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Guerra Israele-Palestina, il card. Pizzaballa: «Contro la logica dell’odio puntiamo sui “risorti”»

7 Giu

In un mare di odio e diffidenza crescenti, non mancano tra ebrei, cristiani e musulmani i “ponti di pace”. Il Patriarca di Gerusalemme in collegamento col Santuario del Poggetto ha analizzato la drammatica situazione. Tra miseria, rabbia e speranza

di Andrea Musacci

Unire e riunire le persone, le comunità, i popoli. Cuori e collettivi dilaniati dal dolore, attraversati dall’odio e dal rancore. Ed essere ponte di pace, fonte di perdono senza tralasciare la giustizia, chiamando il male e i responsabili col loro nome. È questo il complicatissimo lavoro che spetta ogni giorno ai cristiani, in particolare a quelli in Terra Santa, che hanno nel card. Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme, una loro guida salda e autorevole.

Nel pomeriggio dello scorso 27 maggio, Pizzaballa si è collegato on line col Santuario del Poggetto, invitato dal Rettore (e suo amico: si veda la “Voce” del 9 maggio 2025) don Giuseppe Cervesi a parlare proprio della situazione in Terra Santa. All’incontro ha partecipato, ed è intervenuto, anche don Vasyl Verbitskyy, guida ferrarese dei fedeli cattolici ucraini di rito bizantino (v. a pag. 9).

ISRAELE DIVISO E IN CRISI ECONOMICA

«Israele è da sempre una società molto composita, vivace a livello culturale e dinamica», ha spiegato il card. Pizzaballa. In essa risiedono «cittadini provenienti da varie parti del mondo». Oggi, però, la differenza principale al suo interno «è tra ebrei religiosi ed ebrei non religiosi, anche se non è sempre facile fare questa distinzione». Da una parte vi è «il mondo nazionalsionista, che sta dando l’impronta all’attuale Governo», dall’altra «quello più liberale e secolare. Due idee di ebraismo e di Stato diverse»: una divisione, questa, che «dopo il 7 ottobre si è accentuata». Come detto, al Governo vi è una «destra sionista con caratteri religiosi, che vuole un Paese con una chiara identità ebraico-religiosa», e che su Gaza pensa che bisogna «continuare la guerra a tutti i costi, con l’obiettivo di distruggere Hamas, liberare la Striscia dai palestinesi e fare in modo che il 7 ottobre non si ripeta più». Mentre l’altra parte, quella “liberale”, «vuole riportare a casa tutti gli ostaggi e finire la guerra. Due sfumature tra loro abbastanza diverse», e con «ulteriori sfumature ognuna al proprio interno». Venendo all’economia, il card. Pizzaballa ha spiegato come «parte della forza lavoro è stata richiamata alle armi dopo il 7 ottobre e ciò ha avuto conseguenze enormi sulle famiglie, sul mondo dell’impresa e del lavoro. Di quest’ultimo aspetto se ne parla poco», ma «edilizia e turismo sono fermi, e impatti si hanno anche sull’hi tech». Inoltre, prima del 7 ottobre «tanti palestinesi della Cisgiordania andavano a lavorare in Israele, e ora molto meno», anche perché il 7 ottobre «ha fatto perdere in tanti israeliani liberali la fiducia nei palestinesi». 

LA SITUAZIONE A GAZA

«Il sud della Striscia è stato livellato dai bombardamenti israeliani e anche il centronord è stato distrutto nelle sue infrastrutture ed edifici pubblici»: così il card. Pizzaballa ha sintetizzato la situazione a Gaza. «Gran parte della popolazione non ha cibo, luce, acqua né assistenza, oltre il 90% della popolazione è sfollata. I bombardamenti sono continui, gran parte della Striscia oggi è occupata dalle forze israeliane. Le scuole sono usate come rifugio e molte famiglie vivono nelle tende all’aperto». Venendo alla possibile efficacia della guerra, il cardinale ha spiegato che «Hamas come struttura militare è stata sì in gran parte decimata ma Hamas è di più, è un movimento e un’ideologia e quindi le linee arretrate son diventate quelle avanzate. Questa guerra ha causato un bacino di odio enorme negli abitanti di Gaza, e quindi tanti nuovi potenziali militanti per Hamas». Inoltre, «la maggior parte degli ostaggi è morta» ed «è molto difficile prevedere la fine della guerra».

