Archivio | marzo, 2025

Aborto, «una guerra dei potenti contro i deboli»

29 Mar

Trent’anni fa, il 25 marzo 1995, usciva l’Enciclica Evangelium Vitae: il magnifico inno alla vita di S. Giovanni Paolo II più che mai attuale

a cura di Andrea Musacci

«Il vangelo della vita sta al cuore del messaggio di Gesù»: così inizia Evangelium Vitae, Lettera Enciclica di san Giovanni Paolo II, che proprio in questi giorni festeggia i 30 anni dalla pubblicazione. Un testo fondamentale di esaltazione di alcuni fondamenti dell’antropologia cristiana e di denuncia di una mentalità e di una prassi nichilista allora sempre più in crescita e oggi tragicamente dominante. Abbiamo scelto in queste due pagine di dare spazio al tema dell’aborto, piaga che l’umanità si porta dietro da tempo immemorabile e che nella nostra società iperindividualista e tecnicista è presente sempre più come emblema di autodeterminazione delle donne. Un inganno che pervade, ormai, le coscienze di masse sterminate in tutto il mondo.

«Ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene – ricordava Evangelium Vitae -, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario. Sul riconoscimento di tale diritto si fonda l’umana convivenza e la stessa comunità politica». «Scelte un tempo umanamente considerate come delittuose e rifiutate dal comune senso morale, diventano a poco a poco socialmente rispettabili», è scritto ancora nel testo. «La stessa medicina, che per sua vocazione è ordinata alla difesa e alla cura della vita umana, in alcuni suoi settori si presta sempre più largamente a realizzare questi atti contro la persona e in tal modo deforma il suo volto, contraddice sé stessa e avvilisce la dignità di quanti la esercitano».

Giovanni Paolo II parla poi di «attentati» alla vita nascente e terminale «che tendono a perdere, nella coscienza collettiva, il carattere di “delitto” e ad assumere paradossalmente quello del “diritto”». Si può, quindi, «parlare di una guerra dei potenti contro i deboli: la vita che richiederebbe più accoglienza, amore e cura è ritenuta inutile, o è considerata come un peso insopportabile e, quindi, è rifiutata in molte maniere». «Per facilitare la diffusione dell’aborto, si sono investite e si continuano ad investire somme ingenti destinate alla messa a punto di preparati farmaceutici, che rendono possibile l’uccisione del feto nel grembo materno, senza la necessità di ricorrere all’aiuto del medico». Un’analisi lucidissima nel suo essere profetica. «La stessa ricerca scientifica, su questo punto, sembra quasi esclusivamente preoccupata di ottenere prodotti sempre più semplici ed efficaci contro la vita e, nello stesso tempo, tali da sottrarre l’aborto ad ogni forma di controllo e responsabilità sociale».

Ma l’aborto procurato – le parole non possono essere più chiare – è «l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita (…). Chi viene soppresso è un essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto di più innocente in assoluto si possa immaginare: mai potrebbe essere considerato un aggressore, meno che mai un ingiusto aggressore! È debole, inerme…».

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SAV Ferrara, 236 famiglie aiutate e 5 nuclei stranieri accolti

Ormai da 37 anni nel Comune di Ferrara è attivo il SAV – Servizio di Accoglienza alla Vita, che nonostante i tempi non facili conta ancora 79 soci dei quali 42 operativi (perlopiù donne).

Assieme a Monica Negrini, dallo scorso novembre Presidente del SAV Ferrara, abbiamo fatto il punto del servizio che svolge l’Associazione: «attualmente – ci spiega – sono 236 le famiglie che aiutiamo, di cui 116  in maniera continuativa con fornitura di prodotti FEAD (Fondo di aiuti europei agli indigenti, ndr), prodotti per l’infanzia (latte e pannolini che compriamo noi) alimenti per l’infanzia e vestiti per i bambini».

Il SAV, inoltre, collabora col CSV-Centro Servizi per il Volontariato per accogliere ragazzi affinché nella sede di via Arginone, 179 (che è aperta dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12) svolgano stage formativi (alternanza scuola-lavoro) o trascorrano in modo altrettanto formativo il periodo di sospensione da scuola (Progetto di Accoglienza per Attività di VolontariatoSostitutiva della Sanzione dell’Allontanamento Scolastico).

Inoltre, prosegue Negrini, «attualmente accogliamo 5 nuclei familiari nelle nostre due strutture di Ferrara e Porotto. Si tratta di 4 mamme ognuna con un bimbo (1 albanese, 1 marocchina, 1 turca, 1 tunisina), e di due genitori nigeriani con altrettanti figli». In via Baluardi 39, sotto l’appartamento che accoglie alcune famiglie, vi è anche il “Laboratorio Mani d’oro” (aperto il lunedì e il giovedì, ore 9-12) che realizza e confeziona su misura tende, tovaglie e lenzuola ricamate a mano più altri piccoli oggetti per la casa, borse, copricestini, fasciatoi, grembiuli per giardinaggio, bomboniere e molto altro.

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«So che là io ero esistente»

Pasolini, Berlinguer, Bobbio, Alberti, Muraro: quei non credenti che chiamano l’aborto col suo nome

«Io sono per gli otto referendum del partito radicale, e sarei disposto a una campagna anche immediata in loro favore. Condivido col partito radicale l’ansia della ratificazione, l’ansia cioè del dar corpo formale a realtà esistenti: che è il primo principio della democrazia.

Sono però contrario alla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano – cosa comune a tutti gli uomini – io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. Mi limito a dir questo, perché, a proposito dell’aborto, ho cose più urgenti da dire. Che la vita sia sacra è ovvio: è un principio più forte ancora che ogni principio della democrazia, ed è inutile ripeterlo».

(Pier Paolo Pasolini, “Sono contro l’aborto”, Corriere della sera, 19 gennaio 1975)

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«Deve essere chiaro a noi stessi e agli altri che noi, in quanto fautori della legge 194 e anche in quanto comunisti, non difendiamo l’aborto, non lottiamo per la libertà di abortire, non riteniamo l’aborto una conquista civile, né tantomeno un fatto positivo … [dobbiamo cercare] con opportuni strumenti legislativi di contenerne i guasti, e di avviare mutamenti culturali e mutamenti sociali che tendano gradualmente a farlo scomparire come atteggiamento culturale e come fatto sociale. Noi non siamo dunque abortisti, l’aborto resta per noi una male… Lavoriamo perché nel futuro dei giovani non ci sia più l’aborto».

(Enrico Berlinguer, 26 aprile 1981, comizio pubblico a Firenze per la legge 194)

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«Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il “non uccidere”. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere».

(Norberto Bobbio, intervista a Giulio Nascimbeni, Corriere della sera, 8 maggio 1981)

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«Gli antiabortisti dicono che l’aborto è un assassinio. Hanno ragione. Noi donne lo sappiamo bene.  Ed e il più paradossale dei suicidi, la madre uccide sé. Sopprime il feto che è in lei, il germoglio, parte del suo corpo, non ancora bambino e già figlio. Essere tomba invece che culla. Non si guarisce dall’aborto. Se ne esce vive a meta. Portare un lutto segreto per sempre. Questo noi lo sappiamo. Nel millenario massacro dei nostri corpi, nel rimpianto che non dimentica. Solo le donne lo sanno».

(Barbara Alberti, “Solo le donne sanno che cos’è l’aborto”, L’Espresso, 20 novembre 2022)

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«Noi partivamo dal principio fondamentale di libertà femminile: una donna non può essere obbligata a diventare madre, la maternità inizia con un sì. Ma tendevamo a sottolineare che l’aborto non è un diritto. Un diritto ha sempre un contenuto positivo. L’aborto è un rifiuto, un ripiego, una necessità. La donna che non vuole diventare madre subisce un intervento violento sul suo corpo per estirpare questo inizio di vita. Pensavamo, e pensiamo tuttora, che se si fa dell’aborto un diritto, si autorizza l’irresponsabilità degli uomini».

(“Luisa Muraro: l’aborto non è un diritto”, di Antonella Mariani, Avvenire, 10 maggio 2018)

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Uno di noi da difendere: il nuovo libro di Marina Casini e Chiara Mantovani


“Diritto di nascere. La legge 194: storia e prospettive” è il volume dove si ripercorre la storia della normativa italiana sull’aborto e si riflette sui motivi profondi della difesa della vita nascente

di Andrea Musacci

Un testo scomodo nel suo dire la verità senza mai dimenticare la misericordia. Anzi, proprio perché nell’ottica della Carità, ancor più duro e scandaloso in una società ormai insensibile a certe parole. È il libro, da poco uscito, “Diritto di nascere. La legge 194: storia e prospettive”, di Marina Casini e Chiara Mantovani (Ed. Ares, 2025, con Prefazione di Marco Invernizzi): la prima, giurista, docente di Bioetica alla Cattolica e presidente del Movimento per la Vita italiano; la seconda, medico ferrarese, esperta di bioetica, da tempo impegnata con l’AMCI e il SAV di Ferrara.

Un libro sull’aborto, il loro, senza scorciatoie, pavidi tentativi di conciliazione. Se da cristiani denunciamo ogni attacco alla sacralità e alla dignità della persona – sembrano dirci -, non possiamo non farlo anche in riferimento all’essere umano nelle sue primissime fasi di vita, quando ha già una propria specifica identità che lo definisce come irripetibile.

