
Si è dovuti attendere l’ottava votazione per eleggere il “nuovo” Presidente della Repubblica. Lo stesso Mattarella in più occasioni l’aveva escluso con chiarezza. Quella proposta PD sulla non rieleggibilità
di Andrea Musacci
Tanto rumore per nulla. O meglio, per lasciare (più o meno) tutto così com’è. Sergio Mattarella, 80 anni, è stato eletto per la seconda volta Presidente della Repubblica Italiana. La più alta carica dello Stato, quindi, almeno per questa volta, non andrà al sempre papabile Giuliano Amato, alla “vecchia volpe” Pierferdinando Casini, né agli e alle outsider Elisabetta Belloni, M. Elisabetta Alberti Casellati, Sabino Cassese o Carlo Nordio (solo per citare quelli maggiormente presi in considerazione la scorsa settimana).
Un secondo mandato che, a detta di tutti i leader politici che gli hanno chiesto di rimanere al Quirinale, non sarà “a termine” ma pieno. Ciò vorrebbe dire che Mattarella sarà – prima volta assoluta in Italia – Capo dello Stato per 14 anni consecutivi. L’unico precedente di un Presidente della Repubblica rieletto è quello di Giorgio Napolitano che, entrato in carica una prima volta nel 2006, fu rieletto obtorto collo nel 2013 ma dimettendosi nemmeno due anni dopo.
La Costituzione italiana, ricordiamolo, afferma che la durata del mandato del capo dello Stato è di 7 anni, ma non si esprime sull’eventualità di una rielezione, che quindi è legittima. I padri costituenti, però, come si può immaginare, vedevano come di gran lunga preferibile per uno Stato democratico il settennato, dunque l’alternanza non solo dei parlamentari e dei membri del Governo, ma anche della carica più importante.
Appena un anno fa, nel febbraio ’21, nel messaggio in memoria del Presidente Antonio Segni (per i 130 anni dalla nascita), Mattarella citava un suo messaggio alle Camere del 1963, nel quale espresse «la convinzione che fosse opportuno introdurre in Costituzione il principio della non immediata rieleggibilità del Presidente della Repubblica. In quell’occasione Segni definiva “il periodo di sette anni sufficiente a garantire una continuità nell’azione dello Stato”». Inoltre – aggiungeva Segni – “la proposta di modificazione vale anche ad eliminare qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del Capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione”. Di qui l’affermazione che, “una volta disposta la non rieleggibilità del Presidente, si potrà anche abrogare la disposizione dell’articolo 88 comma 2° della Costituzione, che toglie al Presidente il potere di sciogliere il Parlamento negli ultimi mesi del suo mandato”.
Questa nuova smentita dei padri costituenti è il segno di una grave crisi del sistema politico e di rappresentanza nel nostro Paese. Lo abbiamo visto nei giorni scorsi: da una parte, un eccesso di atteggiamenti di fatto “provocatori”: il candidare a ripetizione personalità anche con incarichi istituzionali importanti (e a volte a loro insaputa), per mettere alla prova le altre forze politiche; il tutto in nome di una travisata idea di trasparenza. Dall’altra parte, un eccesso di prudenza e di attendismo, forma sempreverde di “gattopardismo”; più che tatticismo, vera e propria mancanza di coraggio e incapacità di riconoscere come valide, proposte provenienti dai partiti avversari, che pure ci sono state. Perlopiù, e non è un particolare da poco, perché ha riguardato alcune donne, impedendo così quella piccola “rivoluzione” di una Presidente a capo della nostra Repubblica.
Tra l’altro, stupisce scoprire come lo scorso novembre due senatori del Pd – Luigi Zanda e Dario Parrini – abbiano presentato una proposta di riforma della Costituzione in cui si afferma che il mandato del capo dello Stato potrà essere solo uno, di 7 anni. Niente rieleggibilità, quindi. Chissà se quella proposta almeno ora andrà in porto.
«Tra otto mesi il mio incarico termina, come sapete l’incarico di Presidente della Repubblica dura 7 anni: io sono vecchio, tra qualche mese potrò riposarmi». Così il capo dello Stato Sergio Mattarella rispondeva lo scorso maggio alle domande di alcuni bambini in una scuola primaria di Roma che gli chiedevano del suo futuro.
Parole che risuonano oggi ancor più forti, a dire della scelta difficile e anomala, pur compiuta da convinto servitore delle istituzioni quale sempre ha dimostrato di essere.
Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 4 febbraio 2022
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