I CRISTIANI A GAZA E CISGIORDANIA

«Sono 500 i cristiani rimasti a Gaza, cattolici e ortodossi, tutti asserragliati in parrocchia», con 6 religiosi della Famiglia religiosa del Verbo Incarnato (tre sacerdoti e tre suore), oltre a 4 Missionarie della Carità (l’ordine di Madre Teresa di Calcutta). La comunità comprende anche «una struttura per disabili gravi, in gran parte musulmani». 

«Per tenere occupati i bambini – ha proseguito Pizzaballa – facciamo qualche attività in oratorio a a scuola. Abbiamo riserve di cibo, ma stanno finendo: entro 2 settimane dobbiamo trovare una soluzione. Ad oggi nessuno può entrare al nord della Striscia». Inoltre, nella struttura «c’è un’unica cucina per tutti, con un forno a legna», legna che «prendiamo dalle case distrutte. Si cucina 1-2 volte alla settimana. Da mesi non vediamo frutta e verdura». Nonostante tutto, una nota positiva: delle 500 persone cristiane lì residenti, 100 sono bambini, 3 dei quali nati dopo il 7 ottobre 2023: insomma, «la vita nasce ancora».

Per quanto riguarda, invece, la Cisgiordania, «abbiamo una 30ina di parrocchie: i preti mi chiamano continuamente dicendo che alcuni coloni israeliani sono sempre più aggressivi, saccheggiando sempre più i contadini palestinesi: non sappiamo cosa fare, a chi chiedere giustizia, l’Autorità Nazionale Palestinese è debole e quella israeliana non interviene. Lì la situazione è disastrosa: non ci sono più pellegrini dall’estero e non è più possibile andare a lavorare in Israele». Come comunità cattolica – prosegue – stiamo cercando di inventarci piccoli lavoretti per aiutare la popolazione».

7 OTTOBRE 2023: EFFETTI DURATURI

Il card. Pizzaballa ha poi tenuto a ricordare come la guerra in corso sia solo l’ultima di un ben più storico conflitto israelo-palestinese. «Viviamo uno dei momenti più difficili qui», ha aggiunto. «Il 7 ottobre ha segnato in maniera profonda la vita di Israele: c’è un pre e un post 7 ottobre, non si tornerà più a come si era prima di quell’orribile strage che ha prodotto circa 1200 vittime, con 250 persone prese in ostaggio. Uno shock tremendo per Israele, nato per dare una casa agli ebrei, e una casa che fosse sicura». E, aspetto di cui si parla poco, «la maggior parte delle persone uccise o sequestrate quel 7 ottobre erano di sinistra, pacifiste, che quindi si son sentite tradite dai palestinesi». Per quanto riguarda quest’ultimi, «alcuni di loro giudicano il 7 ottobre una necessità, altri una strage causata dalle ingiustizie che vivono fin dal 1948. Prima del 7 ottobre – ha proseguito il Patriarca -, per molti di loro la questione palestinese era dimenticata, ed era iniziata una normalizzazione fra i Paesi arabi e Israele». Per Hamas e il resto dell’estremismo palestinese era quindi «fondamentale fermare questo processo di normalizzazione e riportare l’attenzione sulla questione palestinese».

Il 7 ottobre ha dunque «creato un solco profondo tra israeliani e palestinesi: l’odio e il disprezzo sono enormi, la sfiducia reciproca segna in maniera profonda, ma spero almeno non sia irreversibile, anche se sicuramente ci sarà per molto tempo». Ciò è evidente soprattutto «nel linguaggio, nelle espressioni di disumanizzazione dell’altro, anche nei media». E anche il dialogo interreligioso non va molto bene: «molti ebrei pensano che i cristiani non abbiano condannato abbastanza il 7 ottobre», mentre i palestinesi «si sentono additati come conniventi» dei terroristi di quella strage. Per il card. Pizzaballa «è anche difficile capire le conseguenze politiche» di questa situazione, com’è difficile «negoziare se non si hanno obiettivi precisi: tutto ciò crea una forte sensazione di sospensione e incertezza».

QUALI POSSIBILI VIE D’USCITA?