Il volume non a caso esce in concomitanza di anniversari significativi: 50 anni fa, il 22 maggio 1975 a Firenze (nella sala del Monastero di clausura delle suore Benedettine in viaSanta Marta) nasceva il primo Centro di Aiuto alla Vita (CAV); 30 anni fa, il 25 marzo 1995, usciva la Lettera Enciclica Evangelium Vitae di San Giovanni Paolo II; 25 anni fa, il 25 gennaio 1980, nasceva il Movimento per la Vita (MpV); e 5 anni fa, il 23 marzo 2020, tornava al Padre Carlo Casini, fondatore dello stesso Movimento per la Vita nazionale.

IL PROTAGONISTA IGNORATO

«Un tempo ci si nascondeva perché non si poteva fare (ed erano i cosiddetti aborti “clandestini”), oggi ci si rifugia nel privato della propria casa (aborti chimici a domicilio, alias pillole dei vari giorni dopo) perché si vuole derubricarla a questione esclusivamente soggettiva e banale, come bere un bicchiere d’acqua». Con questo interessante parallelismo, Chiara Mantovani nel libro spiega la cattiva coscienza che da sempre attanaglia chi decide di compiere questo tipo di «assassinio», come ha ribadito Papa Francesco lo scorso settembre.

Ma è con la realtà che bisogna prima di tutto confrontarsi. Ed è quindi importante – ancora, sempre di più – «sottolineare il dato che volutamente è tacitato e, se emerge, è talvolta scandalosamente bollato di violenza: il primo e decisivo soggetto protagonista – che non fa, ma che è; non attore, bensì destinatario; non parlante, eppure esistente – è il concepito», scrive Mantovani. Il conoscere – scientificamente – non è necessario a cambiare la nostra interpretazione della realtà: il tema dell’aborto sta lì tragicamente a dimostrarlo. Come spiega ancora Mantovani nel libro, «il timore del giudizio morale ha impedito agli argomenti razionali di occupare il primo posto nelle disamine e nelle discussioni sul tema».

Ma «non si può negare la natura umana del concepito. Non la si può negare biologicamente: il suo dna è sufficiente a classificarlo senza tentennamenti (…). Non la si può negare nella stessa considerazione di chi se lo ritrova – atteso o inaspettato – nella sua vita: nessun dubbio che stia per nascere un umano. A quale scopo, altrimenti, abortirlo?». “Aspetta un bambino”, “Avrà un bambino”, non a caso, chiunque dice per riferire di una donna incinta. Ciò non toglie che sia «inadatta, a dire il meno – scrive giustamente Mantovani – qualsivoglia obbligatorietà per il personale medico di effettuare – e per la donna di subire – un atto medico quale l’esame ecografico». È invece «percorribile solo la via della partecipazione al dramma, la vicinanza umana e solidale di chi intende compiere il supremo atto fraterno dello svelamento del vero: “se vuoi, ti faccio vedere chi è colui che non vorresti”». Il riferimento è alla proposta di legge di iniziativa popolare (depositata in Cassazione) per emendare la legge 194, introducendo l’obbligo del medico di far vedere il nascituro e far sentire il battito alla donna intenzionata ad abortire. Legge firmata da diverse associazioni pro-life ma non dal Movimento per la Vita e dall’Associazione Family Day – Difendiamo i nostri figli.

In ogni caso, sembra sempre più forte la visione nichilista pro-abortista che a livello comunicativo distoglie «l’attenzione dal concepito, che è quello di pensarlo non pienamente umano, anzi, proprio un niente. Un grumo di cellule. Un’appendice carnosa della madre, addirittura un nemico da cui difendersi, un invasore alieno non voluto (…)». Per Mantovani, in questa visione, «l’unica cosa che importa, è un possesso intangibile, qualcosa che ha a che fare con l’idea di individuo assoluto». Ma la liberazione della donna, la sua emancipazione è proprio il contrario di ciò: è alternativa al potere, al dominio sulla nuda vita, su ciò che è fragile; è invece cura, accoglienza, prima e più importante “ecologia”1.

194, MOLTE OMBRE

Sulla legge 194/1978 che in Italia legalizza l’aborto, scrive Mantovani: «È ormai evidente che ogni legge che regolamenti un comportamento lo rende “buono” se rispettoso delle regole che lo delimitano». In Italia prima della legge 194 del 1978, l’aborto era sanzionato dalle norme del Codice penale (titolo X, libro II “Delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe”). E forse in pochi sanno che «prima della legge 194, se una gravidanza presentava per la mamma il pericolo incombente per la sua vita, senza che il pericolo fosse stato volontariamente causato, purché fosse inevitabile e non vi fossero alternative, l’aborto era sottratto alla sanzione penale. La logica è quella per cui lo Stato non può chiedere ai cittadini il sacrificio della vita. L’offerta della propria vita per la salvezza di un altro è un dono libero».

Lo spiega bene Marina Casini, che nella seconda parte del libro dialoga con Chiara Mantovani. Le due, confrontandosi, ripercorrono fatti e discussioni che hanno portato alla 194, partendo dalla scoperta nel gennaio ’75 a Firenze della clinica degli aborti clandestini organizzata dal Partito Radicale (40-50 al giorno di media erano quelli eseguiti con il metodo Karmann, per aspirazione): in quella vicenda giudiziaria fu impegnato in prima linea come pm proprio Carlo Casini, padre di Marina. 

«Attraverso la “depenalizzazione” dell’aborto – spiega Marina Casini – si voleva arrivare alla “decolpevolizzazione”, cioè alla normalizzazione dell’aborto cancellando le remore e mettendo a tacere ogni resistenza morale». Fino ad arrivare oggi allo sdoganamento delle nuove forme farmacologiche e chimiche. Ad esempio, dal 1° gennaio 2025 è possibile, per le donne dell’Emilia-Romagna, abortire a domicilio assumendo prima la pillola RU496 in un presidio sanitario pubblico e poi la Prostaglandina a casa propria. Ma «l’aborto non è soltanto un peccato o una questione privata per cui ognuno può agire come vuole. È anche una grave lesione nei confronti della società come tale, nella quale il precetto del “non uccidere” e il riconoscimento dell’eguaglianza di tutti gli esseri umani dovrebbero essere la base del bene comune».

Da questi principi “non negoziabili” nasce in quegli anni il Popolo della Vita, con il MpV e i CAV (o, come nella nostra Diocesi, il SAV). Insomma, si capì che – spiega Marina Casini – «il vero modo per aiutare le donne era essere solidali con i loro figli». Il MpV si fondava su questi assunti: «Non la sbrigativa scorciatoia della morte, ma il cammino della solidarietà; non la metodologia del giudizio e della condanna, ma quella della condivisione; non contro la madre, ma insieme alla madre». Sono oltre 280mila i figli nati grazie ai CAV e ai SAV in tutta Italia in questi 50 anni. Ma sono oltre 6milioni e 300mila gli aborti legali registrati dal 1978 al 2022 (ultimi dati disponibili) grazie alla 194. «Non è infrequente sentire – scrive ancora Marina Casini – che la legge 194 non si può toccare perché è “legge dello Stato che ha trovato conferma nel referendum del 1981”. È paradossale ritenere una legge intoccabile, poiché tutte le leggi sono per loro natura riformabili o abrogabili».

BAGNO DI REALTÀ

La realtà ha – in un certo grado – una sua “indipendenza” da ogni opinione: solo partendo da questo fatto, ognuno di noi può decidere se accoglierla così com’è oppure no. Ma riconoscerla nella sua essenza significa riconoscerla nella sua origine, quindi nel suo senso più profondo. Solo nell’abisso «più fondo del fondo» del mio essere, ritrovo l’Essere che infinitamente mi supera, Colui che ha creato me e ogni cosa o vita che esiste. Cercare di scimmiottare Dio decidendo della vita o della morte di una creatura al suo stato embrionale, è portare l’inferno qui sulla terra, cioè vivere e agire come se Dio non esistesse, come se nulla fosse sacro, non a disposizione del mio arbitrio. Questo bisognerebbe ricordare quando si discute e si decide di aborto. Compiendo un vero e proprio bagno di realtà.

NOTA

1 «Oltre all’irrazionale distruzione dell’ambiente naturale è qui da ricordare quella, ancor più grave, dell’ambiente umano, a cui peraltro si è lontani dal prestare la necessaria attenzione. (…) ci si impegna troppo poco per salvaguardare le condizioni morali di un’autentica “ecologia umana”» 

(San Giovanni Paolo II, Centesimus Annus, 38).

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 marzo 2025

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(Foto Matilde Ferreira – Pexels)

Lavoro come identità e bene comune o come ricerca del successo personale?

27 Mar


C’è un falso mito che ancora domina le coscienze di molti: quello del lavoro come “liberazione” dagli altri, non con gli altri: il primo dei tre incontri del ciclo ideato da CGIL e Istituto Gramsci

Il lavoro contemporaneo e le sue contraddizioni, crisi e problematiche. Su questo tema prosegue la collaborazione tra Istituto Gramsci, CGIL di Ferrara, SPI CGIL Ferrara, con un nuovo ciclo di tre incontri partito lo scorso 21 marzo  nella Camera del Lavoro di piazza Verdi a Ferrara. Un’occasione per riflettere con un approccio interdisciplinare sulle criticità del mondo del lavoro contemporaneo.

