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Il sorriso di Norma e il triste tentativo di farne una martire fascista

11 Feb

Ogni anno, nel Giorno del Ricordo, torna la polemica strumentale sulla fine orribile di Norma Cossetto e di tanti altri italiani (fascisti e antifascisti), vittime delle violenze dell’OZNA, la polizia politica del regime di Tito

norma cossettoNella notte tra il 4 e 5 ottobre 1943 muore, dopo giorni di violenze e sevizie di ogni tipo, Norma Cossetto, giovane studentessa nata 23 anni prima a Visinada, nell’entroterra istriano, oggi località croata. Il suo nome già negli anni immediatamente successivi alla Liberazione diviene simbolo delle violenze e dei massacri ai danni della comunità italiana locale dell’Istria e della Venezia Giulia nel biennio ’43-‘45, colpita da arresti arbitrari, processi sommari, fucilazioni, sepolture in fosse comuni e infoibamenti ad opera dei partigiani locali titini. Circa un migliaio furono i morti, non necessariamente fascisti, ma anche antifascisti (socialisti, cattolici, liberali). Ma la pietà non deve morire. Mai. E con essa mai dovrebbe venir meno il rispetto per i morti, come nel caso di Norma perlopiù giovani e innocenti. Pietà e rispetto che vengono meno quando da una parte si strumentalizza la morte di questa povera ragazza ergendola a “martire fascista”, usurpandone così il nome, e dall’altra quando si considera la sua una “morte di serie B” solo perché figlia di un gerarca del regime mussoliniano.

La storia di Norma

I genitori di Norma, Giuseppe e Margherita, sono possidenti terrieri. Il padre è stato per molti anni podestà di Visinada, segretario del Fascio locale prima della guerra, e in seguito Capo Manipolo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Dopo il diploma al Liceo Classico di Gorizia nel ’39, Norma si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Padova, e negli anni successivi inizia a lavorare come insegnante in licei e istituti magistrali. Nel ‘43 la sua famiglia lascia Visinada in quanto, all’arrivo dei partigiani titini in paese, iniziano le minacce. Il 25 settembre un gruppo di partigiani titini irrompe in casa Cossetto razziando ogni cosa, il giorno successivo prelevano Norma portandola nella ex caserma dei Carabinieri di Visignano dove i partigiani la tormentano, promettendole libertà e mansioni direttive, se avesse accettato di collaborare con il Movimento Popolare di Liberazione. Al netto rifiuto, viene rinchiusa con altri parenti, conoscenti ed amici nella ex caserma della Guardia di Finanza a Parenzo. La mattina seguente alcuni membri della famiglia Cossetto cercano di farle visita portando cibo e vestiario di ricambio ma vengono allontanati con la scusa che l’indomani tutti gli arrestati sarebbero ritornati alle proprie abitazioni. È il 30 settembre e la mattina seguente invece della liberazione giunge un nuovo e inaspettato trasferimento. I tedeschi sono in procinto di arrivare a Parenzo e uno degli ultimi autocarri a lasciare la città prima della colonna germanica è quello dei prigionieri che il Comitato Popolare di Liberazione manda ad Antignana, dove vengono rinchiusi, prima nella ex caserma dei Carabinieri, ed in seguito nell’edificio della locale scuola. La situazione repentinamente precipita perché i componenti del presidio partigiano iniziano a torturare e malmenare tutti i detenuti. Tutte le donne vengono violentate e seviziate. Norma, che continua a rifiutare ogni collaborazione con le milizie locali di Tito, viene portata in una stanza a parte dell’edificio, spogliata e legata ad un tavolo. Qui è ripetutamente violentata da diciassette aguzzini, e dopo giorni di sevizie viene gettata nuda nella foiba di Villa Surani, sita alle pendici del Monte Croce, vicino alla strada che da Antignana porta al villaggio agricolo di Montreo. È la notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943. Il 13 ottobre 1943 i tedeschi ritornano in paese e, a seguito della cattura di alcuni partigiani titini, riescono a fornire informazioni attendibili a Licia, sorella di Norma, sul destino del padre e della sorella, confermando l’esecuzione di entrambi. Il 10 dicembre 1943 i Vigili del Fuoco di Pola, al comando del maresciallo Arnaldo Harzarich, recuperano la salma di Norma: rinvenuta supina, nuda, con le braccia legate con il filo di ferro, su un cumulo di altri cadaveri aggrovigliati; aveva ambedue i seni pugnalati ed altre parti del corpo sfregiate, un pezzo di legno conficcato nei genitali. La salma di Norma viene composta nella piccola cappella mortuaria del cimitero di Castellerier. Dei suoi diciassette torturatori, sei vengono arrestati e obbligati a passare l’ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria del locale cimitero per vegliare la salma della giovane donna, prima di venire fucilati dai tedeschi il mattino seguente. Ai funerali di Norma, che verrà tumulata nella tomba di famiglia a Santa Domenica di Visinada assieme al padre, partecipa un grande numero di persone. Nel dopoguerra, l’8 maggio 1949, il Rettore dell’Università di Padova, Aldo Ferrabino, su proposta di Concetto Marchesi (ex rettore, docente, nonché dirigente e deputato del Partito Comunista Italiano, membro dell’Assemblea Costituente e attivo nella scrittura della Costituzione italiana) e del Consiglio della Facoltà di Lettere e Filosofia, le conferisce la laurea ad honorem, specificando che Norma è caduta per la difesa della libertà. L’8 febbraio 2005 l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi concede alla giovane istriana la Medaglia d’oro al merito civile. Il 10 febbraio 2011 l’Università degli Studi di Padova e il Comune di Padova, nell’ambito delle celebrazioni per la Giornata del Ricordo in memoria delle vittime delle Foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, scoprono nel Cortile Littorio del Palazzo del Bo’ una targa commemorativa. Il Comune di Limena (Padova) nell’aprile 2011 dedica a Norma la Biblioteca Comunale. Diverse città italiane le dedicano una via.