Un’analisi realistica, dunque, quella di Pizzaballa. Di quel realismo che un cristiano non può non avere, unita alla Speranza nelle persone: «oggi parlare di fiducia, di futuro sembra – a molti – parlare di aria fritta. Dare concretezza a questa verità di fede e di vita non è per nulla semplice». Com’è difficile «essere una voce libera, capace di dire la verità senza diventare parte del conflitto: non posso e non voglio essere né la voce dei palestinesi né degli israeliani, ma solo della Chiesa». Chiesa che «deve diventare la voce dell’intera comunità e del suo dolore», affinché «non cada nella facile tentazione dell’odio e della violenza», ma «impari ad ascoltare il dolore dell’altro». Dire la verità vuol dire sia essere «voce di condanna» sia «aprire orizzonti: nessuno ha il monopolio del dolore». 

A una domanda precisa di don Cervesi sul Santo Padre, il card. Pizzaballa ha poi risposto spiegando come «ora non ci sono le condizioni perché venga in Terra Santa», ma «prima o poi verrà». Diplomazia e dialogo sono ciò che serve, ma «i Paesi arabi mi sembrano più impegnati a pensare a cosa ci sarà dopo la guerra piuttosto che a pensare a come farla finire». Insomma, per ora «non si vede una via d’uscita: ci vorrebbe una leadership religiosa e una politica, ora assenti», e ci vorrebbe «un perdono che non dimentichi la giustizia, che quindi a livello collettivo chiami il male e le responsabilità coi loro nomi».

Per Pizzaballa è dunque necessario «costruire una solida narrazione alternativa, basata sulle Scritture e sulla storia, e che considera l’altro» e le sue ragioni. In questo, i cristiani «possono rivestire un ruolo molto importante, proprio perché sono “deboli”, cioè non sono una potenza. Ci sono tanti esempi, anche in questo contesto, di persone che sanno amare, che rifiutano la logica dell’odio; e non vi sono solo tra i cristiani, ma anche tra gli ebrei e i musulmani. Io li chiamo i “risorti”».

***


Ebrei, musulmani, cristiani: i numeri

In Israele sono ca. 7,5 milioni gli ebrei, 1,5 milioni gli arabi musulmani e 130mila gli arabi cristiani. E 100mila i lavoratori stranieri: tra le vittime del 7 ottobre, vi erano, infatti, anche indonesiani e filippini. Sono invece ca. 5 milioni i palestinesi, di cui 2 milioni a Gaza. Infine, a Gerusalemme vi sono 6-700mila ebrei, 300mila musulmani e 10mila cristiani.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 6 giugno 2025

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«Vi racconto di quando il mio amico Pizzaballa si innamorò della Terra Santa»

7 Mag

«Tenace, tagliente, poi diplomatico. Ma sempre dal cuore grande»: così don Giuseppe Cervesi racconta a “La Voce” l’amico Pizzaballa, in questi giorni protagonista al Conclave. Il viaggio in Terra Santa, quello ad Assisi, i timori e la nostalgia di Ferrara: ritratto inedito di uno dei “papabili”

di Andrea Musacci

Lo scorso numero della “Voce” (v. pag. 7 del 2 maggio 2025) abbiamo dedicato un servizio al card. Pierbattista Pizzaballa – Patriarca di Gerusalemme dei Latini, ex Custode di Terra Santa e fra i 133 cardinali che dal 7 maggio saranno presenti al Conclave – che ha vissuto tra il 1981 e il 1984 a Ferrara, tra la parrocchia di Santo Spirito (con i frati francescani) e il Seminario Arcivescovile dove studiava. Dopo quelle presenti nel numero scorso, vi proponiamo altre testimonianze di persone che lo hanno conosciuto direttamente.

IL RACCONTO DI DON GIUSEPPE CERVESI

«Pierbattista è stato un mio compagno di studi di Teologia a Bologna nel 1988-89, dopo gli anni a Ferrara nel 1987-88». Così inizia il racconto alla “Voce” di don Giuseppe Cervesi, Rettore del Santuario del Poggetto (Sant’Egidio), francescano con un forte spirito missionario (ha vissuto in Messico). «Nell’89-90 ero a Carpi, ero ancora diacono, poi venni a Ferrara per un anno sabbatico prima del mio ultimo anno di Teologia: fu proprio Pizzaballa a chiedermi di venire a Ferrara, città che amava. E aveva grande stima di padre Atanasio Drudi», guida francescana della parrocchia di S. Spirito dal 1967 al 1997. 

