
La relazione di Stefani il 22 ottobre in Ariostea: «molte le ambivalenze»
Il Cantico delle creature è testo arcinoto ma forse proprio per questo “sottovalutato” nelle sue mille e una ambivalenze e originalità. Un’analisi in questo senso è stata compiuta lo scorso 22 ottobre nella Biblioteca Ariostea di Ferrara dal biblista Piero Stefani per la conferenza sul tema “Il sole, la terra e la tribolazione. A 800 anni dal Cantico delle creature di Francesco di Assisi”. A cura dell’Istituto Gramsci Ferrara in collaborazione con ISCO Ferrara e Biblia, la conferenza ha visto l’introduzione di Nicola Alessandrini – alla guida dell’Istituto Gramsci Ferrara – che ha citato alcuni passaggi delle Lettere e dei Quaderni del carcere di Gramsci in cui il politico e filoosfo cita il Poverello di Assisi.
Francesco scrive il Cantico nel 1225 mentre si trova presso il Monastero di San Damiano e quando ormai è quasi del tutto cieco: «Francesco – ha spiegato Stefani – era in una condizione di tribolazione, profondamente malato soprattutto negli occhi, residuo del suo viaggio in Oriente. Era quindi bendato anche di notte, perché non sopportava nemmeno la luce delle lampade». Stefani ha voluto iniziare con una necessaria precisazione: «Francesco non vedeva la natura ma il creato, cioè un’azione diretta di Dio, mentre “natura” richiama un’autonomia delle cose; quindi tutti gli usi “ecologisti” del Cantico sono strumentali».
Una delle fonti più accreditate su Francesco è la cosiddetta “Leggenda perugina”, secondo cui il Cantico è composto in tre blocchi: il primo, di lode; il secondo, sul perdono; il terzo, sulla morte. Il primo è «visivo e scritto nella tribolazione di chi non poteva vedere: quindi in esso egli loda ciò che ricorda, ciò che non può più vedere». Ma anche il perdono richiama una sua «tribolazione», quella di venire a conoscenza dello «scontro violento tra il Vescovo e il Podestà di Assisi: la tribolazione stava non solo nel litigio, nella mancanza di perdono ma anche nel fatto che nessuno interveniva per riconciliarli. Questa seconda parte aiuterà la riconciliazione tra i due potenti». E poi vi è la lassa della sorella morte: «Francesco si identifica a tal punto col Cantico da metterci anche la propria morte», ha spiegato il relatore. Francesco – ha proseguito Stefani – conosceva i Salmi non perché possedesse una Bibbia (ai tempi era molto difficile averla) ma perché aveva un breviario, oltre ai Vangeli: «il suo Cantico ricorda il Salmo 148 nell’invito alle creature a lodare il Signore». La lode è quindi «linguaggio umano che non esprime solo sé stesso ma si allarga a tutte le creature». Ma rispetto al modello biblico, il Cantico ha anche differenze, quattro in particolare: «in esso non sono presenti gli angeli, perché vuole radicarsi nella materialità, forse per rispondere ai grandi avversari di questo Cantico, cioè i catari»; «vi è l’espressione “mio”»; «le creature sono indicate come “fratello” e “sorella”: l’universo è quindi un grande convento, un “convenire”. Siamo tutti fratelli e sorelle perché siamo tutti creature, abbiamo lo stesso Padre».Infine, «nel Cantico Francesco non nomina gli animali».
Ma sul “fratello” e “sorella” vi sono «due complicazioni»: una celeste, per cui nel Cantico «il sole è mio fratello ma anche “mio signore”, cioè simbolo di Dio. Il sole è luce, testimonianza dell’azione diretta del Signore». E poi c’è una complicazione riguardante la terra, «che è a un tempo madre e sorella» e vi è l’anomala presenza «dei fiori – oltre che dei frutti -, quindi anche della bellezza, della gratuità».
Infine, la lassa finale, quella dedicata alla morte, anzi alle “morti”: quella corporale, «che è sorella quindi creatura»; e la «seconda morte», che invece «si può evitare facendo la volontà di Dio». «Questo Cantico – quindi – che ha così tanto di materiale, finisce con l’invisibile, con una realtà oltre la morte».
Andrea Musacci
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 ottobre 2025
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