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Morire per la patria terrena col cuore nella Patria celeste

16 Apr

Le ultime memorie di partigiani cattolici italiani uccisi dai nazifascisti: «alla fine rimane solo ciò che è santo e si implora Dio»

di Andrea Musacci

«Avevamo vent’anni e oltre il ponte

oltre il ponte ch’è in mano nemica

vedevam l’altra riva, la vita

tutto il bene del mondo oltre il ponte.

Tutto il male avevamo di fronte

tutto il bene avevamo nel cuore

a vent’anni la vita è oltre il ponte

oltre il fuoco comincia l’amore».

(“Oltre il ponte”, I. Calvino, S. Liberovici, 1959)

Dai dati dell’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (www.straginazifasciste.it) risultano 5.862 gli eccidi nazifascisti commessi in Italia fra l’8 settembre ’43 e il 25 aprile ‘45, nei quali hanno perso la vita 24.384 persone (53% civili, 30% partigiani). Fra i tanti resistenti antifascisti giustiziati in questi 20 mesi, non pochi sono i cristiani (perlopiù cattolici e  alcuni valdesi della Valle del Pellice). Perlopiù inquadrati nelle Brigate “Fiamme Verdi”, i partigiani che alla Fede in Gesù Cristo univano quella in una patria terrena fondata sulla fraternità, la libertà e la giustizia portano con sé memorie di eroismi che a noi paiono davvero d’altri tempi. Il beato Teresio Olivelli, il beato e Giusto tra le Nazioni Odoardo Focherini, entrambi morti nel Campo di concentramento tedesco di Hersbruck, sono alcuni dei laici martiri più noti, oltre a tanti nomi di partigiani cattolici famosi come Giuseppe Dossetti, Tina Anselmi, Enrico Mattei, solo per citarne alcuni. 

Ma rileggendo le Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana (prima edizione: Einaudi, 1952) sono tanti i nomi di giovani cattolici che consapevolmente han dato la vita affinché il male radicale incarnato dal nazifascismo non dominasse l’avvenire della propria patria.

Qui ne citeremo – per mere ragioni di spazio – solo alcuni. Uomini (e una donna) che già pregustavano l’Eternità, l’incontro col Signore della vita e della morte. Loro, quasi tutti giovani contadini, operai, studenti, che anche quando scelsero come luogo di azione politica le brigate comuniste o socialiste, mai persero la fede in Cristo.

UNA GRANDE CERTEZZA

Meccanico 20enne torinese, Armando Amprino viene fucilato il 22 dicembre ’44; scrive poco prima di morire: «Vado alla morte tranquillo assistito dal Cappellano delle Carceri che, a momenti, deve portarmi la Comunione (…). Dietro il quadro della Madonna, nella mia stanza, troverete un po’ di denaro. Prendetelo e fate dire una Messa per me. La mia roba, datela ai poveri del paese». 

Mario Bettinzoli (Adriano Grossi, nome di battaglia, e così d’ora in poi per i nomi tra partentesi), perito industriale bresciano di 22 anni, lascia nella sua missiva: «spero mi perdonerete come il Signore mi ha perdonato qualche minuto fa per mezzo del suo Ministro. Domattina prima dell’esecuzione della condanna farò la Santa Comunione e poi…Ricordatemi ai Rev. Salesiani e ai giovani di A.C. affinché preghino per me».

32enne bibliotecario originario de L’Aquila, Giulio Biglieri viene invece fucilato a Torino il 5 aprile ’44. Due giorni prima, scrive all’amico Borasio: «Un amico mi ha convinto a prendere i sacramenti. Mi sono già confessato, tra poco mi comunicherò. Lo faccio non tanto perché sia giunta finalmente la fede che tu hai. No, purtroppo, ma dal profondo dell’anima il gesto di umiltà e di pace ha riguadagnato le sfere della coscienza. Ne sono lieto e muoio tranquillo: se Dio c’è, Esso non potrà scacciarmi lontano».

È stato invece fucilato il 3 marzo 1945 a Torino Alessandro Teagno (Luciano Lupi), perito agronomo di 23 anni, che al papà scrive: «Abbi fede anche tu in Dio. Io non l’ho avuta per lungo tempo. Ma ora ho la certezza che una Giustizia Suprema deve esistere!».

