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Potere, limiti e comunità: stare da cattolici in politica

10 Feb

In vista dell’avvio della Scuola di politica diocesana, proponiamo una prima riflessione: quali forme può assumere la politica oggi, in una società consumistica e frammentata? E quale alternativa possono proporre i cattolici?

di Andrea Musacci

Nel regno ingannevole dell’immediato e del virtuale che domina il nostro presente, qual è il senso della vera politica, quindi di visioni colme di speranza e proiettate nel futuro, di radici solide, di comunità reali?

E in particolare, per un cristiano, come vivere l’impegno politico da “laico” senza dimenticare le parole sempre radicali di Gesù? («Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia»1).

POTERI SENZA LIMITI

Il potere mondano, di per sé, tende a essere illimitato. Il consumismo, per sua natura, lo è. Oggi, infatti, il nuovo principe del mondo è rappresentato anche dal mercato senza regole e dalla venerazione del consumo: ogni sensibilità, parola, esperienza è ridotta a merce. Tutto è vendibile, scambiabile e interscambiabile. Il neo-capitalismo non può non presentarsi con un unico obiettivo: non avere nulla al di fuori di sé. «Quando il potere umano esce dai limiti dell’ordine voluto da Dio, si autodivinizza e chiede l’assoluta sottomissione; diventa allora la Bestia dell’Apocalisse»2. Un sistema, quello del consumo, schiacciato sul presente, sull’attimo, sull’adorazione acritica di simboli che nulla hanno di reale, senza una storia; dove la fraternità è sostituita dall’illusoria vicinanza e somiglianza tra loro di individui che accumulano e “bruciano” cose ed esperienze. Senza aneliti, senza uno sguardo che riconosca il Bello, senza vita. Questo sistema onnivoro di cui spesso siamo ingranaggi inconsapevoli, che spazio può lasciare alla politica intesa come coesione, continuità, speranza, apertura vera all’altro?

Senza questi aspetti fondamentali, ogni progetto politico è destinato, infatti, a sfaldarsi. Ne sono prova le innumerevoli operazioni meramente di facciata che affollano da decenni il nostro Paese: liste, movimenti, accrocchi senza nessuna solidità. Illusioni fondate sulla mera reazione a una contingenza sfavorevole, sugli umori delle masse digitali o televisive, mosse dalla “magica” mano dei sondaggisti o dall’egocentrismo del leader salvifico di turno. Tutto ciò non è politica: è marketing e ipertrofia comunicativa. 

I LIMITI POSITIVI: CONFLITTO E COMUNITÀ

La politica – respiro collettivo nella polis, «forma più alta di carità»3 – raccoglie invece simboli e luoghi in una storia. De-limita, de-finisce, crea appartenenza. Divide, quindi: è anche sano conflitto, inteso come «esperienza di un limite»4. 

Il conflitto non fine a sé stesso impedisce l’omologazione in quanto animato dall’incontro con l’altro, ma senza buonismi. Lo aveva capito bene De Certeau: il “dialogo” inautentico del credente «con il non credente – scriveva – permetterà di riassorbire certe opposizioni sotto il verbalismo, assai deprimente, di buoni sentimenti comuni e di formule anodine». Dall’altra parte, però, il chiudere a priori l’altro in determinati schemi «fornirà anche la garanzia, del tutto superficiale, che non c’è negli altri nulla (da attendere o da temere) che non si sappia già: una maniera di concedersi a buon mercato, con il brevetto dell’altruismo»5.

«La convivenza umana… deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale», scriveva san Giovanni XXIII6. Un popolo è condivisione di valori profondi: solo da qui può nascere una vera comunione spirituale e morale. Solo una profonda trasformazione interiore – spirituale, appunto – può portare a una trasformazione della relazione, quindi alla creazione di comunità che vivano la propria appartenenza a un popolo rinnovandola sempre e mantenendone viva la fiamma. È l’alterità data dalla tradizione. Scrive Marcello Veneziani: «Più che all’identità, allusiva di un’impossibile fissità, meglio (…) riferirsi alla tradizione che si trasmette comunicando ed esprime il mutarsi nella continuità. Nella tradizione si diviene ciò che si è, non si è per sempre quel che si è stati una volta. La tradizione non sta, diviene; persiste, ma si modifica»7.

