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Che vita meravigliosa: i 100 anni di Raffaele Lucci

4 Mag

Per tanti anni noto pediatra di Ferrara, ha salvato molti bambini dalla tubercolosi. E ha permesso 150 adozioni in famiglia. Fu il primo in Italia a pensare in Pediatria luoghi per l’ospitalità delle madri 

di Andrea Musacci

Cento di questi giorni. Anzi, cento di queste vite. Sì, perché ad ascoltare i racconti di Raffaele Lucci, si ha la sensazione di essere dentro una storia fatta di infinite storie. Raffaele lo incontriamo nella sua casa di via Scandiana. Casa che, per lui, è molto di più di una residenza ma il luogo dov’è venuto alla luce e dov’è sempre vissuto.

Nato il 4 maggio 1922 insieme al fratello gemello Mario, proprio di fronte all’ingresso laterale di S. Maria in Vado, come pediatra ha lavorato per 12 anni all’Istituto provinciale per l’infanzia diretto dal prof. Marino Ortolani in via Savonarola 15, prima di assumere la direzione provinciale dell’ONMI – Opera Nazionale Maternità e Infanzia. Buona parte della vita spesa, dunque, per i bambini e le loro madri.

La casa luogo dell’anima

Figlio di Giuseppe, originario di Mesola, e Aldina, ottavo/nono di dieci figli (sei maschi e quattro femmine), Raffaele frequenta il Giardino d’Infanzia, scuola materna privata in via Savonarola (dove ora c’è l’Istituto Einaudi). Dopo le Elementari alla Guarini di via Bellaria, dove ricorda in particolare il maestro Pedrocchi, si iscrive al Regio Liceo Classico Ariosto, ai tempi in via Borgo Leoni. 

Ma la dimensione domestica, quella casa luogo non solo fisico ma simbolico e spirituale, come detto è stata da sempre per lui centrale. Scrigno, dunque, di dolci memorie. A partire dai volti, dagli ambienti e dagli oggetti: la «cucinona», il grande camino, il rito della polenta, il lanternone per conservare gli alimenti, il capitone a Natale, il presepio realizzato nella “Stanza dei Giochi” in mansarda. E ancora, il carillon, il giradischi coi canti natalizi, a maggio il fioretto mariano nella cosiddetta “Camera da lavoro”. 

E un altro luogo dell’anima è la casa delle vacanze, quella Villa Belvedere a Dozza parte di un’azienda agricola dove con la famiglia trascorreva il periodo estivo. «Partivamo sulla nostra Ford, con Dante, il tuttofare di casa, al volante. Non c’era l’acqua dall’acquedotto, usavamo il pozzo». In casa, un minuscolo water in casa, il bagno completo era fuori. Non c’era la corrente elettrica, si usavano le lampade a petrolio appese al soffitto, e le candele. Queste mancanze non ci pesavano ma le vivevamo come una gradita novità». E poi la sua amata fionda e le mucche, l’aratura con le bestie, «l’odore delle zolle fresche», la trebbiatura vissuta «come una festa», «il sapore del formaggio appena fatto» e il momento della vendemmia, con «le donne che, arrotolate le sottane per scoprire le gambe, entravano nel bigoncio a pigiare l’uva». 

«Un avvenire infausto»

Ma la storia con la “s” maiuscola incombe, strappa legami, distrugge vite.

Del regime Lucci ricorda innanzitutto l’ipocrita e imbarazzante ritualità, come quella del Sabato fascista, giorno in cui i suoi stessi insegnanti erano costretti a indossare la divisa nera: «ma riuscivo a capire chi la indossava volentieri – e aveva la camicia ben stirata -, e chi invece lo faceva controvoglia – e allora notavo che era stropicciata e abbottonata male…». «Questa situazione politica mi disturbava molto», prosegue Lucci. «Mi metteva a disagio e già allora, nonostante avessi 16 anni, avvertivo il timore di un avvenire imprevedibile, infausto».

