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La fede e le scelte di Etty Hillesum

16 Giu

2013-06-14 17.28.09

Il volume “Etty Hillesum. Osare Dio” è stato presentato venerdì alle 17 nella Sala della Musica in via Boccaleone. Gli autori, Don Alessandro Barban e Antonio Carlo Dall’Acqua, hanno discusso di questa straordinaria personalità insieme a Edoardo Nannetti e a Arianna Chendi. Etty Hillesum è un’intellettuale ebrea olandese morta trentenne ad Auschwitz nel ’43, insieme al fratello Mischa e ai genitori, mentre l’altro fratello, Jaap, morì a Lubben, in Germania, il 17 aprile 1945. I suoi diari, scritti tra il ’41 e il ’43, e le sue lettere del ’42-’43 sono una stupenda testimonianza del suo coraggio e della sua spiritualità. Don Alessandro Barban, ferrarese e Priore generale dei monaci Camaldolesi, ha analizzato la vita di Hillesum partendo dalle sue origini ebraiche, dalla scoperta della fede e dalla scelta del “sacrificio”, tratti che l’accomunano a grandi donne del ‘900 come Edith Stein, Hannah Arendt e Simone Weil. L’autore ha, inoltre, affrontato il suo rapporto con Julius Spier e la sua idea di amicizia in relazione alla coppia fiducia/futuro. Questi temi sono stati ripresi e discussi dall’altro autore, Antonio Carlo Dall’Acqua.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 16 giugno 2013

(nella foto, da sx: Don Alessandro Barban, Arianna Chendi, Edoardo Nannetti, Antonio Carlo Dall’Acqua)

“L’ora migliore del giorno” di Natasha Czertok in Sala Estense

29 Apr

Natasha

“E se sopravviveremo intatti a questo tempo, a questa guerra, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche noi il diritto di dire la nostra parola”. Potrebbe essere questa la frase che meglio rappresenta la spiritualità di Etty Hillesum, intellettuale ebrea olandese morta trentenne ad Auschwitz il 30 novembre 1943. Sabato sera, in occasione della Festa del Libro Ebraico, alla Sala Estense lo spettacolo “L’ora migliore del giorno” di Natasha Czertok ha omaggiato il suo coraggio, la sua femminilità. Lo spettacolo è ispirato ai suoi diari, scritti tra il ’41 e il ’43 (riediti da Adelphi nel 2012), e alle sue lettere del ’42-’43, e la recitazione della stessa Czertok e di Greta Marzano hanno ben trasmesso, col loro pathos, la tragicità di quelle pagine, di quegli anni, la solitudine e la forza di una ragazza cosciente, nel periodo delle persecuzioni antiebraiche, che “bisogna sopportare, custodire”, sopportare “il fuoco a mitraglia della burocrazia”, e gli spari veri, le urla, gli annunci di sterminio. E custodire la memoria, la cultura, distendendosi tra i libri quasi fossero un rifugio e raccoglierli, accatastarli come fossero l’ultimo appiglio. Mentre lei, il fratello Mischa e i genitori morirono ad Auschwitz, l’altro fratello, Jaap, morì a Lubben, in Germania, il 17 aprile 1945, durante il viaggio di ritorno in Olanda. Nonostante tutto, il finale è pervaso dalla speranza, “la gran corrente della vita deve continuare a scorrere”, recita Natasha/Etty, ed è una corrente con una fonte ben precisa: “Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio”.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 29 aprile 2013