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Disforia di genere, grande inganno per tanti giovani

11 Dic
(Foto Avvenire)

Fulvia Signani (UniFe) nel suo ultimo libro dedica una parte ai danni provocati da un’ideologia malata che ha fatto credere a tanti bambini e adolescenti che cambiare sesso fosse la soluzione al loro malessere e la risposta alle loro domande. Con l’aiuto di media, social e adulti

di Andrea Musacci

Un tema sempre poco affrontato nel dibattito pubblico ma che definisce – in negativo – il nostro tempo, è quello riguardante l’identità di genere e in particolare la disforia di genere soprattutto nei bambini e negli adolescenti. Ne parla Fulvia Signani, psicologa e sociologa, Docente UniFe incaricata di Sociologia di genere a Studi Umanistici e Medicina, nella sua nuova pubblicazione “Potenziare la Gender Medicine. I saperi necessari” (Mimesis ed., Collana UniFestum, n. XX, 2024).

Nella parte riservata al tema della disforia di genere nei minori, redatta assieme a Stefano Dal Maso (Ricercatore indipendente), scrive: «in assenza di sintomi fisici tangibili, l’anamnesi clinica si basa su ciò che la persona intende o non intende riferire di sé e quindi sull’auto-narrazione di chi si rivolge a un/a professionista sanitario/a per ricevere un parere». È questo l’approccio che tanti danni ha provocato nella vita di giovani e delle loro famiglie in tutto il mondo cosiddetto “avanzato”. Una scelta puramente ideologica ispirata dagli studi che si rifanno al Protocollo Olandese “Gender Affirmative Model of Treatment” (GAMT), sviluppato inizialmente in Olanda negli anni ’90 dalla psicologa Peggy Cohen-Kettenis.

L’IPOCRISIA DELL’APPROCCIO AFFERMATIVO

Questo approccio – scrivono i due studiosi – «persegue la convinzione che per alleviare la condizione di malessere psicologico, che spesso accompagna i bambini e i giovani con incongruenza o GD (nei primi anni diagnosticati come transessuali o affetti da disturbo dell’identità di genere) (…), sia opportuno affermarli nella loro richiesta di una nuova identità (che, per la specificità dell’approccio, non viene messa in discussione o relativizzata) tramite interventi farmacologici e chirurgici, non riconoscendo la fondamentale importanza di un sostegno psicologico di accompagnamento». Ciò che è incredibile è che questa posizione sia stata «validata anche in alcuni ambiti scientifici nonostante l’assoluta assenza di riscontri clinici». Una volta accettata come vera l’identità di genere dichiarata dal soggetto, vengono adottate quattro fasi: «l’assistenza psicologica nel percorso di affermazione di genere, la somministrazione dei “bloccanti della pubertà” ai bambini», «la somministrazione di ormoni cross-sex agli adolescenti» (farmaci per lo sviluppo e il mantenimento a lungo termine delle caratteristiche sessuali opposte rispetto a quelle del proprio sesso natale), «gli interventi chirurgici». In particolare, «la somministrazione dei bloccanti della pubertà viene raccomandata nell’applicazione dell’approccio affermativo, con il riferito intento di ridurre l’angoscia del bambino collegata allo sviluppo di caratteri sessuali opposti al proprio sentire interiore e di concedergli il tempo necessario per esplorare la propria identità di genere, al termine del quale, se persiste nella sua incongruenza, sottoporlo a ormoni cross-sex per tutta la vita». Dopo la pubblicazione nel 2006 sulla rivista “European Journal of Endocrinology” di uno studio di Delemarre-van de Waal e Cohen-Kettenis, «l’approccio affermativo si diffonde molto rapidamente, per effetto di un’imponente copertura mediatica anche al di fuori degli ambiti professionali clinici e grazie a una crescente spinta sociale», anche se le stesse Delemarre-van de Waal e Cohen-Kettenis abbiano dichiarato che «non è ancora chiaro come la soppressione puberale influenzerà lo sviluppo del cervello». Non certo un aspetto irrilevante. Viene invece diffusa «una narrativa parallela riferita al supposto aumento del rischio suicidario, qualora ai “giovani disforici” venga negato l’uso dei bloccanti». 