La comunità come condivisione autentica, come luogo del simile e il conflitto come luogo dell’alterità sono dunque due limiti all’idolatria, all’assolutizzazione del potere, delle cose e del loro consumo, del proprio piccolo “io” istintivamente egocentrato.

COME STARE DA CRISTIANI NEI “LIMITI DEL POSSIBILE”?

I cattolici impegnati in politica devono, quindi, essere capaci di cambiare i paradigmi dominanti senza abdicare alla logica del potere. Alzare sempre più l’asticella spirituale anche in un mondo contorto e corruttibile (in senso ampio) come quello dell’agone politico. Il cattolico in politica, perciò, non può prescindere da una profonda vita spirituale, per stare nel mondo senza esserne inglobato, senza diventare del mondo. Deve rimanere fedele alla verità, a quell’Incontro con una Persona che gli ha cambiato, e gli cambia, la vita. Deve portare parole di verità senza rinunciare alla propria essenza. 

Al mondo non servono parole e azioni comode, le ha già. Serve il Vangelo: spetta ad ogni politico cattolico, e a ognuno di noi, saper testimoniare questa nostra radicale ed invincibile alterità.

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«È una proposta di vita, la mondanità (…). È una cultura dell’effimero, una cultura dell’apparire, del maquillage (…). Una cultura che non conosce fedeltà, perché cambia secondo le circostanze, negozia tutto. Questa è la cultura mondana, la cultura delle mondanità». Ed è «un modo di vivere anche di tanti che si dicono cristiani. Sono cristiani ma sono mondani». 

(Papa Francesco, maggio 2020, omelia S. Messa a Casa Marta)

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«La città – pur non potendo mai coincidere con la comunità dei credenti e pur con i suoi rischi paurosi – ha però una possibilità di non essere pura perdizione e di potere rinnovarsi secondo progetti – sempre inadeguati e sempre periclinanti – che tuttavia ne evitino le più tremende catastrofi: tale possibilità sta solo in questo che i cristiani (tanti o pochi che siano nella città) non ricorrano – né per difendersene egoisticamente, né per usarne strumentalmente, né per volerla presuntuosamente sanare – non ricorrano, dico, a dei mezzi umani che sarebbero sempre dei “mezzucci” grotteschi e disperanti, ma essi, i cristiani, vivano l’inenarrabile avventura di essere sanati e guidati, nelle loro persone e nelle loro comunità di fede, dall’Amore trinitario». 

(G. Dossetti, Per la vita della città, 2016)

Pubblicato sulla “Voce” del 9 febbraio 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio

Ritrovarsi e riconoscersi: la politica muore senza luoghi “caldi” dove viverla

20 Set

La nobile arte della politica, fatta di passione e concretezza, sempre più “pervertita” dai tweet e dai talk show, e ormai rimpiazzata dalla tecnocrazia. Spunti per non abbandonarci alla corrente dell’antipolitica e del disincanto assoluto

di Andrea Musacci

Forte è la tentazione di abbandonare la battaglia, di farsi travolgere dalla corrente ipermodernista che investe da anni anche il mondo politico, con i suoi dogmi sul primato della comunicazione, sul relativismo estremo di idee e valori, sul dominio dei sondaggi e del marketing.

Ma nella settimana che deciderà la nuova composizione del nostro Parlamento, vale la pena di abbozzare alcuni appunti che vadano oltre la mera “competizione” elettorale (espressione, non a caso, figlia di una società come la nostra fondata sul culto dell’agonismo).

Partiamo da un po’ di dati: lo scorso 9 settembre, le ultime previsioni danno l’astensione alle Politiche del 25 settembre tra il 33 e il 41%. Numero che probabilmente sarà più basso ma che in ogni caso dice di un calo continuo della partecipazione elettorale alle elezioni parlamentari: tra il 1944 e il 1969 era del 92,4%, tra il 1970 e il 1992 del 90,4%, tra il 1993 e il 2008 dell’82,9%. Infine, tra il 2009 e il 2021 è arrivata al 74%. Un altro dato, dell’aprile 2021: i primi cinque partiti in Italia insieme a livello nazionale contano circa 700mila iscritti. Sembrano tanti, ma non sono granché: Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano nei momenti di massima partecipazione sommati contavano quasi 4milioni di tesserati. Senza contare gli altri partiti. Ma più che un fatto di numeri, si tratta di qualcosa di molto più profondo, che riguarda la trasformazione antropologica che la società italiana, e in generale l’Occidente, vive da mezzo secolo. Trasformazione che ha sbriciolato i partiti, per loro natura garanzia di una presenza, di una continuità, di un’appartenenza. Tutti concetti inutili nell’universo nichilista del digitale e dell’istantaneo.