Il primo appuntamento, dal titolo “Lavoro dunque (non) sono. Come abbiamo smesso di riconoscerci nel lavoro” – come detto, svoltosi il 21 marzo – ha affrontato, a partire dall’analisi del fenomeno delle grandi dimissioni e delle “nuove alienazioni”, la crisi del lavoro come fattore identitario, interrogandosi sulle ripercussioni sociali e politiche di questa crisi di riconoscimento nel contesto del capitalismo del XXI secolo. Relatrice è stata Cinzia Romagnoli dell’Istituto Gramsci di Ferrara, introdotta da Marco Blanzieri della Segreteria Confederale CGIL di Ferrara.

«Il lavoro – ha riflettuto Romagnoli – oggi porta spesso solitudine e perdita o mancanza di identità». Nella nostra contemporaneità, quindi, il lavoro «non è quasi mai un “luogo” identitario. Noi, però, in Italia siamo figli di una tradizione che, invece, fa del lavoro un aspetto fondamentale per la costruzione della propria identità.Basti pensare al primo articolo della Costituzione».

Attingendo anche dal saggio “Le grandi dimissioni” di Francesca Coin (Einaudi, 2023), Romagnoli ha inteso dimostrare – dati alla mano – come non solo negli USA – dove il fenomeno è diffusissimo – ma anche nel nostro Paese sempre più persone abbandonino volontariamente il proprio impiego.E un altro aspetto interessante è che «la maggior parte di queste persone compie un salto nel vuoto, non avendo un piano B». Secondo il recente Rapporto Censis, le cause di ciò vanno rintracciate nel fatto che le persone innanzitutto nel lavoro cercano qualcosa «che tuteli la propria salute» (soprattutto psichica), «tranquillità, equilibrio, tempo per sé»; l’aspetto economico è fra gli ultimi indicati.

Insomma, è venuto e viene sempre meno quell’ideale secondo cui «il lavoro è costruzione di identità e promessa di emancipazione».E al tempo stesso è crollato quel falso mito secondo cui «il lavoro informatico/digitale ci avrebbe resi tutti liberi», imprenditori di noi stessi. Nel neoliberismo, infatti, da una parte «la soggettivizzazione del lavoro» si è dimostrata solamente un inganno retorico che tenta di colpire dal lato emotivo, e dal lato è ancora presente, e non poco, «uno sfruttamento di tipo ottocentesco», seppur in forme diverse.

Dagli anni ’80 del secolo scorso ha dunque vinto nell’immaginario di molti l’idea di lavoro come «ricerca del proprio successo personale», a scapito dell’idea di lavoro come «contributo alla costruzione del bene comune e strumento per accedere ai propri diritti, individuali e soprattutto collettivi». La sfida è enorme: si tratta di tentare di ribaltare un’ideologia ormai dominante ma che sempre più mostra la propria intrinseca ipocrisia e tossicità.

I prossimi due incontri saranno in programma venerdì 28 marzo alle ore 17 con relatore Alessandro Somma, nell’incontro “Lavoro è cittadinanza. Conversazione su lavoro giusto e diritti costituzionali”. Già ricercatore dell’Istituto Max Planck per la storia del diritto europeo (Francoforte sul Meno), ha insegnato nelle Università di Genova e di Ferrara. Attualmente è professore ordinario di Diritto comparato nella Sapienza Università di Roma. Introduce l’incontro Veronica Tagliati, Segretaria Generale CGIL Ferrara.

Si concluderà martedì 8 aprile alle ore 17 con un tema di sempre, purtroppo triste attualità, la sicurezza sul lavoro, con una tavola rotonda dal titolo “Di lavoro si vive di lavoro si muore. Conversazione su lavoro e sicurezza” alla quale interverranno Rita Bertoncini, regista e formatrice, Fabrizio Tassinati, Segretario confederale CGIL Ferrara,  Fausto Chiarioni, Segretario generale Fillea CGIL Ferrara.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 marzo 2025

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(Foto Yury Kim)

Don Giussani e l’essenza del cristianesimo: Cesana racconta 

26 Mar

Presentato a Ferrara il libro inedito del fondatore di Comunione e Liberazione

Un’occasione non solo per riandare all’essenza del pensiero giussaniano ma anche per comprendere un periodo importante della nascita del movimento di Comunione e Liberazione, nella turbolenza del periodo tra fine anni ’60 e inizio ’70.

È stato questo, in sintesi, l’incontro svoltosi la sera del 21 marzo scorso  nella Sala ex-Refettorio di San Paolo (via Boccaleone) a Ferrara, in occasione della presentazione del libro “Una rivoluzione di sé. La vita come comunione” (Rizzoli ed.) di don Luigi Giussani, con testi fino ad ora inediti tratti da discorsi tenuti dal sacerdote al Centro Peguy nel periodo 1968-1970. 

Per la presentazione a Ferrara è intervenuto Giancarlo Cesana, Docente all’Università di Milano Bicocca ma soprattutto amico e collaboratore di don Giussani fin dal ’71, «anno in cui – ha raccontato egli stesso – sono entrato in CL provenendo dal Movimento studentesco». Non fu l’unico a fare questo passo, ma molti altri fecero quello contrario, uscendo da Gioventù Studentesca (nata nel ’54, embrione di CL) per partecipare alla contestazione. «Ho capito che per cambiare il mondo bisognava innanzitutto cambiare sé stessi: ciò mi insegnò don Giussani e ciò compresi soprattutto attraverso la caritativa», ha detto Cesana.

Proprio nel triennio ’68-’70, periodo di forte crisi per GS, don Giussani introdurrà quelli che diventeranno i temi chiave del suo pensiero. Innanzitutto, il cristianesimo inteso soprattutto come «comunione, pur nel pluralismo»: è questo, per Cesana, «il contributo più importante dato da Giussani alla Chiesa, sottraendo Cristo a un atteggiamento pietistico e astratto, per portarlo nella concretezza della vita». Altro tema importante di questi suoi interventi è «la collaborazione – in primis fra cristiani – per il cambiamento del mondo», con la conseguente convinzione della necessità dell’«unità dei cattolici in politica». In queste sue riflessioni, però, non vi è mai un’analisi meramente sociologica di quegli anni. Il cristianesimo, infatti, per don Giussani è «un avvenimento», è cioè il riuscire a trovare «un nesso tra un episodio, un aspetto particolare della propria esistenza, e la realtà nella sua totalità». La ricerca di questo senso è ciò che più conta nella vita», e in ciò  è decisiva «la relazione con la tradizione cristiana, cioè con chi ti ha trasmesso la Verità, che è una Presenza, è Cristo, il Mistero, forza che sempre mi supera e che si manifesta, si rivolge a me come singolo». Da qui inizia «l’avventura» del vivere, avventura da condividere «nell’autentica amicizia. “Costruire la Chiesa per liberare l’uomo” – ha detto ancora Cesana – era uno degli slogan che purtroppo CL ha abbandonato».

La vera speranza, quindi, è «memoria», non intesa come semplice ricordo, ma come relazione con ciò che mi fonda. Solo questa «autocoscienza» può guidarmi nella lotta contro il male che è, appunto, «il venir meno della mia fedeltà a Dio, a questa Realtà ultima che è in me». Non dimenticando mai che la strada è una, è la Via: Cristo. L’incontro – introdotto da Marco Romeo – si è concluso con le testimonianze di alcuni di coloro che, a Ferrara, questo cammino lo compiono insieme dentro CL: Massimo Travasoni, Gino Tiozzo e Luigi Bernardi.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 marzo 2025

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Caritas, spiritualità del fare concreto

25 Mar

In Cattedrale la testimonianza dell’operatrice Maria Teresa Stampi: «il mio servizio con chi soffre»

Carità quotidiana, fatta di piccoli, quasi impalpabili gesti e di più grandi progetti. Accoglienza di vite che hanno sfiorato la morte, che hanno conosciuto i molteplici nomi della sofferenza.

Questo ha cercato di raccontare lo scorso 18 marzo nella Cattedrale di Ferrara Maria Stampi, Operatrice della nostra Caritas diocesana, per il secondo dei quattro incontri di catechesi pensati dalla nostra Arcidiocesi per il periodo quaresimale e in relazione all’Anno Santo che stiamo vivendo.

Mentre lo scorso 11 marzo Caterina Brina e Piera Murador della Comunità Papa Giovanni XXIII hanno testimoniato sul tema “Alleanza delle generazioni per guardare al futuro” (Spes non confundit, 9 e 13), Stampi è intervenuta su “Carità, volti e storie: i testimoni” (Snc, 13); gli ultimi due appuntamenti sono in programma martedì 25 marzo con mons. Gian Carlo Perego che rifletterà su “Non possiamo distogliere lo sguardo dai poveri” (Snc 15) e martedì 1° aprile con la Pastorale Giovanile diocesana che testimonierà su “Non possiamo deluderli” (Snc, 12). Inoltre, mercoledì 9 aprile dalle 20.45 alle 22.30 avrà luogo in Cattedrale la seconda delle due serate (la prima è stata il 12 marzo) con Adorazione Eucaristica all’altare della Madonna delle Grazie e possibilità di confessarsi. Il 12, l’accoglienza dei fedeli è stata gestita da volontari della parrocchia cittadina dell’Immacolata, mentre quella del 9 aprile sarà gestita da parrocchiani di S. Agostino.