CRITICHE E RIPENSAMENTI

Ma tra il 2011 e il 20214 nel Regno Unito, i risultati dello studio “Early intervention study” «dopo la somministrazione dei bloccanti della pubertà, non hanno dimostrato un miglioramento del benessere psicologico, bensì un peggioramento dei problemi “internalizzati” come depressione e ansia e un aumento di ideazioni suicidarie». Nel marzo 2022 il gruppo di lavoro incaricato dal Servizio sanitario inglese e guidato dalla pediatra Hilary Cass, ex presidente del Royal College of Pediatrics and Child Health, pubblica un Rapporto intermedio «nel quale vengono già esposti i primi risultati che evidenziano le numerose preoccupanti criticità dell’approccio affermativo». Nella cosiddetta “Cass Review” è scritto: «Non sono stati identificati studi di alta qualità, che utilizzassero un disegno di ricerca appropriato per valutare gli esiti della soppressione della pubertà negli adolescenti che soffrivano di disforia o incongruenza di genere. Esistono prove insufficienti e/o incoerenti sugli effetti della soppressione della pubertà sulla GD, sulla salute mentale e psicosociale, sullo sviluppo cognitivo, sul rischio cardiometabolico e sulla fertilità. Esistono prove coerenti di qualità moderata, anche se provenienti principalmente da studi pre-post, che la densità ossea e l’altezza possono essere compromesse durante il trattamento». A seguito di tale pubblicazione, il Governo britannico annuncia la chiusura del reparto GIDS (Gender Identity Development Service) della clinica Tavistock.

Di conseguenza, ripensamenti radicali da parte di esperti e istituzioni negli anni si sono riscontrati in vari Paesi e lo scorso aprile la Società Europea di Psichiatria del bambino e dell’adolescente (ESCAP) ha licenziato un documento in cui sottolinea che «le ricerche hanno rilevato alcune gravi conseguenze per la salute dei bloccanti della pubertà e degli ormoni cross-sex, in particolare quando i trattamenti vengono iniziati nei minori” e solleva “preoccupazioni sulla possibile natura irreversibile del processo decisionale nella prescrizione dei bloccanti della pubertà».

COME I SOCIAL E IL CONTESTO INFLUENZANO I GIOVANI

In tutto ciò, un ruolo decisivo lo svolgono i mass media e i social media: «L’adolescenza – scrivono Signani e Dal Maso – può essere un periodo in cui il disagio mentale si manifesta attraverso problemi fisici come i disturbi alimentari o i disturbi legati alla percezione del proprio corpo. Per alcuni giovani, questo può esprimersi come disagio legato all’identità di genere». Studi come quello di Ahmed, Granberg e Khanna (Gender discrimination in hiring: An experimental reexamination of the Swedish case, 2021), rilevano come «ragazzi e ragazze, a seguito della consultazione dei social, hanno adottato comportamenti o identità basati su ciò che avevano osservato, deducendo che i social sono in grado di plasmare le identità e i comportamenti individuali». I/le ragazzi/e «frequentano i social media e gli influencer hanno un grande impatto sui giovani, li convincono che diventare trans possa risolvere i loro problemi adolescenziali e suggeriscono loro strategie per convincere gli adulti e i professionisti, della loro identità, addirittura fornendo i testi da leggere a questi loro interlocutori». Web significa anche pornografia – «di cui è testimoniato un uso massiccio nei Paesi Occidentali» – che «crea aspettative irrealistiche sulla sessualità, che spesso danneggiano lo sviluppo sessuale. Messaggi confusi e contraddittori, insieme alle influenze dei media, possono generare paura nell’affrontare il proprio genere e possono spingere i giovani a pensare che sia meglio non identificarsi con il proprio sesso di nascita».

Oltre all’influenza dei social media – continuano gli studiosi -, «l’influenza dei pari durante questa fase della vita è molto potente» e anche «gli insegnanti e altri adulti di riferimento giocano un ruolo importante nel promuovere le identità trans. In molte scuole americane, bandiere rainbow e messaggi di supporto per gli studenti LGBT+, sono molto comuni. Alcune scuole arrivano a rassicurare gli studenti dicendo “Se i tuoi genitori non accettano la tua identità, io sono tua madre ora” e offrono riferimenti di supporto. Alcune scuole hanno gruppi segreti LGBT+ e consulenti che supportano i giovani nella loro identità trans, anche senza il consenso dei genitori».

