
“La Strolga di Ferrara e la Medicina del Segno” è il libro di Daniela Fratti dedicato ai riti praticati da queste donne ancora attive nel nostro territorio. Ecco chi sono e come la loro arte affonda le proprie radici nella notte dei tempi
I confini tra fede e superstizione si confondono in un sincretismo che mischia cattolicesimo e riti precristiani, magia e fede popolare. È la cosiddetta “Medicina del Segno”, antica pratica, ancora presente, delle strolghe, nella quale l’uso di erbe, spighe e spirali convive con preghiere rivolte alla Vergine Maria.
Ne parla Daniela Fratti nel suo libro “La Strolga di Ferrara e la Medicina del Segno” (Scaranari Editore, Ferrara, aprile 2021), interessante studio su quest’arte trasmessa oralmente nel nostro Paese dalla notte dei tempi e ancora praticata nel territorio ferrarese.
Tocco taumaturgico tra sacro e profano
Attraverso una precisa ricerca di documenti storici, presenti anche nell’Archivio Diocesano di Ferrara e nella Biblioteca del nostro Seminario, l’autrice ripercorre le origini e le trasformazioni delle strolghe, termine del dialetto ferrarese difficile da tradurre ma che significa “astrologa”, “indovina”. Non a caso, in italiano “strologare” significa almanaccare, perdersi in ragionamenti astrusi, emettere responsi talora assurdi. Una figura – simile alla pranoterapeuta – con tratti materni e domestici, che “segnava” diversi tipi di malanni e malattie – dai porri sul viso al mal di schiena – fino ai mali dell’animo, alle angosce e alle paure. «Curava nella penombra della cucina di casa – scrive Fratti -, interrompendo la preparazione delle tagliatelle, o nei campi coltivati e perfino nelle stalle, bisbigliando cantilene incomprensibili, tracciando segni sulla parte dolente e scrutando nell’acqua unta per individuare le fonti della malattia». Il suo era considerato un tocco taumaturgico, una «benedizione» se applicata sulla parte malata del corpo. Il rito inizia col segno della croce, si conclude col Pater, l’Ave Maria e un altro segno della croce. La strolga segna tre volte il malato, per tre volte durante il giorno – all’alba, a mezzogiorno, al tramonto. Il segno è «praticato con la mano a taglio, con la punta dell’indice o del pollice oppure con la punta di indice e medio uniti».
Le strolghe ferraresi
Limitatamente alla nostra provincia, l’autrice – soprattutto da racconti orali – ha scoperto come «la strolga era una figura di donna che svolgeva un ruolo fondamentale nella società contadina» fino a metà del secolo scorso. Per questo libro, fra agosto e ottobre 2020, Fratti ha incontrato e intervistato sette strolghe residenti nella nostra provincia, ancora attive come guaritrici, oltre ad essere venuta a conoscenza di altre sei (fra cui un uomo) di cui le hanno parlato ma che non è riuscita a contattare, o già defunte. Un numero alto per una provincia come la nostra.
Le sette strolghe ferraresi sono: Gigliola T., 89 anni, S. Bartolomeo in Bosco, contadina; Giliola P., 79 anni, San Bartolomeo in Bosco, proprietaria terriera e lavoratrice nei propri frutteti; Lia M., 89 anni, S. Martino, contadina; Rosanna M., 82 anni, Ferrara, ex operaia in un vivaio; Daniela C., 61 anni, Scortichino di Bondeno, casalinga; Maria S., 87 anni, Poggio Renatico, contadina; Marta M., 84 anni, Berra. Dall’eczema al colpo della strega, dall’orzaiolo all’herpes, sono tanti i malanni che dicono di riuscire a curare, compresa la paura: il “segnare la paura” sembra essere una specificità proprio delle strolghe ferraresi. Non a caso, nel libro l’autrice racconta come da piccola i coetanei più “temerari” le dicessero: «Àt devi andàr da la strolga, a fàrat sgnàr la paura».