Così fu, e Raffaele lo ricorda attraverso il racconto che gli fece il fratello Vincenzo, appartenente alla FUCI, e della loro sede di via Montebello devastata dai fascisti. O dal ricordo del conte Grosoli, «che mio padre andò a trovare fino all’ultimo nel suo esilio ad Assisi». Oltre a quello dei due cugini Tullio e Vittorio Ravenna, che da quel novembre 1938 non si presentarono più a scuola. «Per noi vedere il banco vuoto è stato un grande dolore, e silenziosamente qualcuno di noi ha pianto. E quel banco è rimasto vuoto». Vittorio morì nel campo di Auschwitz. Triste sorte toccò anche ad Emilio Teglio (1873-1940), Preside del Liceo Ariosto dal ’22 al ’38, costretto a dimettersi a causa delle leggi razziali promulgate dal regime fascista. Il figlio Ugo è uno degli 11 fucilati dell’eccidio del Castello della notte del 14-15 novembre 1943. 

Nel ’41 Raffaele conclude il Liceo, per due anni frequenta Ingegneria ma nel ’43 viene chiamato alle armi e assegnato a Firenze. Un tremendo ricordo legato a questa città è quello dell’esecuzione di tre giovani partigiani. Ricordo che Raffaele ha raccontato per la prima volta, ai figli, solo pochi anni fa. «Per punire un gruppo di commilitoni accusati di aver lanciato sassi contro alcuni repubblichini dal treno, una notte ci svegliano e ci fanno attraversare la città deserta per arrivare a un poligono di tiro. Qui, per terrorizzarci ci obbligano ad assistere alla fucilazione di quei poveri tre. Erano solo ragazzini…». Dopo un periodo nell’entroterra di Anzio, con altri incaricato di scavare trincee, arriva la ritirata dei tedeschi dopo lo sbarco degli Alleati. Raffaele allora risale verso nord, si ferma a Poggibonsi, vicino Siena, dov’è accolto da don Baldo, che vive con la madre e il fratello, e che si è unito alla Resistenza: «mi dice: “guarda, faccio parte del movimento di liberazione”. Apre il cassetto della scrivania e prende fuori una rivoltella che appoggia sulla scrivania stessa. Ma non la userà mai».

Raffaele torna poi a Firenze, ospite del dott. Terzi, amico di famigli. È il periodo dei bombardamenti alleati. «Quando cadeva una bomba non sapevamo in che direzione scappare, perché non potevamo sapere dove sarebbe caduta quella successiva». Arriverà il 25 aprile del ’45, l’ora del rocambolesco ritorno a casa, «dove però trovai 3 metri di macerie. Due bombe, infatti, l’avevano colpita, e altre nelle case attigue, una vicina a S. Maria in Vado».

Una nuova vita al servizio degli altri

Nel ’45, rientrato dalla guerra decide che debba, anche per lui, cominciare una storia diversa. Si iscrive a Medicina e Chirurgia, dove si laurea nel ‘50 e inizia la specializzazione in Pediatria all’Università di Padova. Nel gennaio ’51, pochi mesi prima di sposare Anna, viene assunto come assistente all’Istituto in via Savonarola. «Già dal primo anno Ortolani mi affida il reparto per i bambini malati di tubercolosi. Andai un mese in visita alla Clinica pediatrica Mayer di Firenze allora diretta dal prof. Cocchi, una delle prime cliniche che iniziavano ad adottare la streptomicina. I malati a Ferrara arrivavano dalla città, da ogni parte della provincia, dal Polesine e dalla Bassa Lombardia. Riuscimmo a salvarne molti grazie a questo nuovo antibiotico proveniente dagli USA. Uno di questi, Giuseppe Artioli, che dopo divenne fornaio, ancora oggi, dopo 60 anni, ogni Natale mi manda un biglietto di auguri».

Quello di via Savonarola era allora l’unico reparto pediatrico della provincia, e fu il primo in Italia che insieme al bambino ricoverava anche la mamma. Questo per un’intuizione che oggi sembra naturale, ma che ai tempi non lo era, proprio di Raffaele. «Molte mamme non si fidavano dell’allora Pediatria del S. Anna, e quindi si rivolgevano a noi». 