Temi, dunque, che toccano le esistenze di milioni di giovani nel mondo, anche nel nostro Paese. Continueremo la riflessione nel prossimo numero indagando il transumanesimo, ideologia alla base dell’approccio affermativo.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 13 dicembre 2024

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Tutto si può comprare: se una tecnica malvagia stravolge corpi e identità

2 Feb

La tragica illusione della “riassegnazione sessuale”, i bloccanti della pubertà ai bambini, la gravidanza ridotta a profitto, l’orrore degli uteri artificiali…Fulvia Signani, psicologa e sociologa di UniFe, riflette sulle sempre più urgenti sfide della bioetica

di Andrea Musacci

Una certa nefasta narrazione sembra volerci convincere che non esistono più uomini né donne, ma che il genere è una mera scelta individuale. Anzi, che l’umano come l’abbiamo conosciuto (come abbiamo sempre pensato che fosse) è destinato ad essere cancellato. E che – è solo una delle conseguenze di tutto ciò – i bambini non nasceranno più dall’utero materno dopo un rapporto sessuale tra un uomo e una donna. Fantascienza? Assurdità? Nulla di tutto ciò, purtroppo. Queste a dir poco angoscianti prospettive sono già realtà. Di questi temi ha parlato lo scorso 23 gennaio a Ferrara Fulvia Signani, psicologa e sociologa, Docente UniFe incaricata di Sociologia di genere a Studi Umanistici e Medicina, Membro del Centro Strategico Universitario di Studi sulla Medicina di genere ed ex Dirigente psicologa all’AUSL di Ferrara. Invitata dal gruppo “Caschi Blu della Cultura”, ha dialogato con le moderatrici Gianna Andrian e Mara Guerra (ex Assessora alla Sanità del Comune di Ferrara) e con i presenti all’iniziativa svoltasi a Palazzo Bonacossi.

«La scienza si sta discostando sempre più dall’umano, dall’etica», riflette Signani. Una voce critica, la sua, da laica, su temi sui quali forte incombe una volontà di censura e di conseguente delegittimizzazione di ogni voce minimamente dubbiosa. 

LA TEORIA GENDER E LA «RIASSEGNAZIONE SESSUALE»

Signani ha iniziato la propria riflessione dalla critica del postgenderismo. Quest’ultimo – che nasce da “A Cyborg Manifesto” (1985), saggio della filosofa USA Donna Haraway – «ha come obiettivo la creazione di un individuo non sessuato, già ipotizzato da Aldous Huxley. Secondo questa teoria, la tecnologia applicata ai corpi è liberante, per me invece come per tante altre femministe, è oppressiva». Di conseguenza, secondo il postgenderismo, «a nessun individuo si può assegnare un genere: il genere è solo una scelta personale». 

BRUCE, BRENDA, DAVID: IL TRAGICO CASO REIMER

Signani cita dunque il caso del piccolo Bruce Reimer che nel ’66, in Canada, a nemmeno un anno di vita, perse il pene in seguito a un intervento di circoncisione. I genitori, disperati, dopo una serie di consulti medici, si affidarono a John Money, un medico che avevano sentito parlare alla tv dei miracoli della «riassegnazione sessuale» al Johns Hopkins Hospital di Baltimora. Money convinse i genitori del piccolo Bruce a farlo castrare e a provare, nei suoi primi anni di vita, a vestirlo come una femminuccia, a non tagliarli i capelli. Insomma, a farlo sentire una lei e non un lui. Ma la piccola Brenda (questo il nome assegnatogli) era un maschio e da maschio si comportava. Da adolescente, quindi, Bruce/Brenda decise di tornare al suo sesso biologico e di prendere il nome David (pensando al re di Israele). Dopo si sposò anche con una donna, ma il trauma fu sempre troppo forte: nel 2004 si suicidò, due anni dopo lo stesso gesto estremo compiuto dal fratello gemello. «È possibile modificare l’anatomia sessuale – riflette Signani -, ma in questo modo la medicina viene meno alla propria vocazione, che è la cura della persona».