Nelle foibe anche cattolici e antifascisti

Come dicevamo, non solo fascisti o loro famigliari furono tra le vittime delle milizie slave. A Trieste e in Istria, ad esempio, vi furono uccisioni efferate come quella dei democristiani Carlo Dell’Antonio e Romano Meneghello e di don Francesco Bonifacio, torturato e assassinato (il suo corpo non è mai stato ritrovato), ritenuto martire in odium fidei dalla Chiesa, e beatificato nel 2008. Ma ricordiamo anche Augusto Bergera e Luigi Podestà, membri del Comitato di Liberazione Nazionale, che restano due anni in campo di concentramento jugoslavo, il socialista Carlo Schiffrer e l’azionista Michele Miani, scampati ai criminali slavi. A Gorizia e Provincia, fra le vittime si ricordano alcuni esponenti del CLN locale come Licurgo Olivi del Partito Socialista Italiano e Augusto Sverzutti del Partito d’Azione, mentre a Fiume molti antifascisti furono arrestati e deportati, dei quali solo alcuni faranno ritorno dai campi di concentramento dopo lunghi periodi di detenzione. Gli altri furono giustiziati, senza pietà alcuna, colpevoli solo di non voler passare dalle barbarie nazifasciste a quelle di Tito.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 febbraio 2019

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Un ferrarese vittima dell’orrore delle foibe

11 Feb

La vicenda del Maresciallo di Finanza Antonio Farinatti è raccontata in un libro appena pubblicato: l’uomo, originario di Migliaro, rimase a Parenzo (vicino Trieste) nonostante l’arrivo delle feroci milizie di Tito