«Pizzaballa mi è piaciuto molto come persona fin dalla prima volta che lo conobbi: era molto diretto, schietto, a volte anche tagliente, e tenace; ma dal cuore buono. Poi è cambiato, è diventato più diplomatico. E io gli dissi “stai studiando da provinciale”». Aveva visto bene…: «era diventato più diplomatico, non falso però, ma sincero come sempre. Ed è sincero – continua don Cervesi – anche quando mi scrive che ha voglia di vedermi. A volte ci sentiamo anche per telefono, ma è molto impegnato». Don Cervesi ci racconta, poi, un episodio specifico, molto importante per la biografia del card. Pizzaballa: «il 27 ottobre 1986 andammo assieme ad Assisi in occasione dell’incontro interreligioso con Giovanni Paolo II. Guidai io il pulmino. Ci tenevo molto a parteciparvi, e lui mi aiutò e mi accompagnò». 

L’anno successivo, nell’87, «siamo andati assieme in Terra Santa: all’inizio ero titubante, ma poi accettai. Lui si innamorò, fin da subito, della Terra Santa: forse la sua passione per quei luoghi nacque proprio lì, in quella che per lui era la prima visita». Pizzaballa dimostrò il proprio aiuto all’amico don Cervesi anche nel 2021, per una guida per un altro pellegrinaggio in Terra Santa, anche se poi non si concretizzò.

Venendo al presente, don Cervesi ci spiega: «l’ultima volta che l’ho sentito – per messaggio – è stato lo scorso 21 aprile: gli ho scritto per fargli gli auguri di buon compleanno e naturalmente mi ha risposto chiedendo di pregare per il Papa. L’ultima volta che l’ho sentito per telefono è stato invece per la Festa di S. Martino nel 2019. Poi, siamo rimasti in contatto via mail e via WhatsApp: spesso mi scriveva rendendomi partecipe del suo desiderio di venirmi a trovare».

Ancor più dopo il 7 ottobre 2023, ma sempre, la vita a Gaza e in generale in Terra Santa, non è facile: «lui si sente a rischio», continua don Cervesi: «in un messaggio mi ha detto: “mi sa che il grande salto lo faccio prima io di te…”. È consapevole del rischio che corre; ma i cristiani sono un ponte di pace in Terra Santa, per una pace giusta, spero rimangano». Pizzaballa, infine, ci ricorda don Cervesi, «era molto legato agli ebrei convertiti» (gli “ebrei cattolici”, ndr), anche se lì la comunità cattolica è tutta araba».

ALTRI RICORDI 

«Ricordo il bel rapporto che Pizzaballa aveva con i frati che abitavano a San Francesco e venivano a scuola con noi in Seminario», ci racconta il parroco di Bondeno don Silvano Bedin. «Le sfide di calcio con loro – prosegue – erano epiche». «Ho conosciuto personalmente Pizzaballa a S.Spirito negli anni ’80, quand’era a S. Spirito e io facevo le Elementari», ci racconta Paolo Martorana, pianista e produttore discografico ferrarese. «Cantavo nel coro parrocchiale  diretto da suor Celestina nel quale lui faceva l’organista; per me Pierbattista ha avuto un ruolo fondamentale: se oggi faccio il musicista è anche grazie a lui. Nel vederlo suonare quell’Organo per accompagnare il Coro ebbi la conferma che avrei voluto imparare a suonare il pianoforte. Cosa che ho fatto».

L’intervista a Ferrara nel marzo 2024

Il 1° marzo 2024 il card. Pierbattista Pizzaballa ha risposto alle domande di Cristiano Bendin (“Il Resto del Carlino” Ferrara) in collegamento da Gerusalemme per il primo incontro dell’Ottavario di S. Caterina Vegri, seguito da oltre 100 persone riunitesi nel coro del Monastero del Corpus Domini di Ferrara.

