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Pace, una scelta di campo: quattro proposte concrete

15 Feb

Le Campagne attive nel nostro Paese: cancellare o ristrutturare i debiti ingiusti dei Paesi poveri per uno nuovo sviluppo; mettere al bando le armi nucleari; istituire un Ministero della Pace; non finanziare con le banche la produzione e il commercio di armi 

di Andrea Musacci

La pace fa parte di un triangolo di P, che compone assieme alla parola “preghiera” e alla parola “poveri”. Ma potrebbe anche far parte di un rombo, aggiungendo la parola “prossimità”.

Parlare di pace, quindi, puà non essere uno stanco esercizio retorico o astratto ma il racconto in prima persona di progetti concreti, di vicinanza alle persone che alla pace anelano.

Una serata ricca di queste narrazioni è stata quella dello scorso 6 febbraio nella parrocchia di San Giacomo Apostolo a Ferrara (via Arginone), grazie all’incontro “Scelte di pace” promosso dal Settore Adulti dell’Azione Cattolica diocesana, dalle Acli provinciali, dall’Associazione “Comunità Papa Giovanni XXXIII” e da CCSI (Centro di Ateneo per la Cooperazione allo Sviluppo Internazionale) di UniFe, in collaborazione con la Scuola diocesana di Formazione politica.La serata, introdotta da Francesco Ferrari (AC diocesana) e moderata da Dario Maresca – ha visto la partecipazione di un centinaio di persone, molte delle quali giovani. Il prossimo incontro sul tema della pace è in programma il 29 marzo sul rapporto fra democrazia e fraternità. Nei prossimi numeri vi daremo ulteriori dettagli.

PACE SIGNIFICA DEMOCRAZIA

«Nel dibattito pubblico, ormai la guerra non suscita più lo sdegno che meriterebbe«, ha incalzato Maresca. «Secondo stime ONU, 1 bambino su 6 nel mondo vive in situazioni di conflitto armato. La pace – chiediamoci – è per noi cristiani “solo” una promessa escatologica o anche una speranza per l’oggi?».

A questo interrogativo ha cercato di rispondere Andrea Michieli, Direttore dell’Istituto di Diritto internazionale della Pace “Giuseppe Toniolo”:«l’annuncio della pace – ha detto – è sia una prospettiva escatologica sia un impegno concreto da portare avanti, una scelta di campo».Nel concreto, però, cosa significa “lottare” per la pace? «La pace dovrebbe essere la prima bussola del nostro agire politico». Davanti a noi si pone un aut aut etico: «o costruiamo la pace o benediciamo la guerra, quindi l’uccisione. Ci è quindi richiesta una conversione».

Detto ciò, nelle politiche concrete, per Michieli, vi può essere una «gradualità», considerando quindi anche «la legittima difesa» come possibilità necessaria. Ma la teoria della “guerra giusta” già «viene scalfita nella Chiesa durante il Concilio Vaticano II con la “Pacem in terris”, ripresa, però, seriamente solo con la “Fratelli tutti” di Papa Francesco». In questo mezzo secolo . ha proseguito Michieli – si è passati dalla tensione della Guerra fredda «all’illusione post 1989 di un mondo senza conflitti grazie all’unificazione nel mercato globale e agli organismi internazionali. Non siamo, però, stati capaci di creare un mondo davvero multipolare». Andiamo, invece, nella direzione dei «vari imperialismi» – cinese, russo, turco, ad esempio – invece di andare «verso una convivenza e una democratizzazione sempre più ampie. Ma gli imperialismi rappresentano la morte del diritto internazionale e del diritto umanitario».

Una risposta a ciò risiede nella Costituzione Italiana pensata, in particolare nel suo articolo 11, per la «gestione del conflitto affinché non diventi armato»; ciò, «portandolo a livello costituzionale, quindi gestendolo, partendo dal concetto dossettiano di “democrazia sostanziale”». E a tal proposito, va denunciato il tentativo dell’attuale Governo italiano di riforma della legge 185/1990; legge nata 35 anni fa grazie alla mobilitazione dei missionari e della società civile, che regolamenta le esportazioni delle armi prodotte in Italia. E che ora rischia di essere smantellata.La seconda fase di questo grave tentativo di riforma è iniziato in Parlamento lo scorso 6 febbraio.

È dunque più che mai necessario – per Michieli – riprendere il discorso sulla «difesa nonviolenta della patria»: la guerra, infatti, «non è solo un discorso geopolitico»; e la pace, di conseguenza, è «strettamente legata alla democrazia e alla conflittualità latente nella società. Vanno quindi moltiplicati i momenti di dibattito su questi temi, per combattere l’indifferenza».

Micheli ha dunque accennato a quattro progetti concreti per costruire la pace con la democrazia dal basso e attraverso forme legali e costituzionali.

“Cambiare la rotta. Trasformare il debito in speranza”

Innanzitutto, la campagna “Cambiare la rotta. Trasformare il debito in speranza”, mobilitazione nazionale collegata alla campagna globale “Turn debt into hope” promossa da Caritas International.  “Cambiare la rotta” mira a sensibilizzare sull’urgenza di ristrutturare o condonare i debiti dei Paesi poveri e a rimuovere l’iniquità dentro all’architettura finanziaria internazionale. «Un sistema che continua a sostenere modelli di produzione e consumo che causano il riscaldamento climatico, alluvioni e siccità, a danno soprattutto delle popolazioni più povere e vulnerabili», scrivono i promotori. La campagna si fonda su quattro punti essenziali: cancellazione e ristrutturazione dei debiti ingiusti e insostenibili, affrontando anche il debito da creditori privati; creazione di un meccanismo di gestione delle crisi di sovraindebitamento, con la costruzione di un sistema presso le Nazioni Unite; riforma finanziaria globale che metta al centro persone e pianeta, creando un sistema equo, sostenibile e libero da pratiche predatorie; rilancio della finanza climatica per sostenere la mitigazione e l’adattamento climatico nel Sud globale. Disinvestendo dal fossile, dall’economia speculativa, dalle industrie belliche.

La campagna è promossa da: Acli, Agesci, Aimc, AC, Caritas, Comunità Papa Giovanni XXIII, CVX, Earth Day Italia, Focsiv ETS, Fondazione Banca Etica, MCL, Meic, Missio, Movimento dei Focolari, Pax Christi, Salesiani per il sociale, Sermig. Media partner della campagna sono Agenzia SIR, Avvenire, Radio Vaticana – Vatican News, Famiglia Cristiana.

Info: https://cambiarelarotta.it/

“Italia, Ripensaci!”

La campagna “Italia, ripensaci!” per la messa al bando delle armi nucleari è promossa dalla Campagna Senzatomica e dalla Rete Italiana “Pace e Disarmo”. È rivolta al Governo Italiano affinché trovi le modalità per aderire al percorso del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), con l’impegno dei promotori di sensibilizzare i Comuni e le istituzioni a manifestare il proprio sostegno alla ratifica del Trattato da parte dell’Italia sottoscrivendo l’ICAN Cities Appeal;invitando i parlamentari a sottoscrivere l’ICAN Parliamentary Pledge affinché il Parlamento italiano manifesti il proprio sostegno alla ratifica del Trattato; sottoscrivendo all’ICAN Cities Appeal e all’ICAN Parliamentary Pledge, le istituzioni e i parlamentari richiedono all’Italia di farsi parte attiva del dibattito internazionale sul disarmo nucleare partecipando alla terza Conferenza degli Stati parte del TPNW che si terrà a New York nel marzo 2025, alla quale l’Italia può partecipare come “osservatore. La Campagna “Italia, ripensaci” si coordina con le altre campagne nazionali a sostegno dell’entrata in vigore del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari, in primo luogo con quelle portate avanti nei paesi la cui situazione è più simile a quella italiana: il Belgio, la Germania e i Paesi Bassi, tutti paesi europei membri della Nato e che ospitano armi nucleari statunitensi sul proprio territorio.