«UN LUOGO PIÙ BELLO, PIÙ GIUSTO E PIÙ SANTO»

Studente romano in ingegneria, Mario Batà ha 26 anni quando viene fucilato dai tedeschi a Macerata. Scrive poco prima ai genitori: «Pensate che non sono morto, ma sono vivo, vivo nel mondo della verità. (…). La mia anima sta per iniziare una nuova vita nella nuova era. Desidero che la mia stanza rimanga com’è…io verrò spesso».

«Quello che io sto per passare è niente in confronto di tutto ciò che a passato e sofferto Gesù Cristo per noi, e sono contento che in questo momento ce qui il sacerdote che mi assiste e mi consola»: così scrive alla madre Paolo Casanova, umile fornaio 21enne di Altamura, fucilato a Verona il 9 febbraio ‘45.

Un sacerdote, don Aldo Mei, 32 anni originario di Lucca, fucilato il 4 agosto ’44 nella sua città, scrive, invece, ai propri cari: «Dio non muore. Non muore l’Amore! (…). Raccomando a tutti la carità. Regina di tutte le virtù. Amate Dio in Gesù Cristo, amatevi come fratelli. Muoio vittima dell’odio che tiranneggia e rovina il mondo – muoio perché trionfi la carità cristiana». 

Il ragusano Antonio Brancati, studente 23enne, è una delle vittime dell’eccidio di Maiano Lavacchio (GR): «Dispiacente tanto se non ci rivedremo su questa terra», scrive ai genitori; «ma ci rivedremo lassù, in un luogo più bello, più giusto e più santo».

SOCIALCOMUNISTI E INSIEME CRISTIANI

È un’umile casalinga savonese di 25 anni, Franca Lanzone, la partigiana comunista che così scrive al marito Mario prima di essere uccisa il 1° novembre ‘44: «Dio solo farà ciò che la vita umana non sarà in grado di adempiere». E un altro giovane comunista, Pietro Binetti (Boris), meccanico 20enne genovese, fucilato il 1° febbraio ’45, scrive: «Ciò che ho fatto è dovuto al mio fermo carattere di seguire un’idea e per questo pago così la vita, come già pagarono in modo ancora più orrendo ed atroce migliaia di seguaci di Cristo la loro fede». 

Quinto Bevilacqua, operaio mosaicista di 27 anni nato a Marmorta (BO), scrive alla madre: «Tuo figlio è innocente dell’accusa che gli hanno fatto, perché accusato di terrorismo (…) ed invece non era che un semplice socialista che ha dato la sua vita per la causa degli operai tutti». Ma poi aggiunge rivolto a entrambi i genitori: «se dall’al di là è possibile venirvi a trovare non mancherò».

MISERICORDIA DI DIO E PERDONO DEGLI UOMINI

Aveva appena 23 anni, invece, Attilio Martinetto (foto), finanziere astigiano fucilato il 25 aprile 1945 (!) a Cuneo. Alla sua fidanzata Anna Maria (alla quale donò la vita facendosi arrestare al suo posto affinché lei fosse liberata) scrive, poche ora prima della morte: «Sai Anna Maria cosa rimane all’ultimo di tutto? Solo quello che è santo e puro della vita. (…). Anna Maria, sapessi mai cos’è la vita vista dalla soglia dell’eternità, quale miseria (…). La fede ci fa provare orrore, ma nell’istante stesso, ci dice che Dio è infinitamente grande. E allora si implora la sua misericordia».

E il vivere la misericordia di Dio può portare persino a perdonare i propri carnefici: il torinese Giovanni Mecca Ferroglia, elettricista di 18 anni, fucilato l’8 ottobre ’44 a Torino, scrive riprendendo alcune delle parole di Gesù sulla croce: «Quelli che mi hanno condannato li perdono perché non sanno quel che si fanno». 

Come Giancarlo Puecher Passavalli (20enne dottore in legge, milanese, fucilato il 21 dicembre ’43 a Erba): «Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno quello che fanno e non sanno che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia». E così scrive il 52enne possidente e studioso Gian Raniero Paulucci de Calboli Ginnasi, forlivese fucilato il 14 agosto ’44 nella sua terra: «Abbiate fede e sappiate perdonare, tutto e tutti».

Ecco il più grande lascito umano che questi uomini e queste donne ci han donato: far nascere un mondo nuovo all’insegna della comunione, della fede e della libertà, dove non vinca il rancore, la competizione, il disprezzo. Siamo stati capaci di esserne degni eredi?

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 aprile 2025

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