
Si intitola “Senza paura” il volume della giornalista ferrarese: l’8 febbraio a Casa Cini la presentazione pubblica assieme al nostro Arcivescovo
di Andrea Musacci
«Quando ascolti, devi essere in grado di cogliere non solo i fatti, ma le singole personalità». Questa sorta di “promemoria” o di primo comandamento del giornalismo, Dalia Bighinati lo pone nell’introduzione del proprio libro “Senza paura. Geniali, libere, coraggiose: Ventisei ritratti di donne che non si sono arrese” (Book ed., 2024). Leggendo le pagine del volume, possiamo dire ancora una volta che l’autrice è stata in grado di incarnare questa “legge” che dovrebbe guidare non solo chi fa il nostro mestiere ma ogni relazione. Volto storico di Telestense, Bighinati presenterà “Senza paura” il prossimo 8 febbraio alle ore 16.30 a Casa Cini, Ferrara. Per l’occasione, dialogherà col nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego e l’incontro sarà moderato da mons. Massimo Manservigi, Direttore de “La Voce” e dell’Ufficio diocesano Comunicazioni Sociali.
“Donna, vita, libertà” è lo slogan divenuto famoso nel mondo soprattutto dall’autunno 2022, grazie alle manifestazioni e alla ribellione delle donne iraniane contro l’opprimente regime degli Ayatollah. E quelle tre parole sono quelle che risuonano anche in tutte le storie che Bighinati racconta, attraverso incontri, interviste e approfondimenti nel corso degli anni: troviamo ritratti di donne famose (Rita Levi Montalcini, Rigoberta Mentchu, Letizia Battaglia, Laura Boldrini, Elly Schlein), altre meno celebri, altre ancora legate alla nostra città (Simonetta Della Seta, Laura Ramaciotti, Monica Calamai, Mariella Ferri).
DONNE SALVATE DA ALTRE DONNE
Accenneremo qui solo ad alcune di loro, che in parte verranno raccontate durante l’incontro dell’8 febbraio.
Sono due, nel libro di Bighinati, i profili di religiose, entrambe impegnate nell’ambito della lotta alla tratta delle donne. La prima è suor Eugenia Bonetti, Missionaria della Consolata classe ’39 di origini milanese, che nel ’91 obtorto collo accetta la volontà dei suoi Superiori e torna dalla missione in Kenya (dove si trovava dal ’67) per stare vicino ed aiutare le tante donne obbligate a prostituirsi lungo le strade di Torino. «Non è stato facile accettare – è scritto nel libro – di non tornare più nella mia amata Africa». “Help me, sister, help me”, l’ha implorata un giorno Maria, giovane obbligata a prostituirsi. «È stata lei – confessa – a farmi capire che la missione non è un fatto di geografia, ma è dove porti la luce di Dio». «Queste ragazze – dice suor Eugenia – sono merce in vendita per il racket dei trafficanti, il cui obiettivo è di sfruttarne i corpi fino allo sfinimento».
Suor Rita Giaretta, classe ’56, è invece un’Orsolina residente a Roma dove ha aperto Casa Magnificat che, assieme a Casa Rut a Caserta, accoglie donne salvate dallo sfruttamento e dalla prostituzione, dando loro la possibilità di rinascere a nuova vita. «Sulla strada – sono parole di suor Rita citate nel libro – non ci siamo mai sentite delle salvatrici, ma soltanto donne che incontravano altre donne. Per noi era importante posare su di loro uno sguardo di benevolenza, di amore e di rispetto che le facesse sentire di nuovo persone». Nel libro spazio anche per la storia della nigeriana Joy, 31 anni, salvata dalle strade di Castel Volturno dov’era obbligata a prostituirsi, accolta a Casa Rut per 8 anni. Lo scorso ottobre si è sposata, suor Rita l’ha accompagnata all’altare. La sua storia è raccontata anche nel libro “Io sono Joy” (Edizioni San Paolo), con prefazione di Papa Francesco.
Un’ulteriore e specifica denuncia di suor Rita trova spazio nelle pagine del volume di Bighinati: «La pandemia e il lockdown – dice – hanno fatto diminuire la prostituzione lungo le strade di periferia, ma le ragazze non sono scomparse. Sono diventate soltanto meno visibili, costrette ad esercitare negli appartamenti e a prestarsi al sesso on line. Il fenomeno resiste, ma è più difficile da quantificare».

ARMENIA, HAITI, RWANDA: SPERANZE NELL’ORRORE
Il volume di Bighinati si apre col doloroso e coraggioso ritratto della scrittrice italiana di origini armene Antonia Arslan, dal 2021 cittadina onoraria di Ferrara e che lo scorso 16 gennaio nel Ridotto del Comunale della nostra città ha presentato la nuova edizione de “La masseria delle alloddole”. Nel libro di Bighinati, Arslan racconta la sua scelta di raccontare le vittime – soprattutto femminili – del genocidio armeno: «Non è stato facile prendere questa decisione, ma era importante farlo anche per onorare le donne armene. Il disegno che guidò il genocidio era di uccidere subito gli uomini e di deportare le donne nel deserto, avviarle ad una morte lenta e terribile, fra stenti, stupri, violenze di ogni genere».
Dall’Armenia a un Paese lontano, Haiti, ancora oggi depredato da USA e da alcuni Paesi europei delle proprie ricchezze e della propria bellezza. Nel libro ne parla la scrittrice Yanick Lahens. Inevitabile partire dal tremendo terremoto che ha colpito il suo Paese nel gennaio 2010, con 230mila morti e milioni di persone senza casa, cibo né acqua. 71 anni, Lahens dopo gli studi in Francia ha deciso – a differenza di molti altri – di tornare subito a vivere nel suo Paese, impegnandosi a livello statale anche in progetti formativi e culturali. Come scrive Bighinati, Lahens «denuncia con forza la vergogna della schiavitù ancora presente nell’isola e difficile da sradicare». Si pensi solo al fatto che a volte i bambini «sono ceduti dalle madri più povere a famiglie benestanti o semplicemente meno povere, in cambio della possibilità di sfamare il resto della famiglia. Sono bambini comprati per essere sfruttati nei lavori più umili». «Essere donna – dice Lahens – in molti posti del mondo è una sfida. Lo è anche ad Haiti».
Da Haiti ci spostiamo ancora in un’altra parte del globo per incontrare Honorine Mujyambere (foto), ingegnere rwandese 43enne che nel 2008 ha potuto conseguire un Master in Italia grazie al Soroptimist club di Ferrara e d’Italia. Master di Economia Applicata all’Urbanistica utile anche per progetti di sviluppo di diversi Paesi africani. Ma Mujyambere è anche tra le sopravvissute del genocidio del 1994 nel suo Paese, quando oltre 800mila Tutsi furono barbaramente uccisi dagli Hutu. In quello sterminio Mujyambere perse i genitori e un fratello. Ora è sposata, ha due figli e vive nell’hinterland milanese. Un segno forte di speranza.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 gennaio 2025
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