
Riconoscere la differenza ontologica che distingue la persona dalle altre creature, ma non dimenticando la responsabilità dell’uomo nei confronti del creato. Su questo non semplice crinale si è mossa suor Roberta Vinerba, direttrice dell’Istituto Superiore di Scienze religiose di Assisi, nel suo intervento la sera del 15 settembre nel Monastero ferrarese del Corpus Domini. “Dominare e custodire. Dominare o custodire. Approcci umani di tessitura ecologica” il tema dell’incontro all’interno del programma del Tempo del Creato.
Il 30 settembre, invece, avrà luogo una visita alla scoperta del Bosco di Porporana, guidata dai volontari di A.R.E.A. (Associazione Recupero Essenze Autoctone). Il ritrovo sarà alle ore 17 ai piedi dell’argine del Po, alla fine di via Palantone. Ricordiamo anche che c’è tempo fino al 15 ottobre nella Cappella dei Sacchi del Duomo di Comacchio per visitare la mostra collettiva dal titolo “Che la Giustizia e la Pace scorrano”.
Una fitta rete relazionale
Una 50ina i presenti dalle Clarisse per ascoltare la relazione di suor Vinerba. «Dio ama tutto ciò che ha creato, dunque tutto ciò che esiste è un suo dono», ha spiegato la relatrice. E se la persona è relazione (con Dio, con sé stessa, con gli altri, col resto del creato), allora Dio l’ha posto nella «fitta rete relazione della creazione, un sistema non fisso ma in movimento». Un sistema «vocazionale». Ogni ente, infatti, «ha una sua vocazione, essendo destinato a giungere al Cristo totale che tutto riassume in sé». L’uomo deve diventare consapevole di questa sua posizione nel creato, che gli permette anche di poter cogliere la bellezza intesa come «profondità del mistero di ciò che esiste». In quanto creato da Dio, ogni ente «non può non essere di per sé bello e buono», quindi «indispensabile per la vita personale», dell’uomo, e non utile (o inutile), com’è invece per la mentalità tecnocratica oggi dominante.
Ma all’interno della rete relazionale del creato, l’uomo è l’unico ente che può «porsi coscientemente davanti a Dio», rispondendo così alla sua vocazione. L’uomo è, dunque, «l’interlocutore di Dio». Detto ciò, ogni cosa creata è per Dio (a Lui deve fare ritorno), non per l’uomo, e quindi «noi siamo in cammino – dunque in comunione – con ogni altra creatura», verso Dio.
Appurata questa «alleanza di reciprocità», esiste però – ha proseguito suor Vinerba – una «differenza ontologica e valoriale», in quanto l’uomo è stato creato da Dio in maniera diversa, pur «nell’uguaglianza di dignità» con le altre creature. Non riconoscere questa differenza sostanziale porta a «un egualitarismo errato» e a una «sacralizzazione pagana della natura». Come scritto in Genesi, l’uomo da una parte è chiamato a “dominare” e “soggiogare” la terra, e dall’altra a “custodirla” e “coltivarla”, anzi a «custodirla coltivandola». La vocazione originaria dell’uomo è dunque il lavoro, da cui deriva tutto ciò che definiamo come “cultura” e “giustizia”: una concezione, quindi, antitetica, come accennato, a quella tecnocratica che considera ogni cosa manipolabile, «preda della volontà di potenza dell’uomo». Il concetto di “sacralità” di conseguenza si applica solo alla persona vivente (non a tutto il creato) ma questo comporta una «responsabilità» dell’uomo – assegnatagli da Dio – nei confronti di ogni ente.
Andrea Musacci
(Foto Pino Cosentino)
Pubblicato sulla “Voce” del 22 settembre 2023