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Grazia e dolore nel volto del Crocefisso: Celiberti in mostra a San Paolo

18 Giu
Foto Roberto Targa


L’importante progetto espositivo nella chiesa della Conversione di San Paolo in piazzetta Schiatti a Ferrara. Il 14 giugno un centinaio i presenti per omaggiare il maestro 96enne Giorgio Celiberti: protagonisti, la commozione e la gratitudine

Erano un centinaio i presenti nel pomeriggio di sabato 14 giugno nella chiesa di San Paolo a Ferrara che, sfidando il caldo e l’orario, hanno partecipato all’inaugurazione del progetto espositivo  “I volti della Passione”, con opere di Giorgio Celiberti, artista udinese di 96 anni di fama internazionale. La mostra è stata organizzata dallo Studio Giorgio Celiberti assieme all’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio e alla chiesa della Conversione di San Paolo. L’intenso pomeriggio ha visto i saluti del nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego e gli interventi di mons. Massimo Manservigi, Vicario Generale e Presidente dell’UP San Paolo-S. Stefano, mons. Stefano Zanella, Direttore Ufficio Tecnico Amministrativo Diocesano, dello stesso Celiberti (visibilmente commosso) e di Romeo Pio Cristofori, Conservatore del Museo della Cattedrale. A seguire, vi è stata la proiezione del documentario “Come il primo giorno” di mons. Manservigi, realizzato con la fondamentale collaborazione di Giovanni Dalle Molle e Giovanni Zardinoni.

Nel documentario, il fil rouge è la commozione davanti ai dolori e alle grazie dell’esistenza: in esso, Celiberti, ad esempio, racconta commosso dello zio pittore Angilotto Modotto, figura centrale nella sua vita, del gatto morto 6 mesi prima perché avvelenato, del libro con i pensieri dei bimbi di Terezin. dell’incontro nel ’48 alla Biennale di Venezia alla quale partecipò, con l’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che lo salutò e incoraggiò. Su tutto, il Cristo che sempre l’ha accompagnato e il cui sacrificio «sempre sento vicino»: insomma, una figura «che ho sempre con me, sempre».

IL PATRIARCA E LA CROCE

«Giorgio è il nostro patriarca: ci precede tutti, sia come età sia come spirito e voglia di vivere», ha detto mons. Manservigi parlando di Celiberti. Celiberti che – ha rivelato poi mons. Manservigi – «sta lavorando a una personale interpretazione della Croce di Gerusalemme, con l’intenzione di donarla a Papa Leone XIV il giorno del suo compleanno, il 14 settembre, Festa dell’Esaltazione della Santa Croce». La Croce di Gerusalemme è anche il simbolo dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, Ordine che ha visto il 14 giugno a San Paolo la presenza di alcuni suoi rappresentanti da Bologna.

LA MOSTRA

La mostra nella chiesa di San Paolo è visitabile fino al prossimo 6 gennaio il sabato dalle ore 16 alle 19 e la domenica dalle 10 alle 12. Da metà luglio, anche il venerdì, in orari da definire.

L’esposizione, dislocata nei diversi spazi dell’edificio, è pensata come una Via Crucis nelle navate laterali, con 8 bacheche ognuna contenente tre opere raffiguranti il Cristo Crocefisso. Inoltre, all’altare della Madonna del Carmelo vi è il Grande Libro e, nel coro dietro l’altare principale, le 12 Stele (finestre) tra cui alcune dedicate a Terezin. 

ANEDDOTO DEL VESCOVO E INTERVENTO DI DON ZANELLA

Il nostro Arcivescovo, prima del suo intervento (v. il testo integrale a dx) ha raccontato di quando nei primi anni 2000, quand’era Responsabile Area Nazionale per Caritas Italiana, andò a Udine per ritirare un’incisione di Celiberti donata proprio a Caritas Italiana.

Ha preso poi la parola mons.Zanella che ha spiegato come «questa mostra è un’occasione per dimostrare come il nostro Ufficio (Tecnico Amministrativo, che si occupa anche di Beni Culturali, ndr) non è solo un ufficio burocratico ma luogo vivo di idee». In questo «scrigno di arte e architettura, mi auguro che le opere di Celiberti parlino al cuore dei fedeli e dei visitatori». Una mostra, quindi, «che può far vedere a ognuno come ancora sia possibile un dialogo tra Dio, l’arte e la persona».