farinatti1 copia“Antonio Farinatti. L’eroe di Parenzo” è il nome del volume – appena edito da La Carmelina – che racconta la vita del Maresciallo di Finanza originario di Migliaro, ucciso dai partigiani di Tito per infoibamento nell’ottobre del ’43. Il testo, a cura di Gerardo Severino e di Federico Sancimino, ha il patrocinio del Comune di Ferrara e del Museo Storico Guarda di Finanza – Comitato di Studi Storici, e il patrocinio e il contributo del Comitato Provinciale di Ferrara dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (il cui presidente Flavio Rabar ha scritto l’introduzione al volume) e dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara. Antonio Farinatti nasce il 7 febbraio 1905 a Migliaro da Romolo e Pasqua Bonora. Lascia presto la scuola, mettendosi a lavorare come carpentiere e iscrivendosi alla Sezione locale del Partito Nazionale Fascista, partecipando anche alla Marcia su Roma. Nel febbraio ’23 invia la domanda di arruolamento nel Corpo della Regia Guardia di Finanza. L’ottobre dello stesso anno si trasferisce a Verona, in uno dei Battaglioni di formazione delle Fiamme Gialle. Un anno dopo, finito il corso, è promosso a guardia. Da qui, è costretto a spostarsi, per anni, in diverse località: a Piedicolle, Legione di Venezia, oggi territorio sloveno, poi Porto Nogaro (UD), Cortina, a Caserta per frequentatre il corso di allievo sottoufficiale, quindi, una volta divenuto Sotto brigadiere, a Cernobbio, sul Lago di Como, e nel ’27 a Piazzola, nelle vicinanze, dove conosce la futura moglie, Luigia Giulia Della Torre. L’anno dopo viene trasferito a Predazzo (TN), Maslianico, Bormio. Nel frattempo nasce la prima figlia Maria detta “Titti”. Farinatti torna al Sud, a Maddaloni (CE), Palermo e in provincia di Caltanissetta, per poi risalire al nord, a Firenze e a Cesenatico. Nel ’34 si sposa con Luigia a Cernobbio, e l’anno dopo si trasferiscono a Bellaria, a Ravenna e poi nel Comune di San Pietro del Carso, allora sotto Trieste, dove nel ’39 nasce la seconda figlia Stefania, detta “Neni”. Nel ’40 è nella vicina Postumia e viene promosso al grado di Maresciallo Ordinario, mentre nel ’41 è a Parenzo, a metà strada tra Pola e Trieste, e viene poi promosso al grado di Maresciallo Capo. Dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43, l’Istria e la Dalmazia diventano terra di nessuno: iniziano le vendette slave contro gli italiani, innanzitutto finanzieri (parte dei quali nel ’45 si schiereranno apertamente con i partigiani italiani), carabinieri, Guardie di Pubblica Sicurezza e membri della Milizia Volontaria per la Sicurezza dello Stato, ma anche responsabili di uffici pubblici, insegnanti e sacerdoti, fascisti e antifascisti, uomini e donne, giovani e anziani. La IV Armata del Maresciallo Tito fa ingresso a Trieste il 1° maggio ’44: per un mese gli italiani vengono prelevati dalle loro case, molti finiranno nelle foibe o nei campi di concentramento titini. Molte saranno anche le confische, le requisizioni e violenze di ogni genere. Farinatti è tra i finanzieri che rimangono a Parenzo anche dopo l’armistizio dell’8 settembre, seppur cosciente dei seri rischi che corre. Il 14 dello stesso mese, i miliziani slavi arrivano a Parenzo, occupandola: “i giorni che seguirono – è scritto nel libro – portarono in città lutti e tragedie di ogni genere, ascrivibili a quella che agilmente può essere definita una ‘brutale rappresaglia militare’ ”. Il 19 iniziano i fermi e gli arresti di italiani (in tutto furono 84), prelevati con l’inganno, lasciando spesso i famigliari nell’attesa, illusoria, che avrebbero presto fatto ritorno. Fra questi, Norma Cossetto (ne parliamo a pag. 11). Farinatti viene prelevato dalla sua abitazione, davanti alla moglie e alle figlie, la notte tra il 20 e il 21 settembre ’43 da alcuni partigiani titini, e portato nella prigione adibita nel Castello Montecuccoli di Pisino, località ad alcune decine di km da Parenzo. Nell’ultima lettera, spedita alla moglie, prima di essere infoibato, Farinatti scrive (la data è 27 settembre ’43): “[…] Come tu ben puoi immaginare, il mio pensiero è sempre rivolto a voi. Vi vedo sempre davanti agli occhi e siete sempre nel mio cuore e nel mio pensiero. Noi qui siamo trattati molto bene. Il vitto è sano e sufficiente”. La mattina del 4 ottobre insieme ad altri dieci prigionieri viene trasferito a Vines, dove vi è una foiba: “giunta l’oscurità – è scritto nel volume – sotto la luce dei fari degli automezzi ebbe dunque luogo la ‘mattanza’, secondo un rituale ormai noto. Il Maresciallo Farinatti, con i polsi legati da uno spesso filo di ferro e accoppiato ad altre due vittime, fu gettato nella sottostante foiba (profonda circa 146 metri)”. Solo il 25 ottobre il suo corpo viene riportato in superficie e riconosciuto dalla moglie, grazie al particolare di un lembo di camicia indossata dal marito. Il 23 novembre 2006 il Direttore del Museo Storico della Finanza, l’allora Tenente Gerardo Severino, propone una ricompensa al Merito Civile per Farinatti: con Decreto del 24 luglio 2007, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, gli conferisce la Medaglia d’Oro.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 febbraio 2019

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