GOCCE DI GRAZIA

Maria Teresa Stampi è da 6 anni Operatrice della nostra Caritas diocesana: dopo la laurea in Psicologia a Padova, nel 2017-2018 ha svolto qui il Servizio civile, ma un’esperienza in Caritas l’aveva già avuta con lo stage svolto da studentessa del Liceo Ariosto. «In questi anni – ha raccontato in Duomo – ho avuto modo di ascoltare molte storie». Stampi è attiva principalmente a Casa Betania, la sede su via Borgovado che dal 2014 accoglie donne con minori e donne sole richiedenti asilo, oltre a profughi, donne vittime di violenza e a volte studenti in difficoltà (che ricambiano facendo volontariato nei servizi Caritas). Oltre a questa Casa, altre donne e minori sono accolti in 9 appartamenti che Caritas gestisce in comodato d’uso gratuito.

In Cattedrale, Maria Teresa ha raccontato la storia di Marie, 33 anni ivoriana, che ha vissuto una vera e propria odissea per arrivare fino a Ferrara, dov’è accolta dalla Caritas. «Mi commuovo ogni volta che ne parlo perché nella sua storia, come nelle altre, vedo i loro volti. Noi operatori accompagniamo queste persone per le faccende quotidiane più importanti, come il recarsi in ospedale, negli uffici pubblici. Ricordo, fra loro, ad esempio due ragazze appena arrivate nella nostra città: nonostante fosse inverno, erano vestite solamente con sandali, tuta e una coperta addosso. E per prima cosa mi han chiesto dove fosse una chiesa, perché volevano ringraziare il Signore per essere sopravvissute durante il viaggio. Per queste donne – com’è naturale – all’inizio è difficile fidarsi di noi, ma poi la fiducia pian piano cresce, sboccia».

Attualmente la nostra Caritas diocesana gestisce 140 posti in accoglienza (sempre in aumento) e «se non c’è più posto, in qualche modo lo creiamo», ha aggiunto Stampi. Quasi la metà di questi 140 posti sono occupati da minori, perlopiù bambini. «E fra le donne che accogliamo,  vi sono sempre almeno 4 donne incinte». Inoltre, «sono 10 le nazionalità delle persone che attualmente ospitiamo: ciò significa che, nel rispetto reciproco e nella cura dell’altro, è possibile convivere pur provenendo da angoli opposti del mondo. Almeno 1-2 volte al giorno – ha proseguito Stampi – c’è qualcuno che involontariamente mi ricorda la spiritualità che c’è dietro il nostro lavoro: sono piccole gocce di grazia presenti in ogni nostro incontro quotidiano». Ma la carità per sua natura non può fermarsi solo ai sorrisi, ma «è fatta di concretezza, di azioni, di ascolto. Tutte cose che possiamo fare ovunque».

E nella nostra sede di via Brasavola «il primo contatto spesso non avviene grazie al Centro di Ascolto ma attraverso la mensa e soprattutto attraverso le parrocchie, che vedono, aiutano, accolgono chi ha bisogno, e per questo sono la vera anima della comunità. Anche perché – ha concluso Stampi – queste persone spesso hanno bisogno non solo economico ma anche morale e spirituale».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 marzo 2025

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Case famiglia, sprazzi di grazia dalla condivisione

22 Mar

Caterina Brina e Piera Murador (Apg23) gestiscono due Case Famiglia fuori Ferrara: ecco le loro toccanti storie

La carità prima si vive e sperimenta, poi si racconta; infine, si studia. È questa la convinzione che ha mosso la nostra Arcidiocesi nella scelta dei relatori per le catechesi nella Cattedrale di Ferrara sul tema “Giubileo e Carità”, iniziate l’11 marzo con due donne della Comunità Papa Giovanni XXIII sul tema “Alleanza delle generazioni per guardare al futuro” (Spes non confundit, 9 e 13). Questi gli altri appuntamenti: martedì 18 marzo la Caritas diocesana interverrà su “Carità, volti e storie: i testimoni” (Snc, 13); martedì 25 marzo mons. Gian Carlo Perego rifletterà su “Non possiamo distogliere lo sguardo dai poveri” (Snc 15); martedì 1° aprile la Pastorale Giovanile diocesana testimonierà su “Non possiamo deluderli” (Snc, 12). Inoltre, mercoledì 12 marzo ha avuto luogo la prima delle due serate in Duomo (la seconda sarà mercoledì 9 aprile dalle 20.45 alle 22.30), con Adorazione Eucaristica all’altare della Madonna delle Grazie e possibilità di confessarsi. Il 12, l’accoglienza dei fedeli è stata gestita da volontari della parrocchia cittadina dell’Immacolata, mentre quella del 9 aprile sarà gestita da parrocchiani di S. Agostino.

CASE FAMIGLIA, LUOGHI DI INCONTRO

Da tanti anni col marito Stefano gestisce una Casa Famiglia a Pescara vicino Francolino. È stata Caterina Brina la prima a raccontare in Cattedrale l’11 marzo la propria esperienza. «Accogliamo, come sempre, piccoli, ragazzi, adulti», ha detto. «Ora, fra gli altri, ospitiamo due ragazzi con disabilità importanti. Non è facile, ma l’essere genitore ti aiuta a cogliere ciò che gli altri non vedono: l’amore di una famiglia permette di vedere nell’altro quel bene e quella speranza dentro la persona, che nessun altro vede. Come adulti – ha proseguito Brina -, abbiamo la responsabilità di credere nelle nuove generazioni, vittime spesso di questo mondo frenetico. La speranza non si insegna ma si vive». La stessa che Caterina e suo marito han dato a una ragazza da loro accolta e aiutata convincendola così a non abortire.

Piera Murador invece gestisce la Casa Famiglia “Betlemme” a Malborghetto di Boara: col marito accoglie un ragazzo con disabilità cognitiva, una donna vittima di violenza, un giovane immigrato dal Bangladesh, un piccolo. E poi c’è la madre di Piera, 90 anni, «che riesce a insegnare anche con poche parole. L’ho accolta – ha spiegato Murador – anche per la riconoscenza nei suoi confronti, per come mi ha cresciuto ed educato, a maggior ragione da sola, essendo stata lasciata fin da subito da mio padre. Questa dell’accoglienza di mia madre è un’esperienza per me impegnativa ma che mi fa crescere tanto interiormente e che mi permette di rallentare, di decentrarmi, di uscire da me stessa. E che mi aiuta a sviluppare la virtù della pazienza (presente anche in lei), che porta a quella della speranza». Ma in mezzo alle fatiche vi sono «tanti momenti di grazia: come quando il ragazzo bengalese ogni giorno fa e porta a mia madre una spremuta; o mio figlio disabile che la aiuta a camminare col suo deambulatore». E questa accoglienza non può non avere una ricaduta sociale: «in una società funzionale e funzionante, è una quotidiana testimonianza di rifiuto della “cultura dello scarto”».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 marzo 2025

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(Foto: Piera Murador e Caterina Brina)

Caritas, ecco gli aiuti in provincia

20 Mar

Da Bondeno a Comacchio, sono oltre 600 le famiglie aiutate con alimenti e altro

di Andrea Musacci

Nello scorso numero della “Voce” (v. pag. 4 del 14 marzo) abbiamo chiesto a diverse Caritas parrocchiali nel Comune di Ferrara di spiegarci in che modo aiutano anche con un sostegno economico diretto, famiglie e singoli a rischio indebitamento. Questa settimana siamo usciti dalla città e abbiamo interpellato altre Caritas e associazioni.

Proprio a Bondeno, Graziano Orlandi è uno dei volontari del Centro di Ascolto parrocchiale: «ogni lunedì distribuiamo i beni alimentari alle famiglie bisognose». Il cibo arriva dal Banco Alimentare e da due supermercati della zona, che lo donano. «In passato davamo anche aiuti economici diretti, ora non più, a causa delle disponibilità limitate che abbiamo». La Caritas assiste ben 210 famiglie, per un totale di oltre 600 persone. «Già in questi mesi – ci spiega Orlandi -, abbiamo avuto un aumento di 3 famigli, e prima del Covid gli assistiti erano 450».

Cinzia Fortini è invece una delle volontarie della Caritas interparrocchiale dell’UP di Vigarano. «Attualmente seguiamo una 40ina di famiglie, e a volte anche in situazioni di emergenza, ad esempio famiglie con figli alle quali vengono sospese le forniture. In altri casi abbiamo anticipato il pagamento della bolletta che poi ci è stato restituito in tutto o in parte, in piccole rate». 

Da Voghiera Leonardo Vignali ci parla dell’impegno dell’Associazione “Mons. Artemio Crepaldi”, che oltre alla Materna e al doposcuola, da anni è anche il riferimento per il Banco Alimentare. «Diamo cibo a 19 famiglie, per un totale di 32 assistiti, di cui 25 stranieri, con ISEE sotto i 10140 euro. Il ritiro degli alimentari avviene una volta al mese e in caso di necessità siamo noi a consegnarlo a casa. Negli ultimi anni vi è stato un aumento di famiglie che ci vengono a chiedere aiuto. Quelle straniere – conclude – sono giovani, spesso con figli piccoli, mentre gli italiani sono anziani».