In seguito Raffaele divenne prima Direttore della sede provinciale del Centro Sudi della talassemia e nel ’63 della sede provinciale dell’ONMI in via Contrada della Rosa. Di questa esperienza ricorda il ruolo fondamentale delle assistenti sanitarie e la sua battaglia per l’allattamento al seno. «In molti mi dicevano: “il latte in polvere è più comodo e le donne non vogliono più allattare al seno”. Ma io sapevo che la scelta di molte era condizionata da pressioni esterne. Dal ’63 al ’74 nella Casa di cura Quisisana di Ferrara visitai 3500 neonati e le loro mamme, aiutandole in questa esperienza: da alcune mie indagini scoprii che, a differenza del S. Anna, qui la maggior parte delle mamme allattava al seno».

Altri ricordi personali di questo periodo sono legati alla vaccinazione contro la poliomelite, «che registrò un’adesione molto alta», e al suo impegno per le adozioni, dopo che nel 1967 fu promulgata la “Legge sull’adozione speciale”. Negli otto anni successivi portò a termine ben 150 adozioni. Per questo suo fondamentale servizio alla vita e alla famiglia, fu nominato Giudice Onorario del Tribunale dei minori di Bologna, e alla fine del ’68 fu insignito dell’attestato di Cavaliere dell’ordine al merito.

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 6 maggio 2022

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La Vergine Maria di Bononi di nuovo in cielo

27 Mag

“Avventurosa” ricollocazione dell’Incoronazione della Vergine sul soffitto della Basilica di S. M. in Vado, grazie ai Vigili del Fuoco

7258Sono dovuti passare 7 lunghi anni perché uno dei capolavori dell’arte ferrarese tornasse a svettare completamente restaurato. Lo scorso 15 maggio, infatti, l’Incoronazione della Vergine dipinta da Carlo Bononi intorno al 1617, è stata ricollocata dalla squadra SAF (Speleo Alpino Fluviale) del Comando dei Vigili del Fuoco di Ferrara nella crociera della Basilica di Santa Maria in Vado a Ferrara. Il grande quadro di forma circolare, un olio su tela del diametro di 298 cm. e del peso di 48 kg (oltre ai 10 kg di telaio), era stata rimossa nel 2012 a causa del serio rischio di caduta in conseguenza dell’evento sismico. Una volta a terra, non si era che potuto constatarne il pessimo stato di conservazione a causa dell’azione di volatili, topi, insetti e attacchi microbiologici. Da fine 2018, grazie a un Protocollo di intesa sottoscritto da Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio, Parrocchia di Santa Maria in Vado, Comando Provinciale dei VVF di Ferrara e CIAS – Centro ricerche Inquinamento fisico chimico microbiologico Ambienti alta Sterilità dell’Ateneo estense, è stato possibile pianificare, progettare nel dettaglio e poi porre in opera, un nuovo sistema di ancoraggio per riposizionare la tela sul soffitto, a 27 metri d’altezza, senza gravare sul solaio della chiesa. La squadra SAF ha dunque ancorato la tela con modalità non invasive, disegnate insieme a esperti del CIAS, trovando una soluzione che permetterà anche di riportarlo rapidamente a terra, nel caso fosse necessario. 