TRIPTORELINA PER BAMBINI

Sui casi di minori che vogliono cambiare sesso (minori gender variant), una svolta decisiva in Italia è stata l’approvazione nel 2019 da parte dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) dell’utilizzo off label della triptorelina. Questa molecola può, quindi, essere somministrata, sotto stretto controllo medico, ad adolescenti affetti da disforia di genere (persone che non si sentono nel proprio corpo, per la conformazione sessuale che hanno), allo scopo di procurare loro un blocco temporaneo (fino a un massimo di qualche anno) dello sviluppo puberale, con l’ipotesi che ciò “alleggerisca” in qualche modo il «percorso di definizione della loro identità di genere». 

Ma la disforia di genere per Signani, che porta a sostegno delle sue affermazioni, considerazioni di importanti psichiatri, «spesso è accompagnata da patologie psicologiche o psichiatriche» e l’uso off label (per scopi diversi da quelli per i quali è stato sperimentato) della triptorelina «può portare anche all’infertilità». Insomma, «dietro c’è un discorso di mero profitto».

Sarantis Thanopulos è il Presidente della Società Psicoanalitica Italiana. Un anno fa ha inviato un’allarmata lettera al Ministro della Sanità Orazio Schillaci: «La diagnosi di “disforia di genere” in età prepuberale è basata sulle affermazioni dei soggetti interessati e non può essere oggetto di un’attenta valutazione finché lo sviluppo dell’identità sessuale è ancora in corso», scrive in un passaggio, parlando a nome della Società che presiede. «Sospendere o prevenire lo sviluppo psicosessuale di un soggetto, in attesa della maturazione di una sua definizione identitaria stabile, è in contraddizione con il fatto che questo sviluppo è un fattore centrale del processo della definizione», continua. Lettera, che dice Signani, «ho sostenuto, scrivendo direttamente a Thanopulos». E proprio la settimana scorsa, ispettori del Ministero della Salute sono stati inviati da Roma all’Ospedale Careggi di Firenze per avviare un confronto in merito ai percorsi relativi al trattamento dei bambini con disforia di genere e all’uso del farmaco triptorelina. 

Ma la scelta di cambiare sesso quanto dura nel tempo? Il metodo di ricerca in questi casi è difficile da individuare e Signani cita quanto viene riportato nel 2016 facendo riferimento alle poche ricerche esistenti che forniscono dati complessivi, molto variabili e che dicono che appena il 6-23% dei maschi e il 12-27% delle femmine persiste nella scelta di cambiare sesso. In Italia, però, per Signani, «c’è ancora un silenzio ostinato sui bloccanti della pubertà: non si possono conoscere quanti minori ora sono sotto trattamento, in quali centri e ospedali, con quali risultati…». 

RIPENSAMENTI

Nei Paesi europei pionieri di queste pratiche, qualcosa però sta cambiando. È il caso della Tavistock, clinica pubblica inglese: lo psichiatra David Bell, che ne è stato dirigente, afferma che la disforia di genere viene confusa dal punto di vista diagnostico con l’effettiva omosessualità (maschile o femminile); in un documento ufficiale pubblicato lo scorso giugno, il Servizio Sanitario Nazionale britannico ha dichiarato che i bloccanti della pubertà non dovranno più essere prescritti «al di fuori di un contesto di ricerca» a bambine/i e adolescenti che presentano «incongruenza o disforia di genere». La svolta è confermata dalle linee guida per due nuove “cliniche di genere” private che sostituiranno la Tavistock. Ripensamenti di questo tipo sono sempre più frequenti: la finlandese Riittakerttu Kaltiala è una pioniera delle cure ormonali per i bambini transgender, ma oggi è in prima linea contro i bloccanti della pubertà: in un’intervista dello scorso ottobre a “The Free Press” ha raccontato di come i giovani pazienti della sua clinica soffrivano in effetti di depressione, ansia, disturbi alimentari, autolesionismo, episodi psicotici. Non di disforia di genere. 