Sono invece 80 le famiglie con bimbi piccoli fino ai 6 anni di età assistiti a Copparo dal CAV – Centro di Aiuto alla Vita. «Il nostro CAV – ci spiega Carlo Forlani – nasce a fine anni ‘80 per volontà dell’allora parroco don Dario Falchetti, aiutando donne con difficoltà economiche che intendevano abortire. «Oggi ci riforniamo una volta al mese al Magazzino di via Trenti a Ferrara», sede del Centro Solidarietà Carità (Banco Alimentare), e non solo, per cibo, pannolini, seggiolini, abbigliamento. «Continuano ad aumentare – prosegue Forlani – le famiglie che ci chiedono aiuto – una decina in più in pochi anni -, ma diminuiscono gli aiuti» (v. anche pag. 14 per l’aiuto alle famiglie dei lavoratori Berco)

Paola Arvieri ci spiega invece come a Tresigallo la Caritas «raccoglie beni alimentari in chiesa e presso un supermercato, oltre al cibo che mensilmente arriva dal Fondo sociale europeo». Sono 49 le famiglie assistite, per un totale di 125 persone (delle quali circa il 40% straniere). «Con il Consiglio Pastorale – prosegue – si parlerà a breve di istituire un fondo Caritas per eventuali aiuti in denaro per pagamento utenze».

Mentre don Marco Polmonari ci spiega come i Centri Caritas siano due nel suo territorio – Codigoro e Pontelangorino -, Roberto Alberti ci racconta di come a Mesola siano una 40ina le famiglie aiutate dalla Caritas parrocchiale, per un totale di 150 persone, 85% delle quali straniere. A Pomposa invece – ci spiega Giuliano Tomasi – sono attive le associazioni “Il Mantello” e “Buonincontro”:”Il Mantello” dona beni alimentari  (57 le famiglie aiutate, di cui 28 italiane, per un totale di 175 persone assistite) e orienta al lavoro tramite colloqui motivazionali per la ricerca dell’impiego. 

Infine, Umberto Carli ci spiega il servizio del Punto di Ascolto Caritas Duomo-Rosario di Comacchio: «aperto il mercoledì pomeriggio, riceve le persone che hanno difficoltà nel pagare qualche fattura energetica, e in concerto con i Servizi Sociali, anche situazioni non direttamente legate alle utenze, quali, sanitarie, alimentari, trasporti, ecc. Oltre all’apertura del Punto di Ascolto, siamo presenti in tutti i mercati rionali con un banco dove è possibile, previo contatto telefonico, avere aiuti per vestiario, arredamento e supporto sociale». Inoltre, «per le persone anziane e con disabilità viene effettuata la consegna di beni alimentari. Nel 2024 – conclude – 82 famiglie si sono presentate, per un totale di circa 260 interventi economici, oltre a decine di aiuti per mobili ed elettrodomestici, alcuni aiuti per centri estivi, piccoli traslochi. Per il 2025 in collaborazione con la Caritas Diocesana Ferrara Comacchio saranno implementati nuovi servizi e attività».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 marzo 2025

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“Mi fido di noi”, parte la campagna in Diocesi: obiettivo 27mila euro

15 Mar

Attraverso la Caritas Diocesana, si chiede di donare per un fondo di microcredito in aiuto a famiglie o persone a rischio usura. Il punto di ascolto sarà in via Arginone

A cura di Andrea Musacci

Riscoprire la vocazione a essere comunità, una comunità di persone che aiuta i fratelli e le sorelle in difficoltà. Parte da questo principio, “Mi fido di noi”, progetto di microcredito sociale a favore di quanti hanno difficoltà ad accedere ai consueti canali di prestito. Nella nostra Chiesa locale, il progetto è stato scelto dalla Caritas Diocesana fra i sei proposti da Caritas italiana nell’Anno giubilare (v. in fondo)

«“Mi fido di noi” si propone – spiega Caritas Italiana – di restituire speranza e dignità attraverso l’accompagnamento e il coinvolgimento della comunità ecclesiale». È prevista la creazione di un fondo, alimentato grazie al contributo della CEI, della Caritas Italiana, delle Chiese locali e al sostegno di fondazioni, associazioni, imprese e cittadini, anche attraverso attività di crowdfunding

Nella nostra Diocesi verrà costituito un fondo con l’obiettivo di raccogliere 27mila euro (0,10 centesimi a persona, moltiplicato per il numero dei residenti nel territorio della nostra Chiesa locale). La nostra Caritas diocesana avrà a disposizione il doppio, 54mila euro (gli altri 27mila li metterà Caritas italiana), «una risorsa aggiuntiva molto importante per aiutare famiglie o singoli indebitati che rischiano o di cadere vittima dell’usura o comunque di accettare finanziamenti con tassi molto alti», spiega il Direttore di Caritas Diocesana Paolo Falaguasta. In Italia si stima di raccogliere 30 milioni di euro (com’era a 30 miliardi di lire l’obiettivo del Giubileo di 25 anni fa). Il fondo sarà quindi depositato a Banca Etica – presente anche nel territorio ferrarese con un Gruppo di Iniziativa Territoriale (www.bancaetica.it/git/git-ferrara/) – e la nostra Caritas farà riferimento (come Nord Italia) alla Fondazione antiusura “San Bernardino” onlus di Milano.

«Il prestito – spiega ancora Falaguasta – sarà dai 1000 agli 8mila euro per ogni situazione che si presenta» (singolo o nucleo familiare). L’ufficio/punto di ascolto dove le persone interessate potranno rivolgersi sarà nel Centro San Giacomo in via Arginone 161 a Ferrara, negli ex locali parrocchiali, all’interno di quel “Nuovo Complesso della Carità” (così possiamo chiamarlo) che vede da tempo un Guardaroba sociale e a breve (entro fine mese) l’apertura del Centro diurno. Nell’ufficio saranno presenti operatori, volontari e volontarie che accoglieranno le persone che vorranno richiedere un prestito. «Credo – prosegue Falaguasta – che la richiesta sarà altissima, viste le tante persone che normalmente si rivolgono regolarmente al nostro Centro di Ascolto in via Brasavola per chiederci aiuto con piccoli prestiti o per il pagamento delle utenze o dell’affitto, e per altre spese quotidiane». Senza considerare il sempre maggior numero di famiglie a rischio povertà. «Cerchiamo quindi volontari e volontarie che abbiano la capacità di ascolto e di valutazione dei singoli problemi: Caritas italiana organizzerà per loro un corso di formazione. Abbiamo già alcuni volontari che si sono resi disponibili e speriamo se ne aggiungano molti altri».

«Importante in questo progetto è anche l’aspetto educativo, cioè dell’accompagnamento nell’uso equilibrato del denaro», ci spiega invece il nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, che della Caritas Diocesana è Presidente. «“Mi fido di noi” – aggiunge – non si limiterà al Giubileo ma continuerà nei prossimi anni».

I 6 PROGETTI DI CARITAS

Per l’anno giubilare, Caritas italiana propone alle Chiese locali  l’adesione a 6 possibili progetti. Oltre a “Mi fido di noi”, vi è “Liberi di scegliere”, per minori e donne che decidono di sottrarsi a condizionamenti e violenze in organizzazioni criminali; “Microprogetti in Italia” contro povertà alimentare ed educativa dei minori; “Corridoi umanitari, universitari e lavorativi” per i profughi; “Microprogetti di sviluppo” per creazione e sviluppo di solidarietà nel mondo; “Vince chi smette. Consapevoli contro l’azzardo”, per promuovere prevenzione e azioni di contrasto.

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«In aumento le richieste di aiuto per pagare le bollette»: le Caritas parrocchiali cittadine ci raccontano la situazione e come si attivano 

Abbiamo chiesto ad alcune Caritas parrocchiali di Ferrara, se si trovano a che fare con persone o famiglie che chiedono loro aiuti in denaro per il pagamento di bollette, utenze o altre spese. 

Patrizia Di Mella è volontaria dello Sportello di ascolto di S. Maria in Vado (UP Borgovado): «proprio questo mese – ci spiega – abbiamo chiesto ai nostri parrocchiani anche donazioni in denaro, per aiutare 7-8 famiglie – straniere ma non solo – che si trovano con bollette esorbitanti. Sempre più famiglie in difficoltà si rivolgono a noi: diamo loro una quota della cifra da pagare; e diverse famiglie non ci chiedono aiuto perché si vergognano, ma ne avrebbero forte necessità…».

Anche a San Benedetto è presente un Centro di ascolto e dal 2013 è stato istituito il fondo “Il buon samaritano” per l’acquisto di alimenti, vestiti e per il pagamento delle bollette. «Di solito – ci spiega Giancarlo Paganini – paghiamo la metà della bolletta della persona o famiglia bisognosa, e a volte capita che l’altra metà o parte ce la diano a rate». Sì, perché il metodo dei volontari è di provvedere materialmente al pagamento, senza consegnare soldi a chi bisogno. Anche a Sambe sono una decina le famiglie (italiane o straniere), o gli anziani soli, che chiedono aiuto economico, e sono in aumento. «Non riusciamo ad aiutarle tutte ma in questo periodo quaresimale le offerte domenicale, le piccole offerte dei bimbi del catechismo e l’offerta specifica la seconda domenica del mese le doneremo integralmente al progetto “Mi fido di noi”». Anche alla Sacra Famiglia – ci spiegano – «paghiamo la metà delle bollette a famiglie in difficoltà: il Centro di ascolto le segnala al parroco che provvede alla bisogna».