Dopo un’analisi della situazione nella Striscia di Gaza, riflesse così: il cristianesimo è «uno stile di vita prima che una religione», la fede cristiana deve «parlare alla vita, deve far comprendere come la pace non significa vittoria sull’altro, sconfiggerlo, farlo tacere o sparire», ma «inclusione dell’altro, suo coinvolgimento, sentirlo parte di sé, sentire anche il suo dolore. Come cristiani abbiamo nel cuore tanto gli israeliani quanto i palestinesi. L’altro, invece – sono ancora parole del cardinale -, qui è percepito come causa del proprio dolore: ciò rende impossibile ogni dialogo. Parlare con l’altro è interpretato come tradimento». Invece, a noi cristiani, la Croce «continua ad insegnarci che il male si vince amando gratuitamente: non è utopia, incontro persone che lo vivono». Qui, invece, «stiamo affogando nell’odio veicolato anche da un linguaggio che deumanizza l’altro». La Chiesa, disse, «non può entrare dentro l’agone, non può sposare nessuna delle due parti: è solo sposa di Cristo. Rifiuto, quindi, letture parziali da una parte e dall’altra». Infine, sul proprio servizio in Terra Santa, dove si trova da 35 anni, disse: «nel tempo – ha spiegato – ho acquisito uno sguardo più carico di misericordia, più capace di perdono e di pazienza per gli errori degli altri, anche a causa degli errori che io stesso compio». I momenti più belli «del mio servizio sono le visite pastorali che svolgo tutti i fine settimana, a volte anche a metà settimana: è commovente vedere come la gente vive la propria fede e la vicinanza agli altri».

Nel 2023 al Presepe vivente di Ferrara

Il card. Pizzaballa ha lasciato anche un messaggio video per il Presepe Vivente (organizzato da CL Ferrara) nel dicembre 2023 sul sagrato della Basilica di S. Francesco a Ferrara. 

Nel messaggio video proiettato a lato della Basilica, il cardinale disse che il Presepe Vivente «è importante per recuperare la tradizione: nel passato si trova la certezza per il presente e il futuro e ciò che può rendere festoso il tempo. Natale è tempo di speranza per un mondo moderno che non crede più in niente. Natale è il tempo di riscatto dalla menzogna, dall’odio, dal nulla».


Il suo ricordo di Ferrara: scelta francescana e pazienza dei superiori

Dal discorso finale del card. Pizzaballa nel rito di Ordinazione episcopale (10 settembre 2016, Cattedrale di Bergamo):

«(…) e poi a Ferrara, con il primo servizio da ragazzo, liceale, in parrocchia, prima nel Santuario poi in parrocchia, io ero responsabile del coro ed ero anche organista. E lì ho vestito l’abito francescano: l’ingresso nell’ordine francescano era per me una scelta naturale, visto che venivo ormai da quel mondo, dopo tanti anni; e lì ho dato espressione concreta a quel desiderio di semplicità, di scelta radicale, di sobrietà. Son stati molto pazienti con me i miei formatori e superiori del tempo, li ringrazio per quella pazienza e quando necessaria anche per la loro severità (…)».

Il 27 maggio al Poggetto

Il prossimo 27 maggio il card. Pizzaballa si videocollegherà col Santuario del Poggetto alle ore 18 per un incontro dal titolo “Il ruolo della Comunità cristiana in Terra Santa per gettare le basi di una pace stabile e duratura nella terra di Gesù”. Per ora l’incontro è confermato.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 9 maggio 2025

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Foto: Convento Frati minori S. Spirito Ferrara, settembre 1984 (Pizzaballa è il primo a sx).

«Sentire il dolore dell’altro»: il card. Pizzaballa a Ferrara

6 Mar

L’intervento del Patriarca Latino di Gerusalemme nel Monastero del Corpus Domini: «a Gaza la situazione è indescrivibile e in Israele e Palestina servono nuove leadership. La Chiesa non si fa strumentalizzare da nessuno. Le mie comunità mi danno gioia» 

Un silenzio colmo di rispetto e attenzione ha dominato l’ora abbondante nella quale il card.Pierbattista Pizzaballa,Patriarca Latino di Gerusalemme, ha risposto alle domande di Cristiano Bendin (Caposervizio “Il Resto del Carlino” di Ferrara). L’occasione è stato il primo incontro dell’Ottavario di S.Caterina: la sera del 1° marzo oltre cento persone si sono ritrovate nel coro del Monastero del Corpus Domini di Ferrara, ospiti delle Sorelle Clarisse.

VIVERE NELLA MISERIA

Il card. Pizzaballa è punto di riferimento dei cattolici nei territori palestinesi:«circa un migliaio sono i cristiani, compresi gli ortodossi, nella striscia di Gaza, mentre alcuni abitano a Rafah», ha spiegato. La situazione a Gaza è «indescrivibile», ha aggiunto:«tutti i cristiani hanno perso la propria casa e ora la difficoltà principale è avere viveri e acqua. Come cristiani siamo fortunati perché abbiamo un pozzo, anche se scarseggia il gasolio per farlo funzionare, ma l’acqua inquinata sta iniziando a portare malattie». E non molto tempo fa «1 kg di pomodori era arrivato a costare l’equivalente di 150 euro, ora si fa fatica a trovare». E mancano medicinali. «Molte persone vivono nelle tende, ma tante altre vivono proprio per strada. E non esiste più un ordine pubblico». Questa la realtà nella Striscia di Gaza.

IL DOLORE DELL’ALTRO

Se il cristianesimo è «uno stile di vita prima che una religione», ha poi aggiunto, la fede cristiana deve «parlare alla vita, deve far comprendere come la pace non significa vittoria sull’altro, sconfiggerlo, farlo tacere o sparire», ma «inclusione dell’altro, suo coinvolgimento, sentirlo parte di sé, sentire anche il suo dolore. Come cristiani abbiamo nel cuore tanto gli israeliani quanto i palestinesi. L’altro, invece – sono ancora parole del cardinale -, qui è percepito come causa del proprio dolore:ciò rende impossibile ogni dialogo.Parlare con l’altro è interpretato come tradimento». Invece, a noi cristiani, la Croce «continua ad insegnarci che il male si vince amando gratuitamente: non è utopia, incontro persone che lo vivono». Qui, invece, «stiamo affogando nell’odio veicolato anche da un linguaggio che deumanizza l’altro».

QUALE FUTURO PER I DUE POPOLI?

Riguardo al futuro dei due popoli, in Israele – ha detto il card.Pizzaballa – «esiste una procedura democratica che porterà a nuove elezioni, mentre in Palestina non è così»: di certo, «Abu Mazen non è il futuro della Palestina, e dentro la stessa popolazione palestinese  c’è il desiderio di un forte cambiamento di leadership. L’ANP dev’essere ricostruita e di certo il Governo israeliano ha grosse responsabilità nel tenerla divisa». 

Non si può tornare alla situazione pre 7 ottobre, di questo il card.Pizzaballa ne è certo: «ciò che è accaduto non si può ripetere». 

Per quanto riguarda poi i possibili attori internazionali, gli Stati Uniti come i Paesi arabi «sicuramente avranno un ruolo importante, mentre l’Europa no. Molti palestinesi continuano a dirmi: “vogliamo ricostruire con chi si è dimostrato vicino a noi in questi tempi”. E una cosa simile la dicono anche gli israeliani».

ANTISEMITISMO, DIALOGO ED EQUIDISTANZA

Alla domanda sull’aumento dell’antisemitismo, soprattutto in Europa, il cardinale l’ha definito «una forma di deumanizzazione, un problema serio. Non tutti gli ebrei sono responsabili delle scelte di Netanyahu». Per quanto riguarda, invece, i rapporti tra le confessioni cristiane, «sono ottimi, c’è più vicinanza rispetto al passato:è quindi uno stereotipo che in Terra Santa  le Chiese si facciano la guerra». E così, lo stesso dialogo interreligioso in questa zona, «deve partire dai rispettivi rappresentanti e dalla situazione concreta». Una situazione non sempre facile anche per chi, come il cardinale, si trova a svolgere un ruolo spesso di mediazione fra le parti.E non di rado viene strumentalizzato. Un recente episodio di questo tipo è stato lui stesso a raccontarlo: riguarda l’aver indossato la kefiah (simbolo del nazionalismo palestinese) in occasione della S.Messa di Natale a Betlemme lo scorso 25 dicembre: «me l’hanno fatta indossare i palestinesi per polemizzare contro la mia scelta di incontrare, il giorno precedente, il Presidente israeliano» Herzog. Un’immagine, quella di Pizzaballa con la kefiah, che a sua volta ha scatenato le critiche dell’Assemblea Rabbinica e di Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei).