Info:

“Ministero della Pace, una scelta di governo”

La proposta del “Ministero della Pace, una scelta di governo”, promossa dall’Associazione “Comunità Papa Giovanni XXIII”, propone una “cabina di regia istituzionale” «per dar vita a un nuovo sistema nazionale per la promozione della pace». Il Ministero per la Pace – secondo i promotori – «potrebbe, in collaborazione con altri Ministeri e gli altri organi istituiti presso amministrazioni statali, individuare azioni coordinate nazionali e finalmente dare il nome ad una politica strutturale per la pace».  

Il nuovo Ministro, agendo in maniera trasversale ed in collaborazione con gli altri ministeri, avrebbe competenza su: promozione di politiche di Pace per la costruzione e la diffusione di una cultura della pace attraverso l’educazione e la ricerca, la promozione dei diritti umani, lo sviluppo e la solidarietà nazionale ed internazionale, il dialogo interculturale, l’integrazione; disarmo, con il monitoraggio dell’attuazione degli accordi internazionali e promuovendo studi e ricerche per la graduale razionalizzazione e riduzione delle spese per armamenti e la progressiva riconversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa;Difesa Civile Non Armata e Nonviolenta, con particolare riguardo ai Corpi Civili di Pace al Servizio Civile quali strumenti di intervento nonviolento della società civile, nelle situazioni di conflitto e in contesti di violenza strutturale e culturale; prevenzione e riduzione della violenza sociale e promozione di linguaggi e comportamenti liberi dall’odio; qualificazione delle politiche di istruzione rispetto all’educazione alla nonviolenza, trasformazione positiva dei conflitti, tutela dei diritti umani e mantenimento della pace;infine, mediazione sociale, riconciliazione e giustizia riparativa, promuovendo misure concrete di “riparazione” alla società del danno commesso dal reo.

Info: https://ministerodellapace.org/

Campagna contro le banche armate

La Campagna di pressione alle “banche armate” è nata su iniziativa delle riviste “Missione Oggi”, “Mosaico di Pace” e “Nigrizia” nel gennaio del 2000 in occasione del Grande Giubileo della Chiesa Cattolica e della grande mobilitazione mondiale promossa dalla campagna internazionale “Jubilee 2000” che chiedeva la cancellazione del debito dei Paesi altamente indebitati.

«Il primo obiettivo – spiegano i promotori – è fare informazione, precisa e costante, circa il coinvolgimento degli istituti di credito nazionali ed esteri nella produzione ed in particolare riguardo all’esportazione di sistemi militari e di armi leggere italiane. Non si tratta, però, solo di informare e sensibilizzare, ma di promuovere cambiamento a diversi livelli. Innanzitutto a livello politico per richiedere a tutte le forze politiche, al parlamento e soprattutto al governo l’applicazione precisa e trasparente della legge n. 185/1990. L’obiettivo specifico e fondamentale resta comunque la richiesta agli istituti di credito, alle banche e al settore finanziario di non finanziare la produzione e la commercializzazione di armamenti e di armi comuni o, per lo meno, di definire delle direttive volte a autoregolamentare in modo rigoroso e trasparente la propria attività in questo settore».

Info: https://banchearmate.org/

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LA PACE SI FA VICINO AI POVERI

Famiglie, migranti, contadini resistenti: Sant’Egidio e Giovanni XXIII in prima linea

Nel corso dell’iniziativa pubblica dal titolo “Scelte di pace”, svoltasi lo scorso 6 febbraio nel Salone della parrocchia San Giacomo Apostolo a Ferrara, i tanti presenti hanno potuto ascoltare in prima persona le commoventi e coraggiose testimonianze di due donne che con le loro vite rappresentano possibili incarnazioni della parola “pace”.

POVERI, MIGRANTI, PROFUGHI: LA COMUNITÀ SANT’EGIDIO

A Ferrara ha portato la propria testimonianza Alessandra Coin della Comunità Sant’Egidio di Padova:«sono entrata in questa Comunità nel 1991, cercando un modo di vivere concretamente il cristianesimo». Sant’Egidio aPadova nasce proprio in quegli anni «attraverso il contatto diretto coi poveri: conobbi prima una famiglia povera che viveva in miseria in un quartiere popolare, e poi via via altre realtà simili, con varie forme di disagio. Partimmo con un progetto di doposcuola, alla quale affiancammo» – con uno sguardo aperto al mondo – «una preghiera per il Mozambico».

La guerra civile in Mozambico – che ha provocato oltre 1 milione di morti – «è stata alimentata dalle strategie e dagli interessi geopolitici dominanti durante il periodo della Guerra Fredda», come giustamente spiega Silvia C. Turrin su missioniafricane.it . «Infatti, il FRELIMO, il Fronte di Liberazione del Mozambico, è in origine un partito di ispirazione marxista-leninista. All’epoca della guerra civile era appoggiato dall’allora Unione Sovietica. La RENAMO, acronimo di Resistenza Nazionale Mozambicana, è un partito conservatore, inizialmente sostenuto dall’allora governo razzista della Rhodesia (Zimbabwe dal 1979) e dall’allora Sudafrica in cui vigeva il sistema di apartheid. Sostenere la RENAMO significava contrastare le forze filo-comuniste in Mozambico, ma anche in Rhodesia e in Sudafrica». Nel 1990 incominciano a Roma le trattative di pace con la mediazione della Comunità di Sant’Egidio e del governo italiano. Nel 1992 FreLiMo e ReNaMo firmarono gli accordi di pace di Roma, definendo congiuntamente una nuova costituzione di stampo multipartitico. Nelle elezioni libere tenute negli anni successivi, il FreLiMo si confermò sempre il primo partito del Mozambico. «Il metodo di Sant’Egidio, infatti, – ha spiegatoCoin – è di cercare ciò che unisce, non ciò che divide». 

Lavorare per la pace non significa, però, solo lavorare negli scenari di guerra ma per i poveri e con i poveri, parlare con loro, passare del tempo con queste persone normalmente considerate “invisibili”: questa è una grande opera di pacificazione sociale».

Ma pace, per Sant’Egidio significa anche «creare corridoi umanitari per profughi e migranti; corridoi che tanti morti in mare hanno evitato in questi anni, assieme ai salvataggi in mare.

Ma come funzionano? I corridoi umanitari sono frutto di un Protocollo d’intesa tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese, la Cei-Caritas e il Governo italiano. Le associazioni inviano sul posto dei volontari, che prendono contatti diretti con i rifugiati nei Paesi interessati dal progetto; predispongono, quindi, una lista di potenziali beneficiari da trasmettere alle autorità consolari italiane, che dopo il controllo da parte del Ministero dell’Interno rilasciano visti umanitari con Validità Territoriale Limitata, validi dunque solo per l’Italia. Una volta arrivati in Italia legalmente e in sicurezza, i profughi potranno presentare domanda di asilo.

I corridoi umanitari sono totalmente autofinanziati dalle associazioni che li promuovono: arrivati in Italia, i profughi sono accolti a spese delle stesse associazioni in strutture o case. Viene insegnato loro l’italiano e i loro bambini vengono iscritti a scuola per favorire l’integrazione nel nostro Paese e aiutarli a cercare un lavoro. Da febbraio 2016 a oggi sono già arrivate 7396 persone – siriani in fuga dalla guerra e rifugiati dal Corno d’Africa, dalla Grecia e da Gaza.

Il 6 febbraio a San Giacomo era presente anche Salif, giovane scappato anni fa dal suo Paese, il Mali, per fuggire alle persecuzioni che subiva dal potere. Arrivato in Libia ha subito diverse torture ed è stato ferito con un’arma da fuoco a una gamba; in quell’occasione, ha visto morire, allo stesso modo, un suo amico. Poi la traversata in barca per arrivare in Italia e la speranza concreta di una nuova vita.

Dal 1991 Sant’Egidio è presente anche in Ucraina. «Il radicamento nel paese e la vicinanza costante alla popolazione durante la guerra – scrivono dalla Comunità – hanno permesso a Sant’Egidio di avere un quadro articolato delle sofferenze e dei bisogni della società ucraina. Grazie alla presenza delle Comunità ucraine è stata realizzata un’estesa rete di aiuti umanitari, distribuiti sul territorio anche nelle zone più colpite dai combattimenti». Nei primi due anni di guerra, la Comunità ha distribuito in Ucraina 2000 tonnellate di aiuti umanitari. Sono attivi 5 Centri umanitari per sfollati interni, a Leopoli, a Ivano-Frankivsk e in tre quartieri di Kyiv, dove ogni mese vengono distribuiti 12.000 pacchi alimentari. 3000 vengono inviati nelle zone di guerra (regioni di Donetsk, Kharkiv e Dnipropetrovsk). Nel complesso hanno usufruito del sostegno alimentare di Sant’Egidio 370.000 persone, mentre si stimano in 2 milioni coloro che hanno ricevuto medicinali (circa 1 milione di confezioni inviate).

Un altro nome della pace, quindi, è «solidarietà», ha concluso Coin: «ciò che ti fa uscire dal gorgo della disperazione, che ti fa tornare a sperare».

COLOMBIA, OPERAZIONE COLOMBA PER LA DIFESA  NONVIOLENTA

La serata a San Giacomo si è conclusa con la testimonianza di Silvia De Munari, rappresentante di “Operazione Colomba” (OC), il corpo nonviolento di Pace della Papa Giovanni XXIII (APG23), del quale fa parte dal 2013 stanco accanto alle persone che vivono loro malgrado la guerra civile in Colombia. La “Commissione per la verità” è parte del processo di pace promosso dal governo dell’ex presidente Juan Manuel Santos,  che nel 2016 ottenne la deposizione delle armi e la smobilitazione della maggiore forza della guerriglia, le Farc. Come raccontato su cittanuova.it, nel luglio 2022 ha fatto un bilancio di quasi 60 anni di guerra interna: sono oltre 450 mila le persone assassinate tra il 1985 ed il 2018, ma potrebbero essere anche 800mila. Il bilancio stima inoltre in 7.752.000 le persone costrette a lasciare le proprie case e le terre che coltivavano per trovare rifugio. I sequestri di persona sono stati quasi 51mila, mentre oltre 121mila sono i desaparecidos di cui non sono stati ritrovati i corpi. Ma tale numero si riferisce solo alla ricostruzione possibile tra il 1985 ed il 2016, le stime fanno invece riferimento ad altre 210mila persone di cui non si sa dove e come siano scomparse. Inoltre, tra il 1990 ed il 2016, sono stati oltre 16mila le bambine, i bambini e gli adolescenti arruolati tra le forze in lotta.

Operazione Colomba nasce nel 1992 dal desiderio di alcuni volontari e obiettori di coscienza della Comunità Papa Giovanni XXIII, di vivere concretamente la nonviolenza in zone di guerra. Inizialmente ha operato in ex-Jugoslavia dove ha contribuito a riunire famiglie divise dai diversi fronti, proteggere (in maniera disarmata) minoranze, creare spazi di incontro, dialogo e convivenza pacifica. L’esperienza maturata sul campo ha portato Operazione Colomba negli anni ad aprire presenze stabili in numerosi conflitti nel mondo, dai Balcani all’America Latina, dal Caucaso all’Africa, dal Medio all’estremo Oriente.

«Pace – ha spiegato a Ferrara De Munari – non significa solo dire “no” alla guerra ma costruire la giustizia, cioè soddisfare innanzitutto i bisogni primari delle persone»: terra, lavoro e libertà. Nel 1997, gruppi di contadini han dato vita alla Comunità di Pace di San José de Apartadó (CdP) nel dipartimento di Antioquia,Comunità di «resistenza civile nonviolenta con un sistema economico, relazioni sociali e sistema educativo alternativi. Diversi fra loro, per questo, sono stati massacrati dai gruppi armati paramilitari e dalla guerriglia»: gli ultimi a essere trucidati, nel marzo 2024, sono Nallely Sepúlveda ed Edinson David, rispettivamente di 30 e 15 anni.

Operazione Colomba è impegnata in Colombia dal 2009 e proprio dal ’97 i suoi volontari e le sue volontarie vivono nella Comunità di Pace di San José de Apartadó con l’obiettivo di «contribuire alla sua sopravvivenza e al proseguimento della sua esperienza di resistenza nonviolenta». Sono una «scorta civile internazionale», identificabile dalla maglia arancione. La forma di protezione più efficace di questa esperienza consiste, infatti, «nella presenza di civili internazionali che accompagnano i membri della CdP nello svolgimento delle loro attività quotidiane, monitorando le violazioni dei Diritti Umani e tutelando la loro incolumità. L’intervento dei volontari di OC, di deterrenza, è stato richiesto dalla stessa Comunità di Pace e risponde al suo bisogno primario di poter continuare a vivere in sicurezza sulle proprie terre». «Stiamo, quindi, al loro fianco, viviamo con loro», ha spiegato ancora De Munari: «abbiamo a cuore la loro vita. Loro vogliono verità e giustizia per i morti ammazzati, vogliono sapere non solo chi sono gli esecutori ma soprattutto i mandanti dei tanti omicidi». Mandanti «che van cercati nelle stesse istituzioni statali colombiane». In quel potere dove la pace è un concetto del tutto sconosciuto.

Andrea Musacci

Pubblicati sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 14 febbraio 2025

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Disforia di genere, grande inganno per tanti giovani

11 Dic
(Foto Avvenire)

Fulvia Signani (UniFe) nel suo ultimo libro dedica una parte ai danni provocati da un’ideologia malata che ha fatto credere a tanti bambini e adolescenti che cambiare sesso fosse la soluzione al loro malessere e la risposta alle loro domande. Con l’aiuto di media, social e adulti

di Andrea Musacci

Un tema sempre poco affrontato nel dibattito pubblico ma che definisce – in negativo – il nostro tempo, è quello riguardante l’identità di genere e in particolare la disforia di genere soprattutto nei bambini e negli adolescenti. Ne parla Fulvia Signani, psicologa e sociologa, Docente UniFe incaricata di Sociologia di genere a Studi Umanistici e Medicina, nella sua nuova pubblicazione “Potenziare la Gender Medicine. I saperi necessari” (Mimesis ed., Collana UniFestum, n. XX, 2024).

Nella parte riservata al tema della disforia di genere nei minori, redatta assieme a Stefano Dal Maso (Ricercatore indipendente), scrive: «in assenza di sintomi fisici tangibili, l’anamnesi clinica si basa su ciò che la persona intende o non intende riferire di sé e quindi sull’auto-narrazione di chi si rivolge a un/a professionista sanitario/a per ricevere un parere». È questo l’approccio che tanti danni ha provocato nella vita di giovani e delle loro famiglie in tutto il mondo cosiddetto “avanzato”. Una scelta puramente ideologica ispirata dagli studi che si rifanno al Protocollo Olandese “Gender Affirmative Model of Treatment” (GAMT), sviluppato inizialmente in Olanda negli anni ’90 dalla psicologa Peggy Cohen-Kettenis.

L’IPOCRISIA DELL’APPROCCIO AFFERMATIVO

Questo approccio – scrivono i due studiosi – «persegue la convinzione che per alleviare la condizione di malessere psicologico, che spesso accompagna i bambini e i giovani con incongruenza o GD (nei primi anni diagnosticati come transessuali o affetti da disturbo dell’identità di genere) (…), sia opportuno affermarli nella loro richiesta di una nuova identità (che, per la specificità dell’approccio, non viene messa in discussione o relativizzata) tramite interventi farmacologici e chirurgici, non riconoscendo la fondamentale importanza di un sostegno psicologico di accompagnamento». Ciò che è incredibile è che questa posizione sia stata «validata anche in alcuni ambiti scientifici nonostante l’assoluta assenza di riscontri clinici». Una volta accettata come vera l’identità di genere dichiarata dal soggetto, vengono adottate quattro fasi: «l’assistenza psicologica nel percorso di affermazione di genere, la somministrazione dei “bloccanti della pubertà” ai bambini», «la somministrazione di ormoni cross-sex agli adolescenti» (farmaci per lo sviluppo e il mantenimento a lungo termine delle caratteristiche sessuali opposte rispetto a quelle del proprio sesso natale), «gli interventi chirurgici». In particolare, «la somministrazione dei bloccanti della pubertà viene raccomandata nell’applicazione dell’approccio affermativo, con il riferito intento di ridurre l’angoscia del bambino collegata allo sviluppo di caratteri sessuali opposti al proprio sentire interiore e di concedergli il tempo necessario per esplorare la propria identità di genere, al termine del quale, se persiste nella sua incongruenza, sottoporlo a ormoni cross-sex per tutta la vita». Dopo la pubblicazione nel 2006 sulla rivista “European Journal of Endocrinology” di uno studio di Delemarre-van de Waal e Cohen-Kettenis, «l’approccio affermativo si diffonde molto rapidamente, per effetto di un’imponente copertura mediatica anche al di fuori degli ambiti professionali clinici e grazie a una crescente spinta sociale», anche se le stesse Delemarre-van de Waal e Cohen-Kettenis abbiano dichiarato che «non è ancora chiaro come la soppressione puberale influenzerà lo sviluppo del cervello». Non certo un aspetto irrilevante. Viene invece diffusa «una narrativa parallela riferita al supposto aumento del rischio suicidario, qualora ai “giovani disforici” venga negato l’uso dei bloccanti». 

CRITICHE E RIPENSAMENTI

Ma tra il 2011 e il 20214 nel Regno Unito, i risultati dello studio “Early intervention study” «dopo la somministrazione dei bloccanti della pubertà, non hanno dimostrato un miglioramento del benessere psicologico, bensì un peggioramento dei problemi “internalizzati” come depressione e ansia e un aumento di ideazioni suicidarie». Nel marzo 2022 il gruppo di lavoro incaricato dal Servizio sanitario inglese e guidato dalla pediatra Hilary Cass, ex presidente del Royal College of Pediatrics and Child Health, pubblica un Rapporto intermedio «nel quale vengono già esposti i primi risultati che evidenziano le numerose preoccupanti criticità dell’approccio affermativo». Nella cosiddetta “Cass Review” è scritto: «Non sono stati identificati studi di alta qualità, che utilizzassero un disegno di ricerca appropriato per valutare gli esiti della soppressione della pubertà negli adolescenti che soffrivano di disforia o incongruenza di genere. Esistono prove insufficienti e/o incoerenti sugli effetti della soppressione della pubertà sulla GD, sulla salute mentale e psicosociale, sullo sviluppo cognitivo, sul rischio cardiometabolico e sulla fertilità. Esistono prove coerenti di qualità moderata, anche se provenienti principalmente da studi pre-post, che la densità ossea e l’altezza possono essere compromesse durante il trattamento». A seguito di tale pubblicazione, il Governo britannico annuncia la chiusura del reparto GIDS (Gender Identity Development Service) della clinica Tavistock.

Di conseguenza, ripensamenti radicali da parte di esperti e istituzioni negli anni si sono riscontrati in vari Paesi e lo scorso aprile la Società Europea di Psichiatria del bambino e dell’adolescente (ESCAP) ha licenziato un documento in cui sottolinea che «le ricerche hanno rilevato alcune gravi conseguenze per la salute dei bloccanti della pubertà e degli ormoni cross-sex, in particolare quando i trattamenti vengono iniziati nei minori” e solleva “preoccupazioni sulla possibile natura irreversibile del processo decisionale nella prescrizione dei bloccanti della pubertà».

COME I SOCIAL E IL CONTESTO INFLUENZANO I GIOVANI

In tutto ciò, un ruolo decisivo lo svolgono i mass media e i social media: «L’adolescenza – scrivono Signani e Dal Maso – può essere un periodo in cui il disagio mentale si manifesta attraverso problemi fisici come i disturbi alimentari o i disturbi legati alla percezione del proprio corpo. Per alcuni giovani, questo può esprimersi come disagio legato all’identità di genere». Studi come quello di Ahmed, Granberg e Khanna (Gender discrimination in hiring: An experimental reexamination of the Swedish case, 2021), rilevano come «ragazzi e ragazze, a seguito della consultazione dei social, hanno adottato comportamenti o identità basati su ciò che avevano osservato, deducendo che i social sono in grado di plasmare le identità e i comportamenti individuali». I/le ragazzi/e «frequentano i social media e gli influencer hanno un grande impatto sui giovani, li convincono che diventare trans possa risolvere i loro problemi adolescenziali e suggeriscono loro strategie per convincere gli adulti e i professionisti, della loro identità, addirittura fornendo i testi da leggere a questi loro interlocutori». Web significa anche pornografia – «di cui è testimoniato un uso massiccio nei Paesi Occidentali» – che «crea aspettative irrealistiche sulla sessualità, che spesso danneggiano lo sviluppo sessuale. Messaggi confusi e contraddittori, insieme alle influenze dei media, possono generare paura nell’affrontare il proprio genere e possono spingere i giovani a pensare che sia meglio non identificarsi con il proprio sesso di nascita».

Oltre all’influenza dei social media – continuano gli studiosi -, «l’influenza dei pari durante questa fase della vita è molto potente» e anche «gli insegnanti e altri adulti di riferimento giocano un ruolo importante nel promuovere le identità trans. In molte scuole americane, bandiere rainbow e messaggi di supporto per gli studenti LGBT+, sono molto comuni. Alcune scuole arrivano a rassicurare gli studenti dicendo “Se i tuoi genitori non accettano la tua identità, io sono tua madre ora” e offrono riferimenti di supporto. Alcune scuole hanno gruppi segreti LGBT+ e consulenti che supportano i giovani nella loro identità trans, anche senza il consenso dei genitori».

Temi, dunque, che toccano le esistenze di milioni di giovani nel mondo, anche nel nostro Paese. Continueremo la riflessione nel prossimo numero indagando il transumanesimo, ideologia alla base dell’approccio affermativo.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 13 dicembre 2024

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«Le migrazioni sfidano le nostre società»

28 Nov

L’intervento di Laura Zanfrini (Università Cattolica) a Casa Cini

Il moderno principio di cittadinanza, che si realizza concretamente  nell’uguaglianza fra le persone, nel rispetto della pari dignità di ognuno, col conseguente aumento dei diritti civili e sociali, è sfidato dalle migrazioni di massa del nostro tempo. Su questo ha riflettuto lo scorso 21 novembre Laura Zanfrini, professoressa ordinaria di Sociologia delle migrazioni e della convivenza interetnica all’Università Cattolica di Milano, intervenendo a Casa Cini per la “Scuola diocesana di teologia per laici” sul tema “Cambiare rotta verso l’accoglienza”.

«Le società moderne, legate a quel concetto di cittadinanza, si pensavano come chiuse, delimitate da confini nazionali e di conseguenza omogenee sotto il profilo  culturale, etnico e religioso», ha riflettuto la relatrice. Di conseguenza, ancora oggi gli immigrati «in quanto stranieri» spesso vengono percepiti come «potenziali nemici». Inoltre, la maggior parte delle volte sono «poveri» e quindi «percepiti come “competitori”» in quanto «consumatori illegittimi di welfare», del “nostro” welfare. Ragionando così, però, si scade in una «concezione darwinista dell’appartenenza sociale», dando vita a «una società che produce scarti umani». Spesso – per Zanfrini – anche «chi difende l’immigrazione sbaglia, quindi, quando usa argomentazioni economicistiche del tipo “gli immigrati ci servono per certi lavori” o “gli immigrati ci pagheranno le pensioni”». Dobbiamo accogliere chi ha bisogno «perché è giusto in sé, anche se nell’immediato non è utile». E iniziare seriamente a ragionare sul tema della «partecipazione, coinvolgendo le persone immigrate a livello civile e politico». Oltre alla nostra concezione dei confini e di omogeneità, le migrazioni mettono in discussione «la nostra idea di stanzialità. Ma sono le nostre stesse vite a essere sempre più transnazionali», ha aggiunto la relatrice, che ha giustamente accennato al fatto che in ambito sanitario-assistenziale – ma il discorso si potrebbe allargare – «l’immigrazione di donne e uomini nei Paesi ricchi per essere impiegate come oss, badanti o colf impoverisce, e di molto, i loro Paesi di origine» di professionalità fondamentali. Dovremmo, quindi, «esportare i nostri sistemi di welfare, non solo i nostri sistemi produttivi».

Un altro aspetto molto delicato dell’immigrazione è quello della «diversità quando mette in dubbio, o rischia di mettere in dubbio, il principio di uguaglianza davanti alla legge». Si pensi alla sharia islamica, che spesso contrasta con gli ordinamenti dei Paesi europei. Infine, ma non meno importante, la migrazione «sfida la Chiesa, mettendo in dubbio la nostra idea di Chiesa nazionale, tradizionale e l’idea stessa di laicità, cioè il ruolo della religione nello spazio pubblico». Temi complessi sui quali è sempre necessario un di più di discernimento all’interno delle nostre comunità ecclesiali.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 29 novembre 2024

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Colletta Alimentare, una Giornata per donare: ecco la nostra rete solidale

16 Nov

Giornata Colletta Alimentare. Torna sabato 16 novembre in 141 punti vendita a Ferrara e provincia, la grande iniziativa di carità. Vi raccontiamo tutti i soggetti coinvolti, la Colletta extra supermercati e l’impegno dei magazzini tutto l’anno

(Foto: Lidl via Po, Ferrara, 2023 – foto Alessandro Berselli)

di Andrea Musacci

Non solo il Banco Alimentare ma una rete di parrocchie, enti, associazioni e istituzioni coinvolte nell’organizzazione e nella promozione, e con l’impegno di tante volontarie e volontari. La Giornata della Colletta Alimentare, iniziativa promossa in tutta Italia dalla Fondazione Banco Alimentare, a Ferrara e provincia è una dimostrazione concreta di cosa significhi non solo essere Chiesa ma lavorare, dal basso, per il bene comune. 

Un grande gesto di carità che ha il suo culmine in una giornata – quest’anno, sabato 16 novembre (vigilia della Giornata Mondiale dei Poveri) – ma la cui preparazione e i cui effetti si protraggono tutto l’anno.

LA COLLETTA NEL FERRARESE

A Ferrara e provincia sono 141 i punti vendita nei quali si potrà fare la Colletta (erano 120 nel 2023), con un coinvolgimento di oltre 1300 volontari, circa lo stesso numero dell’anno scorso, anche se ogni anno se ne aggiungono sempre di nuovi. Oltre al Responsabile provinciale Giuseppe Salcuni, la Colletta è resa possibile grazie all’impegno di 11 responsabili/coordinatori sparsi su tutto il territorio provinciale. 

Rispetto a due anni fa, quando i kg raccolti furono 61460, l’anno scorso i kg sono stati 67021, con un aumento del 10%.

OLTRE I NEGOZI: COLLETTA  A SCUOLA E  AL LAVORO

Ogni anno, le volontarie e i volontari cercano di riproporre o ideare nuove soluzioni di raccolta: non solo invitare le persone a recarsi nei super e ipermercati il giorno della Colletta, ma portarla nei luoghi della quotidianità, quelli del lavoro e della scuola.

Così, dal 2019 Marco Cassarà e altre colleghe e colleghi nella sede ACER di c.so Vittorio Veneto a Ferrara raccolgono alimentari a lunga conservazione, quest’anno dall’11 al 15 novembre. Una novità riguarda, invece, la sede dell’Agenzia delle Entrate, in via mons. Maverna a Ferrara. Come ci spiega Giovanni Ragusa, Referente provinciale per i rapporti coi punti vendita, «alcuni dipendenti – già volontari della Colletta – hanno chiesto e ottenuto dal Direttore Provinciale di poter promuovere una raccolta in ufficio alcuni giorni prima della Colletta, spesa che verrà poi consegnata ai referenti del Banco Alimentare per Ferrara». Inoltre, «hanno ottenuto di proporre a tutti i colleghi tramite i canali istituzionali interni di partecipare alla Colletta sia come donatori che come volontari nei supermercati».

Enrichetta Corazza è, invece, la Referente della Colletta per le scuole e gli ambiti educativi: «da 20 anni – ci spiega – molte insegnanti di differenti scuole coinvolgono i loro alunni come volontari durante la Giornata della Colletta e loro stesse si impegnano direttamente»; quest’anno sono coinvolte classi del Liceo “Dosso Dossi”, del Liceo Carducci, dell’ITI “Copernico-Carpeggiani”, della S. Vincenzo e della Bonati. Inoltre, la Colletta Alimentare verrà svolta, il 15 novembre, in tutte le scuole gestite dalla Cooperativa Mondo Piccolo (S.Antonio e S.Vincenzo di Ferrara). Il Banco Alimentare ha invitato tutti gli Istituti scolastici della provincia a diffondere l’invito a studenti, insegnanti e personale a partecipare alla Colletta del 16 come volontari e/o donando.

Sempre in ambito educativo, nei tempi forti, da 20 anni il Centro di Solidarietà-Carità (CSC) aderisce all’iniziativa “Dona cibo” (a livello nazionale organizzato da Federazione nazionale Banchi di solidarietà, a cui il CSC aderisce): come per la Colletta, si raccolgono alimenti a lunga conservazione che andranno al magazzino del CSC per poi essere distribuiti ad enti e associazioni benefiche. “Dona cibo” in Quaresima è ancora più importante perché in questo periodo sono già stati tutti distribuiti gli alimenti raccolti durante la Giornata della Colletta. A “Dona cibo” aderiscono IC “Perlasca”, Primaria Bombonati (IC “Dante Alighieri”), Primaria di Ostellato e Scuole secondarie di primo grado di Copparo e Poggio Renatico.

LA RETE SOLIDALE 

Queste le parrocchie, gli enti e le associazioni coinvolte per la Giornata della Colletta Alimentare 2024:

Comune di Ferrara: Croce Rossa Italiana – Ferrara, Il Mantello, Viale K, Caritas Pontelagoscuro, Caritas Porotto, parrocchia Pontelagoscuro, parrocchia Perpetuo Soccorso, Scout Agesci, parrocchia Santo Spirito, parrocchia San Benedetto, SAV, parrocchia Porotto, Associazione Nazionale Alpini, parrocchia Immacolata, Rotary, Lions club, parrocchia Pontegradella, Azione Cattolica.

Alto Ferrarese: Cento Solidale, Scout Cento e Casumaro, Rotary Cento, Lions Cento, Caritas Penzale, CL Cento, Associazione Nazionale Alpini – Protezione Civile, Croce Rossa Cento, Caritas Renazzo, Caritas Terre del Reno. Poggio Renatico: parrocchia, Caritas, AVIS, Rotary, parrocchia Gallo. Caritas di Vigarano Mainarda e di Bondeno.

Medio Ferrarese: Associazione “Mons. A. Crepaldi” di Voghiera, Caritas di Portomaggiore, Lions di Portomaggiore, Emporio Solidale Argenta, Lions e LeoClub Argenta.

Basso Ferrarese: Caritas parrocchia Jolanda di Savoia, Pro Loco Jolanda di Savoia. Parrocchie di Ostellato, Dogato, Rovereto, San Giovanni. Copparo e Tresignana: Lions, Croce Rossa, Caritas parrocchiali, Associazione Bersaglieri, Auser, Centro Aiuto alla Vita, Scout. Comacchio: parrocchia, Lions, Scout, Aiutiamoli a Vivere Odv, Cuccu trasporti. Scout di Mesola, Istituto di Istruzione Superiore “Remo Brindisi”, Cicli Casadei (S. Giuseppe di Comacchio), parrocchia di Porto Garibaldi.

TUTTO L’ANNO: I MAGAZZINI E LA DISTRIBUZIONE

Massimo Travasoni da diversi anni è Responsabile del magazzino del Centro Solidarietà-Carità (CSC) di via Trenti (Mercato Ortofrutticolo) a Ferrara e vicepresidente dello stesso CSC guidato da Fabrizio Fabrizi. Un altro magazzino gestito dal CSC si trova a Comacchio, in via Bonafede, 112. Anche quest’anno Travasoni ci aggiorna sui dati delle persone e famiglie destinatarie dei beni alimentari. Dati sostanzialmente in linea con quelli del 2023: circa 13mila persone (la metà nel Comune di Ferrara) chiedono beni alimentari di prima necessità alle nostre parrocchie, alla Caritas, ad altre associazioni o enti; beni che questi ricevono dal Banco Alimentare di Imola (una decina di Associazioni/enti) o tramite il CSC (67 Associazioni/enti, di cui una 30ina nel Comune capoluogo, per oltre 11mila persone). Si tratta, in un anno, di circa 1200 tonnellate di beni alimentari donati (per 3milioni e mezzo di euro di valore commerciale). Oltre ai prodotti provenienti dalla Colletta, i beni arrivano da donazioni dall’industria, dall’ortofrutta e dall’AGEA (Agenzia per le erogazioni in agricoltura, che si occupa del Fondo europeo FEAD e Del Fondo nazionale). Da diversi mesi, però, Fondazione Banco Alimentare ha denunciato il ritardo nella definizione dei nuovi bandi triennali AGEA, ritardo che ha “svuotato” o quasi il magazzino di Ferrara e di altre località italiane.  

In ogni caso, un dato che registra un lieve aumento è quello delle famiglie che ricevono il pacco alimentare o direttamente nei magazzini di Ferrara e di Comacchio o tramite i volontari del CSC che glielo consegnano a domicilio: sono 200 (oltre 600 persone italiane e non, fra cui alcuni studenti universitari camerunensi); l’anno scorso erano 180.

Sembrano tanti i kg raccolti a Ferrara e provincia, oltre 67mila. E in effetti lo sono. Ma – come ci spiega Travasoni – «l’anno scorso abbiamo finito di distribuirli tra gennaio e febbraio». In nemmeno 90 giorni, esauriti. La richiesta è tanta, c’è bisogno di sempre più donazioni.

IN EMILIA-ROMAGNA E IN ITALIA

La Colletta in Emilia-Romagna vede oltre 1100 punti vendita aderenti. Quanto verrà raccolto giungerà, tramite le 719 organizzazioni convenzionate con il Banco in Regione, a circa 130mila persone bisognose. In tutto il Paese sono oltre 150mila i volontari impegnati in più di 11.600 supermercati. Gli alimenti donati saranno poi distribuiti a oltre 7.600 organizzazioni territoriali che sostengono oltre 1.790.000 persone. Dal 16 al 30 novembre sarà possibile donare la spesa anche online su alcune piattaforme dedicate (consultare il sito colletta.bancoalimentare.it).

***

Redditi, Ferrara indietro

Secondo i dati elaborati nei mesi scorsi dalla Cgia di Mestre, basati sulle dichiarazioni relative all’anno 2022, la provincia di Ferrara è la settima in Emilia-Romagna per reddito medio dichiarato e dunque per imposta sul reddito delle persone fisiche versata (Irpef) versata nelle casse statali. I numeri dicono che il reddito complessivo medio dichiarato dai ferraresi è di 23.279 euro, con un Irpef media versata di 4.819 euro per contribuente (a Ferrara se ne contavano 272.198 nel 2022). Stando sempre ai dati della Cgia di Mestre, la provincia estense si trova più in basso rispetto ai valori medi nazionali per quanto riguarda l’Irpef dichiarata (5.381 euro), ma leggermente più in alto rispetto al reddito medio (23.633 euro). A livello nazionale, Ferrara è al 51º posto su 107.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 novembre 2024

Abbònati qui!

Pieve di Argenta sommersa e invasa dalle acque

29 Ott

Il monumento più antico della provincia diventa simbolo 

L’acqua, fonte di vita, a volte può diventare funesta minaccia per le popolazioni, le case e per l’equilibrio ecologico. Lo sanno bene, ultimamente, i liguri e da alcuni anni gli emiliano-romagnoli. Nella città di Ferrara i danni sono stati molto limitati rispetto ad altre zone della Romagna e del bolognese ancora una volta duramente colpiti, escluso lo spavento per le aree in zona Po.

Ma nella nostra provincia i danni e i disagi  sono stati di sicuro più consistenti. E nel Ferrarese, fuori dalla nostra Arcidiocesi, c’è un’immagine-simbolo di questa eterna lotta tra l’uomo e la natura, che è – in un altro senso – anche l’eterna lotta tra il bene e il male.

È l’immagine dell’antica Pieve di San Giorgio ad Argenta sommersa in buona parte – e in parte invasa – dalle acque.  Le abbondanti precipitazioni di questo periodo hanno ingrossato i fiumi del territorio, facendo loro superare la soglia. L’Idice ha rotto l’argine, all’altezza della Chiavica Cardinala e le famiglie residenti in zona sono state evacuate. E nella Pieve di San Giorgio tecnici del Comune, Vigili del Fuoco e Carabinieri sono dovuti entrare per un sopralluogo. La chiusura dei ponti aveva isolato la chiesa di Sant’Antonio a Campotto, dove però non ci sono stati danni.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 1° novembre 2024

Abbònati qui!

(Foto: https://www.comune.argenta.fe.it/)

«Nel Mediterraneo si muore gridando il proprio nome»: le storie dei migranti

1 Ott

Giornata del migrante e del rifugiato. Fofana, Kimia, Hajar e gli altri: i racconti di dolore e riscatto

di Andrea Musacci

Guardare negli occhi le persone migranti, ascoltare dalla loro viva voce ciò che hanno vissuto, fermarsi a parlare con loro. Non si può affrontare il tema dell’immigrazione e dell’integrazione senza questo livello immediato di confronto.

Lo scorso 28 e 29 settembre anche a Ferrara si è svolta la 110^ Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, organizzata dal nostro Ufficio Migrantes Diocesano diretto da don Rodrigo Akakpo assieme alle diverse comunità linguistiche presenti nella nostra Arcidiocesi, i cui rappresentanti hanno portato la propria testimonianza diretta durante la giornata del 28 settembre a Casa Cini, Ferrara, luogo scelto per la ricca giornata di testimonianze e riflessioni. Una giornata moderata egregiamente da Chanel Tatangmo Kenfack, avvocato e membro della Commissione diocesana Migrantes.

Domenica 29 settembre, invece, Santa Messa in Cattedrale a Ferrara celebrata dal Vicario Generale mons. Massimo Manservigi. La Messa ha rappresentato uno spazio di dialogo tra diverse culture e tradizioni: vi hanno, infatti, partecipato tutte le comunità linguistiche delle parrocchie diocesane (Comunità francofona, filippina, inglese, latino-americana, polacca, ucraina, romena), oltre agli italiani, ed è stata animata dal coro multietnico, con letture e canti in diverse lingue. Inoltre, alcuni fedeli delle comunità etniche presenti nella nostra Diocesi, vestiti con abiti tradizionali, hanno offerto doni caratteristici durante l’offertorio. La stessa preghiera del “Padre nostro” è stata pronunciata nelle varie lingue delle comunità presenti.

Qui tutti i racconti di fuga, di integrazione, dei salvataggi, di nuove vite.

Suicidio assistito…e molto breve: la delibera anti-vita della Regione Emilia-Romagna

16 Feb

La Regione Emilia-Romagna ha dato il via libera per la proposta di legge sul fine vita. Dopo l’insuccesso in Veneto, la norma è stata introdotta grazie a una semplice delibera regionale (così da non dover passare dal voto del Consiglio Regionale) che garantisce ai malati «il diritto di congedarsi dalla vita», come dispone la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale. La Regione ha anche tracciato l’iter per accedere al suicidio medicalmente assistito, che l’Assessorato alle Politiche per la salute ha trasmesso alle Ausl.

COSA DICE LA DELIBERA DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA

Chi desidera accedere al suicidio assistito deve, infatti, inviare una richiesta alla Direzione sanitaria di un’Ausl allegando la documentazione ritenuta necessaria per la valutazione. La manifestazione di volontà del paziente deve essere acquisita e documentata per iscritto o con un video. Le persone affette da disabilità, invece, potranno esprimere le loro volontà attraverso dispositivi che consentano loro di comunicare. La dichiarazione può essere modificata in qualsiasi momento. Dal momento della ricezione della domanda, parte l’iter di valutazione. La Direzione sanitaria trasmette la richiesta, entro al massimo tre giorni, alla Commissione di valutazione di Area Vasta.

Sarà quindi compito della Commissione effettuare, di norma, una prima visita al paziente e valutare la legittimità della richiesta alla luce dei requisiti indicati nella sentenza della Corte Costituzionale. La Commissione ha il compito di verificare le condizioni (presupposti clinici e personali), accertare l’avvenuta offerta delle possibili alternative disponibili (per esempio, un percorso di cure palliative, sedazione palliativa profonda continua, attuazione di un’appropriata terapia del dolore) e valutare se possano esservi motivi di ripensamento da parte del paziente, anche attraverso uno specifico supporto psicologico. La commissione – di cui fanno parte medico palliativista, anestesista-rianimatore, medico legale, psichiatra, medico specialista nella patologia di cui è affetto chi ha fatto domanda, farmacologo/farmacista, psicologo – incontra anche i familiari.

La Commissione, a conclusione dell’istruttoria, che durerà circa 20 giorni, produce una relazione che invia al Corec, il Comitato regionale per l’etica nella clinica, che dovrà esprimere un parere di competenza entro sette giorni;parere che poi verrà inviato alla Commissione di valutazione, che predisporrà una relazione conclusiva. Il documento dovrà quindi essere trasmesso entro cinque giorni, corredato dal parere del Corec, al paziente o suo delegato e al Direttore sanitario dell’Ausl di competenza e, nel caso il paziente sia ricoverato in ospedale, anche al direttore della struttura.

In caso di parere favorevole della Commissione, la Direzione sanitaria dell’Azienda dove deve essere svolta la procedura, assicura l’attuazione attraverso l’individuazione di personale adeguato, su base volontaria, il rispetto dei tempi e delle modalità previste, fornendo quanto indicato nella relazione conclusiva. La procedura deve avvenire non oltre sette giorni dal ricevimento della relazione conclusiva della Commissione. Al suicidio medicalmente assistito si potrà eccedere gratuitamente.

LA SENTENZA 242/2019 E IL CASO “DJ FABO-CAPPATO”

Ricordiamo che la sentenza 242 del 2019 nacque dopo il caso di Dj Fabo e Marco Cappato. Chiamati a decidere sulla legittimità del divieto di aiuto nel suicidio, i giudici della Corte Costituzionale ritennero che le pene previste dall’articolo 580 del Codice penale – istigazione o aiuto al suicidio – non debbano essere applicate quando a richiedere di morire sia una «persona affetta da patologia irreversibile, e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, la quale ritenga le stesse intollerabili, e sia inoltre tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale (nel caso in questione, si trattava di un respiratore), ma resti capace di prendere decisioni libere e consapevoli», e le sia già stata prospettato l’accesso alle cure palliative. 

IL FLOP IN VENETO

La scelta della Giunta Bonaccini di non far passare la proposta di legge dal voto del Consiglio regionale è conseguenza di ciò che appena un mese fa è successo in Regione Veneto: la legge di iniziativa popolare sul suicidio medicalmente assistito, proposta dall’Associazione “Luca Coscioni” e sostenuta dal Governatore Luca Zaia, non è passata per i voti contrari di parte della maggioranza (Fratelli d’Italia e Forza Italia) e per l’astensione decisiva della consigliera PD Anna Maria Bigon.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 16 febbraio 2024

La Voce di Ferrara-Comacchio

«Governance cooperativa contro crisi ecologica e Intelligenza Artificiale»

23 Dic
Foto Pino Cosentino

A Ferrara l’intervento di Stefano Zamagni nel convegno su don Minzoni: «torniamo a cooperare»

«Oggi abbiamo bisogno di cooperazione, di capitale sociale, di reti di fiducia e di “lavoro decente”. È l’unico modo per governare la crisi ecologica e quella portata dall’Intelligenza Artificiale».

In questo modo Stefano Zamagni, noto economista, ha riflettuto sull’importanza della cooperazione nell’incontro svoltosi lo scorso 12 dicembre a Casa Cini, dal titolo “Per amore del mio popolo”. 

Un appuntamento dedicato a don Giovanni Minzoni, di cui è in corso la causa di beatificazione («si diventa santi anche facendo cooperazione», ha detto a Casa Cini il nostro Vescovo) e organizzato dalle locali Associazioni Scout, dall’Ufficio diocesano per la pastorale sociale e del lavoro e da Confcooperative Ferrara, con il patrocinio della Provincia di Ferrara, del Comune di Argenta e del Comune di Ferrara.

LA SCARSITÀ SI SUPERA COOPERANDO

Zamagni, ex Presidente Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, docente dell’Università di Bologna e della “Johns Hopkins” ha riflettuto innanzitutto sull’importanza della «competizione e della cooperazione come principi necessari per lo sviluppo e l’armonia sociale». Il primo è «positivo quando vi è abbondanza di risorse (materiali, naturali, intellettuali), il secondo invece in periodi di scarsità». In questi ultimi, infatti, sorge la «necessità di mettersi insieme», di collaborare. Ma oggi siamo in un periodo di scarsità? Secondo Zamagni, sì. Per due motivi: il primo, per la crisi ecologica e le sue gravi conseguenze; il secondo, per lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale (AI), «un tentativo di sostituire l’umano, in particolare con Q* (Q-Star)», un nuovo modello sviluppato da OpenAI. L’AI, per Zamagni, porterà a una vera e propria «disoccupazione di massa e a profitti per pochi». Due scenari angoscianti, ma che per l’economista portano anche una buona notizia: queste due trasformazioni epocali non potranno – appunto perché portatrici di scarsità – «non avere una governance cooperativa. Prepariamoci, dunque, a un inevitabile ritorno della cooperazione». Un ritorno che dovrà anche, e innanzitutto, riportare un’idea di «lavoro decente», inteso cioè non solo come diritto ma come lavoro che «tutela la dignità e l’identità della persona», quindi la sua umanità, il suo essere persona e non solo soggetto con determinati bisogni materiali da soddisfare.

La cooperazione, poi, andando al di là dell’ambito meramente materiale, «è ciò che (assieme alla famiglia) crea nell’intera società legami, reti, relazioni fiduciarie» («corde» le chiama Zamagni). Crea, quindi, «capitale sociale, il vero motore dello sviluppo».

FORMAZIONE E ISOLAMENTO

Mons. Gian Carlo Perego ha tratto le conclusioni del convegno ribadendo l’importanza della «solidarietà» e della «fiducia» in economia e ponendo l’accento sull’importanza di avere «luoghi di formazione», come sarà, ad esempio la Scuola di formazione politica e sociale che la nostra Arcidiocesi presenterà nei prossimi mesi.

Educazione e formazione che erano al centro della pastorale di don Minzoni, sulla cui figura si è soffermato don Francesco Viali (Ufficio diocesano per la pastorale sociale e del lavoro): fra l’altro, il parroco di Argenta potenziò l’AC, fondò il circolo maschile “Giosuè Borsi” e quello femminile “Sacro Cuore”, riattiverà il doposcuola anche per adulti, darà nuovo impulso alla biblioteca circolante e all’Opera “Pia Liverani” per l’educazione delle ragazze. E organizzerà un laboratorio di maglieria facendo in modo che le macchine fossero in comproprietà con le operaie, oltre a interessarsi direttamente dell’Unione Professionale Cattolica, grazie alla quale affitterà una vasta tenuta agricola, la Bina, nei pressi di Bando d’Argenta, e dando vita alla cooperativa “Ex combattenti”, costituita per dare occupazione e lavoro ai reduci e alla quale affiderà il compito di gestire la tenuta. Insomma, «combattè contro l’isolamento e la solitudine delle persone, contro la sterilità delle lamentele fini a sé stesse, pensando a un nuovo modo di produrre, di lavorare, di stare nella società».

TESTIMONIANZE 

L’incontro, moderato da Chiara Sapigni (MASCI Ferrara), ha visto anche gli interventi di Giuseppe Tagliavia (CISL Ferrara), che ha parlato dell’opera di don Minzoni come di «liberazione dei lavoratori lavoratori attraverso un sistema di mutuo vantaggio» e di due rappresentanti di cooperative locali: Francesco Bianco della Coop. “Il Germoglio” (ambito educativo) ha parlato del parroco di Argenta come di «una persona mossa dal desiderio», cioè da quella «forza dinamica creatrice e protesa alle persone». Un’attenzione alle persone e alle comunità ripresa anche da Nicola Folletti della Coop. “Azioni” (per l’inclusione sociale), che ha spiegato come la cooperazione «riporti lavoro e legami in un territorio». A tal proposito, ha annunciato come “Azioni” – nel solco dell’esempio di don Minzoni – stia «cercando di riproporre un laboratorio tessile per la produzione di borse».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 22 dicembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Paolo Giaccone vittima della mafia: l’omertà di tanti, la speranza nei giovani

22 Nov

La sera del 14 novembre dalle Clarisse è intervenuto Giacomo De Leo

«Giaccone è stato dimenticato».Si gela il sangue a sentire queste parole. La scelta etica di un uomo, per non soccombere all’arroganza mafia, scelta che gli è costata la vita, da tanti non è ancora oggi conosciuta.

Giacomo De Leo, ex Preside della Facoltà di Medicina di Palermo e tra i fondatori del Centro Studi Paolo Giaccone (nato nel 2012), la sera del 14 novembre è intervenuto nel Monastero ferrarese del Corpus Domini per raccontare la storia di Paolo Giaccone (classe ’29), suo collega, luminare di medicina legale ed ematologia forense, ucciso dalla mafia l’11 agosto 1982. Invitato da Dario Poppi (curatore di un ciclo di incontri sul tema della legalità), De Leo davanti a una 50ina di persone ha raccontato il clima che si respirava nella Sicilia di allora: un misto di ignoranza dei fatti, di indifferenza e omertà, fino alla collusione vera e propria. E ha raccontato la vita e la morte di questo “gigante buono” com’era Giaccone, che un giorno scoprì, da una perizia che stava svolgendo, che il responsabile della “strage di Bagheria” (giorno di Natale dell’ ’81) nella quale persero la vita tre mafiosi e un pensionato innocente, era Giuseppe Marchese, nipote di Filippo capo della cosca mafiosa di corso dei Mille. Il rifiuto di Giaccone di falsificare quella perizia, nonostante le minacce ricevute, gli costò la vita: 7 colpi di pistola, di cui 5 letali, lo colpirono davanti al  Policlinico dove lavorava, successivamente intitolato a lui.

Un uomo robusto, era Giaccone, «riservato, anche timido, ma eclettico e sempre disponibile».E con un vocazione profonda: di porsi al servizio degli altri nella professione medica, oltre che nel volontariato, essendo stato tra i fondatori del Centro trasfusionale AVIS di Palermo. Una vocazione ereditata in famiglia e che emerge  in modo struggente anche da un suo manoscritto che scrisse poco prima di essere ucciso, una sorta di «testamento» l’ha definito De Leo nel quale la sua professione è correlata ai concetti di «interesse pubblico», «serietà e umiltà», «dovere».

I primi anni ’80 in Sicilia erano gli anni degli omicidi “eccellenti” (Piersanti Mattarella, Mario Francese, Pio La Torre, solo per citarne alcuni), dei 500 morti nella guerra di mafia. Camilla, una dei quatto figli di Giaccone, descriverà quel periodo attraverso la sensazione di un «dolore freddo, avvolgente».E spettava a suo padre indagare sui corpi di quei morti, cercare tracce, dare risposte. Fino al prelievo di un’impronta digitale sul volante di una 500 legata a quella maledetta “strage di Natale” a Bagheria. L’impronta di Giuseppe Marchese.E poi le telefonate di minacce, i colleghi che gli dicono «lascia perdere…», e la sua tristezza per queste parole, per sentirsi isolato in una battaglia che non aveva scelto. «Agli stessi funerali di Giaccone – ha raccontato con immutata amarezza De Leo – vi erano pochi colleghi di Giaccone. E non c’erano politici».

Anche da questa crudele indifferenza,De Leo assieme ad altri decise di dar vita al Centro Studi intitolato a Giaccone e di girare l’Italia per raccontare  questo modello di coerenza, di virtù, la storia di quest’uomo affamato di giustizia. Un lavoro che sta portando i suoi frutti: ogni 11 agosto le commemorazioni sono sempre più partecipate, anche da tanti giovani, «che possono essere uno stimolo, un “inciampo”, come le pietre d’inciampo, per far prendere coscienza a molti che un futuro più libero è possibile».

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce” del 24 novembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Persona, dono e comunità: l’Avis massese in un libro

28 Giu

“Un viaggio tra i Valori della Vita”: il volume di Alberto Fogli

Si intitola “Un viaggio tra i Valori della Vita. Storie di umanità e solidarietà” (Ed. La Carmelina, 2023) il libro da poco uscito scritto da Alfredo Alberto Fogli. Il volume racconta la storia ultra cinquantennale dell’Avis di Massa Fiscaglia, di cui Fogli è stato presidente dal 1991 al 2021.

Fin dalla sua costituzione nel 1967, l’Avis massese, scrive Fogli, ha organizzato «iniziative mirate a testimoniare concretamente la possibilità di sviluppare una nuova cultura della solidarietà tra la nostra gente nonché di diventare “lievito” di un rinnovato impegno culturale, sociale e umano da proporre alle future generazioni». Perché l’obiettivo di un’associazione come l’Avis è di costruire una società «migliore e più umana e più solidale per le generazioni che verranno».

Per fare questo, fin dalla sua nascita ha svolto «un’incessante opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica locale e della popolazione scolastica sull’importanza sanitaria, morale e civica della donazione di sangue ma più in generale di un’educazione al dono e alla gratuità come valori sociali di una autentica civiltà solidale».

Civiltà solidale che, riflette Fogli nel libro, non può non avere le proprie radici e il proprio orizzonte in un sistema democratico che garantisce le libertà, incluse quelle di associazione e partecipazione alla vita pubblica. Senza dimenticare che «ciò che conta nella nostra quotidianità è un rapporto d’amore».

Ma per l’Avis massese la cultura del dono si accompagna e si è sempre accompagnata ad altre attività collaterali ma non meno importanti per la missione di fondo: iniziative per l’integrazione e l’inclusione sociale e culturale, screening sanitari per la popolazione locale, corsi di primo soccorso e di protezione civile, missioni umanitarie all’estero. E poi ci sono le collaborazioni – oltre che con le Istituzioni, con associazioni come Aido o Fondazioni come Telethon (dal ’94) -, i numeri che dicono della crescita dai primi 37 donatori del 1967 al picco nel ’96 (229 donatori) e il successivo calo fino ai 117 del 2022 – e alcune tappe significative: il 1975, con la prima sede nel Palazzo Comunale e il primo punto fisso di prelievo sangue. E il 2014, con la «rifondazione avisina massese» e il nuovo punto di raccolta sangue per l’intero Comune di Fiscaglia.

Tappe di un cammino che prosegue, e che ha la persona e il suo servizio al centro, il dono come bussola imperitura, la comunità come luogo concreto dove far vivere la carità quotidiana.

Andrea Musacci

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 30 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio