Utero in affitto: se il mercato vende anche i bambini (e le relazioni)

1 Apr

In Italia si è riaperto iil dibattito sulla cosiddetta “maternità surrogata”. Chi la sostiene, non rispetta la dignità della donna e del bambino e la bellezza indisponibile della relazione materna. Alcune riflessioni su corpi e contratti

di Andrea Musacci

Nelle ultime settimane, il dibattito sull’utero in affitto si è riacceso dopo che la Commissione Politiche europee del Senato italiano ha respinto il certificato europeo di filiazione che prevede che la genitorialità stabilita in uno Stato membro UE venga riconosciuta in ogni altro Stato membro, senza alcuna procedura speciale (come l’adozione “in casi particolari”), che si tratti di figli di coppie eterosessuali, omogenitoriali, figli adottati o avuti con la maternità surrogata.

In tanti hanno denunciato (totalmente a sproposito) come questa scelta comporterebbe la negazione dei diritti del bambino. Ma chi, prima di questa surreale tesi, aveva il coraggio di sostenere che sia naturale che un bambino/a nasca senza la propria madre? Nessuno. La realtà, però, viene ancora una volta stravolta.

La realtà è che l’utero in affitto è un accordo commerciale fra due o più parti, in virtù del quale una donna si impegna, dietro compenso (in rari casi, a titolo gratuito), a farsi fecondare o a farsi impiantare un ovulo fecondato al fine di portare a termine una gravidanza per conto di uno o più committenti, e a consegnar loro il bambino dato alla luce rinunciando a ogni diritto su di esso. Commercio, committenti, rinuncia a ogni diritto. Bisogna partire da qui, da questi dati di realtà. E dal fatto che «gli aspiranti genitori lo realizzano [il figlio] facendo propria una creatura che viene al mondo per soddisfare» il loro desiderio di essere genitori, «unicamente. Soddisfarlo è la sua ragione di essere». Parole di Luisa Muraro, filosofa femminista (1).

LA DONNA TORNA A ESSERE OGGETTO

La liberazione sognata per secoli dalle donne, dove sarebbe in tutto ciò? La donna diventa mezzo di produzione, negando a sé stessa non solo il generare vita nell’amore, ma anche nel piacere, nel desiderio. «La riproduzione diventa produzione di cui siamo a un tempo mezzi e destinatari», scrive un’altra femminista, Marina Terragni (2): ci si vende (i propri gameti: ovociti e spermatozoi, pratica vietata in Italia) e si compra l’utero di un’altra (pratica altrettanto vietata). 

Il vero antiliberismo e il vero ecologismo oggi non possono non essere anche a tutela della naturalità della riproduzione umana, contro la mercificazione dei corpi (soprattutto delle donne), della parte più intima del corpo. E invece i maître à penser progressisti sono in buona parte schierati col mercato. Dall’altronde, è tipico del neoliberismo spacciare il commercio per libertà, per autorealizzazione. Siamo arrivati all’«autosfruttamento del proprio capitale umano, corporeo e sessuale» (3), scrive Ida Dominijanni, anch’essa filosofa femminista: il neoliberismo tecnicista ci ha chiesto di venderci integralmente, e noi lo stiamo facendo.

RELAZIONE IN VENDITA

Il mercato, quindi, non si ferma nemmeno davanti alla relazione tra la madre e la sua creatura, separandoli, strappando il neonato dal ventre subito dopo il parto. Ha qualcosa di sulfureo tutto ciò: strappare violentemente il legame più naturale, più sacro che esista, arrivando così all’origine della vita, interrompendo una relazione – quella tra creatura e madre – iniziata 9 mesi prima. I committenti non comprano solo un bambino, non affittano solo il corpo di una donna: in un certo senso, comprano anche la loro relazione. 

Ancora Terragni: «È paradossale che alla donatrice di utero si richiedano capacità empatiche straordinarie, al punto di saper provare compassione per perfetti sconosciuti infertili che spesso abitano dall’altra parte del pianeta e che le chiedono aiuto. Ma dal momento in cui l’embrione è impiantato le viene richiesto l’esatto contrario, cioè che rinunci a ogni empatia nei confronti della creatura che ospita». Un contratto commerciale diventa più sacro del legame tra madre e figlia/o.

IL CONTRATTO DI AFFITTO: CONTROLLO PIENO, SULLA VITA E SULLA MORTE

Ma cosa dice questo contratto? Riportiamo solo alcuni passaggi: i committenti possono controllare quasi ogni dettaglio della vita privata della “surrogante” fino al momento della nascita: la dieta, l’esercizio fisico, lo stile di vita, i viaggi. C’è chi pretende che la donna segua una dieta vegana o macrobiologica, chi le vieta di tingersi i capelli. E soprattutto, di non creare alcuna relazione genitore-figlio con il bambino. I compratori hanno anche diritto a tutte le notizie mediche sulla donna, sia sulla sua salute fisica, sia sulle sue eventuali sedute da uno psicologo. I contratti prevedono anche l’accesso diretto dei committenti a tutte le sue cartelle cliniche. E ancora: la “surrogante” non può avere nei 9 mesi nessun rapporto sessuale completo (per questo, spesso vengono scelte donne lesbiche). I compratori si riservano il diritto di far terminare la gravidanza entro 18 settimane. Diritto che possono esercitare a richiesta, in modo assoluto e senza dover addurre alcuna spiegazione o giustificazione. Infine, se alla “surrogante” dovesse capitare una fatalità, e morire, è inutile che abbia fatto testamento biologico: i compratori saranno gli unici ad avere voce in capitolo per tenere in vita la donna, eventualmente legata a una macchina salva-vita, qualora la gravidanza fosse nel secondo o terzo trimestre, per tutto il tempo necessario a raggiungere la vitalità del feto. Il marito della “surrogante”, o un suo parente prossimo, avranno voce in capitolo per il distacco dei macchinari o altri interventi sulla paziente solo dopo la nascita del bambino.

MADRE E CREATURA, UN LEGAME PROFONDO

Nel caso, invece, la gravidanza venga portata a termine senza ostacoli, la donna deve semplicemente sparire. Il suo compito è finito. Si prenda i soldi (sempre pochi, fossero anche 1milione di euro) e scompaia. E stia zitta: ora non è nemmeno più utile, ora deve tornare nel suo nulla, non rivendicare nulla sulla creatura che ha accudito e nutrito per 9 mesi. Come se nella gravidanza non avesse avuto nessuna relazione profonda: chimica, psichica, emotiva. È la scienza ad aver dimostrato questa relazione: a livello fisiologico, della comunicazione comportamentale e di quella empatica. Tra madre e creatura, nel grembo si instaura un legame profondo (“bonding prenatale”). «La relazione tra la madre e il feto – scrive Silvia Bonino, psicologa dello sviluppo (4) – garantisce lo sviluppo neurofisiologico e i primi apprendimenti, con conseguenze che non si limitano alla gestazione e non finiscono con il parto, ma possono durare per tutta la vita». 

MEZZO IN VISTA DI UN FINE

È la reificazione assoluta: la donna serve a qualcosa, è strumentale a soddisfare un desiderio altrui. È portatrice dell’oggetto del desiderio altrui (perlopiù maschile). È – con buona pace di Kant – mezzo in vista di un fine altrui. Perché se il fine (il mio desiderio di possesso di un figlio) è tutto, ogni mezzo è lecito. Il mio desiderio – criterio assoluto – giustifica anche il mezzo estremo: usare l’intimità di una donna.

Con l’utero in affitto, la donna che tanto ha lottato per affermarsi come soggettività libera e autodeterminata, ritorna ad antiche – e al tempo stesso nuove – catene: ancora vittima del maschile, di uomini che possono comprarla, dominarla, fare del suo corpo ciò che vogliono, carne per i propri desideri egoistici, mera fonte di (ri)produzione. I compratori sono anche persone che renderanno per il bambino angosciante domandarsi “chi sono io?”. Che significa anche “chi è mio padre?”, “chi è mia madre?”, e così a ritroso lungo le generazioni. Sono figli senza storia. Figli del dio mercato. Sta a noi salvarli dall’inferno che è stato progettato per loro.

1 L. Muraro, L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto, La Scuola ed., 2016.

2 M. Terragni, Temporary Mother.  Utero in affitto e mercato dei figli, VandA ed., 2016.

3 https://idadominijanni.com/2014/05/15/il-corpo-e-mio-e-non-e-mio/

4 https://psicologiacontemporanea.it/blog/lintima-relazione-tra-feto-e-gestante/

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 marzo 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

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