«La Chiesa, però, non può entrare dentro l’agone, non può sposare nessuna delle due parti: è solo sposa di Cristo. Rifiuto, quindi, letture parziali da una parte e dall’altra». Dopo gli oltre 100 morti a Gaza City nella calca durante l’assalto a camion con aiuti umanitari, di sicuro «il dialogo è venuto meno» ma, in generale – ha aggiunto -, «non credo si arriverà a uno scontro di civiltà. Le civiltà, invece, devono venir fuori in tutta la loro forza e bellezza». Sicuramente – ha proseguito -, «in Palestina c’è stato un aumento della radicalizzazione, Hamas viene vista come la miglior espressione di resistenza e del desiderio di autodeterminazione, ma ci vuole una leadership diversa in grado di neutralizzare queste derive radicali».

«LA MIA ESPERIENZA DI PASTORE»

Infine, le parole del card.Pizzaballa sul proprio servizio in Terra Santa, dove si trova da 34 anni:«nel tempo – ha spiegato – ho acquisito uno sguardo più carico di misericordia, più capace di perdono e di pazienza per gli errori degli altri, anche a causa degli errori che io stesso compio». I momenti più belli «del mio servizio sono le visite pastorali che svolgo tutti i fine settimana, a volte anche a metà settimana: è commovente vedere come la gente vive la propria fede e la vicinanza agli altri». Una nota di speranza nell’inferno.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” dell’8 marzo 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio

Il Card. Pizzaballa «amico» di Ferrara: ecco perché

28 Feb

Dal 1981 al 1984 è a Ferrara coi frati di S. Spirito e studia in Seminario, dove si diploma. Ancora oggi, che è Patriarca Latino di Gerusalemme, mantiene i contatti con alcune amiche

La guerra in corso fra lo Stato di Israele e i terroristi palestinesi di Hamas, scatenata da questi ultimi con la strage del 7 ottobre scorso, ha posto ancor più al centro dell’attenzione una personalità carismatica, con uno dei ruoli forse più delicati nella nostra Chiesa: il card. Pierbattista Pizzaballa, O.F.M., Patriarca di Gerusalemme dei Latini ed ex Custode di Terra Santa.

Ma forse in molti non sanno come un periodo importante della propria giovinezza, Pizzaballa l’abbia trascorso nella città di Ferrara, tra il Seminario Arcivescovile di via G. Fabbri e il Convento di Santo Spirito. Siamo nei primi anni Ottanta, e per alcune vicissitudini, Pizzaballa arriva nella nostra città. Città dove tornerà – pur “virtualmente” – il 1° marzo per il primo dei quattro incontri dell’Ottavario di Santa Caterina Vegri al Monastero ferrarese del Corpus Domini. Alle ore 20.45, infatti, si collegherà on line da Gerusalemme per dialogare assieme a Cristiano Bendin, caporedattore del Resto di Carlino di Ferrara, sul tema “Su di te sia pace” .

GLI ANNI FERRARESI, TRA GLI STUDI E LA MUSICA

Pierbattista Pizzaballa nasce a Cologno al Serio (BG) il 21 aprile 1965, e vive a Liteggio, ma quand’è ancora bambino con la famiglia si trasferisce in Romagna, a Rimini, dove la vicinanza del mare può donare anche al piccolo Pierbattista un’aria più salubre. A Rimini frequenta le Elementari e poi le Scuole Medie nel Seminario Minore “Le Grazie” di Rimini, che però chiuderà di lì a poco. Pizzaballa nel 1981 viene quindi trasferito a Ferrara assieme a due suoi compagni di studi, Gianni Gattei (riminese, attuale custode della Provincia dei Frati Minori in Papua Nuova Guinea) e Marco Zanotti (che sceglierà di non prendere i voti). I tre vivranno assieme ai frati minori francescani nel Convento di Santo Spirito in via della Resistenza. Allora la parrocchia è guidata da padre Atanasio Drudi, che sarà parroco per 30 anni, fino al ’97. Pizzaballa svolge gli studi superiori nel Seminario di via Fabbri e nel giugno dell’84 consegue la maturità classica come privatista del Liceo Ariosto. La mattina segue le lezioni, nel pomeriggio è a Santo Spirito, dove studia, fra gli altri, con don Valentino Menegatti, attuale parroco di Pontegradella, col quale trascorrerà anche due anni a Bologna di studi di teologia. «Ricordo il suo carattere asciutto, energico, impulsivo ma schietto, sincero, buono», ci racconta don Menegatti. A Santo Spirito, Pizzaballa suona l’organo con cui accompagna il coro di giovani voluto da padre Drudi, di cui Pizzaballa diventa responsabile ma che sarà guidato in quegli anni anche da suor Celestina Valieri, attualmente missionaria in Paraguay. Forte, infatti, è sempre stata la sua passione per la musica. «Ricordo anche – prosegue don Menegatti – come Pizzaballa fosse innamorato della comunità degli ebrei cattolici», movimento di ebrei convertiti al cattolicesimo. E «ha sempre amato le missioni francescane. “Tu studi da Provinciale”, gli dicevamo scherzando, già però intuendo le sue qualità e il suo amore per l’ordine di cui faceva parte».

