Martedì 9 aprile si è tenuta l’ultima conferenza del ciclo “Sinfonie Urbane. La ricerca di un posto nel paesaggio”, a cura di Doris Cardinali, nell’ambito del Piano Michelangelo Antonioni. La conferenza, dal titolo “Finis terrae: i margini del mondo. L’estetica del paesaggio in Michelangelo Antonioni”, è stata tenuta dal prof. Andrea Gatti dell’Università degli Studi di Ferrara. Nella Sala Agnelli della Biblioteca Comunale Ariostea, dopo l’introduzione di Doris Cardinali, il docente ha spiegato come “la riflessione filosofica possa aiutarci ad analizzare i film di Antonioni”. In particolare si può notare rispetto ai suoi primi film il passaggio “da una visione pratica, concreta ad una visione estetica, ideale del paesaggio, da un certo neo-realismo ad un’accezione visionaria e astratta del paesaggio”. L’estetica del paesaggio come disciplina specifica è un’invenzione inglese del ‘700, anche se oggi è da molti considerata obsoleta. Il prof. Gatti ha proseguito esponendo la sua preferenza per la svolta internazionale nella filmografia antonioniana, quella, cioè, da Blow-up (1966) a Professione:reporter (1975). L’intervento si è concentrato su Zabriskie Point (1970): per il docente, innanzitutto, il regista ha scelto la Death Valley come paesaggio per questo film in quanto “luogo sublime e pieno di estreme contraddizioni che scuotono le nostre certezze”. È un luogo vivo e morto al tempo stesso, è un luogo sterile, ma dal quale può nascere una forza creatrice. Per concludere, nell’estetica del paesaggio di Antonioni il concetto di “margine” è un concetto molto presente. Egli, infatti, usa spesso “paesaggi che sono luoghi di margine”, in quanto in questi “può avvenire l’incontro tra opposti, tra reale e irreale, tra reale e immaginazione”.
Andrea Musacci