MATERNITÀ, UTERO IN AFFITTO, ECTOGENESI

«Non è corretto parlare di cambio di sesso tanto che queste persone per tutta la vita assumono ormoni, proprio perché restano del sesso che hanno alla nascita. Le cellule non cambiano geneticamente se uno prende ormoni». Così Assuntina Morresi, membro del Comitato Nazionale di Bioetica all’Agenzia Dire, sul recente caso di cronaca che ha visto “Marco”, “donna che si percepisce uomo”, rimanere incinta (oggi è al quarto mese di gravidanza) durante il proprio percorso di transizione per “cambiare sesso”.

Da qui, Signani prende le mosse per riflettere sul radicale stravolgimento della maternità, uno dei segni più evidenti della rivoluzione antropologica in atto, e su quelle aberrazioni che arrivano a ribaltare la realtà parlando di “uomini gravidi” (seahorse dad), dissociando la figura materna dal proprio figlio o spezzettandola. Il microchimerismo (scambio di cellule tra feto e madre), spiega Signani, dovrebbe perlomeno far riflettere sulle conseguenze della rottura a tavolino della relazione primaria tra madre e figlio. Ma il business, purtroppo, anche in questo caso sembra essere più forte della realtà e del senso di umanità.

IL DOMINIO DEL MERCATO

Per Signani, alcune considerazioni sono dovute: «le tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita – spiega – sono sostanzialmente eugenetiche, in quanto, attraverso la scelta dei gameti da far incontrare (quelli sani, o con determinate caratteristiche), l’obiettivo non può che essere quello di migliorare la “razza” umana». Per non parlare dell’utero in affitto (v. anche “Voce” del 31 marzo 2023), ipocritamente detta GPA – Gestazione Per Altri, che nulla di gratuito e solidale ha: Marie-Jo Bonnet, femminista di sinistra francese, così ne parlava su “Le Figaro” già nel 2014: l’utero in affitto estende «il dominio del mercato in modo quasi illimitato (…). Tutto si può comprare, tutto si vende, compreso il potere riproduttivo delle donne. Ciò che era un atto libero diventa un atto commerciale. È il ritorno della lotta di classe nel campo della procreazione».

NON CI SARANNO PIÙ MADRI

Questa negazione della madre  è sempre più incentivata anche dallo sviluppo delle tecniche legate all’ectogenesi, vale a dire la crescita del feto al di fuori dell’utero naturale, attraverso l’utilizzo di “uteri artificiali”. La filosofa e bioeticista inglese Anna Smajdor scriveva al riguardo: «Così come un tempo si riteneva assurdo che le donne votassero o andassero a cavallo, allo stesso modo potrebbe un giorno apparirci assurdo che fossero incatenate ai processi degradanti e pericolosi della gravidanza e del parto semplicemente a causa della nostra incapacità di immaginare un’alternativa». Uno scenario apocalittico. 

«Gli uteri delle donne – commenta Signani – non saranno più necessari per far nascere i bambini». Le conseguenze – volute – di tutto ciò, e già in atto, sono «la cancellazione della funzione procreativa della donna, l’espropriare la donna della procreazione e la cancellazione (anche mediatica) della figura della madre».

L’UE, purtroppo, su questo tema non manda buoni segnali: lo scorso settembre iI Parlamento europeo ha approvato in prima istanza una proposta di regolamento che equipara gli embrioni umani a cellule e tessuti, definendoli «sostanze di origine umana», aprendo così le porte all’eugenetica e «al libero mercato di embrioni e feti», dice Signani. 

Cos’altro deve accadere per una rivolta delle coscienze, tanto nel mondo cattolico quanto in quello laico, e al di là delle singole appartenenze politiche?

***

«Il nostro corpo carnale ci è proprio, ma non ci appartiene come un bene, ossia come una proprietà alienabile, che possiamo dare o vendere come una bicicletta o una casa. La confusione fatale tra i due termini è deliberatamente coltivata dall’ideologia ultraliberale che vuole persuaderci del fatto che, poiché il nostro corpo “ci appartiene”, noi siamo liberi di alienarlo. Un ammirevole paradosso».

