
“De culpabili amore” è il libro di esordio del giovane poeta mirandolese. I tormenti di un cuore che anela a Dio
di Andrea Musacci
A volte, forse, la giovane età può far vedere ben poco sfumati i confini dei sentimenti, e dunque percepirne solo l’incandescenza o la cupezza. E così è bene che sia, e di questa istintività spirituale va conservata memoria in età adulta.
A ricordarcelo è Filippo Reggiani, giovane poeta classe 2000, che in questi mesi sta presentando il suo libro d’esordio, “De culpabili amore” (edizioni Kimerik, marzo 2022, pp. 84).
Un bagno negli abissi e negli splendori della classicità, che rivive nei versi di questo giovane nato a Mirandola, dove ha frequentato il Liceo Classico “Giovanni Pico”, lui originario di San Martino Spino ma che da alcuni anni vive a Ferrara dove a breve si laureerà in Lettere, arti e archeologia. Catechista e animatore della sua parrocchia, da ottobre a febbraio scorso ha svolto il tirocinio nell’Archivio storico della nostra Arcidiocesi.
Nonostante non abbia conosciuto il “secolo breve”, Reggiani ha già partecipato a diversi concorsi letterari, fra cui il “Premio Dante” indetto dall’Accademia dei Bronzi nel 2021, ricevendo la targa di merito, e il Premio “Habere artem” della Casa editrice Aletti. “De culpabili amore” l’ha presentato al recente Salone del Libro di Torino e il 10 giugno ne parlerà a Mirandola, nel Giardino ex Cassa di Risparmio, con inizio alle ore 21. Il libro è acquistabile sui principali store on line e su ordinazione nelle librerie di Ferrara.
Non male, insomma, per questo ragazzo che scrive poesie da circa 6 anni ma che fino a pochi mesi fa non aveva reso partecipe quasi nessuno della sua creatività. Un animo coraggioso, insomma, che non teme di mettersi a nudo, a maggior ragione in un’epoca come la nostra dove “poesia” – ahimè – è sempre più sinonimo di sdolcinatezza, di vuote e banali parole. Fa bene all’anima, invece, leggere “De culpabili amore”, dove fin da subito è chiara non solo la profondità dell’animo di chi scrive ma anche la sua conoscenza dello stile.
Una poesia, la sua, che è catarsi, liberazione e purificazione dal male. Una poesia essenziale perché inebriata della sostanza dei sentimenti, degli aneliti fondamentali dell’umano, ma per nulla scarna, anzi ricca nelle immagini e nella musicalità. Sonetti, ottave, quartine libere per esprimere l’ambivalenza dell’amore, croce e delizia, via che conduce al bene e strapiombo per la perdizione. Sentimento fratello del tormento, che scatena emozioni ma anche affanni, l’amore è fatto anche di gioie ben poco durature, di ebbrezze e dolorose rinunce. Versi, quelli di Reggiani, battezzati dunque nelle acque agitate dell’esistenza, nel dolore e nelle mancanze, nella sete di vita vera.
È dunque l’amore il protagonista, tanto quello piccolo e meschino, quanto quello immenso che libera. Il «disio è volubile come il vento, / d’ogni passion si riempie e mai sei grato», scrive Reggiani, «continua voglia e insaziabile brama». Il peccato «è adornar stanza che sempre resta vuota». «Eppur quel viso non riesco a dimenticare», perché in ogni volto vi è un segno dell’Eterno, una promessa di Bene. «Non la beltade, ma l’alma miro, / e mente affligge come il legno il tarlo. / Se quest’è il voler di Dio, allor, sol sospiro», sono ancora versi del mirandolese, e la preghiera è continua, non viene mai meno quel filo che lega il corpo al Cielo, la terra all’Infinito: Padre, «cura la lascivia, dà al cor nobiltà», «il peccar m’ancora qui, alla vita, / Vivo per lei che del viver è la ferita».
Ma la memoria della vera Promessa non viene meno, rimane fiamma viva senza dolore. «Vacilla mente ma salda è la Fede», è un altro verso del libro. «Cura Padre il mio cor, fallo ancor vivace, / stanco son di soffrir, il Tuo aiuto bramo», l’invocazione spontanea. «La mia lascivia porto al Tuo altare, / sì che le membra tornino leggiadre», sazie di quel Pane celeste che è nutrimento e riposo.
Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 10 giugno 2022
Rispondi