Origini storiche
Né sciamana né fattucchiera, la strolga – viene spiegato nel libro – è «una vera Medichessa che operava attraverso strumenti di tipo sacerdotale». Sembrava che agisse «per ricostituire una qualche armonia perduta dalla persona che si affidava ai suoi segni, e che usasse mezzi e strumenti che forse era più indicato interpretare utilizzando il linguaggio dei simboli». Un’azione, la sua, a differenza delle streghe, almeno nelle intenzioni a fin di bene. Un’armonia del “sacro dentro di sé” da ricostruire, contro forze esterne avverse. Una figura che ama tenersi «in disparte», discreta, «riservata, raccolta nel silenzio del rito consumato nell’interiorità». E che «sopravvive grazie alla stima e all’amore popolare» nei suoi confronti. Le origini di questa “medichessa” sembrano risalire alle società primitive, all’epoca del matriarcato primigenio, e tracce di culti naturalistici nel ferrarese – nel territorio deltizio, in quello di Ostellato, Voghenza e Cassana, in tutta la valle del Basso Po e nel bondenese – rimandano al culto della Signora degli Animali (Reithia Potnia Theron), simbolo dell’eterno femminino, praticato soprattutto dalle donne a protezione di messi, erbe e animali domestici. Nello stesso libro V dell’Iliade, Afrodite è guarita da una carezza della madre Dione. Ma pare addirittura che questa pratica del segno risalga a 5300 anni fa: grazie allo studio del 2015 si è scoperto come l’Uomo dei ghiacci rinvenuto nel 1991 sulle Alpi italiane rechi incisi 59 segni con probabili finalità taumaturgiche.
Com’è naturale, nella cristianità anche le strolghe, considerate “incantatrici”, non potevano essere sempre tollerate. Nel libro, ad esempio, l’autrice cita alcuni casi segnalati al Vescovo Francesco Dal Legname a Ferrara, Villanova di Denore, Quartesana, Tresigallo, Corlo e Correggio, durante la sua visita pastorale fra il 1447 e il 1450. E il Sinodo diocesano del 1751 si pronunciò su coloro che «esercitano Magie, Sortilegi e Incantesimi», e così i Sinodi precedenti, dal 1592, dove si cita anche chi si applica nel “segnare” o “incantare”. La prima segnatrice ferrarese viene citata nel Liber querela rum quartus del 1606: è “Madonna Antonia”, residente in città, «guaritrice herbaria», una delle dementes mulierculae (“donnicciola di poco cervello”), come venivano con disprezzo chiamate le strolghe. Oppure, i documenti citano il caso nel 1605 della bondenese Giacoma la Mantilara, veggente che – a suo dire – riusciva a vaticinare solo fissando un’icona mariana posta sopra il letto. In generale, era proprio questo che la Chiesa perseguiva: «l’uso di elementi sacramentali [acqua benedetta, crisma, ad esempio] fuori dal contesto ecclesiastico, da parte di persone non autorizzate e con intendimenti puramente pagani». Tollerava, invece, a volte le pratiche di maghi, stregoni, cartomanti e quant’altro se non avvenivano con l’uso di materia sacramentale.
Credenze appartenenti a un passato ormai lontano? Non del tutto. Come si è visto, nel nostro territorio c’è chi ancora si rivolge a queste figure, la cui fama poggia anche sulla sopravvivenza di assurde superstizioni. Come spiega la stessa autrice, ad esempio «a Ferrara è ancora diffusa la credenza che la visita di una donna con il ciclo arresti l’allattamento di una giovane madre, a meno che la visitatrice non dichiari apertamente di essere mestruata».
Lo strolghino, salame suino “veggente”
Lo “Strolghino” è un salume tipico del parmense. Le fonti più accreditate fanno risalire il suo nome proprio a strolga. La tradizione, infatti, sostiene che, un tempo, la produzione dello Strolghino servisse per prevedere l’andamento della stagionatura dei salumi di taglia maggiore. Non a caso, perché fra i tanti insaccati suini, lo Strolghino è il primo pronto per il taglio. Una versione meno diffusa vorrebbe, invece, che lo Strolghino fosse un salume difficile da realizzare a regola d’arte, tanto da rendere necessario il consulto della strolga.
Andrea Musacci
Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 12 novembre 2021
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