Come «timido e riservato, schivo» lo ricordano anche alcune storiche parrocchiane di Santo Spirito: Monica Malin, Maria Silvia Ariati e Maria Luisa Panzanini. Con lui come organista, ci raccontano, «abbiamo partecipato a diverse rassegne corali che allora la Diocesi organizzava, oltre a spettacoli nel nostro cinema parrocchiale». Nel settembre 1983 Pizzaballa col coro di Santo Spirito partecipa a Roma a un incontro internazionale dei cori sacri che cantano a San Pietro nella Messa presieduta dal Santo Padre. Il 5 settembre 1984 a S. Spirito veste l’abito francescano. «L’ingresso nell’ordine francescano – ha raccontato durante la cerimonia per la sua ordinazione episcopale nel 2016 – era per me una scelta naturale visto che venivo da quel mondo: lì ho dato espressione concreta a quel desiderio di semplicità, di scelta radicale, di sobrietà».

DA BOLOGNA A GERUSALEMME

Nel 1984 Pizzaballa lascia Ferrara e vive l’anno di noviziato nel Santuario Francescano di La Verna, dove emette la Professione Temporanea nel settembre del 1985. A Bologna presso la Chiesa di S. Antonio emette invece la Professione Solenne nell’ottobre 1989 e sempre a Bologna, nel settembre 1990 è ordinato sacerdote. Dopo un periodo a Roma, un mese dopo, nell’ottobre del ’90 si trasferisce a Gerusalemme. Qui, dopo gli studi filosofici-teologici, consegue la Licenza in Teologia Biblica allo Studium Biblicum Franciscanum. Nel 1995 cura la pubblicazione del Messale Romano in lingua ebraica e poi traduce vari testi liturgici in ebraico per le Comunità cattoliche in Israele. Dal 2 luglio 1999 entra formalmente a servizio della Custodia di Terra Santa: ricopre il ruolo di Vicario Generale del Patriarca Latino di Gerusalemme per la cura pastorale dei cattolici di espressione ebraica in Israele ed è Consultore nella Commissione per i rapporti con l’Ebraismo del Pontificio Consiglio Promozione Unità dei Cristiani. Prima nel 2004, poi nel 2010 e nel 2013, sempre per tre anni, Pizzaballa è nominato Custode di Terra Santa. Nel 2016 Papa Francesco lo nomina Amministratore Apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme e viene ordinato Vescovo a Bergamo. Quattro anni dopo, il 24 ottobre 2020 Papa Francesco lo nomina nuovo Patriarca Latino di Gerusalemme. Pizzaballa, che è anche Membro del Dicastero per le Chiese Orientali e di quello per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, sempre da Papa Francesco è creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 30 settembre 2023. Il giorno dopo, presiede la sua prima Messa da Cardinale nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Gli viene assegnata la chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo a Roma, retta dai frati minori francescani.

UN’AMICIZIA CHE RIMANE

Ma per le sue amiche ferraresi, il card. Pizzaballa rimane ancora «Pierbattista», «un amico». È soprattutto Ariati ad aver sempre mantenuto i contatti con lui in questi 40 anni, prima in forma epistolare e raramente telefonica, poi via mail e WhatsApp, anche incontrandolo nel 2014 al Meeting di Rimini, dove partecipava come relatore all’incontro “Il potere del cuore. Ricercatori di verità”. Alcune di loro hanno anche partecipato alle sue ordinazioni episcopale e cardinalizia a Bergamo e a Roma, dove hanno potuto salutarlo per alcuni minuti: «è rimasta una persona umile, disponibile e gentile, che ha mantenuto vivo lo spirito francescano», ci raccontano. È rimasto quel ragazzo.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 1° marzo 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio