzoni. La figura schiacciata e la sproporzione delle lunghe braccia rendono la scultura il frutto di un artista locale di grande interesse sebbene lontano dagli esiti delle opere già presentate. L’intaglio delle gambe, in cui si intravedono le vene sottili, la cassa toracica sporgente e striata, l’attenzione non pienamente riuscita sul particolare anatomico dei pettorali in tensione e delle spalle estroflesse, consentono di ipotizzare una conoscenza non solo del crocifisso bronzeo di Baroncelli ma anche degli emuli che negli anni successivi occuparono gli spazi ecclesiastici cittadini. Un restauro della scultura consentirebbe di riscoprire pienamente un’opera di grande interesse, la cui ipotetica datazione a metà degli anni settanta del Quattrocento, ben si adatta anche con il perizoma all’antica, la cui decorazione orizzontale è assai simile a quella già utilizzata da Vicino da Ferrara nella sua tela parigina».
Questo studio sulla misteriosa opera di S. Maria in Vado, ci tiene a sottolineare Cristofori – «è ancora in corso e passibile di ulteriori sviluppi». Inoltre, «un restauro permetterebbe di comprendere ancora meglio l’opera e collocarla con maggiore chiarezza nel contesto storico-critico».
Andrea Musacci
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 29 novembre 2024
Abbònati qui!