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Guerra Israele-Palestina, il card. Pizzaballa: «Contro la logica dell’odio puntiamo sui “risorti”»

7 Giu

In un mare di odio e diffidenza crescenti, non mancano tra ebrei, cristiani e musulmani i “ponti di pace”. Il Patriarca di Gerusalemme in collegamento col Santuario del Poggetto ha analizzato la drammatica situazione. Tra miseria, rabbia e speranza

di Andrea Musacci

Unire e riunire le persone, le comunità, i popoli. Cuori e collettivi dilaniati dal dolore, attraversati dall’odio e dal rancore. Ed essere ponte di pace, fonte di perdono senza tralasciare la giustizia, chiamando il male e i responsabili col loro nome. È questo il complicatissimo lavoro che spetta ogni giorno ai cristiani, in particolare a quelli in Terra Santa, che hanno nel card. Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme, una loro guida salda e autorevole.

Nel pomeriggio dello scorso 27 maggio, Pizzaballa si è collegato on line col Santuario del Poggetto, invitato dal Rettore (e suo amico: si veda la “Voce” del 9 maggio 2025) don Giuseppe Cervesi a parlare proprio della situazione in Terra Santa. All’incontro ha partecipato, ed è intervenuto, anche don Vasyl Verbitskyy, guida ferrarese dei fedeli cattolici ucraini di rito bizantino (v. a pag. 9).

ISRAELE DIVISO E IN CRISI ECONOMICA

«Israele è da sempre una società molto composita, vivace a livello culturale e dinamica», ha spiegato il card. Pizzaballa. In essa risiedono «cittadini provenienti da varie parti del mondo». Oggi, però, la differenza principale al suo interno «è tra ebrei religiosi ed ebrei non religiosi, anche se non è sempre facile fare questa distinzione». Da una parte vi è «il mondo nazionalsionista, che sta dando l’impronta all’attuale Governo», dall’altra «quello più liberale e secolare. Due idee di ebraismo e di Stato diverse»: una divisione, questa, che «dopo il 7 ottobre si è accentuata». Come detto, al Governo vi è una «destra sionista con caratteri religiosi, che vuole un Paese con una chiara identità ebraico-religiosa», e che su Gaza pensa che bisogna «continuare la guerra a tutti i costi, con l’obiettivo di distruggere Hamas, liberare la Striscia dai palestinesi e fare in modo che il 7 ottobre non si ripeta più». Mentre l’altra parte, quella “liberale”, «vuole riportare a casa tutti gli ostaggi e finire la guerra. Due sfumature tra loro abbastanza diverse», e con «ulteriori sfumature ognuna al proprio interno». Venendo all’economia, il card. Pizzaballa ha spiegato come «parte della forza lavoro è stata richiamata alle armi dopo il 7 ottobre e ciò ha avuto conseguenze enormi sulle famiglie, sul mondo dell’impresa e del lavoro. Di quest’ultimo aspetto se ne parla poco», ma «edilizia e turismo sono fermi, e impatti si hanno anche sull’hi tech». Inoltre, prima del 7 ottobre «tanti palestinesi della Cisgiordania andavano a lavorare in Israele, e ora molto meno», anche perché il 7 ottobre «ha fatto perdere in tanti israeliani liberali la fiducia nei palestinesi». 

LA SITUAZIONE A GAZA

«Il sud della Striscia è stato livellato dai bombardamenti israeliani e anche il centronord è stato distrutto nelle sue infrastrutture ed edifici pubblici»: così il card. Pizzaballa ha sintetizzato la situazione a Gaza. «Gran parte della popolazione non ha cibo, luce, acqua né assistenza, oltre il 90% della popolazione è sfollata. I bombardamenti sono continui, gran parte della Striscia oggi è occupata dalle forze israeliane. Le scuole sono usate come rifugio e molte famiglie vivono nelle tende all’aperto». Venendo alla possibile efficacia della guerra, il cardinale ha spiegato che «Hamas come struttura militare è stata sì in gran parte decimata ma Hamas è di più, è un movimento e un’ideologia e quindi le linee arretrate son diventate quelle avanzate. Questa guerra ha causato un bacino di odio enorme negli abitanti di Gaza, e quindi tanti nuovi potenziali militanti per Hamas». Inoltre, «la maggior parte degli ostaggi è morta» ed «è molto difficile prevedere la fine della guerra».

I CRISTIANI A GAZA E CISGIORDANIA

«Sono 500 i cristiani rimasti a Gaza, cattolici e ortodossi, tutti asserragliati in parrocchia», con 6 religiosi della Famiglia religiosa del Verbo Incarnato (tre sacerdoti e tre suore), oltre a 4 Missionarie della Carità (l’ordine di Madre Teresa di Calcutta). La comunità comprende anche «una struttura per disabili gravi, in gran parte musulmani». 

«Per tenere occupati i bambini – ha proseguito Pizzaballa – facciamo qualche attività in oratorio a a scuola. Abbiamo riserve di cibo, ma stanno finendo: entro 2 settimane dobbiamo trovare una soluzione. Ad oggi nessuno può entrare al nord della Striscia». Inoltre, nella struttura «c’è un’unica cucina per tutti, con un forno a legna», legna che «prendiamo dalle case distrutte. Si cucina 1-2 volte alla settimana. Da mesi non vediamo frutta e verdura». Nonostante tutto, una nota positiva: delle 500 persone cristiane lì residenti, 100 sono bambini, 3 dei quali nati dopo il 7 ottobre 2023: insomma, «la vita nasce ancora».

Per quanto riguarda, invece, la Cisgiordania, «abbiamo una 30ina di parrocchie: i preti mi chiamano continuamente dicendo che alcuni coloni israeliani sono sempre più aggressivi, saccheggiando sempre più i contadini palestinesi: non sappiamo cosa fare, a chi chiedere giustizia, l’Autorità Nazionale Palestinese è debole e quella israeliana non interviene. Lì la situazione è disastrosa: non ci sono più pellegrini dall’estero e non è più possibile andare a lavorare in Israele». Come comunità cattolica – prosegue – stiamo cercando di inventarci piccoli lavoretti per aiutare la popolazione».

7 OTTOBRE 2023: EFFETTI DURATURI

Il card. Pizzaballa ha poi tenuto a ricordare come la guerra in corso sia solo l’ultima di un ben più storico conflitto israelo-palestinese. «Viviamo uno dei momenti più difficili qui», ha aggiunto. «Il 7 ottobre ha segnato in maniera profonda la vita di Israele: c’è un pre e un post 7 ottobre, non si tornerà più a come si era prima di quell’orribile strage che ha prodotto circa 1200 vittime, con 250 persone prese in ostaggio. Uno shock tremendo per Israele, nato per dare una casa agli ebrei, e una casa che fosse sicura». E, aspetto di cui si parla poco, «la maggior parte delle persone uccise o sequestrate quel 7 ottobre erano di sinistra, pacifiste, che quindi si son sentite tradite dai palestinesi». Per quanto riguarda quest’ultimi, «alcuni di loro giudicano il 7 ottobre una necessità, altri una strage causata dalle ingiustizie che vivono fin dal 1948. Prima del 7 ottobre – ha proseguito il Patriarca -, per molti di loro la questione palestinese era dimenticata, ed era iniziata una normalizzazione fra i Paesi arabi e Israele». Per Hamas e il resto dell’estremismo palestinese era quindi «fondamentale fermare questo processo di normalizzazione e riportare l’attenzione sulla questione palestinese».

Il 7 ottobre ha dunque «creato un solco profondo tra israeliani e palestinesi: l’odio e il disprezzo sono enormi, la sfiducia reciproca segna in maniera profonda, ma spero almeno non sia irreversibile, anche se sicuramente ci sarà per molto tempo». Ciò è evidente soprattutto «nel linguaggio, nelle espressioni di disumanizzazione dell’altro, anche nei media». E anche il dialogo interreligioso non va molto bene: «molti ebrei pensano che i cristiani non abbiano condannato abbastanza il 7 ottobre», mentre i palestinesi «si sentono additati come conniventi» dei terroristi di quella strage. Per il card. Pizzaballa «è anche difficile capire le conseguenze politiche» di questa situazione, com’è difficile «negoziare se non si hanno obiettivi precisi: tutto ciò crea una forte sensazione di sospensione e incertezza».

QUALI POSSIBILI VIE D’USCITA?

Un’analisi realistica, dunque, quella di Pizzaballa. Di quel realismo che un cristiano non può non avere, unita alla Speranza nelle persone: «oggi parlare di fiducia, di futuro sembra – a molti – parlare di aria fritta. Dare concretezza a questa verità di fede e di vita non è per nulla semplice». Com’è difficile «essere una voce libera, capace di dire la verità senza diventare parte del conflitto: non posso e non voglio essere né la voce dei palestinesi né degli israeliani, ma solo della Chiesa». Chiesa che «deve diventare la voce dell’intera comunità e del suo dolore», affinché «non cada nella facile tentazione dell’odio e della violenza», ma «impari ad ascoltare il dolore dell’altro». Dire la verità vuol dire sia essere «voce di condanna» sia «aprire orizzonti: nessuno ha il monopolio del dolore». 

A una domanda precisa di don Cervesi sul Santo Padre, il card. Pizzaballa ha poi risposto spiegando come «ora non ci sono le condizioni perché venga in Terra Santa», ma «prima o poi verrà». Diplomazia e dialogo sono ciò che serve, ma «i Paesi arabi mi sembrano più impegnati a pensare a cosa ci sarà dopo la guerra piuttosto che a pensare a come farla finire». Insomma, per ora «non si vede una via d’uscita: ci vorrebbe una leadership religiosa e una politica, ora assenti», e ci vorrebbe «un perdono che non dimentichi la giustizia, che quindi a livello collettivo chiami il male e le responsabilità coi loro nomi».

Per Pizzaballa è dunque necessario «costruire una solida narrazione alternativa, basata sulle Scritture e sulla storia, e che considera l’altro» e le sue ragioni. In questo, i cristiani «possono rivestire un ruolo molto importante, proprio perché sono “deboli”, cioè non sono una potenza. Ci sono tanti esempi, anche in questo contesto, di persone che sanno amare, che rifiutano la logica dell’odio; e non vi sono solo tra i cristiani, ma anche tra gli ebrei e i musulmani. Io li chiamo i “risorti”».

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Ebrei, musulmani, cristiani: i numeri

In Israele sono ca. 7,5 milioni gli ebrei, 1,5 milioni gli arabi musulmani e 130mila gli arabi cristiani. E 100mila i lavoratori stranieri: tra le vittime del 7 ottobre, vi erano, infatti, anche indonesiani e filippini. Sono invece ca. 5 milioni i palestinesi, di cui 2 milioni a Gaza. Infine, a Gerusalemme vi sono 6-700mila ebrei, 300mila musulmani e 10mila cristiani.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 6 giugno 2025

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