2017: al via il restauro Due anni fa il CIAS, con il contributo del Consorzio Futuro in Ricerca, si è reso disponibile a finanziare il restauro pittorico dell’opera – eseguito dal prof. Fabio Bevilacqua -, cogliendo l’occasione di poter sviluppare le proprie ricerche, non invasive, in tutte le fasi di recupero del dipinto. In parallelo si è svolto un programma di Alternanza Scuola Lavoro, in collaborazione con il Liceo Classico Ariosto di Ferrara, dedicato all’approfondimento tecnico e umanistico e alla valorizzazione dei beni culturali. Oltre al restauro, era previsto anche uno studio in laboratorio di innovative tecniche di decontaminazione microbiologica a base di batteri probiotici, già utilizzati per la pulizia di ambienti ospedalieri, sotto la gudia della dott.ssa Elisabetta Caselli. Nello specifico, a fine 2018 si è scoperto come i batteri Bacillus sono in grado di combattere i microrganismi cattivi che rovinano i dipinti antichi, essendo “ghiotti” di alcuni pigmenti usati sulla tela, come la lacca rossa e le terre rosse e gialle. Durante il restauro e le ricerche, l’opera era stata temporaneamente esposta nella navata sinistra del Santuario di Santa Maria in Vado, in un allestimento studiato per la fruizione del pubblico, essendo parte integrante del percorso espositivo della mostra a Palazzo dei Diamanti “Carlo Bononi. L’ultimo sognatore dell’Officina ferrarese” (curata da Giovanni Sassu e Francesca Cappelletti), terminata a gennaio 2018. Gli ultimi sei mesi Dalla Relazione tecnica redatta dal Comando Provinciale Vigili del Fuoco di Ferrara e dell’arch. Maddalena Coccagna del CIAS, è possibile ripercorrere a grandi linee gli ultimi mesi prima della ricollocazione dell’opera. Lo scorso ottobre sono state eseguite le prime analisi della documentazione e delle criticità, per arrivare a febbraio con il primo sopralluogo dei VVF, e ad aprile per il secondo. Ciò che è emerso è che il telaio ligneo di supporto del quadro, realizzato in occasione degli interventi svolti negli anni ’90 e posto internamente alla cornice del quadro, era fissato alle travi di copertura della Basilica attraverso un sistema di barre filettate, rimosso nel 2012. Essendo state smontate le placchette metalliche di ancoraggio al controtelaio in fase di restauro, e trattandosi di un metodo di fissaggio che non consente una sicura e agevole rimozione dell’opera, si è provveduto a modificare il sistema complessivo di sostegno della tela. Il telaio in legno è stato quindi dotato di punti di presa in acciaio inox, fissati tra loro e a barre preforate, sempre in acciaio inox, per non dover forare la cornice in legno di sostegno, per non dover inserire un’eventuale nuova controstruttura in acciaio, che avrebbe appesantito il tutto, per poter gestire agevolmente, dal sottotetto, il bloccaggio delle zanche di fissaggio ai travetti e alle capriate in legno, e, infine, per creare punti di sollevamento ben distribuiti, che non sbilanciassero la tela nelle fasi di sollevamento, utili al posizionamento del quadro all’interno della cornice posta sul transetto. A metà maggio, le giornate decisive: dal 13 al 15 è stata effettuata la verifica dello stato del film pittorico, la stesura di un nuovo strato protettivo, ed è stato realizzato un attacco sulle travi della capriata sovrastante il centro del transetto. Sono stati poi posizionati i cavi di acciaio nei punti di ancoraggio in acciaio fissati al telaio in legno, e la squadra dei VVF si è posizionata nel sottotetto, in corrispondenza del transetto, dove sono state calate due funi centrali per consentire il sollevamento della tela. Il 16 maggio scorso, sono infine stati chiusi i fori di passaggio dei cavi e pulito e smontato il cantiere: la Vergine Maria raffigurata dall’artista ferrarese, è tornata a vegliare dall’alto sull’intera comunità.