CRISTOFORI: «CI FA INCONTRARE LA PASSIONE DI CRISTO»

«Celiberti è un artista straordinario, unico», ha poi commentato Cristofori del Museo della Cattedrale. «Se nel silenzio – ha riflettuto – guardiamo con la memoria, la coscienza, l’anima, allora lo sguardo cambia, il cammino ci conduce al volto del Cristo, volto sofferente e carico di dignità, volto che è presenza, volto familiare che sempre ci guarda, che ci è vicino». L’arte, come la fede – ha aggiunto -, ha bisogno di luoghi dove accadere:in questa chiesa, l’opera di Celiberti trova una nuova profondità, si fa memoria, non spettacolo, non racconta ma evoca, ci fa incontrare la Passione», attraverso «un’interrogazione rivolta anche al presente». 

In Celiberti, quindi, «c’è la volontà di trasformare la Storia in segno, in atto poetico», atto che «cerca profondità, tra il segno e la sua resurrezione». 

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 20 giugno 2025

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Il volto santo di Cristo contro l’abisso della vita

5 Apr

L’artista Giorgio Celiberti dialoga con don Masssimo Manservigi: “Come il primo giorno” è il titolo del documentario-conversazione sull’eterna lotta tra luce e tenebre. Ne emerge un ritratto toccante del 95enne udinese

di Andrea Musacci

Provate a immaginare il primo giorno in cui un bambino inizia con le proprie mani a creare un abbozzo di opera d’arte: immaginatene lo stupore, magari ancora confuso nella potenza dell’emozione, e la primissima consapevolezza di poter “ascoltare” la realtà con gli occhi e darle nuova vita, farla emergere dal sempre incombente abisso del nulla.

Questo «spalancato dolore» – che solo la luce del Volto di Cristo può illuminare e redimere – è quello raccontato magistralmente da don Massimo Manservigi nel suo documentario “Come il primo giorno” dedicato all’artista udinese Giorgio Celiberti, proiettato per la prima volta la sera del 25 marzo scorso nel Cinema Santo Spirito di Ferrara. Si è trattato del primo dei tre incontri del ciclo “Ti ho ascoltato con gli occhi”, dedicato al cinema di don Manservigi. Il 25 marzo è stato proiettato anche un altro mediometraggio, “Nzermu. Accesa è la notte”, dedicato a padre Anselmo Perri sj. Due opere realizzate grazie alla fondamentale collaborazione di Giovanni Dalle Molle. 

«Due documentari uniti da un grande senso religioso che ci aiutano a respirare profondamente», ha commentato il nostro Arcivescovo mons. Perego a fine serata. Gli altri due incontri  (inizio ore 21, ingresso gratuito) sono in programma il 29 aprile con una versione inedita del film “L’unica via” dedicato a don Santo Perin, con scene dal backstage. La sera stessa il Cinema S. Spirito ospiterà due piccole mostre dedicate a don Perin, una delle quali inedita e realizzata dall’Ufficio Comunicazioni Sociali della nostra Arcidiocesi. Don Perin (Trissino – VI 3 settembre 1917 – Bando di Argenta, 29 aprile 1945), muore assieme al giovane Giuseppe Filippi per lo scoppio di una mina nel tentativo di recuperare il corpo di un soldato tedesco, per dargli una degna sepoltura. Infine, il 13 maggio, “Laboratorio di immagini. Come nasce un documentario tra narrazione e realtà”. 

IN GIRO PER IL MONDO. MA IL CUORE SI È FERMATO A TEREZÍN

Celiberti nasce a Udine nel 1929 e comincia giovanissimo a dipingere. Una passione, la sua per il disegno, che ha fin da quando era bambino e gli insegnanti notano questa sua “ossessione” e ne rendono partecipi i genitori. L’iscrizione, poi, al Liceo Artistico di Venezia, dove conoscerà quello che diventerà un suo amico e maestro: Emilio Vedova. A 19 anni partecipa alla Biennale di Venezia del 1948, la prima del dopoguerra. A inizio anni ‘50 si trasferisce a Parigi, dove entra in contatto con i maggiori rappresentanti della cultura figurativa d’oltralpe, e nel ‘56 vince la borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione che gli consente di soggiornare a Bruxelles. Dal 1957 al 1958 è a Londra e poi soggiorna negli USA, in Messico, a Cuba, in Venezuela. Al rientro in Italia si trasferisce a Roma, dove frequenta gli artisti di punta del panorama italiano. Verso la metà degli anni ’70, il ritorno a Udine. «Quando ho lasciato Roma – dice nel documentario -, il mio studio l’ho dato a Guttuso». Nel 1965, un episodio che gli cambia la vita: la visita al lager di Terezín, vicino Praga, dove migliaia di bambini ebrei, prima di essere trucidati dai nazisti hanno lasciato testimonianze della loro tragedia in graffiti, disegni, brevi frasi di diario e in un libretto di poesie: «quando sono tornato, ero un’altra persona», dice ancora a don Manservigi. «Terezín è stato uno dei maestri più grandi della mia vita. Lì ho capito cos’è il dolore».