Maria Enrica Ferretti è una volontaria del Centro di ascolto di Santo Spirito: «aiutiamo alcune famiglie con il pagamento di una quota delle bollette, ma spesso – forse per vergogna – alcune di loro si rivolgono non a noi ma al parroco». Al Centro si rivolgono «soprattutto italiani, alcuni giovani stranieri e molti anziani, che spesso vogliono solo fare due chiacchiere perché soli. E ultimamente abbiamo notato non un aumento di queste famiglie ma che quelle che ci chiedono aiuto, lo fanno più spesso».

Un discorso simile lo fa la Caritas di Pontelagoscuro: «chi ha questo tipo di bisogno, non si rivolge a noi ma al parroco. In ogni caso, sappiamo che sono tante le famiglie con questa necessità».

Dalla Caritas della parrocchia dell’Immacolata ci spiegano: «una richiesta permanente di aiuto per le bollette con avvenuti distacchi dell’erogazione ci perviene da 4 famiglie. A queste si aggiungono richieste occasionali. L’importo delle bollette è sempre elevato e la richiesta per le stesse riguarda anche le rate di bollette scadute non pagate». 

Celeste Mangherini è alla guida della Caritas dell’UP Sant’Agostino-Corpus Domini: «ogni 4 mesi – ci spiega – le famiglie o persone in difficoltà con il pagamento di utenze o affitto possono chiederci un aiuto. Lo diamo a chi ha un ISEE sotto i 6mila euro e agli stessi interessati chiediamo un contributo al pagamento di almeno 1/3 del totale. Ogni anno, per questo tipo di sostegno economico, come Caritas abbiamo un fondo di 5-6mila euro (calat o negli anni) e aiutiamo 3-4 famiglie al mese. Negli ultimi anni – prosegue – c’è stato un aumento non solo delle famiglie richiedenti ma anche delle stesse cifre richieste. A noi si rivolgono perlopiù stranieri».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 14 marzo 2025

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«Nessun anonimo fra i poveri»

12 Mar

Giornata diocesana povertà: in cammino assieme e la storia di Annalena Tonelli

«Solo l’amore fa respirare, crescere, fiorire»: questa frase di Annalena Tonelli, missionaria uccisa in Somalia nel 2003, è l’immagine migliore per raccontare la Giornata diocesana dedicata alle diverse forme di povertà dello scorso 9 marzo.

Circa 150 i presenti totali alle diverse tappe del pomeriggio comunitario: nella sede della Caritas diocesana in via Brasavola a Ferrara, alcuni operatori e volontarie hanno accolto ilVescovo e i presenti per un primo momento di preghiera. A seguire, cammino potenziale dietro una semplice croce di legno della Basilica di Santa Maria in Vado, essa stessa immagine di povertà, di umiltà. Poi, l’arrivo nella Basilica stessa per la liturgia penitenziale comunitaria e infine nel Monastero del Corpus Domini per lo spettacolo-testimonianza “Quell’incontro”della Compagnia forlivese teatrale “Quelli della via”, dedicato proprio ad Annalena Tonelli (all’interno dell’Ottavario di S. Caterina Vegri).

A S.M. in Vado è stato donAndrea Zerbini, Presidente dell’UP Borgovado, a leggere la traccia per l’esame di coscienza scritto dagli Uffici pastorali diocesani assieme ai responsabili dei Vicariati cittadini.

ANNALENA, «VERITÀ SCOMODA»

È il 5 ottobre 2023 quando, al rientro dopo la visita serale agli ammalati, Annalena Tonbelli viene uccisa da due sicari con un colpo alla nuca. Aveva 60 anni. Nel tardo pomeriggio del 9 marzo era strapieno il coro della chiesa del Monastero del Corpus Domini per lo spettacolo a lei dedicato, con una decina di ragazze e ragazzi della Compagnia “Quelli della via” e Andrea Saletti, nipote di Annalena Tonelli. Suor Paola Bentini delle Clarisse ha raccontato:«ho conosciuto personalmente Annalena, e quindi mi comuovo a ricordarla. Ci insegna l’importanza di imparare a sperare e di insegnare a sperare». Mons.Perego ha poi ricordato di averla conosciuta nel 2002 in Caritas italiana: «ricordo una donna che ti faceva sempre riflettere, provocando profondamente la tua fede a essere autentica».

Letture, testimonianze, aneddoti e riflessioni si sono alternate a danze, musiche, canti africani e coreografie semplici e festose.

«La sua vita – ha detto il nipote Andrea – è un mistero e come tutti i misteri appartiene a Dio». È a 19 anni che scopre gli ultimi degli ultimi, quei «brandelli di un’umanità ferita», come li chiamava. È scesa nella terza classe dell’umanità, di fianco a coloro che nessuno voleva». Dopo l’esperienza nel brefotrofio di Forlì, a 27 anni parte per il Kenya dove fin da subito è al fianco di bimbi ciechi, sordi o dei cosiddetti bambini-ragno. «Diventa loro madre», fa nascere la “Fraternità della gioia” e apre scuole e ospedali. «Non voglio che esistano anonimi fra i poveri», diceva. «Annalena riusciva a vedere il fiore che saresti potuto diventare», è la testimonianza di una keniota da lei salvata all’età di 6 anni.E poi sarà in Somalia, con lo stesso spirito, e al fianco anche dei malati di tubercolosi: «da soli non fioriranno mai, hanno bisogno che qualcuno li aiuti», diceva dei suoi poveri. «Prima di lei, nessuno sapeva il mio nome», testimoniò un altro bambino da lei salvato. Ma in Somalia iniziano anche le accuse da parte dei potenti, le minacce.Emanuele Capobianco, allora giovane medico Unicef, raccontò: «era libera nella propria radicalità» , «una verità scomoda», «elegante come un airone e forte come l’acciaio».

Queste le altre Giornate giubilari inDiocesi: 12 aprile coi giovani nella Concattedrale di Comacchio; 7 giugno nella chiesa di Tresigallo  Veglia diocesana di Pentecoste; 14 settembre nella chiesa di Gavello Giornata dedicata agli anziani.

(Foto Roberto Fordiani)

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Lasciarci andare al Mistero, oltre le nostre logiche: Chiara Scardicchio al Corpus Domini

Dopo gli incontri del 1° marzo – “Dio non dorme”, con Joy Ezekiel e sr Rita Giaretta – e del 2 marzo – con l’arpista Chiara Conato e le letture di Luigi Dal Cin -, la sera del 7 è stata Chiara Scardicchio, nota pedagogista e autrice, la protagonista del nuovo incontro nel Monastero delle Clarisse. Nel calendario degli incontri dell’Ottavario di Santa Caterina Vegri (che ha visto anche lo spettacolo su Annalena Tonelli il 9, v. art. sopra), Scardicchio – partendo dal suo  libro “La ferita che cura. Il dolore e la sua collaterale bellezza” (ed. AnimaMundi) – ha meditato  sull’eterna domanda di Giobbe – di ogni persona («Perché il dolore?»). «Il giorno in cui sono caduta nell’abisso – ha detto Scardicchio – cercavo di resistere, di combattere, cercavo una logica». Questo perché «siamo abituati a immaginare Dio come l’appagatore dei nostri desideri, a nostra immagine e somiglianza». Ma «il Signore ci invita a lasciare, a lasciar andare, a non possedere, a contemplare, cioè a non giudicare – l’atto più difficile da compiere»; quindi, «a fare spazio al Suo avvento, che tutto scompiglia».

Ciò, per arrivare alla consapevolezza che anche «il buio è necessario alla luce» e infatti «è dall’abisso» – dagli inferi – «che Dio risorge». Il dolore «o ci atterrisce o ci rivoluziona: le nostre morti quotidiane sono ricapitolazioni, scuotono il nostro ordine», mentre quest’ultimo «non muove, non crea. È dallo scorticamento che nasce una vita più nuova». «La custodia di Nostro Signore – ha poi concluso – è il sacro, il Mistero, ciò che non si può possedere né consumare». Né lamento né cinismo, quindi, ma abbandono a questo Mistero che sempre ci oltrepassa, insegnandoci quel limite che ci è necessario per essere davvero umani.

Andrea Musacci

Pubblicati sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 14 marzo 2025

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(Foto Alessandro Berselli)

Minori stranieri non accompagnati, serve una rete di aiuto per salvarli

8 Mar

Il 1° marzo a San Giacomo Apostolo la tavola rotonda della Papa Giovanni XXIII col Vescovo, il Prefetto, le testimonianze di un giovane migrante e di chi è in prima linea: storie e progetti

di Andrea Musacci

“Esserci per accogliere. Ascoltare per custodire” è stato il titolo dell’importante tavola rotonda sul tema dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) tenutasi lo scorso 1° marzo nei locali di San Giacomo Ap. a Ferrara, organizzata dalla Papa Giovanni XXIII e moderata da Elisa Calessi, giornalista Rai di Porta a porta.