“Corresponsabilità” per restituire edifici e opere alla comunità

I lavori di restauro e ricollocazione del tondo di Bononi sono stati pubblicamente illustrati nella tarda mattinata di lunedì 20 maggio nel chiosto di Santa Maria in Vado. Dopo i saluti del Rettore del Santuario di via Borgovado, don Fabio Ruffini, ha preso la parola il Sindaco Tiziano Tagliani per sottolineare “l’importante collaborazione fra Comune e Regione per l’accesso ai fondi post-sisma” e come “un’intera città in questi anni si sia unita per risolvere problemi e per restituire edifici e opere d’arte”. Tagliani ha inoltre ricordato come “Ferrara, al pari di Carpi, sia la città con la percentuale più alta di domande di ricostruzione accolte e di cantieri avviati”. Don Stefano Zanella, alla guida dell’Ufficio Tecnico-Amministrativo della nostra Arcidiocesi, ha invece ricordato una delle funeste cartoline del sisma del 2012, un’altra immagine mariana vittima della furia sismica: quella grande statua della Madonna che ornava la Basilica, precipitata al suolo schiantandosi sul sagrato, per poi essere ricostruita ed esposta nel chiostro del Santuario. Una piccola parentesi don Zanella l’ha aperta poi per accennare ai lavori all’interno della Cattedrale cittadina. Le notizie non solo delle migliori, in quanto si deve ulteriormente rimandare la riapertura, seppur parziale, dell’edificio. Riapertura inizialmente prevista per il prossimo settembre, ma che dovrà slittare in quanto, nello svolgere le indagini sugli otto pilastri portanti, è emerso come le strutture degli stessi siano tra loro differenti. I lavori stanno comunque riportando alla luce anche bellezze celate: in un pilastro, infatti, è stato trovato il capitello e il pilastro originale medievale. E’ toccato poi al Direttore del CIAS di Unife, Sante Mazzacane, spiegare le ricerche svolte e specificare come queste continuino e continueranno ancora, prima di riflettere su come il lavoro sul tondo del Bononi abbia permesso anche di effettuare alcune migliorìe, come ad esempio quella riguardante la nuova illuminazione a led dell’abside, mentre è prevista anche la pulizia e il restauro del portale dell’edificio. “Questi beni artistici – ha spiegato Mazzacane – sono una prosecuzione del nostro io, del nostro essere”, beni comuni da tutelare e valorizzare, anche trasmettendone la passione ai più giovani. Anche per questo, il CIAS ha coinvolto diversi studenti del Liceo Ariosto, i quali, nel periodo di alternanza scuola-lavoro, sono venuti nei laboratori dell’Ateneo per assistere al lavoro. Dopo la proiezione del video delle varie fasi di ricollocazione, ha quindi preso la parola Pietro Di Risio, Comandante provinciale dei VVF, il quale ha posto l’accento sui due problemi principali che si sono dovuti affrontare: l’accessibilità della struttura, per poter arrivare nel sottotetto, e lo studio del sistema di ancoraggio che risultasse più adatto. La soluzione adottata è stata quindi quella di ancorare l’opera alle travi, quindi alla struttura portante, in modo simile a come si usa per i lampadari.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 maggio 2019

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“Ama, conserva e conquista la pace”: Veglia ecumenica di preghiera a S. Maria in Vado

8 Lug

Veglia 1

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Amare, conservare e conquistare la pace: intorno a questi tre verbi è ruotata l’omelia tenuta da Mons. Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, durante la Veglia Diocesana di preghiera ecumenica svoltasi la sera di sabato 7 luglio nella Basilica di Santa Maria in Vado a Ferrara. Una “preghiera di comunione” nata con l’intento di accompagnare il pellegrinaggio di pace e di unità che il Santo Padre Francesco ha svolto a Bari il giorno stesso insieme ai diversi Patriarchi e Capi di Chiese e Comunità cristiane del Medio Oriente.

Nella nostra Diocesi la Veglia ha assunto un significato ancor più particolare in quanto primo momento pubblico col nostro Arcivescovo all’interno della neonata Unità Pastorale “Borgovado”. La Veglia ha visto la presenza sull’altare, al fianco di Mons. Perego, di padre Vasile Jora,  rappresentante della comunità Ortodossa rumena nel nostro territorio, e di padre Oleg Vascautan, alla guida della locale comunità Ortodossa moldava. Tante le persone presenti, diversi i diaconi e i laici che si sono alternati sull’altare per le preghiere e le letture, intramezzate dai canti accompagnati all’organo dal prof. Francesco Tasini del Conservatorio “Frescobaldi”.

Nell’omelia Mons. Perego ha spiegato come “anche noi piangiamo per la sofferenza, la fuga e la morte di tanti nostri fratelli della Terra santa e del Medio Oriente. Non possiamo restare indifferenti”. Citando Sant’Agostino –  “Ama la pace, conserva la pace, conquista la pace: essa sarà più profonda quanto più sarà posseduta dal maggior numero di persone” – ha dunque riflettuto su come innanzitutto “siamo chiamati non solo a rifiutare la violenza, nelle parole e nei gesti, ma a costruire percorsi di dialogo, di accoglienza, di prossimità”. Proseguendo ha spiegato come “indebolire le condizioni della pace, cioè indebolire lo sviluppo, la responsabilità, la democrazia, il rispetto del creato e delle creature significa creare condizioni per non custodire la pace”, e come questa “va costruita giorno per giorno, creando le condizioni di rispetto, giustizia, solidarietà, uguaglianza”.

Infine, un pensiero alla nostra terra: “preghiamo perché Ferrara sia una ‘città della pace’, e perché ogni città e paese della nostra Chiesa di Ferrara-Comacchio – per usare le parole di Papa Francesco – sia ‘uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti” (E.G. 180)”.