Archivio | novembre, 2020

Enigma scuola: la didattica per studenti svantaggiati a Ferrara dal lockdown a oggi

2 Nov

Studenti disabili, con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) o con Bisogni Educativi Speciali (BSE): nel caos attuale abbiamo raccolto riflessioni di alcuni insegnanti di sostegno per capire la situazione nelle scuole del nostro territorio

Il lockdown ha portato «un peggioramento» della situazione di diversi studenti disabili per via della lontananza dalla scuola per sette mesi consecutivi e, nel loro ritorno in presenza, «una sofferenza per l’impossibilità del contatto, di una vicinanza piena con insegnanti e compagni».
Sono queste le principali criticità riscontrate dal Centro Territoriale di Supporto (CTS) della provincia di Ferrara, che si occupa delle tecnologie applicate a favore degli alunni con disabilità, con disturbi specifici di apprendimento (DSA) e con altri bisogni educativi speciali (BES). Problematiche in un contesto generale e diversificato nel quale, comunque, non mancano anche aspetti tutto sommato positivi.


Le ultime disposizioni nazionali e regionali
Con l’Ordinanza n. 205 del 26 ottobre scorso (in vigore fino al 24 novembre, ma la situazione è in continuo divenire), la Regione Emilia-Romagna, recependo il Dpcm del Governo del giorno precedente, ha indicato per le scuole emiliano-romagnole le novità in materia di didattica: è stata alzata al 75% la percentuale minima di didattica a distanza (Dad) alle scuole superiori, che quindi da una settimana hanno adottato la didattica digitale integrata (Ddi) complementare a quella in presenza. Per le scuole dell’infanzia e le istituzioni scolastiche del primo ciclo l’attività didattica resta invece esclusivamente in presenza.
«Particolare attenzione, nell’attuazione della misura, va posta agli alunni con disabilità, con disturbi specifici dell’apprendimento ed altri bisogni educativi speciali« è scritto nella Nota inviata domenica 25 dal Ministero dell’Istruzione ai Dirigenti scolastici del Paese. Nella sopracitata Ordinanza regionale del giorno successivo si precisa che andrà garantito il diritto alla didattica in presenza agli alunni con disabilità, oltre a incentivarne l’applicazione nelle classi prime e quinte. Inoltre, nell’Ordinanza è «fortemente raccomandato» l’utilizzo della mascherina in aula all’interno di tutte le classi delle elementari, medie e superiori.


La nuova situazione e le vecchie problematiche
È Maria Antonietta Difonzo, docente di sostegno, a ragionare con noi a nome del CTS su queste novità, nello specifico riguardo agli studenti disabili, DSA e BES, e ripercorrendo il primo mese e mezzo del nuovo anno scolastico, anche in conseguenza della precedente lunga assenza dalle aule scolastiche.
Partendo dagli ultimi giorni, «sicuramente i docenti si sono trovati un po’ disorientati» nel riadattarsi alla nuova situazione, soprattutto «nell’organizzazione degli orari». La maggiore preoccupazione riguarda gli studenti disabili gravi, per i quali «si cercherà quanto più possibile di svolgere una didattica in presenza, ad esempio prevedendo laboratori da svolgere, per non “ghettizzarli”, insieme agli altri studenti». Riguardo, invece, ai DSA, «la didattica sarà organizzata come per i loro compagni».
Purtroppo dal lockdown si è dovuta registrare una «diseguaglianza e scarsità delle competenze digitali iniziali del mondo della scuola», sollecitate dalla necessità della Dad, e «un’assenza di strategie metodologiche condivise che garantiscano il diritto all’apprendimento degli alunni DSA/BES in caso di lockdown e che tenga conto delle specifiche situazioni». Le Linee guida per la Ddi pubblicate a inizio agosto «non danno suggerimenti specifici di tipo metodologico, lasciando alla responsabilità dei docenti la personalizzazione delle proposte didattiche». A tutto ciò si aggiunge la «necessità della presenza fisica, affettiva e relazionale» dell’insegnante di sostegno: sia le Linee guida di agosto sia l’ultima Ordinanza regionale sembrano sottolineare, di conseguenza, «l’importanza di privilegiare il più possibile l’attività in presenza».


Dal lockdown al nuovo anno scolastico
Risalendo al periodo marzo-giugno, le chiediamo innanzitutto quali sono state le conseguenze sui studenti disabili/DSA e BES di mesi di Dad e di lontananza da insegnanti e compagni. «Gli insegnanti di sostegno – ci spiega – stanno notando negli studenti che seguono un peggioramento della situazione. Questo però non è generalizzato perché ad esempio gli studenti con difficoltà psicologiche ma buon funzionamento cognitivo e alcuni ragazzi con DSA hanno tratto enormi vantaggi da una didattica che ha usato maggiormente le tecnologie e ha consentito loro di imparare ad auto-organizzarsi con i propri tempi».
Venendo invece ai primi 40 giorni del nuovo anno scolastico, Difonzo ci spiega come fortunatamente «ci segnalano poche situazioni in cui concretamente si siano creati problemi di comportamento legati alle norme Covid da rispettare: la mascherina è abbastanza accettata, anche se si soffre un po’ l’impossibilità del contatto, di una vicinanza piena con insegnanti e compagni».


Insegnanti di sostegno: luci e ombre
Dal punto di vista degli insegnanti di sostegno, non sono poche le difficoltà registrate in questo inizio anno, in quanto «la vicinanza fisica» – ora difficile se non impossibile – «rappresenta un importantissimo mediatore per stimolare e attivare l’alunno DSA/BES e favorirne il progresso nelle diverse aree dello sviluppo. Queste difficoltà sono avvertite in modo particolare dagli educatori comunali adibiti all’integrazione scolastica che devono indossare un apposito camice lungo e la visiera». Si registrano «anche difficoltà in relazione alla possibilità di toccare i quaderni e i materiali degli studenti, ora in parte superate perché il CTS ha dato via libera a riguardo».
Sul versante tecnologico, l’uso di strumenti innovativi da parte degli insegnanti di sostegno nella Didattica in presenza «è già molto diffuso», in quanto il CTS di Ferrara «fornisce da 13 anni in comodato d’uso gratuito sussidi tecnologici agli alunni BES di Ferrara e provincia e offre consulenza a docenti e famiglie per individuare i dispositivi più adatti ed efficaci a seconda delle specifiche necessità degli stessi studenti». «In questo momento storico – prosegue Difonzo – è impellente insegnare agli alunni con DSA/BES l’utilizzo di questi strumenti in modo autonomo e ricercare, costruire e individuare tutte le tecnologie che possono favorire l’attuazione di una Dad flessibile ed efficace». Ricordiamo che il CTS organizza il “Cafè Pedagogico”, incontri a ingresso libero rivolti ai docenti su temi a richiesta e prossimamente avvierà corsi di formazione sugli strumenti tecnologici per la formazione a distanza con alunni con BES, aperti a docenti, educatori e famiglie.
Infine, le chiediamo se l’attuale situazione di difficoltà ha portato a una maggiore collaborazione tra l’insegnante di sostegno e i colleghi della propria scuola. La risposta è in buona parte negativa. «Il lockdown ha mostrato tutte le criticità di una scuola italiana non digitalizzata e ha determinato una miriade di risposte diverse alla richiesta di Dad originate principalmente dagli “investimenti digitali” delle singole scuole negli anni precedenti e dalle condizioni economico-sociali e culturali delle famiglie. L’impreparazione generale di docenti, alunni e famiglie e le difficoltà a raggiungere allo stesso modo tutti gli alunni anche della stessa classe – prosegue -, ha ulteriormente gravato sul lavoro quotidiano del team/consiglio di classe e provocato una sorta di delega dell’alunno/a con BES al docente di sostegno».
Diversificati, invece, i rapporti tra insegnanti di sostegno e genitori degli studenti seguiti: «in alcuni casi sono nate condivisioni più profonde degli aspetti didattici», ma purtroppo, con l’inizio del nuovo anno scolastico, «ci sono stati raccontati episodi di conflittualità per ansie dei genitori, atteggiamenti di iperprotezione, maggiori fragilità psicologiche». In ogni caso, «i docenti di sostegno hanno attivato da subito una varietà di canali comunicativi (telefonate, whatsapp, video riunioni, ecc.) per manifestare vicinanza e attivare percorsi di Dad calibrati sulle specifiche situazioni. Questa attivazione è stata raccolta con grande soddisfazione da parte delle famiglie in particolare da quelle con alunni certificati gravi per le quali la prolungata chiusura delle scuole ha prodotto una forte pressione e stress».
Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 6 novembre 2020

https://www.lavocediferrara.it/

Non c’è più contatto

2 Nov

Poter toccare è fondamentale per l’essere umano. Ma nell’epoca del virtuale e in quella del distanziamento fisico causato dall’emergenza sanitaria ce ne stiamo dimenticando. L’incubo di un mondo senza senso del tatto e l’importanza della riscoperta del corpo umano come luogo fragile e accogliente

di Andrea Musacci

«Evitare abbracci e strette di mano», «Non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani».
Immersi come siamo ormai da 8 mesi in questa bolla invisibile fatta di separazioni, reciproca paura, prudenza che ci porta a sterilizzare, diffidare, a chiuderci e a isolare, il rapporto del nostro corpo con tutto ciò con cui può venire in contatto è stato trasformato. Abituati ad allontanare, ormai impressionati al solo assistere a baci, abbracci ed effusioni, straniti da questi gesti proibiti, ci percepiamo sempre più isolati.
Di questo passo, la conoscenza dell’altro da sé avverrà sempre meno tramite il tatto e il contatto diretto, anche delle persone che più amiamo, che meglio conosciamo. È questo il dramma all’orizzonte. Sempre più si insinua in noi il sospetto che il corpo dell’altro sia una terra potenzialmente pericolosa, un’isola ignota, una giungla tenebrosa dove l’invisibile domina – pur nella sua apparente assenza – sul visibile.
È vero, però, che è impensabile un’esistenza del nostro corpo senza contatto alcuno con l’altro-da-noi. Se eliminare ciò è assurdo, ridurlo, prima ancora delle abitudini nate in questo periodo di pandemia, è tipico di un “distanziamento sociale” che da decenni sempre più pervade, anzi invade, case, spazi pubblici o privati, relazioni. Un virtuale molto reale. Così reale da adulterare rapporti, modalità e abitudini nell’abitare i luoghi, nel conoscerli. Una volontà tremenda di rimanere “in-tatti”, appunto. Di non contaminarsi, di restare puri. Di preferire il vuoto nell’anima alla lotta dell’incontro con l’infinitamente altro-da-noi.
A maggior ragione in quest’epoca del Coronavirus, se il corpo dell’altro, e gli stessi oggetti, sono sempre più possibili spazi ostili, perché allora non scegliere il terreno neutrale, levigato, asettico e cieco dello schermo di un qualsivoglia dispositivo digitale? Mera superficie senza volto, indifferente, discreta. Velo magico incorporeo, inerme al nostro tocco, alla nostra mano che come strumento dirige, comanda, informa di sé. Corpo senza corpo di cui disponiamo liberamente. Non a caso si chiama dispositivo.
Ma questo bisogno di toccare gli altri corpi è spesso irriflesso, è bisogno di sentire qualcosa che ci dica di una consistenza, che ci provochi una sensazione più reale, è il non volerci accontentare di superfici asettiche e inodori come quelle degli schermi.


Cos’è davvero toccare
Nel toccare, il soggetto si sente pienamente – «toccare un altro significa nello stesso tempo provare la propria esistenza» scrive Marc Augè -, e sente in maniera più piena, più autentica il mondo, percependo di sé e dell’altro la sostanza, la carne, e così riconoscendosi esso stesso carne e non solo fredda e distaccata distanza, horror vacui del pensiero che in realtà, nel fantasma altrui annacquato nel digitale, non fa che pensare solo se stesso.
Siamo, come corpo, interamente tatto, propensi al tatto, il nostro intero corpo è tattile, e, in modo particolare, le nostre mani possono non essere strumento di presa e di dominio ma luogo estremo della nostra anima, del nostre cuore – che, infatti, viene “toccato” da parole, situazioni, emozioni. Qualcosa che mi tange, non a caso, significa che mi turba, mi interessa, mi coinvolge.
Il tocco è dunque un abbandono, un atto di fiducia, di per sé una scoperta. Al contrario, nel digitale non può darsi vero legame, reale congiunzione, mentre col tatto qualcosa si manifesta in maniera piena, dolce o atroce che sia si rivela senza equivoci: la pelle, come custode, libera la memoria, esprime la vita.

Abbraccio, stretta di mano, carezza
L’abbraccio è forse uno dei gesti che con maggiore radicalità dice questo concetto, in quanto rappresentazione della vicinanza tra sé e l’altro, simulazione di un’unione (impossibile), intreccio che conserva le identità e al tempo stesso le trasforma.
Nell’abbraccio riviviamo sempre qualcosa di puro, in esso afferriamo senza però in realtà davvero possedere, senza poter mai avere nulla a nostra completa disposizione, pienamente a portata di mano. Luce Irigaray parlava dell’importanza di conservare il «nostro desiderio di abbracciare l’altro in quanto desiderio di trascendere noi stessi».
E così, la stessa stretta di mano è sigillo che a un tempo conferma e sublima un’unione spirituale. Non è mero rito né formalità ma espressione di un oltre, concretizzazione necessaria di qualcosa che rischia di diventare sfuggente, astratto. Virtuale, appunto.
Il toccare, dunque, può essere illusione di possesso ma in realtà non fa che denotare in maniera chiara come in ultima analisi tutto ci sfugga, tutto possa, debba da noi essere contemplato, accarezzato, curato. Il vero tocco è dunque la carezza. Il tocco lascia essere, non adultera l’altro-da-noi. Il tatto rivela che il vero corpo non è cosa e non rende cosa l’altro.
Non a caso, il sogno più coinvolgente e dolce se prolungato si tramuta in incubo, in quanto in esso non vi è possibilità di contatto, manifestando quindi in maniera piena l’inganno del solo sguardo, del distacco che è dominio e che presto si tramuta in follia, sottile disperazione. E la stessa comunicazione verbale rischia di diventare un incubo se non sperimenta oltre, se non diventa relazione anche sensibile.


Corpo come luogo: una terra accogliente
Il divieto “Vietato toccare” è solitamente usato riguardo a qualcosa di fragile o di estraneo, di personale, di intimo.
Nell’epoca del distanziamento fisico, ognuno diventa quindi estraneo per l’altro, o comunque obbligato a fingersi tale. Ma questi tempi che stiamo vivendo possono anche aiutarci a saperci riconoscere – senza pudore – come fragili.
Se dunque da una parte il nostro corpo diventa sempre più un confine non solo da toccare ma nemmeno da avvicinare, dall’altra esso non potrà mai perdere la propria connotazione di luogo inevitabilmente esposto, di identità e di conoscenza, frontiera accogliente, abbraccio integrale, terra disarmata ma non neutra. Luogo di reciproco riconoscimento e apertura all’altro.
Chi può dire lo stesso dello schermo di uno smartphone?

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 6 novembre 2020

https://www.lavocediferrara.it/