Né luoghi né simboli

La società dei consumi – difficile negarlo – ha lentamente eroso un sistema simbolico che rese naturale la nascita di comunità “forti” come i partiti. Pur coi loro rischi e le loro contraddizioni – conformismo interno, ideologismo -, i partiti hanno rappresentato delle vere e proprie case della democrazia, della partecipazione – fisica, diretta (meglio specificarlo) -, del riconoscimento reciproco nella condivisione di una passione, di una storia, di una sorte.

Nei decenni i partiti sono scomparsi perché se da una parte si è diffuso un naturale desiderio di autonoma ricerca di una propria identità, dall’altra gli unici riti e simboli ammessi sono quelli legati al mondo del consumo. Fare politica in una comunità vuol dire, invece, la presenza di sedi fisiche, di riunioni anche lunghe, di confronto, di discussione, di costruzione di progetti. La condivisione di qualcosa che è molto più del mero aspetto amministrativo. Significa riconoscersi sodali sotto un simbolo, con una storia alle spalle a tracciare un solco per il futuro. Non esistono democrazie digitali, diciamolo chiaramente: la democrazia si fa a contatto con gli altri, nella conoscenza diretta, guardandosi negli occhi.

Se – come ci dicono da decenni – non esistono più verità sovrastoriche, come possono esistere storie politiche da costruire, che abbiano un passato e un avvenire? Tutto è ridotto alla miseria del presente che non riesce a vedere oltre sé stesso. Tutto quindi si sfibra, perde consistenza, smarrisce il senso. 

«Quel che resta dopo tante negazioni – scriveva Del Noce – è l’affermazione del totale egocentrismo; totale nel senso che tutto acquisisce significato soltanto in ciò che può diventare strumento per l’affermazione dell’io»1.

La toppa peggio del buco

Annientato quell’universo simbolico in cui si poteva pronunciare un “noi” vero, venuta meno quell’identificazione calda, ben poco è rimasto. Surrogati della vera politica, fautori di un falso riconoscimento: il leaderismo (più che mai marcato), l’assemblearismo digitale, le primarie. Tutte riproduzioni degli stessi meccanismi comunicativi consumistici. Si presentano i candidati come fossero protagonisti di un reality. Ci si reca al seggio delle primarie come a un supermarket. Davanti a una tastiera, l’istinto e la solitudine sono gli unici a vincere. Nulla rimane, se non l’illusoria sensazione di aver compiuto un atto “politico”. Non c’è costanza né presenza, men che meno impegno. Non ci si assume nessuna reale responsabilità nei confronti della propria comunità. L’antipolitica ha dato il colpo di grazia alla politica, non producendo nessuna alternativa reale e aprendo, anzi, praterie alla deformazione della politica in tecnocrazia.

Comunicazione ipertrofica

Se il messaggio politico dev’essere immediato, non può che rimetterci la capacità di linguaggio e di elaborazione delle persone. Non possono più esistere questioni complesse: questa ipertrofia della comunicazione va a scapito del pensiero lungo e profondo. In una società come la nostra, che ormai per luogo comune chiamiamo “complessa”, tendiamo invece a semplificare ogni idea, ogni storia, a banalizzare ogni identità. Il mondo comunicativo contemporaneo finisce per diventare il regno dell’effimero: non si tratta, infatti, di demonizzare l’importanza dell’immagine e della sua cura, ma di denunciare come questa abbia finito per divorare tutto il resto: capacità di andare in profondità, di andare oltre l’immediatezza di un logo.

Ritrovare un’anima e una dimora

Prendersi il tempo per pensare, per discernere insieme, creando collettivamente una storia. Questa è, ancora, l’unica possibilità per uscire dalla delegittimazione di tutto ciò che è politica. Non si tratta di riesumare qualcosa del secondo Novecento, ma nemmeno di demonizzarlo nel suo esser stato tempo di conflitti e confronti autentici, e più che mai legati alle vite delle persone. 

C’è bisogno, quindi, di nuove case politiche, nelle quali libertà, memoria ed esperienza convivano in equilibrio. «Abbiamo bisogno di una dimora – scrive Bellamy -, di un luogo dove ci possiamo ritrovare, un luogo che diventi familiare, un punto fisso, un riferimento intorno al quale il mondo intero si organizzi»2.

Abbandoniamo tweet e talk show: torniamo a una politica con un’anima, una visione, una radice, uno spirito comunitario. Fondato – perché no – su uno spirito sinodale. In questo, ancora una volta, abbiamo tanto da imparare dal cammino della Chiesa.

1 Augusto Del Noce, Modernità, 1982.

2 François-Xavier Bellamy, Dimora, 2018.

Articolo pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 23 settembre 2022

L’Apparato fa tappa all’Ibs di Ferrara

7 Mar

Più di 20.000 fedeli “seguaci” su Facebook, oltre 10.000 su Twitter. Una foto in bianco e nero con Giorgio Napolitano ed Enrico Berlinguer durante una riunione del glorioso Partito Comunista Italiano. Così si presenta “L’Apparato”, creazione di alcuni “compagni” italiani che da un oltre anno sta spopolando sui social network, riscuotendo successo soprattutto tra i giovani. E sono proprio i Giovani Democratici ferraresi, giovanile del PD, ad aver organizzato per oggi alle 18 alla Libreria Ibs.it di p.zza Trento e Trieste a Ferrara la presentazione del “Libretto Grigio”, testo “ufficiale” de “L’Apparato” uscito nel novembre scorso per Editori Riuniti. Sarà il bolognese Giacomo Bottos ad avere l’onore e l’onere di presentare questo “Libretto”, non più rosso come quello di Mao Tse-tung, ma irrimediabilmente grigio. È uno “stato dell’anima, una forma di vita passata o possibile”, più che un partito o una struttura organizzata. Un profilo virtuale, ma non troppo, dunque, ironico ma serio, frivolo e nostalgico al tempo stesso. In ogni caso, precisano sul profilo Facebook, “l’Apparato è in grado di esprimere l’essenziale tanto in una relazione di sei ore quanto in 160 caratteri.”

Andrea Musacci

Partiti e antipolitica nell’Italia di oggi

2 Lug

piazza idee

Nel dibattito pubblico il tema del ruolo dei partiti è di estrema attualità. Venerdì 21 giugno alle ore 21.15 presso l’ex convento dei Cappuccini di Argenta il PD di Argenta ha organizzato un incontro pubblico proprio sul tema “Partiti, Movimenti, Democrazie”. L’incontro faceva parte de “La Piazza delle Idee”, serie di iniziative su diversi temi politici e sociali. I relatori scelti per affrontare un tema così delicato sono stati la prof.ssa Angela Zanotti dell’Università degli Studi di Ferrara e la dott.ssa Elena Romani.

La discussione, moderata da Leonardo Fiorentini, neo-segretario del circolo PD di Argenta, è stata introdotta dalle due relatrici attraverso la semplice, ma essenziale, definizione dei termini: il partito, ha spiegato la prof.ssa Zanotti, è “un’istituzione sociale organizzata e stabile costruita intorno ad un progetto”. Il primo partito degno di questo nome è quello dei lavoratori nato nel XIX secolo, una comunità creatrice di identità. Il movimento, invece, ha spiegato la dott.ssa Romani, “è qualcosa di spontaneo, non essendo istituzionalizzato e organizzato come il partito”. Diversi sono stati i temi trattati: tra gli altri, la crisi della forma partito e la sua identità, il vincolo di mandato dei parlamentari, la democrazia interna e il leaderismo, le primarie, la differenza tra il Partito Democratico e gli altri movimenti personalistici presenti sulla scena politica. Ottima è stata la risposta della cittadinanza, con più di cinquanta persone presenti e con una decina di interventi che han permesso di ampliare la riflessione e di dimostrare come anche questo sia un ottimo modo per superare la crisi di rappresentanza dei partiti.

Andrea Musacci