I DATI. «SERVONO PIÙ TUTORI»

Dopo la presentazione di Caterina Brina (Papa Giovanni XXIII), è intervenuto il nostro Arcivescovo mons.Gian Carlo Perego (Presidente Fondazione Migrantes), che ha preso le mosse dai recenti dati pubblicati dal Ministero del Lavoro, raccolti attraverso il SIM (Sistema Informativo nazionale dei Minori non accompagnati): al 31 dicembre 2024 erano presenti in Italia 18.625 MSNA. Di questi, il 15% ha meno di 14 anni ed il 12% sono ragazze. Aumentano le femmine e si abbassa sempre più l’età. «In Italia – ha detto mons.Perego -, sono sostanzialmente due le stagioni che riguardano gli MSNA: la prima è a inizio anni ’90, con l’arrivo in particolare di albanesi, rumeni e bulgari; la seconda, dal 2015 in poi, con picchi di 35mila MSNA annui». Dei 18.625 MSNA presenti in Italia, il 53% arriva dal mare, il 47% da terra (camion, volo in aereo, rotta balcanica ecc.). Il 12% sono femmine, un numero in aumento negli ultimi anni, e il 46% di queste ha tra i 7 e i 14 anni. Per quanto riguarda in particolare i maschi, i più piccoli di loro han perso la madre o i genitori durante la traversata in mare. Questi provengono da 66 Paesi, di cui quasi il 70% da 33 Paesi africani, e i restanti dall’estEuropa, da Paesi asiatici o latino-americani. Per quanto riguarda i maschi, negli ultimi anni vengono principalmente (il 75%) da – in ordine – Egitto, Ucraina, Gambia, Tunisia, Guinea, Costa d’Avorio, Albania, Bangladesh,Pakistan. Le femmine invece sono la quasi totalità ucraine e una minoranza ivoriane. Le Regioni che più accolgono gli MSNA sono Sicilia, Lombardia, Campania, Emilia-Romagna e Lazio. E l’86% è ospitato come prima accoglienza in strutture di emergenza o temporanee. Parte degli ucraini in questi 3 anni di guerra è stato accolto da famiglie ucraine già residenti nel nostro Paese.

«Ma chi li tutela?», si è chiesto il Vescovo. Domanda scottante, che ha aperto un interessante dibattito in sala: «prima della Legge Zampa del 2017, erano i Sindaci ad avere la tutela degli MSNA.Un compito arduo visti i numeri importanti. Ma la Legge Zampa non ha ancora i decreti attuativi, cioè le gambe per camminare.Oggi in Italia i tutori riconosciuti per gli MSNA sono 3783: un numero palesemente insufficiente. C’è anche da dire – ha proseguito mons. Perego – che il 35% degli MSNA si allontana volontariamente dalla struttura dov’è accolto, per lasciare l’Italia, che vede quindi solo come tappa intermedia». L’impegno coordinato di associazioni e istituzioni è, dunque, fondamentale: a fine dibattito, mons.Perego ha sottolineato con amarezza come «inItalia solo 80 Prefetture hanno un Consiglio territoriale per l’immigrazione funzionante».

PROGETTO ALLA CITTÀ DEL RAGAZZO

E dopo il Vescovo è intervenuto proprio il Prefetto di Ferrara Massimo Marchesiello: «ringrazio – ha esordito – chi nel nostro territorio fa accoglienza di MSNA». Dal 2017 al 2023 Marchesiello è stato prima Prefetto di Gorizia e poi di Udine, e a S. Giacomo ha quindi raccontato anche alcune esperienze positive in queste aree di frontiera che ha potuto vedere coi propri occhi, per poi ricordare il progetto che «come Prefettura diFerrara abbiamo avviato assieme a mons.Perego nella Città del Ragazzo di inserimento lavorativo per gli MNSA, con anche un percorso formativo e di alfabetizzazione».

L’ÉQUIPE DELL’AUSL FERRARA

Un ruolo fondamentale per gli MSNA lo svolge l’AUSL Ferrara, rappresentata nella tavola rotonda da Annalisa Califano che ha parlato del progetto dell’équipe multidisciplinare e multiprofessionale – interna proprio all’AUSL di Ferrara – , nata 1 anno e mezzo fa (e presente anche nelle altre AUSL della nostra Regione) e composta da un mediatore culturale, «indispensabile per costruire un rapporto col presunto minore»: un assistente sociale dell’ASP di Ferrara (invitato all’incontro del 1° marzo, invito che ha però declinato); un neuropsichiatra e una psicologa di psicologia infantile; un pediatra.«Abbiamo – ha aggiunto – un ambulatorio dentro la Casa della Comunità (Cittadella San Rocco, Ferrara, ndr) per l’accertamento del MSNA.Qui si compie un primo colloquio, molto doloroso, nel quale al presunto minore si chiede di ripercorrere la propria storia, spesso fatta di povertà, scarsa scolarizzazione, problemi lavorativi, abusi, violenze, torture subite durante il viaggio».

E a proposito della famosa “radiografia dei polsi” che si compie per valutare la maggiore età o meno del giovane migrante, Califano ha spiegato che «vale solo come primissimo accertamento, al quale poi ne devono seguire altri». È, dunque, un percorso lento e complesso: «ci interessiamo – ha aggiunto – della sua salute complessiva, comprendente anche l’alfabetizzazione, la conoscenza dei propri diritti, della terra che lo ospita».

“CASA DELL’ANNUNZIATA” 

In collegamento con San Giacomo c’era Giovanni Fortugno, Responsabile  di “Casa dell’Annunziata”, comunità di accoglienza per MSNA nel centro di Reggio Calabria. «Siamo nati 10 anni fa – a fine 2014 – grazie anche all’impegno di mons. Gian Carlo Perego e della Migrantes. Accogliamo bambini e ragazzi dai 9 ai 17 anni di età. Appena li accogliamo – ha spiegato -, togliamo loro lo smartphone per evitare che i trafficanti continuino a contattarli. Successivamente, gliene diamo un altro per tenersi in contatto coi familiari. E stiamo lavorando anche a progetti per i neomaggiorenni». Iniziai andando in Grecia, a Patrasso, dove vidi bimbi soli anche di 6-8 anni». Tra il 2014 e il 2019, sono ancora sue parole, «a Reggio Calabria sono arrivati quasi 8mila MSNA, numeri enormi per una realtà come la nostra, non attrezzata per questo tipo di accoglienza. Personalmente ho assistito a circa 400 sbarchi di migranti: ho visto uomini senza reni, perché asportati per il commercio illegale, gravemente ustionati, feriti, senza un occhio o un orecchio, con gli arti amputati a causa della disidratazione, fortemente denutriti, alcuni arrivati morti».

LE STORIE DEI BIMBI

Il giornalista Luca Luccitelli è insieme a Fortugno co-autore del libro “Figli venuti dal mare”: «sono 200 le storie che ho raccolto da Fortugno e una parte di esse le raccolgo nel libro: lui ci ha messo la vita, io le parole», ha detto. «Nel volume inizio dalle storie di chi non ce l’ha fatta, come una mamma somala e il suo bimbo, morti durante la traversata. O di quei tre bimbi – uno afghano, uno eritreo, l’altro dall’Africa occidentale – che hanno camminato da soli per alcune migliaia di km». Questi minori durante la loro odissea «sono potenzialmente vittime di qualsiasi tipo di abuso e violenza.E tra loro aumentano gli under 14 e le femmine, regolarmente abusate sessualmente durante il tragitto. A Reggio Calabria – ha proseguito – ho incontrato Fatima (nome di fantasia, ndr), bimba siriana col volto gravemente ustionato ma con uno sguardo sempre solare.Abbiamo poi constatato essere stata vittima di una delle bombe chimiche dell’esercito di Assad.Operata a Beirut, poi da lì ha viaggiato da sola fino in Italia, passando per la Libia (Bengasi), traversando il mare e arrivando a Roccella Jonica. Il padre le ha pagato il viaggio tra i 4 e i 6mila euro, indebitandosi pesantemente».

LA STORIA DI FAKOLI

Fakoli Sibide è invece il nome di un ragazzo senegalese di 18 anni, accolto alla Città del Ragazzo di Ferrara. A San Giacomo è intervenuto per raccontare la sua storia: «due anni  fa – ha detto – ho lasciato il mio Paese e la mia famiglia, e ho attraversato il Mali, il Niger,  la Tunisia e poi con un barcone sono arrivato in Italia». In Tunisia è rimasto 5 mesi, durante i quali ha anche lavorato in campagna. Fakoli ha viaggiato in parte a piedi, in parte in autobus, dormendo anche per strada. Sogna di fare il meccanico: alla Città del Ragazzo, infatti, ama molto il corso di meccanica che sta seguendo.

L’incontro è stato ulteriormente arricchito da alcuni interventi dal pubblico (una 70ina i presenti), fra cui Enrico Beccarini, Presidente Associazione “Tutori nel Tempo” di Ferrara (la prima nata in Italia, nel 2016): «inItalia – ha detto – ci sono 3 mila tutori, ma solo una piccola percentuale di questi riceve la nomina dal Tribunale dei minori. A Ferrara, ad oggi solo 2 su 28». Paola Mastellari, Presidente Associazione “Tutori Volontari Emilia-Romagna” ha invece spiegato come nella nostra Regione esiste anche un’altra associazione di tutori, a Bologna. «Sono 200 – ha aggiunto – i tutori in Emilia-Romagna, a fronte di 1406 MSNA (dati Ministero al 31 gennaio 2025)». Numeri bassi, che hanno conseguenze serie sulla vita di questi giovani.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 marzo 2025

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«Ho rivisto la luce e ho capito che Dio era sempre stato con me»

7 Mar

La storia di Joy Ezekiel, 31enne nigeriana, salvata dall’inferno della prostituzione. La sua testimonianza dalle Clarisse a Ferrara assieme a suor Rita Giaretta

«Ero diventata una merce, gli uomini mi compravano dopo avermi chiesto “quanto costi?”. Poi, grazie a suor Rita, sono rinata, ho rivisto la luce e ho capito che Dio era sempre stato con me».

