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Pastorale per le persone LGBT: dialogo e discernimento nella chiarezza dottrinale

28 Mag

“Esperienze e testimonianze per una pastorale del dialogo e della speranza con persone LGBT”: questo il titolo dell’ultima lezione dell’anno 2024-25 della Scuola diocesana di teologia “Laura Vincenzi”. Lo scorso 22 maggio a Casa Cini, Ferrara, sono intervenuti don Gabriele Davalli, responsabile dell’Ufficio per la Pastorale familiare della Diocesi di Bologna; don Cristobal Rodriguez Hernandez, prete spagnolo diocesano della Diocesi di Tenerife (Canarie), in Italia presso la Diocesi di Bologna come prete fidei donum per la collaborazione con l’Ufficio famiglia;Pietro e Francesco, un uomo e un ragazzo bolognesi, che hanno raccontato la propria esperienza personale all’interno del “Gruppo in Cammino”, gruppo di persone LGBT cattoliche all’interno della Diocesi bolognese.

Di questo gruppo ha parlato don Davalli, da quando è nato 40 anni fa (nel dicembre ’84) nella città felsinea, «prima dal basso per poi incontrarsi con la Diocesi». Enacque da una domanda: «è possibile essere cristiani e omosessuali?». Allora, come oggi, ragazze e ragazzi furono «accolti da sacerdoti e frati bolognesi» e iniziarono a organizzare incontri di preghiera, confronto e spiritualità, «per un’esperienza di interiorizzazione della fede. IVescovi Biffi e Caffarra sono sempre stati a conoscenza dell’esistenza del gruppo ma non sono mai intervenuti: il loro silenzio lo abbiamo sempre interpretato come importante per il prosieguo di questa esperienza». Il card. Zuppi, invece, da Vescovo ha deciso di porre il gruppo sotto la Pastorale familiare diocesana. Lo stesso card. Zuppi, nella prefazione al libro “Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone LGBT” di padre James Martin (Marcianum press, 2018) scrive dopo aver ripreso il titolo: «Il non far niente (…) rischia di generare tanta sofferenza, fa sentire soli e, spesso, induce ad assumere posizioni di contrapposizione ed estreme». Sono poi nati anche i gruppi delle “Famiglie in cammino”, per i genitori di persone omosessuali, e il gruppo “Copia e incolla”, per le coppie omosessuali cristiane. Del “Gruppo in Cammino”, come detto, fan parte Pietro e Francesco, che hanno raccontato a Casa Cini la propria esperienza. Pietro, 42 anni, cresciuto in una famiglia cattolica praticante – che, «pur con alcune difficoltà mi ha accolto nella mia scelta, così come due sacerdoti» – ha spiegato: «la scoperta della mia omosessualità è stata uno stimolo per approfondire il mio rapporto con la fede». Al “Gruppo in Cammino” è approdato dopo un’esperienza in Arcigay, dove però – ha spiegato – «nessuno promuoveva una qualche forma di relazione amorosa stabile». Francesco, invece, che insegna in una Scuola Primaria salesiana, ha raccontato di essere Capo scout e di essere entrato negli scout quando aveva 8 anni: «nel “Gruppo in Cammino” mi sento accettato per quel che sono. L’amore di Dio non è avere un piano per la persona, ma darle una speranza».

Don Hernandez ha invece spiegato le basi di una «Pastorale di inclusione delle persone LGBT, viste le ancora forti difficoltà ad accettare questo tipo di periferia esistenziale»; difficoltà «causata perlopiù – nei laici e nei ministri delle nostre Chiese – da una mancanza di educazione emotiva». «Ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro», ha proseguito citando S.Paolo (1Cor 7). «La sessualità umana è da intendersi come relazione e bene fra le persone», quindi in senso positivo, come «amore e dono a sé e all’altro. Il mutuo sostegno fino al sacrificio di sé in diverse coppie omosessuali è innegabile. La persona – sono ancora sue parole – va riconsiderata in tutta la sua ampiezza e complessità, non riducendola all’aspetto sessuale».

«Questa inclinazione [omosessuale], oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte» delle persone che la vivono «una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione». Così recita il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2358, non riducendo la persona agli atti «intrinsecamente disordinati». Riprendendo, poi, diversi passi di Amoris laetitia (n. 250, ad es.), don Hernandez ha sottolineato l’importanza di accompagnare dentro la Chiesa le persone LGBT nella «crescita nella comprensione del Vangelo, nel discernimento dello Spirito e nell’amore per la Chiesa: insomma, si tratta di una vera e propria pastorale del discernimento». Cinque sono, secondo il relatore, i passi di questa pastorale: «guardare la persona e riconoscerla per quel che è; rifiutare ogni forma di violenza; ascoltare rispettosamente per comprenderla meglio, senza pregiudizi ideologici; promuovere un’etica del rispetto; proporre un’educazione all’amore, da una prospettiva cristiana». Insomma, «partire dalla persona per portarle Gesù Cristo».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 30 maggio 2025

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Corpi e luoghi della città: interazioni da ridefinire collettivamente

17 Dic

Del ricchissimo programma del VII Convegno Nazionale di Antropologia Applicata, svoltosi a Ferrara dal 12 al 14 dicembre, abbiamo scelto di raccontare alcuni frammenti: quello – a Casa Cini e in Arcivescovado – sulla relazione tra lo sguardo dei migranti e quello degli “indigeni” nella città che condividono, e quello sulle periferie urbane. Con uno spunto interessante sulla Ferrara di oggi, che Scandurra di UniFe spiega a “la Voce”

brini vescovoLe nostre città spesso si trasformano, o vengono vissute come spazi anonimi, freddi, disegnate non sulle persone e i loro bisogni ma seguendo logiche diverse, divenendo così ambienti dove a dominare sono la diffidenza reciproca e l’individualismo. Uno sguardo diverso sulla città è dunque quello che riesce a immaginarla come luogo vivo, non mero spazio utilizzabile, e dunque costruire un futuro differente, fatto anche di incontri, di interazioni tra diversità. Ferrara, dal 12 al 14 dicembre, ha ospitato per la prima volta il VII Convegno Nazionale di Antropologia Applicata, organizzato dalla Società Italiana di Antropologia Applicata (SIAA), con l’Università degli Studi di Ferrara e l’Associazione Nazionale Professionale Italiana di Antropologia (ANPIA), e il patrocinio del Comune. Un’occasione per uscire dall’autoreferenzialità accademica e spendere le competenze acquisite in ambiti specifici di lavoro (accoglienza, scuola, socio-sanitario e altri). Anche l’Istituto “Casa Cini” ha ospitato alcuni incontri, in particolare il 12 quello dal titolo “Luoghi comuni. Uno sguardo sulla città”, legato alle quattro esposizioni fotografiche – sul tema dell’accoglienza dei migranti – che hanno “invaso” i vari ambienti della sede di via Boccacanale: “Luoghi Comuni” (esposta anche al festival di “Internazionale”), con foto delle attività per l’integrazione realizzate dalla coop. CIDAS nell’ambito dei progetti SPRAR/SIPROIMI (per titolari di protezione Internazionale e per i Minori stranieri non accompagnati) per persone vulnerabili a Ferrara e a Bologna; “A casa loro. Ri-tratti di famiglia”, con foto di Michele Lapini delle famiglie che accolgono i rifugiati nelle loro case, nell’ambito del progetto Vesta; “Futuri Prossimi” (esposta anche al festival di “Riaperture”) che racconta l’idea di passato, presente e futuro delle ragazze e dei ragazzi, tra cui richiedenti asilo e rifugiati, che hanno partecipato al laboratorio organizzato da “Riaperture”, curato da Giacomo Brini; infine, “Bologna d’aMer”, collettiva su Bologna realizzata attraverso gli sguardi di chi giunge da lontano. Maria Luisa Parisi (CIDAS) e Brini hanno illustrato le mostre allo stesso Vescovo mons. Gian Carlo Perego. “E’ un esempio positivo di coesione tra le persone”, ha spiegato Brini, spiegando come “centrale sia il tema del futuro. E’ stato, quello per ‘Riaperture’, un laboratorio umanamente molto importante”. “Il nostro intento – hanno spiegato i rappresentanti di CIDAS – era di incrociare lo sguardo dei migranti col nostro sguardo, il loro sguardo su loro stessi e su noi, sulla città che insieme viviamo. Un altro aspetto importante – hanno proseguito – è stato l’averli aiutati a riappropiarsi delle parole, attraverso la riscoperta di storie e favole tipiche dei loro Paesi d’origine. L’idea è di ricavarne un libro per bambini. Per noi, città e corpi dei migranti sono strettamente intrecciati, preferiamo per questo parlare di ‘interazione’ più che di ‘integrazione’ ”. Mons. Perego, nell’elogiare questi progetti virtuosi di accoglienza diffusa, ha ricordato invece un esempio negativo di accoglienza, quando nel 2014 150 migranti minori furono radunati, appena sbarcati in Italia, tra l’altro senza mediatori culturali, nella scuola “Verdi” di Augusta a Palermo. “Il differenziare volti e storie – ha spiegato – è un passaggio fondamentale, e progetti come i vostri sono molto importanti per valorizzare le capacità di ogni singola persona migrante: loro, infatti, possono rappresentare un vero e proprio tesoro, che sta già trasformando le nostre città, anche per combattere le frequenti falsificazioni: ogni ragazzo ha una storia, una storia che cambia la città. Nella mia lunga esperienza con i migranti – ha concluso -, ho letto circa 15mila testimonianze, e la parola più ricorrente è ‘futuro’. Il loro e il nostro futuro passano quindi anche dall’incontrarci reciprocamente”. Durante l’iniziativa è intervenuto anche Luca Mariotti di CIDASC per spiegare il progetto “Migrantour” svoltosi di recente a Ferrara. Alcuni incontri del Convegno si sono svolti nella Sala del Sinodo del Palazzo Arcivescovile, fra cui quello sul tema “Rifugiati e richiedenti tra spazi urbani e non urbani: processi, dinamiche e modalità di accoglienza in Italia e nel mondo”, per ragionare sul rapporto tra città, urbano/non urbano e forme di vivere migrante dentro e fuori dal sistema di accoglienza. Maria Carolina Vesce, tra gli altri, ha presentato una ricerca-azione sull’accoglienza di persone transessuali e transgender titolari di protezione internazionale a Bologna. “Nello spazio della casa e nei luoghi della città le persone trans esprimono il loro genere ispirandosi a modelli socio-culturali diversi – ha detto Vesce – che l’antropologia può aiutare a comprendere ed esplorare. La sfida sta nel costruire politiche di intervento orientate ai bisogni, che tengano conto delle diverse esperienze di queste persone, dei loro desideri e delle loro aspirazioni”.

“La Ferrara contemporanea andrebbe raccontata dal punto di vista antropologico”

Giuseppe Scandurra dell’Università di Ferrara è stato uno dei tre coordinatori del Convegno di Antropologia Applicata svoltosi nella nostra città. “Ferrara – spiega a “la Voce”- ha una lunga tradizione legata alle scienze sociali, ma non è mai stata raccontata, nella sua contemporaneità, dal punto di vista antropologico”. Una mancanza alla quale lo stesso Scandurra, insieme ad altri colleghi, sta già cercando di porre rimedio: “io, ad esempio, sto portando avanti una ricerca sulla Ferrara degli anni ’70-’80 del secolo scorso”. Citiamo alcuni lavori virtuosi svolti sulla Ferrara contemporanea: nel 2017 UniFe, tramite Mimesis, ha edito il volume “Arte contemporanea a Ferrara”, a cura di Ada Patrizia Fiorillo, che, però, ripercorre il Novecento sotto l’ottica artistico-culturale, non etno-antropologica. Alfredo Alietti, sociologo di UniFe, il 12 dicembre scorso, nell’ambito del Convegno, ha anticipato alcune ricerche di un lavoro sul Grattacielo di Ferrara, e la sera stessa Ferrara Off ha ospitato il collettivo Wu Ming 1 per uno spettacolo dedicato al Delta ferrarese. Insomma, qualcosa si muove, senza dimenticare il progetto “Views 2.0. Narrazioni liquide”, la cui seconda edizione è in programma la prossima primavera.

Raccontare le periferie attraverso le voci di chi le vive: il 12 dicembre a Feltrinelli presentato il libro “Quartieri. Un viaggio al centro delle periferie italiane”, tra ricerca etnografica e graphic novel

feltrinelliAmbienti periferici di grandi città, spesso oggetto del racconto mediatico/politico come meri quartieri degradati e abbandonati. Due giovani ricercatori hanno invece deciso di raccontarne cinque (lo Zen di Palermo, San Siro a Milano, Tor Bella Monaca a Roma, Arcella a Padova e Bolognina a Bologna) incontrando direttamente chi ci abita, cercando di cogliere la loro relazione con gli spazi urbani che vivono. Da questo è nato il volume “Quartieri. Un viaggio al centro delle periferie italiane”, presentato il 12 dicembre in occasione del Convegno di Antropologia Applicata nella Libreria Feltrinelli di via Garibaldi a Ferrara. I curatori del volume corale, e autori di uno dei cinque racconti, Adriano Cancellieri (sociologo urbano all’Università IUAV di Venezia) e Giada Peterle (che insegna Geografia all’Ateneo patavino), ne hanno discusso con Roberto Roda, per tanti anni Responsabile del Centro Etnografico del Comune di Ferrara. Dopo un’approfondita analisi di quest’ultimo su vari aspetti del volume, ad esempio sul rapporto tra ricerca etnografica, fotografia e graphic novel, ha preso la parola Peterle, per raccontare il lavoro svolto insieme a Cancellieri ad Arcella. Il capitolo sul quartiere di Padova è nato unendo ricerca sul campo, interviste, ricerche etnografiche, partecipazione attiva a certe trasformazioni, e il racconto di tutto ciò attraverso il testo (Cancellieri) e il fumetto/graphic novel (Peterle). “Lo stile realistico usato – ha spiegato la ricercatrice – è stata una scelta ben precisa, come anche l’idea di inserirci noi stessi come personaggi nei racconti, la cui voce narrante è proprio quella del quartiere coi suoi abitanti. Abbiamo anche scelto il cammino come metodo, svolgendo molte interviste camminando, potendo così meglio incontrare le persone interessate”. “All’Arcella di Padova, dove io abito da anni e Giada ha abitato per diverso tempo – ha spiegato Cancellieri – abbiamo cercato di andare oltre due raffigurazioni speculari ma entrambe errate: quella che lo racconta come un quartiere solo degradato, e quello invece che lo presenta come sempre ricco ed effervescente di iniziative”. Un lavoro lodevole, che sarebbe importante svolgere anche in determinate zone della città di Ferrara.

Pubblicati su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 20 dicembre 2019

La Voce di Ferrara-Comacchio

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