Sylviane Agacinski, in “L’uomo disincarnato. Dal corpo carnale al corpo fabbricato” (Neri Pozza editore, 2019)

Pubblicato sulla “Voce” del 2 febbraio 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio

«A quanto e a che cosa sono disposto a rinunciare per dimostrare che ciò in cui credo è vero?»

2 Ott

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Gianfranco Amato a Cento

“Famiglia: creazione dell’uomo o progetto di Dio?” è il titolo dell’incontro pubblico svoltosi la sera di giovedì scorso, 29 settembre, al Centro Pandurera di Cento. Gianfranco Amato, Presidente dei “Giuristi per la vita” e Segretario Nazionale del “Popolo della Famiglia” ha relazionato per alcune ore davanti a circa un centinaio di persone, per questo incontro organizzato dalla Zona Pastorale della Città di Cento in collaborazione con Giuristi per la vita, Popolo della Famiglia, ProVita, Circolo La Croce di Cento, Vita è, Il Timone.

«Siamo all’attacco finale alla famiglia», ha esordito l’avv. Amato. Per mettere subito alcuni paletti precisi, innanzitutto «la famiglia non è il frutto di una moda, di una teoria o di una dottrina religiosa, ma è un dato pregiuridico e prepolitico, e quindi è sottratto alla disponibilità del potere umano. La famiglia è un dato strettamente correlato alla natura dell’uomo», è un progetto di Dio, qualcosa quindi che preesiste a qualsiasi ordinamento civile, statale, religioso (anche cristiano).

Se è vero, infatti, che il cristianesimo propone una visione integrale e piena riguardo alla famiglia e al matrimonio, è anche vero che civiltà e culture precristiane, seguendo la ragione aderente alla natura, già possedevano una concezione corretta di famiglia. Nella cultura ebraica, in quelle romana e greca antiche, infatti, è già presente l’idea di famiglia come «formazione naturale formata da madre, padre e figlio/figli, e intesa come cellula base della società. Anche per questo – ha proseguito il relatore – ogni qual volta nella storia si è cercato di attaccare la famiglia, i tentativi sono sempre falliti». Basti pensare, ad esempio, alle teorizzazioni del bolscevismo russo, in particolare del leninismo.

Due testi fondamentali del vivere civile moderno riprendono la concezione naturale della famiglia. L’articolo 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo recita: “La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”. La stessa Costituzione della Repubblica italiana all’articolo 29 spiega come “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Durante i lavori dell’Assemblea Costituente, Aldo Moro spiegò che la famiglia è “un ordinamento autonomo dallo Stato”, Giorgio La Pira che è “un ordinamento di diritto naturale”, e Mortati parlò dell’“autonomia originaria della famiglia”.

Venendo al presente, la famigerata legge Cirinnà, ha spiegato Amato, istituisce di fatto, al di là del nome, il matrimonio omosessuale. Ad esempio, nell’art. 29 si parla addirittura di “vita famigliare”. Alcune conseguenze di questa legge, oltre agli effetti pedagogici caratteristiche di ogni atto legislativo, saranno che nei moduli di autodichiarazione vi saranno solo le indicazioni “genitore 1” e “genitore 2”, e che nell’educazione civica presente nel percorso scolastico si dovrà parlare anche di matrimonio omosessuale.

Il discorso si è, quindi, inevitabilmente spostato sulle varie forme dell’ideologia gender, che tende a relativizzare tendenzialmente all’infinito la naturale divisione dei sessi, proponendo una sessualità totalmente fluida, priva di alcuna strutturazione biologica, ma lasciata integralmente in balia dei desideri, degli errori, dei capricci del momento.

Papa Francesco anche ieri, 1° ottobre, durante l’incontro con i sacerdoti, i religiosi e le religiose nella Cattedrale di S. Maria Assunta a Tbilisi, ha spiegato come oggi «un grande nemico» del matrimonio sia «la teoria del gender. Oggi c’è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio…ma non si distrugge con le armi, si distrugge con le idee», sono le «colonizzazioni ideologiche che distruggono»: perciò occorre «difendersi dalle colonizzazioni ideologiche».