Un centinaio di persone lo scorso 1° marzo nel coro del Monastero del Corpus Domini di Ferrara ha assistito commosso alla testimonianza di Joy Ezekiel, giovane nigeriana salvata da suor Rita Giaretta e dalla sua comunità dall’inferno della prostituzione. È stato l’incontro di apertura dell’Ottavario di santa Caterina Vegri, nel quale è intervenuta anche suor Giaretta e ha moderato Piera Murador (ComunitàPapa Giovanni XXIII).

JOY: DALL’INFERNO A QUELL’ABBRACCIO CHE LIBERA

«Portare la mia testimonianza in giro per l’Italia è un gesto missionario, per dare speranza a più persone possibili!, ha  raccontato Joy, sempre col sorriso e con un’energia coinvolgente.

«Non voglio essere compatita ma dire “ce l’ho fatta io, puoi farcela anche tu, ci si può sempre rialzare”. Ero arrivata a un punto della mia vita che ero molto arrabbiata con Dio, perché era troppa la sofferenza che avevo vissuto. Ma dopo 1 anno di torture e violenze subite, ho conosciuto suor Rita che mi ha permesso di aprire la finestra e di vedere una vita nuova». Ora Joy ha 31 anni, ma nel 2016 ha lasciato il suo Paese, la Nigeria, «perché ingannata dalla mia famiglia e dalla pastora di una Chiesa nigeriana, amica di famiglia. Mi aveva proposto di venire in Italia per lavorare come badante. Non potevo rifiutare l’offerta, mi avrebbero isolata in tutto il villaggio dove vivevo». Inizia l’inferno del viaggio e «capisco che è tutto un inganno: arrivo prima in Niger poi in Libia, poi attraverso il mare in Italia. Prima della Libia attraverso con altri il deserto, dove la sabbia cade come pioggia e ti entra in bocca a causa del vento.E dove le persone a volte venivano buttate giù dalle auto e lasciate morire lì da sole.Intorno a me non vedevo via d’uscita. La notte era fredda, non avevamo cibo e bevevamo solo acqua salata. Non ero più nulla. Non potevo nemmeno lamentarmi altrimenti mi avrebbero uccisa». Poi l’arrivo nel lager di Tripoli, dove «non c’era nulla», solo disperazione e grida, migliaia di persone rinchiuse, donne e uomini insieme:«a volte, di notte, si sentivano le grida di donne che venivano stuprate, e non potevi fare nulla per difenderle. Sono stata 4 mesi lì dentro. Si è affezionata a me, e io a lei, una ragazzina di 13 anni, Grace.Un giorno, noi due e altre 8 donne siamo state rapite da 7 arabi, legate e stuprate tutta la notte. Sentivo le urla di Grace, pensavo a lei, non a me». Grace che poi è morta fra le sue braccia, il suo corpo non ha retto le violenze. Le sue ultime parole a Joy sono state: «Prega per me». «Mi sono chiesta: “Perché lei e non io?”. Non so nemmeno dov’è stata seppellita. E così sul gommone, una madre aveva il suo bimbo di appena 2 giorni, e anche lui non ha resistito, è morto in mare e sua madre sollevandolo al cielo gridava: “Dio, dove sei?Salvaci!”». Poi l’arrivo a Bari, l’incontro con la madre della pastora del villaggio nigeriano. Che la porta a Castel Volturno e le dice: «mi devi ripagare il debito di 35mila euro per il tuo viaggio». Da lì un altro inferno, ancora peggiore: «le violenze che ho subito in Libia quella notte le ho subite tante notti a Castel Volturno.Ero diventata una merce, solo una merce.Gli uomini, tanti uomini, ogni notte si fermavano e mi chiedevano “quanto costi?”. Un giorno scoprii anche di essere rimasta incinta di uno di loro ma chi mi sfruttava mi obbligò ad abortire. Ero solo una bambola, e il bancomat di quella madame che mi sfruttava. Al secondo tentativo di fuga, sono riuscita nel mio intento e la polizia mi ha poi portato a “Casa Rut” a Caserta. Ero spaventata ma suor Rita mi si è avvicinata e mi ha abbracciato. Finalmente, una persona mi ha abbracciato non per avere sesso ma per aiutarmi. Mi ha fatto il segno della croce sulla fronte e mi ha detto “benvenuta!”». Poi il primo pasto nella nuova casa – «il brodo», ricorda ancora – «ed ero incredula: di notte, nessuno mi svegliava per andare sulla strada! Dio non dorme, era sempre stato lì con me. Dio non è né lento néveloce: è sempre in orario».

Dio – ha proseguito Joy – ha trasformato la mia sofferenza in gioia, e io sono tornata a utilizzare il mio nome, dato che quando mi facevano prostituire mi obbligavano a chiamarmi Jessica. Ogni dolore, anche piccolo, è una porta», sono state ancora sue parole: «qualcuno da fuori può bussare per voler entrare ed aiutarti».

Joy ha poi raccontato la sua nuova vita nella luce:una volta salvata, «volevo farmi suora, ma suor Rita mi ha detto “aspetta e fai il tuo percorso, poi capirai a cosa sei chiamata dal Signore”. Ho fatto la terza media, poi un tirocinio nella cooperativa “New Hope” fondata da suor Rita, lavorando in una sartoria tecnica. Poi nel 2022 mi son trasferita a Roma con lei, vivendo nella “Casa Magnificat” (sempre da lei fondata, ndr), ho preso un primo diploma come mediatrice culturale, lavorato in una rete antitratta, ho fatto 1 anno di Servizio Civile nel Comune di Roma, poi mi sono diplomata come OSS e fatto un tirocinio in ospedale. Ora lavoro, tramite una cooperativa e con un contratto a tempo indeterminato, a domicilio nell’assistenza di persone anziani o disabili. E lo scorso autunno mi sono sposato in chiesa con Andrea, che ho conosciuto grazie a un ascensore rotto…».

SUOR RITA: «IMPARIAMO AD AMARE PER DIFENDERE L’UMANO»

Joy e tante come lei «sono giovani donne derubate della loro dignità. Il male schiaccia queste persone, e c’è chi lo provoca.Per questo, dobbiamo alzare la voce. I cristiani, che dovrebbero incarnare il Vangelo, non devono tacere ma recuperare il coraggio di una voce forte a difesa della dignità infinita delle persone». Così suor Rita Giaretta nel suo appassionato intervento al Corpus Domini di Ferrara.

«A forza di silenzio, però, il mondo sta marcendo. Il Vangelo è sovversivo, rovescia le nostre logiche. Oggi, invece, c’è la tendenza a mercificare tutto, l’altro è solo mezzo per il mio interesse e il mio godimento», ha proseguito. Joy è «segno di speranza. Joy – ha poi detto rivolgendosi alla ragazza -, fai in modo che le nostre vite non restino come prima! Lei ci chiede l’autenticità di essere cristiani. Decidiamo, quindi, da che parte stare, scegliamo di stare dalla parte di chi ha bisogno, della dignità, dalla parte del Vangelo».

Ognuno «nel cuore di Dio è pensato come una meraviglia», ha proseguito suor Rita. «Non si tratta tanto di “fare” ma soprattutto e innanzitutto di voler bene, di amare, per far risorgere, per dare una vita nuova» alle ragazze come Joy. “Non ho mai ricevuto il bacio della buonanotte”, mi ha detto una volta una giovane accolta dopo esser stata costretta a prostituirsi. Facciamo dunque una resistenza per difendere ciò che è umano. Niente pietismo o assistenzialismo ma far sentire queste persone speciali, far fiorire quel fiore che è dentro il loro cuore».

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Gli altri incontri
Il 2 marzo dalle Clarisse, per l’Ottavario, vi è stato un momento di ascolto dal titolo“Aria di speranza, per Arpa – Chiara Conato – e narrazioni – Luigi dal Cin – parole private dette in pubblico”. Venerdì 7 marzo, ore 21, invece, la pedagogista Chiara Scardicchio coinvolgerà in un percorso molto particolare. Il punto di partenza sarà uno dei suoi ultimi libri, “La ferita che cura”, il dolore e la sua collaterale bellezza. Non sarà una conferenza, ma un momento di contemplazione, un esperimento che ha assunto la forma di piccolo teatro di narrazione. Amore, dolore e bellezza è ciò che ha segnato anche l’esperienza di Annalena Tonelli, che di ferite ne ha curate tante e con un’unica ferita – una pallottola nel capo – ha sigillato la sua testimonianza tutta spesa per i poveri. Sulla sua vita domenica 9 marzo, ore 17.30, la compagnia teatrale “Quelli della via” di Forlì proporrà uno spettacolo-testimonianza.

(Foto Roberto Targa)

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 marzo 2025

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