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Quella santa contraddizione che ci libera e ci ricorda chi è Dio

21 Nov

DON FABIO ROSINI A FERRARA. Il Cinema di San Benedetto era pieno la sera del 12 novembre scorso per la presentazione del suo ultimo libro “Ma anche no”

Esiste un distacco che ci avvicina agli altri, uno svuotamento che riempie la vita, una relativizzazione che ci fa incontrare la Verità.

È questa la provocazione intellettuale – e di fede – che don Fabio Rosini lancia nel suo ultimo libro, “Ma anche no. La sfida della complessità e l’arte dell’et-et” (San Paolo Edizioni, 21 ottobre 2025, 18 euro). Libro che ha presentato la sera dello scorso 12 novembre nel  Cinema San Benedetto di Ferrara, davanti a una sala piena di persone (mentre la mattina successiva nel Seminario di via Fabbri ha relazionato al solo clero sul Vangelo secondo Matteo).

Il sacerdote romano – introdotto dal nostro Vicario Generale e Direttore Ufficio Comunicazioni Sociali mons. Massimo Manservigi, è andato – com’è nel suo stile – a cuore del discorso: «farsi degli idoli, farsi un film», come si usa dire nel gergo comune, è un vizio molto diffuso. Invece, dovremmo imparare la difficile arte dell’et-et, non dell’aut-aut, non delle «assolutizzazioni».

Et-et che è contraddizione, complessità, ma in realtà anche «equilibrio»: com’era – ad esempio – una volta nel saper vivere la ferialità e la festività della domenica, tradizione oggi perduta. O dal ricordarsi (!) – contro ogni tentazione fluid – che «la vita nasce dal maschile e dal femminile, e quindi chi li nega, nega la vita». Così, un altro modo di negare la ccomplessità lo vediamo nella «comunicazione politica, dove l’altro è sempre uno schifo, un disgraziato», dove quindi domina «la logica della mostrificazione».

La psicoanalista Melanie Klein – ha proseguito don Rosini – con la sua teoria della scissione ha analizzato bene questo meccanismo: «per sopravvivere  il bambino deve dividere il buono cattivo, ciò che è vita da ciò che è morte», il suo è un processo di autodifesa necessario. Poi però «devi iniziare un processo di integrazione, dove esci da questa scissione primordiale». Ed è «tipico della fede cattolica portare il soggetto a questa maturità», insegnare l’arte dell’et-et, con una fede dove «il Cristo è vero Dio e vero uomo. Tutto ciò che è cattolico implica il suo contrario». E «il contrario di cattolico è “fazioso”». È quindi – questo – «un processo di relativizzazione necessario» perché «c’è sempre qualcosa che ci sfugge, iqualcosa che non vediamo». La realtà «è organica non matematica, implica cioè il suo contrario. Come la Chiesa, che è un corpo», come dice San Paolo: siamo tutti diversi, ognuno è una parte di un corpo e ogni parte è necessaria; se manca una parte, soffri».

Nell’odierna comunicazione – ha proseguito il relatore – oggi dev’essere invece tutto assolutizzato, «trasformato in notizia, tutto deve diventare eccezionale, sensazionalistico, sopra le righe, altrimenti non esiste, non ha valore. E questo spesso viene insegnato ai bambini: “dacci oggi il nostro mostro quotidiano”. René Girard ha spiegato bene questa dinamica del capro espiatorio, secondo cui per sopravvivere dobbiamo avere un nemico comune: così è stato ad esempio per il nazismo con gli ebrei».

Non a caso, «la cronaca nera attira più dello sport, che pure è un’altra forma mimata dell’avere un nemico». Oggi è diffuso «l’orrore di essere sconfitti, di arrivare secondi: per essere mi devo affermare, quindi devo gareggiare, quindi devo vincere». Di conseguenza, «l’invidia è il peccato per eccellenza» («la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo», Sap 2, 24).

Come uscire quindi da questa «dinamica della colpevolizzazione e della rivalità»? Da questo «meccanismo fazioso, contrappositivo, colpevolizzante»? «Facciamo – ho pensato – un libro», per cercare di aiutare ad «evitare innanzitutto di attaccarsi a un dettaglio ma guardare la totalità e la complessità» delle cose e delle persone. Invece noi abbiamo «le nostre idolatrie per superare le nostre incertezze. La sicurezza è bella ma se la assolutizzi diventa dittatura. La verità è importante ma se in suo nome uccidi, diventi un persecutore». È dunque logica conseguenza che «tutti i malvagi pensano di fare del bene e fanno vittimismo, si sentono vittime di altro, si giustificano sempre».

Invece la misericordia nasce «dal sapersi peccatori, dal sapersi cattivi. Il perdono nasce dal sentirsi peccatori, da riconoscere che si sbaglia, nasce quando scopri di non essere perfetto». È – ha proseguito don Rosini – «un processo di kenosis, di svuotamento. Se ti paragoni con gli altri, trovi sempre qualcuno peggio di te; ma se ti misuri con Gesù Cristo, cambi atteggiamento, togli le maschere della presentabilità: maschere che col tempo sono diventate pelle, quindi gabbia».

Per uscire da questa visione, secondo l’autore c’è bisogno innanzitutto di «distacco», cioè «il saper perdere qualcosa per vedere meglio la realtà, per davvero riuscire a metterla a fuoco». Questo perché «ogni scelta implica una perdita» e «chi sceglie è l’adulto», solo l’adulto sa scegliere. Il distacco implica quindi il perdere, il «saper staccarsi dalle cose», non farsi dominare da esse. Implica il «saper dire di no, saper rinunciare». Insomma: «si può lasciare qualcosa», possiamo non avere tutto: sono i pazzi a raccogliere tutto». E il possesso più terribile è quello che riguarda «le idee, il non saperle abbandonare, cambiare». Ma guai a confondere questa necessaria e bella elasticità mentale col relativismo:«spesso anche nella Chiesa vince la piacioneria, il parlare per piacere a tutti, dire ciò che piace a tutti e con un tono “accattivante”…».

Contro questa falsa leggerezza, è invece importante «l’autoironia, il saper ridere di sé stessi, il non prendersi sul serio. Una persona saprà affrontare le proprie pazzie quando saprà essere autoironico». E l’ironia, il distacco, il far ridere, ridere delle cose vuol dire «relativizzarle, guardarle col giusto e necessario distacco».

Altre soluzioni oltre alla preghiera – vale a dire «il fidarsi di Dio, l’abbandonarsi alla Provvidenza, che è qualcosa che aiuta anche la salute mentale…» – sono quei “santi” peccati:la «santa pigrizia»: i veri peccati – ha spiegato don Rosini – «sono faticosi e fanno star male, non sono divertenti, sono un esproprio». Ed essere pigri vuol dire anche – soprattutto per i genitori – non essere sempre interventisti con gli altri, non risolvere sempre i problemi dei figli, ma responsabilizzarli».

E ancora: «la santa avarizia» è molto importante, cioè «il farsi un tesoro vero, essere ricchi della vera ricchezza, quella del Cielo, che nessuno ci può rubare». Infine, il sacerdote ha citato la «santa superficialità, una santa disattenzione» e «il sapersi interrompere, saper scendere dal treno quando si ha torto», il «sapersi contraddire, saper imparare ad aver torto. L’intelligente è chi si contraddice».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 novembre 2025

Vivere la fede in Cristo fuori dai rifugi, nella bella e difficile complessità: don Fabio Rosini a Ferrara

1 Nov

Il 12 novembre alle ore 21 il sacerdote romano sarà nel Cinema San Benedetto per presentare il suo libro appena uscito, “Ma anche no”.Una sfida ai luoghi comuni

di Andrea Musacci

Rischio ricorrente nell’animo umano è quello dell’autoillusione, di crearsi narrazioni di comodo, il tendere «naturalmente alla proiezione, alla sovrapposizione delle nostre paure o delle nostre aspettative, spalmandole sopra la realtà» e sopra l’immagine – autoprodotta – del nostro dio. Di questo – e di molto altro – riflette don Fabio Rosini nel suo ultimo libro, “Ma anche no. La sfida della complessità e l’arte dell’et-et…per salvarsi dalle assolutizzazioni e dalle banalizzazioni” (San Paolo Edizioni, 21 ottobre 2025, 18 euro). Libro che presenterà lui stesso a Ferrara la sera del 12 novembre nel Cinema San Benedetto di via Tazzoli (inizio alle ore 21). 

Don Rosini è volto noto nella nostra Chiesa: romano, biblista, docente di comunicazione e trasmissione della fede alla Pontificia Università della Santa Croce, è molto seguito in particolare dai giovani. Ma questo libro si rivolge a tutti, perché le autoillusioni non conoscono età; e l’effetto di questo meccanismo è porre il bene in noi e il male negli altri, riproponendo a livello relazionale la dinamica schmittiana dell’amico-nemico. Non v’è dubbio: è molto più facile vedere il male (reale o non) nell’altro che non in noi stessi. Così purtroppo è anche nella Chiesa, cioè nei suoi membri quando scelgono di essere del mondo: «È triste constatare – scrive don Rosini – che in molti ambienti ecclesiali, pure i più evoluti, ci sia sempre un nemico contro cui combattere; qualcuno da cui distinguersi, a cui opporsi. Persone da condannare. Per non identificarsi…». Gesù invece sapeva che la propria missione era di stare coi malati, i difettosi, i peccatori (Mt 9,10-13): che la loro miseria (la nostra) aveva bisogno della Sua Misericordia (si ricordi a tal proposito la Lettera Apostolica Misericordia et misera di Papa Francesco, uscita nel 2016 a conclusione del Giubileo). «Rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia», scrisse Sant’Agostino riflettendo sull’incontro di Gesù con l’adultera (Gv 8,1-11). «Le persone oneste non si lasciano bagnare dalla grazia», scriveva Peguy: «ciò che si definisce morale è uno strato che rende l’uomo impermeabile alla grazia».

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Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 ottobre 2025

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(Foto: Pexels – Whicdhemein One)