Colonizzazioni che avvengono, ad esempio, in molteplici programmi tv (uno per tutti, “Bambine transgender” sul canale Real Time) o attraverso molti libri di testo per asili e scuole materne (per fare alcuni esempi, “Più ricchi di un re”, “Perché hai due papà?”, “Io sono un cavallo”, “Nei panni di Zaff”).

Forte è la tentazione di cedere al pessimismo, alla paura ma, come diceva don Bosco, “se Dio è con noi, siamo la maggioranza”. In ogni caso, chiunque non intende abdicare all’uso della ragione e alla difesa della Verità, ha concluso Amato, deve chiedersi: «A quanto e a che cosa sono disposto a rinunciare per dimostrare che ciò in cui credo è vero?»

Andrea Musacci

“Un’altra sfida emerge da varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata gender, che «nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo». E’ inquietante che alcune ideologie di questo tipo, che pretendono di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili, cerchino di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini. Non si deve ignorare che «sesso biologico (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso (gender), si possono distinguere, ma non separare». D’altra parte, «la rivoluzione biotecnologica nel campo della procreazione umana ha introdotto la possibilità di manipolare l’atto generativo, rendendolo indipendente dalla relazione sessuale tra uomo e donna. In questo modo, la vita umana e la genitorialità sono divenute realtà componibili e scomponibili, soggette prevalentemente ai desideri di singoli o di coppie». Una cosa è comprendere la fragilità umana o la complessità della vita, altra cosa è accettare ideologie che pretendono di dividere in due gli aspetti inseparabili della realtà. Non cadiamo nel peccato di pretendere di sostituirci al Creatore. Siamo creature, non siamo onnipotenti. Il creato ci precede e dev’essere ricevuto come dono. Al tempo stesso, siamo chiamati a custodire la nostra umanità, e ciò significa anzitutto accettarla e rispettarla come è stata creata”.

(Papa Francesco, Amoris Laetitia, punto 56)

“Identità e persona”, ovvero come riscoprire le evidenze

30 Nov

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Mons. Negri, Gandolfini, Fabi e Violini

Fede e scienza unite per rilegittimare le evidenze sulla sessualità, contrastando l’ideologia del gender. Al convegno “Identità e persona” organizzato da Student Office e svoltosi martedì 24 nella Facoltà di Economia in via Voltapaletto sono intervenuti Lorenza Violini, docente di Diritto a Milano, Massimo Gandolfini, docente di Neurochirurgia a Roma, e Mons. Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio.

Dopo l’introduzione di Federico Fabi, Gandolfini ha spiegato come la scienza dimostri l’oggettività della differenza sessuale, e ciò non deve portare a un determinismo biologico o genetico, ma nemmeno, come fa l’ideologia gender, a un’autodeterminazione assoluta.

La Violini ha portato l’esempio della coppia di donne di Palermo che, dopo aver convissuto insieme ai figli di una delle due, si separano, e da qui nella madre biologica scatta l’accettazione dell’evidenza e quindi la volontà di essere riconosciuta come unica vera madre.

Infine, Mons. Negri ha sottolineato come compito del cristiano sia di affrontare ciò «con compassione e dolore, accogliendo le persone e denunciando il male». Per rilegittimare le evidenze, «non bisogna contrapporre all’ideologia laicista un’ideologia religiosa, ma testimoniare nel nesso verità-misericordia».

Andrea Musacci

 

“Violenza di gender?”, il convegno a Unife

27 Nov

downloadOggi dalle 14 alle 18.30 presso l’Aula Magna Drigo del Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Ferrara (in via Paradiso, 12), si terrà il Convegno “Violenza di gender?”, organizzato dal Master Tutela diritti e protezione dei minori di Unife in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, celebrata il 25 novembre.

L’iniziativa sarà occasione per riflettere sugli effetti dell’educazione dei bambini e delle bambine sulla violenza di genere. In tale percorso, il Master si avvale della collaborazione dell’UDI di Ferrara, che da tempo ha spostato l’attenzione dal sesso, cioè dalla cosiddetta ‘violenza sessuale’, al genere, violenza giustificata dal genere di chi la commette, e accogliendo come propria la parola “femminicidio”, di cui hanno cominciato a parlare le femministe messicane.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 27 novembre 2015