Nel ‘75 realizza i Muri Antropomorfi e in questo periodo si dedica soprattutto alla scultura, anche se la sua attività creativa si caratterizza sempre più per un’originale simbiosi tra espressione plastica e pittorica. Poi, la scultura abbandonerà l’impostazione di grandiosità monumentale per intessere un colloquio privato con le tracce di un passato ancestrale. Celiberti ha partecipato alle più significative manifestazioni d’arte in Italia e all’estero e ha inanellato oltre un centinaio di mostre personali, molte delle quali in diverse capitali europee, oltre che a Tel Aviv e Gerusalemme. Nel 2000, Anno giubilare, realizza una croce di 3 metri nella chiesa di Fiumesino (Pordenone). Nel 2009 sue grandi mostre sono al Museo Ebraico di Venezia, a Roma, all’Abbazia di Rosazzo e a Monaco di Baviera.

VITA INTERIORE DI UN ARTISTA

«Ha 95 anni ma lavora come se ne avesse 35-40. E dimostra una forte sintonia con l’umano in forza della fede, caratteristica che condivide con padre Anselmo Perri». Così don Manservigi nell’illustrare la personalità di Celiberti. L’opera che gli ha dedicato, ci tiene a specificare che più che un documentario è una «conversazione: volevo che si raccontasse in forma di testamento, lasciando in eredità anche parole che non aveva detto a nessuno». Così è stato. Parole incorniciate dalla mitezza del volto e dalla volizione delle mani, dalla dolcezza dei sorrisi, dalle lacrime, magnifiche nella loro umanissima immediatezza.

Nel documentario, la voce di Celiberti si alterna con letture – da parte di Alberto Rossatti (voce storica di Rai Radio 3) – di alcuni brani tratti dal libro di Massimo Recalcati, “Il mistero delle cose. Nove ritratti di artisti” (Feltrinelli, 2016), in cui lo psicanalista dedica un capitolo proprio a Celiberti. «Gli anziani – ha aggiunto don Manservigi a S. Spirito – sono per noi uno stimolo per guardare al futuro con speranza: quest’Anno Santo ce lo ricorda con forza. E a Celiberti ho chiesto proprio di parlarmi della sua speranza».

«Disegno ancora molto volentieri – racconta l’artista nella “conversazione” -, di fianco al mio letto ho sempre della carta, perché anche di notte faccio qualche schizzo o appunto che poi durante la giornata porto avanti col colore». Una vera e propria febbre, la sua, ulteriormente alimentata dall’insonnia. «Sono molto vitale: dipingo, disegno, faccio sculture. Dalle 10 del mattino alle 6 di sera sono nel mio studio a creare: non ho tempo per annoiarmi. Ho ancora necessità di capire, di imparare. Sono fortunato». E in lui se c’è poco tempo per il sonno e nessuno per la noia, non ce n’è nemmeno per il risentimento: «non ho abbastanza tempo per amare, men che meno ne ho per provare rancore». Una sensibilità per il reale, la sua, che assume anche una piega inaspettata: «per me i gatti sono compagni di viaggio eccezionali», a cui non a caso ha dedicato innumerevoli sculture: nel documentario le prime lacrime sgorgano proprio nel ricordare il suo ultimo felino, morto avvelenato. 

Questa spontaneità che emerge dall’intero suo essere, non ammette ombre: in lui, forte è la «lotta incessante tra la luce e le tenebre», la sua insonnia – scrive Recalcati – è resistenza «alla tentazione dell’annullamento». Ma una farfalla appare in un suo dipinto, è possibile quindi estrarre luce dalle tenebre, recuperare la possibilità della redenzione dalla notte, dall’orrore. In lui, «è solo la poesia che resiste alla morte», «il frutto buono dell’insonnia, dell’alba che viene»1. «La sua pittura – scrive ancora Recalcati – è interamente aspirata dal senso del sacro, intrisa dell’anelito verso l’assoluto; è pittura pura del volto del santo». «Il Cristo è il tema più bello della mia vita», dice Celiberti. «Cristo lo sento sempre vicino quando lavoro». Questa è l’unica alternativa possibile «alla notte senza speranza del grido», all’«abisso senza fondo della vita». Dipingere è rifiutare «il buio senza speranza della notte», farsi luce, divenire strumento, vaso di argilla vivente che accoglie l’unica Luce.

NOTA

1 ilmanifesto.it/linsonnia-creativa

Immagini: Giorgio Celiberti; una sua opera su Cristo (immagini tratte dal documentario di don Massimo Manservigi, “Come il primo giorno”)

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 4 aprile 2025

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